Parte 3
Dall'abitacolo della mia vettura riuscii a distinguere una figura scura ricurva sulla mia macchina e le nocche di una mano picchiare sempre più energicamente contro il finestrino.
Improvvisamente, la preoccupazione per la mia situazione fu sostituita da un mix di sorpresa, paura, collera, mentre cercavo di scorgere meglio quella sagoma davanti ai miei occhi. Se ne stava accovacciato spiando nell'interno della mia macchina e continuava a colpire il finestrino.
«É tutto ok lì dentro?» mi chiese quell'individuo.
Udivo a malapena la sua voce, a causa del rumore della pioggia sui vetri, ma nonostante quel diluvio lui continuava a restare lì, cercando di scorgere un qualche segno di vita nell'abitacolo della mia macchina, mentre io me ne stavo dentro muta e impietrita.
Chi diavolo poteva essere e che cosa voleva da me? E se fosse stato uno maniaco che voleva adescarmi? Il panico iniziò a farsi largo tra le innumerevoli emozioni contrastanti che già provavo.
In un attimo di lucidità aprii il cassetto dalla parte del passeggero, estrassi una bomboletta di lacca per capelli e la strinsi forte nelle mani.
L' uomo non accennava ad andare via così tirai un grande respiro e aprii il finestrino.
Quando fu tutto giù mi accorsi che due occhi verdi mi fissavano da sotto il cappuccio di un k-way nero e quello sguardo magnetico mi trafisse azzerando qualsiasi mio proposito bellicoso nei suoi confronti.
«Ciao. Scusa, non volevo spaventarti ma ti stavo osservando, dall'altra parte della strada» disse indicando una caffetteria dalle ampie vetrate proprio sul marciapiede di fronte « e...beh, insomma, ho pensato che potessi aver bisogno di una mano» continuò.
I miei occhi si staccarono per qualche istante dai suoi per ricadere sul sedile del passeggero che iniziava a inzupparsi di pioggia proveniente dal finestrino aperto.
Poi fui nuovamente ipnotizzata da quell'uomo. Non riuscivo a emettere alcun suono, cosa di per sé assurda per una come me che ha sempre qualcosa da dire, ma, in quel momento, le parole affollavano la mia mente e sembravano essere tutte in fila a un semaforo sempre rosso e pronte a essere sputate dalla mia bocca.
«Stai bene?» chiese ancora lui, rompendo il silenzio fra noi.
Vedevo piccole gocce d'acqua scendergli lungo il viso disegnando il suo profilo, mentre alcune sembravano aver trovato la loro casa perfetta sulle lunga ciglia scure, che apparivano come imperlate mentre si arricciavano su sé stesse.
Quando finalmente riuscii ad articolare una frase di senso compiuto mi uscì da quella stramaledetta bocca solo un: «Niente di grave, la ringrazio».
Stavo alzando il mio muro di protezione impedendogli di invadere il mio spazio personale.
Il ragazzo indugiò ancora e lanciò uno sguardo all'interno dell'abitacolo della mia macchina per poi tornare a fissarmi.
«Senti, mi sto davvero bagnando e non sono sicuro che tu stia bene, quindi non mi va di lasciarti qui in queste condizioni. Mi sembri piuttosto sconvolta. Tra l'altro inizia a piovere abbastanza forte quindi sarei più tranquillo se mi permettessi di offrirti una cosa calda e, magari, potremmo vedere insieme di sistemare il tuo problema con questa macchina» disse ancora lui con un tono quasi insofferente.
Perché quello sconosciuto voleva aiutarmi e perché il suo sguardo mi creava un tale turbamento tanto da lasciarmi senza parole? Non ero una ragazzina, non potevo davvero permettere che la situazione sfuggisse al mio controllo, così come non potevo permettere che istinti, ritenuti primordiali, mi conducessero verso comportamenti ridicoli e sconsiderati.
Mi sentivo come se fossi uscita da me e fossi di colpo diventata spettatrice della mia stessa vita. Non ero capace di intendere e volere, avrebbero dovuto interdirmi dalla facoltà di agire visto che, in un momento di pura follia, afferrai la borsa e scesi dalla mia macchina come un automa.
Chiusi lo sportello, misi l'antifurto e mi voltai. Era di fronte a me, completamente bagnato e, solo una volta fuori dalla mia macchina, potei rendermi conto di quanto fosse più alto di me e anche maledettamente sexy, per quello che riuscivo a scorgere sotto il bagliore del lampione che ci faceva luce. Mi osservò attentamente mentre giravo intorno alla mia Clio per sistemarmi dinanzi a lui, pronta ad andare da qualsiasi parte avesse voluto condurmi. In un attimo si spostò al mio fianco, lo vidi sfilarsi il k-way, già praticamente zuppo, e alzarlo sulle nostre teste per ripararci entrambi dalla pioggia battente. Mi strinse al suo fianco e quasi mi trascinò dall'altra parte della strada, verso la caffetteria.
Eravamo vicinissimi, tanto che potei sentire il suo profumo misto di muschio bianco e lavanda mentre mi stringeva al suo fianco massiccio. Credo di aver chiuso gli occhi per qualche istante, lasciando che lui mi conducesse alla nostra meta e potendo così inebriarmi di quel profumo soave che si mischiava a quello della terra bagnata in un connubio divino.
Quando fummo dentro la caffetteria mi accompagnò verso un tavolino vicino alla vetrata che avevo visto dalla strada. Mi sfilai la giacca, cercando di scrollarmi un po' di acqua di dosso, e la poggiai allo schienale della sedia, mentre lui ripiegava il suo k-way. Subito una ciocca di capelli neri corvini, sfuggita evidentemente alla treccia che aveva dietro la nuca, gli ricadde sul volto coprendo i profondi occhi verdi. Aveva la pelle ambrata, tipica di chi è originario dei Paesi del mediterraneo. Indossava una tuta da palestra, molto aderente e nera, mentre dalla giacca, sbottonata fin sopra l'ombelico, si intravedeva una canotta verde acido. Nonostante quell'outfit sportivo si riusciva a scorgere un fisico abbastanza massiccio e tonico.
«Non ti fa freddo andare in giro così?» mi sfuggì quasi come un gemito.
Sorrise, mentre infilava una ciocca bagnata dietro l'orecchio e si sistemava meglio sulla sedia.
«Benissimo, è un gran bel passo avanti rispetto a due minuti fa quando sei passata dal mutismo al darmi del lei. Accidenti, nessuno mai mi aveva fatto sentire tanto vecchio» sorrise scuotendo la testa mentre, con un semplice sguardo verso l'entrata, richiamava l'attenzione della ragazza dietro il bancone.
«Comunque non sento freddo, dopotutto siamo a fine agosto e, nonostante piova da diversi giorni, sono abituato a queste temperature. C'è da dire che sono anche parecchio accaldato perché ho appena finito una lezione in palestra» continuò lui sfilandosi, infine, anche la felpa.
"Gesù" esclamai, dentro di me.
Aveva muscoli ovunque e dalle spalline della canotta si intravedeva quello che doveva essere un tatuaggio che dal petto si diramava in piccole lingue nere fino alla spalla sinistra e sulla parte superiore dell'avambraccio. Non si riusciva a capire bene il soggetto ma sembrava qualcosa di tribale.
Il mio sguardo indugiò per non so quanto tempo su quel torace perfetto come il resto.
Sobbalzai quando lo udii schiarirsi la voce, probabilmente per attirare nuovamente la mia attenzione sui suoi occhi, piuttosto che su altro. Questo mi fece salire un nodo alla gola, scatenando un terribile imbarazzo che infiammò le mie guance. Sarei voluta sprofondare o correre a nascondermi in qualunque parte della terra che fosse abbastanza lontana da lì. Avvertivo una tale inquietudine nei riguardi di tutta quella situazione che iniziai a tormentarmi le dita delle mani facendo scrocchiare tutte le singole ossa delle falangi.
Quando riportai gli occhi all'altezza dei suoi, e fu sicuro di avere tutta la mia attenzione, sfoderò un sorriso ammiccante e compiaciuto che scatenò in me una maggiore irrequietezza, portandomi ad agitarmi ulteriormente sulla mia sedia.
«Scusa. Ma ci vedi con gli occhiali tutti bagnati?» disse corrugando la fronte in un espressione interrogativa.
Oh.Mio Dio. Adoravo le persone che parlavano con tutto il corpo, le consideravo esseri privilegiati.
Bene, dovevo essere talmente presa da quell'individuo da non essermi nemmeno accorta di avere gli occhiali puntellati da goccioline di pioggia e anche lievemente appannati a causa dell'escursione termica tra l'esterno e l'interno del locale.
Chiusi gli occhi e tirai nei polmoni quanta più aria potei permettendomi così di riprendere contezza delle mie facoltà mentali.
Tolsi gli occhiali dal viso e iniziai a pulirli nervosamente con una delle salviette che erano sul tavolino dinanzi a me.
«Quindi c'è una palestra da queste parti?» squittii cambiando velocemente discorso.
Sorrise e subito vidi due meravigliose fossette comparire ai lati della bocca carnosa. Ero in estasi.
«Oh, sì, è proprio qui affianco» disse indicandosi un qualche punto impreciso alle sue spalle con il pollice «io mi alleno lì e sono istruttore di kickboxe» continuò stringendosi nelle spalle come se improvvisamente fosse stato colto da un lieve imbarazzo nel farmi quella piccola confessione.
Ok, stavo andando alla grande, mi sentivo una gallina alla quale avevano appena tirato il collo, tanto fu stridula la voce che mi uscì dalla gola.
La nostra intensa conversazione fu interrotta dalla ragazza che poco prima avevo visto dietro il bancone della caffetteria. Era magra e molto alta con dei capelli biondo cenere raccolti in due codini che le conferivano un'aria molto infantile. Aveva indosso un grembiule bianco senza scritte, arrotolato più volte in vita per accorciarlo e mostrare le gambe affusolate fasciate in dei jeans strettissimi. Estrasse da una tasca un taccuino e un mozzicone di matita. Si rivolse senza troppi convenevoli al mio lui.
«Cosa vi porto, Alec?» sospirò facendo uno sguardo provocante al mio accompagnatore.
«Io prendo un caffelatte, Jenny. E...» rispose alzando lo sguardo verso di lei e regalandole un ennesimo sorriso, poi ritornò a fissarmi sollevando le sopracciglia come in attesa che aggiungessi qualcosa.
«Caitlin. Il mio nome è Caitlin. Prendo un tè. Non importa il gusto, purché sia caldo e gradirei anche dei biscottini al burro, se ne avete, grazie» congedai la svenevole con un sorrisetto tirato e tornai a fissarmi le mani.
Quando ripresi a guardare nuovamente di fronte a me, notai che lui mi guardava con un lampo di compiacimento negli occhi.
Improvvisamente sentii una vampata di calore partirmi dall'inguine e propagarsi fino alle guance, subito mi risistemai sulla sedia e abbassai lo sguardo sul tavolino seguendo con l'indice i nodi del legno. Poi, involontariamente, feci scorrere le mie mani sulle gambe e tirai fino alle ginocchia la gonna.
Non so perché feci quel gesto, dopotutto, nessuno mi stava guardando sotto il tavolo ma mi misi in protezione cercando di riprendere il controllo del mio corpo che minacciava di tradirmi da un momento all'altro.
"Gesù. Caitlin, un po' di contegno, per la miseria. Capisco che sia un bel pezzo di maschio, ma hai trentacinque anni e lui quanti ne avrà? A occhio e croce, venticinque o anche meno. Quindi tieni a freno gli ormoni e torna in te" mi ripetei come un mantra mentre sospiravo frustrata.
«Abiti da queste parti?» mi chiese improvvisamente interrompendo il flusso dei miei pensieri perversi.
"Che razza di domanda mi fa questo?" pensai, ma prima che potessi rispondere lo vidi protendersi verso di me e questo mi fece fermare il cuore.
"Per la miseria. Vuole baciarmi?" mi chiesi allarmata.
Poi lo vidi allungare la sua mano verso di me e involontariamente ebbi uno spasmo che mi portò a tirarmi indietro sulla sedia allontanandomi.
Lui esitò un istante e poi, come se fosse una sfida, incurvò gli angoli della bocca in un mezzo sorriso sornione e si allungò ancora un po' fino a toccarmi il volto e raggiungendo soddisfatto il suo obiettivo: i miei occhiali.
Oh.
Sbattei le palpebre diverse volte per mettere meglio a fuoco e lo vidi ritornare composto sulla sua sedia mentre sfilava un fazzoletto di stoffa dalla tasca dei pantaloni. Poi alitò su ciascuna lente e, infine, vi strofinò energicamente un lembo del fazzoletto compiendo movimenti circolari con pollice ed indice.
Dopo qualche istante mi porse gli occhiali, finalmente asciutti e puliti, e potei infilarli nuovamente.
Aveva alitato e pulito i miei occhiali. Tutto quel roteare delle sue dita sulle lenti e quel gesto tanto premuroso in sé, mi aveva provocato innumerevoli scosse per tutto il corpo e lessi nei suoi meravigliosi occhi, ora luccicanti fino a sembrare del colore della giada, una certa soddisfazione, come se avesse percepito il turbamento che aveva appena scatenato in me.
Mi schiarii nuovamente la voce e mi ricomposi.
«Grazie. Più o meno» risposi alla sua domanda che mi aveva posta prima.
«Più o meno cosa?» chiese lui mentre un'enorme fossetta appariva tra le sopracciglia proprio sopra il suo naso.
«Intendevo che abito più o meno qui vicino» continuai sospirando e prendendo un tono sprezzante.
Credo di aver addirittura sollevato le sopracciglia come se volessi fargli capire che il suo modo di fare non mi aveva scalfita minimamente.
«Non è una risposta! Non vuoi dirmi dove abiti? Beh, a me piacciono le persone schiette e sincere. Fino a poco fa sembravi più sciolta ora ti sei messa in modalità frigida» disse lui ricadendo all'indietro e incrociando le braccia al petto facendo uscire dalla canotta scollata una Y formata dai pettorali stretti nella morsa degli avambracci.
"Cosa?" urlai mentalmente. Come si era permesso a darmi della frigida? "Te lo dico io dove devi metterti il tuo frigida" sbraitai tra me.
Strinsi i pugni poggiati sulle cosce e alzai le spalle fulminandolo con lo sguardo.
«Ehi. Calmati bellezza non volevo farti arrabbiare» disse lui cercando di scusarsi mentre si portava le mani davanti al petto, agitandole freneticamente come se temesse un mio attacco.
Faceva bene ad aspettarsi il peggio dalla sottoscritta perché sarebbe stato quello che avrebbe avuto se avesse continuato a dirmi quelle cose.
Allora cosa ve ne pare? Caitlin sta davvero perdendo le staffe con quel tipo, vero?
Cosa dovrebbe fare la nostra protagonista che sembra avere a che fare con delle emozioni controverse?
Più avanti scoprirete di più di Alec e spero vi piaccia come me lo sono immaginato. A presto. Mi raccomando votateeee!!!
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