CAP IX Scherzo e Performance
Mi brucia ovunque. Ci sarà anche andato piano (almeno è ciò che sostiene), ma ad ogni frustata mi sembrava di venire squarciata in mille pezzi...
Ma quando arrivano i soccorsi? E — soprattutto — arriverà mai qualcuno a salvarmi? Persino l'Angelo della Morte diventerebbe il mio migliore amico al momento! Basta che questa tortura abbia fine... pietà!
Lo sento armeggiare con qualcosa alle mie spalle, e tutti i miei sensi sono nuovamente in allerta.
E adesso? Ti prego, basta!
Improvvisamente, mi spruzza sulle ferite dell'alcol etilico.
«Ah! Brucia! Brucia! Smettila, ti prego... basta!» urlo e piango, cercando di schivare gli spruzzi alla cieca (tutto inutile, ovviamente!). «Perché? Perché? Non ti ho fatto nulla di male... non ti conosco nemmeno. Perché mi fai tutto questo?» mi lamento e chiedo, senza darmi più alcun freno e nella più totale disperazione.
«Cosa?!» tuona, tirandomi con forza i capelli e facendomi reclinare la testa di scatto, per poi aggiungere: «Hai già dimenticato l'incendio? E quei morti... e dici di non fare del male?! Bimba cattiva».
Avvicina il suo viso al mio e, per la prima volta, riesco a toccarlo con la guancia.
Sussulto, sorpresa e scioccata.
Cos'è quella cosa? Ha qualcosa al viso...
«Cosa c'è, gattina? Ti piace la mia cicatrice? Bene, allora te la farò vedere...» il suo tono tradisce tutta la sua eccitazione e impazienza.
«I-io... no no-...» farfuglio, confusa.
Oh, no! No! Deve essere spaventosa come lui, per questo vuole mostrarmela. Si diverte a sconvolgermi ulteriormente la mente... non voglio!
Mi sbenda, veloce come un lampo, ma io resto ancora con gli occhi chiusi.
«Apri gli occhi, gattina!» mi ordina, sadicamente euforico, ma io non oso farlo. Sono troppo spaventata al pensiero di ciò che vedrò. Mi afferra brutalmente per il mento e mi impone a guardarlo, sbraitando: «Apri gli occhi e guarda! Guarda!»
Con riluttanza e terrore, obbedisco e...
Mio Dio! No!
Una profonda cicatrice gli deturpa parte del viso e del collo, ma ciò che mi ha sconvolta maggiormente è la vista del mio aguzzino.
«Allora? Affermi ancora di non aver fatto del male a nessuno? Sei una bimba cattiva... bella e cattiva. E, ora, dimmi: sai chi sono io?» mi domanda, con un pericoloso luccichio negli occhi, ma io non riesco a proferire parola, né a pensare e — a momenti — neanche a respirare.
Infuriato, mi molla un sonoro ceffone sulla guancia, tuonando: «Rispondi!»
«Devin» il mio è un flebile bisbiglio, ma riesco ad aggiungere: «Ma come... come è possibile? Tu sei morto! L'incendio...»
Mi ride in faccia e mi spiega: «Brava, la mia gattina! Bene! Parliamo dell'incendio. Quel giorno avevi promesso di non urlare e, invece, l'hai fatto, coinvolgendo anche i tuoi stupidi e adorati fratelli. Lo sai, vero, che è colpa tua? Sei stata tu a richiamare la loro attenzione e, per mettersi in mezzo, sono morti senza lasciare neanche una briciola tra le macerie. Se fossi stata buona e se non mi avessi lasciato, tutto questo non sarebbe successo! Ma tu... bimba cattiva! Ho dovuto rimediare al tuo errore e ho dato fuoco al cottage, con i tuoi cari fratellini ancora vivi e intrappolati. Poveri stolti! Ma la polizia mi portava fretta e, quindi, non son riuscito a scappare in tempo dall'uscita segreta e mi son procurato questa cicatrice» Accompagna le sue ripugnanti e crudeli parole con un sonoro ceffone, talmente forte da anestetizzarmi la guancia, e prosegue con la sua sfuriata: «È tutta colpa tua! Sono morti per colpa tua! E, ora, sei qui per colpa tua! Io ti amavo e tu hai fatto tutto questo!» mi accusa, spietatamente, a gran voce e fuori di sé.
Scuoto la testa, incessantemente, per scacciare il ricordo e il dolore di quei tragici momenti che mi stanno prepotentemente riassalendo. «No! No! Smettila! No...» mi lamento.
Inutile fingere il contrario o trattenere le lacrime. Sono pervasa dal senso di colpa e dalla sofferenza e non riesco a smettere di piangere.
«Ecco! Adesso verrai punita anche tu. Tu non mi ami e sei una bimba cattiva, Safiria-gattina. Meriti una punizione per le tue colpe!» e, nel dirlo, mi benda nuovamente gli occhi. «Che ne dici di un'altra cicatrice? Ma non sulla schiena, come l'altra volta. Mmh, magari una come la mia... oh, sì! Come due anime gemelle. Visto come sono romantico, gattina?»
Al solo pensiero di prendere fuoco — cosparsa come sono di alcol etilico — grido di terrore, mi dimeno come un cavallo imbizzarrito e supplico: «No! Ti prego, no... m-mi dispiace. Non farlo, ti prego! Farò tutto ciò che vuoi... non ti lascerò questa volta, ma ti prego... ti prego, fermati!»
Mi ignora e, sogghignando, afferma: «Che bel miagolio... vediamo come miagoli adesso! Prendi!»
«No!» un grido acuto e a squarciagola mi sfugge dalla bocca.
Ma cosa...?
Un potente getto d'acqua fredda colpisce tutto il mio corpo.
«Bravissima! Spettacolare! Oh, che bella la mia gattina! Che magnifica performance è stata! Era uno scherzo!» mi deride, ridendo a crepapelle della mia reazione di terrore.
Performance?! Scherzo?! Bastardo! Mi ha lasciato credere che fosse vero, solo per ridere di me e della mia autentica e giustificata reazione?! Maledetto infame! Oh, tra poco mi viene un ictus... mi sento male.
Sopraffatta dallo shock, dall'ansia e dallo spavento accumulati finora, sento le forze abbandonarmi e un unico pensiero si fa strada nella mia testa e nella mia anima:
Aiuto... e Perdono!
Dopodiché, perdo inesorabilmente i sensi e vengo inghiottita, ancora una volta, nel buio che è in me.
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