Parte 4
Feci per alzarmi quando, improvvisamente, mi resi conto di avere i piedi completamente bagnati, così, in un attimo, estrassi dalla mia borsa un paio di ballerine ripiegate su loro stesse e me le infilai al posto delle scarpe coi tacchi che ormai sembravano due barche. Osservai con tristezza le mie Loboutin, ormai divenute di un rosso scuro tendente al nero, tanto erano bagnate, e le infilai in una bustina. Subito però una piacevole sensazione di sollievo allontanò, almeno per qualche istante, la pena per le mie costose scarpe divenute inutilizzabili.
"Grazie a Dio" sospirai.
Non mi ero accorta che, in tutto quel tempo, lui mi aveva osservata attentamente.
Quando mi risistemai, tornando a sedermi composta sulla mia sedia, mi resi conto che il mio accompagnatore aveva lo sguardo fisso su di me, come se stesse studiando attentamente ogni mio gesto, soppesandolo e contemplandolo con una certa ammirazione.
«Sei fantastica. Non immagino cosa tu possa portare in quella borsa ma è davvero sorprendente!» disse «adoro le donne sempre pronte...a ogni evenienza» ammiccò.
Questa sua affermazione non fece altro che aumentare la mia ira. Non potevo ascoltare una parola di più, così mi alzai di scatto ma avvertii una morsa intorno al polso ancora poggiato sul minuscolo tavolino. Mi voltai per capire cosa mi stesse trattenendo e vidi la mano di Alejandro che mi bloccava. Alzai lo sguardo per fulminarlo ancora una volta ma, quando i miei occhi incrociarono i suoi il mio cuore prese a battere talmente forte che temetti mi stesse venendo un infarto.
«Scusami ti prego. Non volevo fare lo stronzo con te. Insomma, non volevo sembrarti tanto impertinente. Per favore puoi darmi un'altra possibilità? Potremmo ricominciare tutto daccapo?» disse con lo sguardo di un cucciolo indifeso al quale non potei resistere.
Ricaddi sulla sedia e lui mollò la presa da me.
Quell'uomo era davvero irritante, pur essendo anche terribilmente sexy.
Lo osservai seguirmi con lo sguardo assorto e sollevato mentre mi sistemavo nuovamente davanti a lui. Avevo davanti un essere decisamente enigmatico e non riuscire a intercettare prima la direzione dei suoi pensieri mi generava un senso di profonda frustrazione. A momenti sembrava uno sbruffone e in altri appariva quasi fragile, mentre il bagliore nei suoi occhi, nell'indugiare su di me, mi faceva sentire come in balia di una tempesta che minacciava di trascinarmi via chissà dove.
Dovevo dunque prepararmi ad infrangermi contro uno scoglio e farmi in mille pezzi come aveva già fatto Reed poco tempo prima? Oppure sarebbe stato il mio porto sicuro? Mi sorpresi quando mi accorsi che già mi immaginavo accanto a lui in una relazione, o in un semplice flirt.
«Ehm. Scusa anche per prima. Intendo là fuori» disse impacciato mentre si grattava la parte di collo subito sotto il mento.
Ecco un'altra reazione che cozzava violentemente con il suo modo di mostrarsi sicuro di sé, dimostrato poco prima.
«Forse ti ho dato fastidio, ma ti ho vista prendere a calci la tua macchina e tornarvi dentro senza rimettere in moto. Così mi sono preoccupato, ho sentito il bisogno di aiutarti» disse desolato mentre lo sguardo gli ricadeva sulle mani intrecciate in un pugno tanto stretto da fargli divenire le nocche bianche.
L' osservai perplessa, cercando di decriptare i suoi pensieri, ma la cosa mi risultava davvero difficile visto che sembrava, addirittura, più complicato di me. A rendere le cose anche più complicate c'era il suo sguardo fisso su di me che, a tratti, pareva quello di un'anima tormentata ed, in altri, di chi sta saggiando la tua pazienza per vedere fin dove può spingersi.
Ero esasperata da quella situazione anche se come un metallo contro una calamita mi sentivo attratta da quell'uomo davanti a me.
«É nella sua natura fare il cavaliere delle damigelle in difficoltà, ma solo di quelle che dice lui, quindi non ti far abbindolare» irruppe la voce della "simpaticissima cameriera", mentre ci posava davanti le tazze fumanti e mi regalava l'ennesima occhiata di disprezzo.
Ok. Era ufficiale. Odiavo quella donna e lei odiava me. Vedevo il suo sguardo posarsi su di lui con aria trasognata, poi passare a me e assumere un'espressione di sdegno, come se non potessi e non dovessi essere lì.
La seguii con lo sguardo mentre si allontanava sparendo dietro una porta di legno che, probabilmente, dava nella cucina. Lentamente il mio sguardo ritornò a fissarsi sulle mie mani e la mia mente a divagare per mille considerazioni circa quella surreale situazione.
A parte questa parentesi, in me si stava facendo largo la consapevolezza che tutta quella situazione fosse stata fin troppo imbarazzante, visto il modo in cui quell'uomo riusciva a farmi perdere qualsiasi freno inibitorio. Temevo che, se non avessi posto fine a tutto prima che fosse troppo tardi, sarebbe potuto succedere qualcosa di cui mi sarei potuta presto pentire.
Mentre ero assorta nei miei pensieri sentivo il sangue defluirmi nelle vene troppo velocemente. Immagini di me sulle sue ginocchia mentre la sua lingua esplorava la mia bocca iniziavano a proiettarsi davanti ai miei occhi. Strinsi istintivamente le gambe cercando di trattenere l'ennesimo fremito. Espirai con violenza quasi a volere cacciare via con l'aria anche i pensieri disdicevoli.
Il tempo era scaduto. Feci un profondo respiro e trangugiai il mio tè, incurante di quanto fosse caldo. Subito avvertii il liquido rovente "spellarmi" letteralmente le pareti dello stomaco facendomi sfuggire un colpo di tosse ma, questo riuscii anche a farmi riprendere il contatto con la realtà dei fatti. Quando mi ripresi, poggiai la tazza sul suo piattino e mi alzai di scatto barcollando per un attimo a causa di una vertigine improvvisa. Mi aggrappai con le mani alla sedia alla quale ero stata seduto fino ad un attimo prima e, quando mi fui ripresa, cercai il portafogli dentro la borsa, sfilai dieci euro e le misi sul tavolino.
«Ti ringrazio per avermi aiutata, ma ora devo proprio andare. Lascia il resto dei soldi come mancia a quella simpatica della cameriera» dissi con sarcasmo mentre infilavo la tracolla della borsa professionale sulla spalla, cercando di evitare di incontrare ancora il suo sguardo.
Tra me ripetevo come un mantra che se fossi uscita da quel posto il più velocemente possibile, senza pensarci su oltre e senza voltarmi a guardarlo negli occhi, l'incantesimo si sarebbe rotto e io sarei stata finalmente libera.
Ma lui fu più veloce di me. Avvertii lo stridore generato dalla sua sedia trascinata sul pavimento e in un attimo apparve di fronte a me. Mi afferrò il braccio con una mano e con l'altra mi prese il mento per sollevarmelo e costringermi a guardarlo negli occhi.
«Perchè stai scappando? Ho detto qualcosa di sconveniente? Ti ho offesa in qualche modo?» il suo tono si fece carico di apprensione. Era sconvolto quasi quanto me.
Mi sforzai di fissare un punto impreciso sul muro alle sue spalle e non dritto nei suoi occhi perché temevo che mi avrebbe inchiodata.
«No. Devo andare adesso. È molto tardi» dissi cercando di apparire quanto più distaccata possibile, quasi insofferente.
«Ma come intendi tornare a casa?» fece preoccupato lanciando uno sguardo alla vetrata e poi a me.
Ero un fascio di nervi e sentivo che mi stavo frantumando davanti a lui.
«Prenderò un taxi. Addio...» dissi e mi staccai da lui, prima di crollare.
Quella separazione mi fece male come se qualcuno mi stesse conficcando una lama infuocata nel petto. Mi mancò quasi il respiro, mentre la gola mi bruciava per le lacrime che stavo cacciando indietro, e dovetti fare appello a tutte le mie forze per riuscire a restare in equilibrio e non lasciarmi cadere fra le sue braccia, che anelavo più di qualsiasi altra cosa, in quel momento.
Una parte di me sarebbe voluta restare lì, incollata a quella sedia, e continuare a discorrere con quello sconosciuto che tanto pungolava la mia curiosità e accendeva in me desideri proibiti, assopiti per lungo tempo. Dall'altra parte sentivo di dovermi cacciar fuori al più presto da quella situazione prima di fare qualcosa di sconveniente. Ero ancora troppo fragile e sapevo che, proprio in situazioni come quella, ci si poteva ritrovare invischiati in qualcosa che mai la nostra razionalità avrebbe permesso.
Dovevo andare via, dovevo fuggire da quegli occhi divenuti vitrei nei quali iniziavo a leggere lo stesso dolore che provavo io.
Come poteva un perfetto sconosciuto farmi quell'effetto devastante?
Diedi uno strattone al mio braccio e mi liberai dalla sua presa, così potei uscire da quel posto e ritornare alla mia vita di sempre.
Per fortuna stava passando proprio in quel momento un taxi e lo presi al volo.
Mi voltai per vedere dietro di me se qualcuno mi stesse seguendo ed ebbi un sussulto quando lo vidi immobile, sotto l'acqua, con diverse ciocche di capelli zuppe che gli ricoprivano il volto. Non aveva il k-way, né la felpa, così la pioggia battente inzuppò in un attimo la sua canotta che diventò quasi un secondo strato di pelle, mettendo in risalto i suoi muscoli che apparivano contratti. Quell'immagine di lui che mi guardava andar via con uno sguardo quasi agonizzante rimase impressa nella mia mente. Sembrava un uomo al quale erano appena state strappate via tutte le speranze e l'artefice ero io.
Sbuffai seccata e mi rimisi seduta per bene sul sedile del taxi mentre scivolavamo per le vie di Galway dritti verso la mia casa.
Mai avevo desiderato tanto ritirarmi nel mio rifugio solitario e protetto come quella sera.
Secondo voi ha fatto bene Caitlin a piantare in asso Alejandro? Vi piace questa protagonista tanto riflessiva o vi piacerebbe più leggera?Vi svelo un piccolo segreto, aspettate di andare più avanti prima di dare una risposta a questa domanda. Commentiiii
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