Epilogo~LOST IN THE ECHO/Figure.09

Apri gli occhi.
Svogliato.
Il mondo è così grigio attorno a te che non ce la fai a trovare la voglia di alzarti.
E vivere un'altra maledetta giornata grigia.
Grigia, come sempre.
Grigia, come tutto il resto.
Grigia come il cielo che è azzurro, ma che è grigio lo stesso.

Tu te ne stai nascosto dietro un muro grigio.
Come in tutte le giornate grigie.
Come tutte le altre persone grigie.

Te ne stai nascosto come un topo.
Cercando di scapare dai ricordi, anche se sai che è inutile.
Non riuscirai mai a scappare dai ricordi.
Da quelli non puoi nasconderti.
Quelli continuano a lampeggiarti nella testa come pallottole vaganti.
Fanno buchi ovunque.
In qualche modo sai che non smetteranno mai di farlo.
Anche se ormai non te li ricordi nemmeno più. Non veramente.

Sono rimaste solo ombre.
Ombre dentro la tua testa.
Fanno buchi ovunque.
Fanno un male dannato.

Lui era le mie fondamenta.
Non avrebbe mai potuto essere qualcun'altro.
No.

Te ne stai nascosto.
Raggomitolato sotto le coperte del tuo letto grigio.
Cerchi di scappare da questi ricordi grigi.
Queste ombre che ti attraversano come fucilate.
Mentre si nascondono nella penombra grigia.

Chiudi gli occhi.
Provi a non pensare.
Ma non riesci a scappare.
Non puoi scappare.
Sono sempre qui.
Saranno sempre sempre qui.
Pronti ad attaccare.
Pronti a farti male.

L'ho seguito.
Ero così preso...
Talmente tanto che non avrei mai potuto lasciarlo perdere.
Poi la sua tristezza, il suo dolore quando i suoi demoni sono tornati a prenderlo come una malattia.
Lo shock quando me li ha scaricati addosso...

É inutile che tenti di nasconderti.
É inutile che ti rigiri su questo materasso sfondato.
É inutile che cerchi di non aprire gli occhi.
Ovunque provi a guardare loro ci sono.
Sono sempre qui con te.

Saranno sempre qui con te.

Incisi sul retro delle tue palpebre.
Marchiati a fuoco in ogni tuo pensiero.
Non se ne vanno mai via.
Non ti lasciano mai in pace.
Non importava che tu dorma o che tu sia sveglio.
É inutile che tenti di nasconderti.

Non se ne vanno mai via.
Non se ne andranno mai via.

Ero così spaventato.
Non riuscivo a vedere che non poteva essere fermato.
O indietro o in alto.
Non si sarebbe trattenuto.
Conosceva bene il suo repertorio.
Conosceva anche il mio.
Sapeva bene come farmi dimenticare tutto e mostrarmi il suo inferno.

Ce n'é uno, di questi ricordi grigi, che più di tutti non ti lascia andare
Un'ombra che si ostina a non sparire.
Un viso.
Sfocato.
Confuso.

Come una nota stonata del pianoforte a parete di cui ti ostini a non volerti liberare.
Una nota grigia che si perde nel buio grigio di queste rovine.
Un viso grigio.
Come una nota grigia.

Capelli pieni di gel.
Una sigaretta.
Occhi pieni di una rabbia cieca dietro un paio di occhiali rotti.

Lo vedi ovunque.
Non se ne va mai via.
É ovunque tu possa posare gli occhi.
Persino nel pezzo di specchio che tieni nascosto sotto il materasso vedi riflesso il suo viso al posto del tuo.
Vedi dita pallide e magre e un polso ricoperto di fiamme del colore sbagliato che si posano dall'altra parte del vetro se ci avvicini una mano.

Lo conosci.
Sei sicuro che lo conosci.
Ma non hai idea di chi diavolo sia.

È un'ombra che non se ne va mai.
È la tua pena.
Il prezzo che paghi per i tuoi peccati.

Non ti ricordi nemmeno quale siano i tuoi peccati.
Grigi, probabilmente.
Grigi.
Come tutto il resto.

Tranne l'uomo blu.
L'uomo blu che è l'unica cosa che non è grigia.

Non è come te.
Non è uno della banda di persone-ombra che vagano per queste rovine grigie.

No.
Non lo è.

Ti giri ancora sotto le coperte.
Provi a non pensarci.

L'uomo blu non è grigio.
L'uomo blu non è un'ombra.

Tutta la merda che stava succedendo lo stava distruggendo.
Anche se avrebbe venduto l'anima per riuscire a stare bene.
Stava tornando a farsi del male, e io non riuscivo a fare niente.
Era come se non fosse mai cambiato davvero.
Lasciava che gli altri gli parlassero dietro.
Che parlassero e non lo aiutassero.
Stava lasciando che quella diventasse la storia che avrebbero raccontato.
Non mi parlava, non mi lasciava aiutarlo.
Ma non poteva farcela da solo, e alla fine anche i migliori cadono.
È caduto anche lui.

Non sei sicuro che quello che pensi abbia senso.
Non sei nemmeno sicuro di starlo davvero pensando tu.
Non sono nemmeno veri pensieri.
Sono solo stralci di ombre senza senso che ti bombardano la testa.

Non importa, comunque.
In mezzo a tutto questo grigio, niente ha mai senso per davvero.
A volte ti svegli e ti chiedi persino se abbia ancora senso continuare a respirare.

Di sicuro, non ha senso che un uomo blu che non è grigio attraversi questo schifo ogni mattina.
Nessuno capisce perché diavolo lo faccia.
Non ha senso che uno che non è grigio passi per questo schifo di città di ombre.

Eppure lui lo fa ogni maledetta mattina.
Alla stessa ora.

Parte dall'inizio della strada principale.
Attraversa tutta la città... o quel che ne resta.
Arriva in fondo.
E sparisce.
Poi non si vede più fino al giorno dopo.

É solo un puntino vestito di blu in mezzo al grigio.
In mezzo a queste maledette rovine grigie di mura mezze crollate che non finiscono mai.
In mezzo a tutte queste ombre che ormai sono diventate tutto quello che conosci.
Con tutte le loro persone-ombra e le loro faccie sbiadite.
Piene di guai affogati nel dolore che non se ne va.
Dimenticate in mezzo allo schifo di questa cosa che non si può menneno chiamare vita.
O esistenza.
Persone come te.

Persone-ombra che ogni maledetta mattina escono dal loro buco e fissano l'uomo blu che non è grigio che cammina per strada.
Lo guardano passare senza fare niente.
Nascondendosi dalla luce grigia del sole come se fosse veleno.
Come se avessero paura di essere visti.

Lui cammina, l'uomo blu che non è grigio.
Si fa i fatti suoi.
Non li nota nemmeno per sbaglio.

Loro stanno lì.
Lo guardano diffidenti, nascosti nell'ombra dei muri.
Come stanno facendo anche adesso.
Come dovresti star facendo anche tu.

Tu sei come loro.
Perché dovresti essere diverso?

Però non hai voglia di alzarti.
Senti che non ce la farai stamattina.
Basterebbe un attimo per arrivare in strada.
Sarebbe facile.
Basterebbe alzarsi.
Aprire la porta.
Uscire.

Sarebbe facile.

Allora perché ti sembra impossibile?
Allora perché ogni mattina diventa più difficile?

Alzarsi dal letto.
Rassegnarsi al fatto che c'é un altro giorno da vivere.
Che devi provare ad andare avanti.

Perché è così difficile?

Ti alzi dal letto a fatica.
Ti trascini fuori.
Ti nascondi.
Di solito basta un attimo per arrivare in strada.
Di solito è facile.
Ma oggi no.
Oggi è stata una maledetta tortura.

Adesso sei qui.
Sotto questo cielo che è azzurro, ma che è grigio lo stesso.

Aspetti.
Come tutti gli altri.
Perche dovresti essere diverso?

Ho visto che stava male, ma ho fatto finta che andasse tutto bene, e sono rimasto lì, immobile, a guardare.
L'ho lasciato andare.
Lui non ce la faceva più.
Ha vissuto e ha mollato.
E il punto è che non era come gli altri.
Non si poteva clonarlo, e non si poteva capirlo del tutto.
Era unico.
Non poteva cancellare ciò che era stato prima.
Perché in fondo le sue cicatrici erano una parte di lui, e le portava a testa alta.
E quando me ne sono accorto, ormai era andato troppo lontano per tornare indietro.
La campana aveva suonato, e io non l'avevo sentita.

L'uomo blu che non è grigio ti passa davanti.
Cammina al sole.
Come può camminare al sole?
Come fa a non bruciarsi?

Ha una valigetta in mano.
Non ha valigie di solito.
Perché ha una valigia?

Chiudi gli occhi.
Respiri.
Ti riempi i polmoni di aria grigia.
Lo segui.

Non sai perché lo fai.
Non ti fermi a pensarci.
Lo segui e basta.

Ti senti strano.
Sei quasi curioso.
È passato troppo tempo dall'ultima volta che hai sentito davvero qualcosa.
Fa male.
Fa troppo male.
Forse è per questo che fai di tutto per non provare mai niente.

Cammini nell'ombra.
Come un ratto.
Senza farti vedere.

Ti accorgi che gli altri ti stanno seguendo.
Sentono che qualcosa sta arrivando.
Lo sentono.
Sta succedendo qualcosa.
Lo senti nelle ossa.

A volte riuscivo a illudermi che fosse il tipo di persona che non si sarebbe mai arresa.
Che non si sarebbe mai piegata.
Io di sicuro su di lui non mi sarei mai arreso.
Volevo tirarlo fuori dai suoi incubi, anche se non sapevo come.
Non mi interessava quale fosse il problema, pensavo che non mi sarei mai fermato.
E invece sono stato fermo come un coglione.
E lui se n'é andato.

Siete un esercito.
Un esercito di persone-ombra che si nascondono nelle ombre.
Che seguono l'uomo blu nelle ombre griglie di cui queste rovine sono piene.

Sentite qualcosa.
Qualcosa di vero.
Qui non succede mai niente.
Eppure sta davvero succedendo qualcosa.

Quindi lo seguite.
Strisciate nell'oscurità.
Non vi perdete un suo passo.
Passate dall'ombra grigia di un grattacielo mezzo crollato a quella di una vecchia baracca ricoperta di graffiti scoloriti.

Arrivate in un vecchio cortile grigio.
Soltanto uno spiazzo in mezzo a una manciata di vecchie mura ricoperte di muschio che è verde, ma che é grigio lo stesso.

L'uomo blu che non è grigio vi sta guardando.
Vi vede.
Vi fissa.

Posa la sua valigia a terra, senza perdervi di vista.
Tu sei in prima fila, e hai l'inpressione che stia guardando proprio te.
Ma non può star guardando te.
Sta guardando tutti, mentre traffica con i fermagli azzurro sporco che chiudono la valigia.

Poi la apre e vedete le foto che ci sono ammucchiate dentro.
Foto di persone.
Persone che non sono grigie.

Bambini.
Anziani.
Ragazzi.

Tutti lì.
Stampati sulla carta.
Colori incastrati nel tempo.
Per sempre.
Non se ne andranno mai via.

L'uomo blu che non è grigio comincia a tirarle fuori e a passarle alle persone-ombra attorno a te.
E loro cominciano a spingerti indietro.
Cominciano a pestarsi i piedi a vicenda, cercando di arrivare più vicino.
Ti tirano da una parte all'altra come se fossi una bambola di pezza.
Ti fanno male.

E tu non capisci.
Non capisci che diavolo succeda.
Perché sono solo foto.
Colori incastrati nella carta e nel tempo.
Non se ne vanno mai via.
Ma sono solo foto.

Poi lo vedi, e all'improvviso capisci.
Capisci perché la gente spinge e ti fa male pur di arrivare davanti, e cominci a farlo anche tu.
Perché dovresti essere diverso?
Anche tu vuoi una foto.

Tu vuoi quella foto.
Quella foto con i bordi bruciacchiati come quelli dei tuoi ricordi.
Quella foto che l'uomo blu che non è grigio sta stringendo tra le dita proprio adesso.
Con un ragazzo con gli occhi scuri incastrato nella carta.

Un viso grigio.
Come una nota grigia di un pianoforte stonato.

Capelli pieni di gel.
Una sigaretta.
Occhi pieni di una rabbia cieca dietro un paio di occhiali.

Continui a conoscerlo senza sapere chi sia.
Sei così dannatamente sicuro che sia il ragazzo che vedi ovunque che fa quasi male.
E vuoi quella maledetta foto.
A costo della tua vita.

Ti fai largo a gomitate.
Non guardi in faccia nessuno.
Combatti con tutte le poche forze che ti restano per arrivare davanti.
Poi alla fine ci arrivi, e ti senti come se stessi per morire.

L'uomo blu che non è grigio sembra quasi porgerti la foto.
Come se l'avesse tenuta da parte solo per te.
Come se avesse voluto darla a te fin dall'inizio.

E non è così.
Tu lo sai che non è così.
Ma non ci pensi nemmeno davvero mentre ti giri e scappi.

All'improvviso stai correndo, come se tutta la tua stanchezza e la tua fatica fossero sparite.
Corri verso il buco in cui vivi.
Le tue ombre.
La tua tana.
Il tuo rifugio.

Ci arrivi con i polmoni che bruciano così tanto che sembrano sul punto di scoppiare.
Senti le lacrime che ti premono dietro agli occhi mentre ti appoggi al muro e guardi quel viso che non è grigio incastrato nella carta.
Non riesci più a pensare.

Non ti rendi nemmeno conto del fatto che seguendo l'uomo blu che non è grigio hai rotto un tabù.

Non ti ricordi nemmeno che esiste un uomo blu che non è grigio.

L'unica cosa che riesci a vedere sono gli occhi color caffè di questo ragazzo biondo che ti fissano da dentro la foto.
L'unica cosa che riesci a fare è fissarlo con le lacrime agli occhi e basta.

Fissarlo come se ne andasse della tua vita, o come se non ci fosse un domani.
Anche se tu la tua vita l'hai persa, e anche se in effetti non c'é un domani.

Ti sembra così tanto di conoscerlo...
Anzi, sai che lo conosci.
Ma non te lo ricordi.
Per quanto ci provi non riesci a ricordartelo.

Lo fissi così tanto che ti pare quasi che cominci a sbiadire.
Forse è perché ti viene da piangere.

Alzi gli occhi per asciugarteli.
Non vuoi bagnare la foto con le lacrime e rischiare di rovinarla.

Solo che quando guardi davanti a te ti accorgi che non sei solo.
Il foglietto ti cade di mano.
Nemmeno vedi che è completamente bianco.

Lui è qui.
Davanti a te, davvero questa volta.
È qui davvero, non te lo stai immaginando.

Porta una camicia di flanella troppo grande a quadri verdi e neri.
Gli ricade attorno al corpo troppo magro come cadrebbe addosso a uno spaventapasseri.
I suoi occhi sono vuoti della rabbia che ci vedi dentro di solito.
Sono solo tristi.
Immensamente tristi.
Pieni di lacrime quasi quanto i tuoi.

Per un attimo ti chiedi se l'hai mai visto piangere.
Credi di sì, ma non te lo ricordi di preciso.
Non ti ricordi niente di lui.

Lo vedi aprire la bocca.
Mentre i primi goccioloni gli rotolano giù dalle guance.
Vedi le sue labbra tremare.
Mentre sussurra piano qualcosa.

Mike.

Un nome.
Soltanto questo nome.
Continua a ripeterlo.
Ti rimbalza dentro la testa come un fulmine dentro una bolla.

Poi cambia.
Diventa Mickey, e la sua voce si fa più spezzata.
E non capisci, anche se ci provi.

È il tuo nome?
Sta chiamando te?
Ti chiami Mike?

Come hai potuto dimenticare il tuo nome?

Lui ti guarda, disperato.
E fa male.

Fa male e vorresti urlare perché non ti ricordi nemmeno di lui.
Ma sai che gli volevi bene.
Forse troppo.
E sai che ti ha abbandonato, e che non dovrebbe essere qui adesso.

Sai che è morto.

Un lampo di lui che si butta da un cavalcavia ti rimbomba nel cervello.

L'hai visto andarsene.
L'hai visto saltare.

Non dovrebbe essere qui.

All'improvviso stai urlando.
Non ti sei neanche accorto di aver cominciato.
L'hai fatto e basta.
Perché non potevi resistere.
Fa tutto talmente male che piangere non basta.

E poi, anche se urli, tra tutto questo grigio a nessuno interessa.

Lui urla con te.
E tu senti i confini della realtà farsi più sfocati del solito.
Ti senti dissolvere.
Senti i polmoni bruciare.

Chiudi gli occhi e rivolgi il viso verso il cielo che è azzurro, ma che è grigio lo stesso.

E poi non senti più niente.

Il piazzale è poco lontano.
Poco lontano da te, che forse ti chiamavi Mike.
Poco lontano dal ragazzo che conoscevi, ma che non ti ricordavi che stava urlando assieme a te.
Che sta sparendo un po' alla volta assieme a te.
Il piazzale è poco lontano da voi.
L'uomo blu che non è grigio è ancora lì, e sta chiudendo la sua valigia.
Sorride fra sé e sé, mentre chiude i fermagli sulle foto ammucchiate in disordine l'una sull'altra.
Se ne vede bene soltanto una, posata sopra a tutte le altre.
Sopra c'é un ragazzo pallido con gli occhi chiusi e un ciuffo di capelli neri troppo lunghi.
Un ragazzo che urla al cielo con un espressione disperata.
Sopra ci sei tu, che forse ti chiamavi Mike.„

Ti svegli di colpo, con i polmoni che ti bruciano come se avessi appena corso e una voglia matta di urlare, mentre sbarri gli occhi e cerchi di capire dove diavolo sei. Ci metti quasi un minuto a renderti conto che stavi sognando, e comunque lo realizzi soltanto perché hai già avuto quest'incubo così tante volte che ormai lo sai a memoria. Ricadi a peso morto sul divano del garage su cui ti eri addormentato... Gesù, se tre anni fa, dopo la prima volta che sei rientrato in questa maledetta casa in Lincoln Street, qualcuno ti avesse detto che non solo saresti riuscito a tornare in garage, ma che addirittura saresti tornato a dormire su questo divano, gli avresti caldamente consigliato di farsi aprire una presa d'aria nel cranio, perché andiamo: tuttora ti distrugge anche il solo pensiero di dormire qui e non hai idea di come effettivamente riesci a farlo. È solo che quando in estate tu e Jamie tornate a vivere in questa casa per un po' non riesci ad addormentarti in nessun altro posto, e quindi dormi qui, notte dopo notte, premuto contro lo schienale per lasciare spazio a qualcuno che non c'é più e che non tornerà... perché anche se è stupido, speri sempre che la mattina dopo quando ti sveglierai avrai di nuovo diciassette anni e non sarai da solo.
La cosa divertente è che lo sai benissimo che non succederà, come sai benissimo che non ti sveglierai la mattina dopo, ma alle due e cinquantasette con il batticuore e il terrore... però non riesci ad occupare quello spazio vuoto nemmeno se ti ripeti continuamente che starai più comodo e che forse per una notte dormirai bene. È una questione di principio, e non smetterai di premerti contro quel maledetto schienale soltanto perché ormai hai trentadue anni e le convenzioni sociali dicono che sarebbe ora di smettere di credere alle favole. In culo le convenzioni: ci sono cose che non puoi smettere di fare, se vuoi restare anche solo vagamente sano. Questa è una di quelle.
Comunque, è incredibile anche il solo fatto che questo coso sia ancora qui. Con le sue federe consumate e tutti i buchi nell'imbottitura che aveva anche quando tu e... tu e lui ci dormivate sopra assieme, e tu usavi il suo petto come cuscino senza nemmeno prenderti il disturbo di chiedergli il permesso, perché tanto sapevi che a lui piaceva.
Tiri un sospiro, e fissi le travi sul soffitto: non hai voglia di rimetterti a dormire, perché sai che comunque non riusciresti a riposarti per davvero... non stanotte.
Già ti stupisci di essere riuscito ad addormentarti una volta, a dire il vero... te ne stupisci ogni anno, se proprio bisogna dirla tutta, e ormai... ormai ne sono passati parecchi, di anni. Troppi, probabilmente.
Cerchi di chiudere gli occhi e di non pensare a niente, ma l'esperienza ti ha insegnato che è perfettamente inutile: l'unica cosa che puoi fare adesso è alzarti e fare qualcosa... e qui viene il problema, perché sono le tre di notte, fuori piove e fa freddo e non hai la più pallida idea di cosa diavolo potresti fare...
Anche quella notte pioveva e faceva freddo, ma tu non ci devi pensare.
Ogni tanto ti chiedi se sia normale che dopo quindici anni faccia ancora così male, ma la verità è che non lo vuoi sapere, perché avevi diciassette anni quando è successo, e per quanto potessi volergli bene, assieme al fatto che non dovresti più credere alle favole hai imparato anche che il vero amore, o comunque lo si voglia chiamare, non si trova a diciassette anni... quindi no, non credi che sia normale che dopo quindici anni ancora tu non riesca nemmeno a pensare a lui senza sentirti male, e non credi che sia anche solo lontanamente normale non riuscire nemmeno a pensare il suo nome.
Rimani steso per un po', a fissare il soffitto del garage e a pensare a vuoto fino a quando le ombre cominciano a schiarirsi e nulla sembra più avere senso davvero... cioè, non che di solito ci sia, il senso, ma adesso sembra essercene ancora meno.
Devono essere quasi le cinque quando alla fine ti alzi, forse appena un po' più presto, e devi stare attento a non fare troppo rumore mentre attraversi il corridoio per andare in cucina a preparare il caffè: c'é Jamie che dorme, di sopra, e non ti va di svegliarla. Sta avendo problemi a dormire, ultimamente, e la cosa un po' ti preoccupa: nemmeno tu hai mai dormito tanto, ma... ma in effetti non siete veramente parenti, e non credi che il fatto che tu non hai mai dormito più tanto possa centrare qualcosa...
Entri in cucina e fai partire la macchinetta del caffè posata su bancone, mentre ti siedi sull'isola, come facevi quando eri adolescente. Eri seduto qui, a guardare un pentolino di aspirante the che poi non è mai diventato the per davvero, quando hai cominciato a preoccuparti veramente. Solo che poi hai pensato che non fosse niente e hai lasciato perdere... quanto vorresti non averlo fatto.
Bevi il tuo caffè fissando il fornello a vuoto, mentre ti chiedi cosa fare dopo. Vorresti quasi... quasi andare al... sì, be', non puoi andarci.
Non puoi lasciare Jamie a casa da sola di notte, tanto più che ieri sera sembrava stranamente pensierosa, ma... questa non è una notte come un'altra e almeno questa volta... in fondo è da quasi due anni che non ci vai, perché l'ultima estate l'avete passata a Los Angeles e ti senti quasi in colpa per questo... ma non puoi farlo. Non puoi lasciare Jamie da sola... però c'é anche da dire che ormai tua figlia ha quasi quindici anni e che probabilmente l'unico motivo per cui ieri sembrava strana è qualche fanfiction schifosamente triste che deve star leggendo, quindi forse puoi lasciarla a casa da sola per un paio d'ore... tra l'altro sta dormendo: non se ne accorgerà nemmeno.
Finisci di bere il caffè e posi la tazza di fianco a te sull'isola e continui a fissare il fornello come se avesse tutte le risposte. Dovresti andarci, o...?
Scuoti la testa e ti alzi. Metti la tazza nel lavello e ti incammini verso il corridoio, mentre cerchi di prendere una decisione: torni a stenderti sul divano e a guardare il soffitto o esci e vai a deprimerti per un paio d'ore?
Ti fermi davanti alle scale: se vuoi uscire devi salire e mettere qualcosa di più pesante, o ti prenderai una... broncopeste.
Non lo decidi nemmeno veramente, semplicemente cominci a salire le scale e ti senti uno stupido, perché stai per lasciare tua figlia di quattordici anni a casa da sola praticamente di notte per rincorrere un fantasma, ma in fondo sapevi dall'inizio che non potevi farne a meno.
Sali e ti vesti, attento a non fare rumore, poi scendi e metti la mano sulla maniglia, ancora un po' indeciso se andarci davvero oppure no. Con una mano ti tasti il petto, all'altezza della tasca interna della giacca, e senti lo spessore della busta che ci è infilata dentro. Quella lettera... l'hai letta e riletta così tante volte che ormai la carta a quadretti si è consumata e alcune parole non si leggono neanche più. La porti con te praticamente sempre: è tutto quello che ti è rimasto di lui, a parte una registrazione fatta di nascosto che ti ha mandato Joe, e alla fine è una scusa come un'altra per non andare mai avanti. Un modo come un altro per ricordarti di lui, e... e devi andarci. Glielo devi.
Apri la porta con una decisione che non ti saresti nemmeno mai aspettato di poter avere, ma appena vedi Lincoln Street srotolarsi davanti a te, verso casa Bennington a sinistra e verso il centro a destra, ogni tua voglia di uscire va a farsi benedire: è tutto così grigio e bagnato e silenzioso che... sospiri, e cerchi di non pensare a quanto tutto questo sembri deprimente e sempre sconvolgente uguale a quando eri un ragazzino.
Lincoln Street non è cambiata, e cominci a pensare che non lo farà mai: sarà sempre una specie di bolla bloccata nel tempo, ferma qui ad aspettarti per ricordarti quello che è successo. Ti chiudi la porta alle spalle e muovi un paio di passi sul greto del vialetto... all'improvviso ti torna in mente di quella volta che Jay vi ha beccati a tenervi per mano e hai dovuto promettergli cinquanta bigliettoni per farlo stare zitto. È stato proprio qui davanti, quando sembrava ancora che andasse tutto bene. Pioveva. Chiudi gli occhi e cerchi di ricordarti come si fa a respirare: normalmente questi ricordi li chiudi nel retrobottega del tuo cervello nel momento esatto in cui tentano di uscire dall'archivio, ma oggi... oggi non sembra giusto farlo. Ti torna in mente la conversazione che hai avuto subito dopo con l'amica di tuo fratello: sembra assurdo che Jason alla fine l'abbia sposata, quella ragazza. Forse, in fondo, non è vero che il vero amore non si trova da piccoli.
Riapri gli occhi e ti incammini verso destra, con le mani ficcate nelle tasche della giacca e il viso piegato verso il basso per cercare di proteggerti il naso dal freddo pungente del mattino.
Gesù, com'é possibile che a Giugno il tempo faccia così schifo? Il cielo è grigio, appena sfumato di rosa a est. Pioviggina, e c'é la nebbia, e fa freddo. In questi momenti ti chiedi come potesse piacerti questo posto quando ci vivevi... in questi momenti la California ti manca da fare schifo.
Non c'é nessuno per strada, la luce dei lampioni tremola e si spegne mentre il sole sorge pian piano all'orizzonte, dietro un velo leggero di nuvole che si fanno sempre più rosate... Dio, è tutto così uguale che non sembra nemmeno reale.
Te la prendi comoda, e ci vogliono circa dieci minuti per arrivare, quando in realtà avresti potuto mettercene due. Sono le cinque e mezza quando ti fermi, e non puoi fare a meno di notare che anche il Linkoln Park è rimasto uguale.
Il graffito a lato delle cancellate è ancora lì, e non sembra nemmeno sbiadito, e l'edera sembra ancora troppo verde e troppo lunga e sembra quasi spettinata, come è sempre sembrata.
Per un attimo pensi quasi di girarti e tornare a casa, ma ormai sei arrivato qui: non scapperai, non stavolta.
Socchiudi il cancello arrugginito e ti infili dentro, reprimendo la voglia di sparire che ti si fa strada dentro al petto. Il Linkoln Park fa lo stesso effetto di Lincoln Street: è così identico a come te lo ricordavi che fa male.
Le piante mezze morte, i giochi scassati, il terreno ricoperto di foglie marce e schifezze varie, i graffiti... persino la manciata di drogati accasciati a terra contro i muri e i tronchi degli alberi sembra ancora la stessa. Per un attimo ti sembra di riconoscere un ragazzo con un giubbotto strano e i capelli tinti di nero che ti ricorda un sacco un tipo che hai visto la notte in cui lui se n'é andato, e che poi hai visto anche al... insomma, l'hai rivisto anche dopo, una volta.
Jered Leto ti aveva parlato di lui, e ti sembra di ricordare che avesse un nome particolare, tipo Gordon o... Gerard? Sì, probabilmente era Gerard... ma non può essere lui. La gente invecchia, non resta sempre uguale, e comunque lui ce li aveva rossi, i capelli... tinti, ok, ma erano rossi.
Ignori tutti e ti avvicini tentennante alle altalene... rimani a fissarle per un attimo, pensando a tutte le volte in cui vi siete seduti qui e avete parlato di cazzate per ore e ore e ore e... ed era strano, perché c'era quella cosa tra voi, quella cosa che non sei più riuscito ad avere con nessun altro: quella sintonia che avevate, quella capacità di capirvi sempre... anche sulle cose più stupide. Non ci sei più riuscito a sentirti così. Con nessuno.
Passi oltre le altalene e vai verso il Muro del Pianto. Anche il Soldier è ancora là, con le sue ali di libellula e il suo stendardo. Sembra quasi che ti corra incontro e... ti ricordi del giorno in cui lo avete messo su quel muro, e di come a un certo punto abbiate cominciato a rincorrervi come bambini, per finire a baciarvi contro un albero come personaggi di uno yaoi pessimo.
Anche la Nuvola è ancora là.
Ti avvicini lentamente, sentendo già gli occhi che cominciano a pizzicare, e sfiori appena i nomi e le date scritte con l'indelebile nero sul cemento armato. Le tue dita di fermano su un nome scritto da una mano tremante, in un angolo un po' a destra.

Chester C. Bennington
06/24
Even if you're not with me
I'm with you

24 Giugno... come oggi. Oggi, ma quindici anni fa.
Sono passati quindici anni, e ancora non ci credi.
-Ciao Chazy...- borbotti, con la voce che quasi si spezza.
È passato così tanto tempo dall'ultima volta che hai detto il suo nome... troppo tempo: all'inizio ci riuscivi... be', all'inizio riuscivi a fare un sacco di cose. Riuscivi a disegnare, a suonare, a ricordarti di lui. Poi hai cominciato a renderti conto che non c'era più per davvero, e ti sei accorto che disegnavi sempre le stesse cose e che suonavi sempre la stessa musica e che i ricordi facevano male, e hai capito che non potevi farlo più.
Accarezzi piano le lettere sul muro e ti asciughi una lacrima solitaria.
Quindici anni... non avresti mai pensato di durare così tanto, vero Mike?
Torni verso le altalene, e ti siedi su quella blu, a sinistra. Quella su cui si solito si sedeva Chester. Ti aggrappi alle catene e ti guardi attorno.
Sai Mike, la cosa divertente, e a volte crudele, del tempo è questa: va avanti. Non è importante cosa ti sia successo o cosa ti sia piovuto addosso: l'Universo non si fermerà ad aspettarti, il mondo continuerà a girare, le lancette continueranno a muoversi e dei tuoi drammi non fregherà niente a nessuno, quindi è questo che ha fatto, dopo che Chester si è buttato da quel fottuto cavalcavia: è andato avanti.
Ha continuavo a scorrere, secondo dopo secondo, per quindici anni.
È andato avanti... e tu invece no.
Il mondo ha continuato a girare, le lancette hanno continuato a muoversi, ma tu no. Tu sei rimasto fermo. Come Lincoln Street. In Lincoln Street è ancora tutto uguale.
È come se l'Universo, qui, avesse deciso di aspettarti nella remota speranza che avresti ripreso a muoverti con lui... come se non sapesse che non lo farai.
Perché tu lo sai che non lo farai.
Tiri fuori dalla tasca la busta che Chester ti ha lasciato e ti fai cadere in mano la piastrina che c'é sempre stata dentro assieme a una lettera sporca di lacrime e a un bigliettino blu che recita:

Volevo dartela in un' occasione speciale.
Vorrei che le circostanze non fossero queste, ma...
Ora come ora non credo che ci saranno altre circostanze.
Mi dispiace,
Chester

Mi dispiace... non l'hai mai sentito dire mi dispiace, o chiedere scusa in generale. Pensava che fosse da ipocriti... invece qui lo ha scritto, come lo ha scritto anche in quell'ultimo messaggio che ti ha mandato: Mi dispiace Mickey. Mi dispiace tanto. Come lo ha scritto nella lettera: Me ne frego se è da ipocriti... perché ok, è da ipocriti, ma penso di dovertelo: mi dispiace. Per tutto.
Ti rigiri la piastrina tra le mani, mentre il Soldier che c'é inciso sul davanti brilla debolmente alla luce dell'alba e tu cerchi in tutti i modi di non guardare la scritta che c'é dietro.

I love you
~Chazy

Non ti aveva mai detto nemmeno di amarti... ma quello non gliel'avevi mai detto nemmeno tu, anche perché non eri sicuro di amarlo davvero. Sapevi che gli volevi bene e che baciarlo ti piaceva anche troppo, ma l'amore è un'altra cosa, e ti avevano insegnato che non si trova a diciassette anni... adesso vorresti averglielo detto, anche solo una volta. Forse avresti avuto le palle di metterti questa dannata piastrina almeno una volta, se lo avessi fatto. Invece non hai mai avuto la forza di farlo. Un po' come non hai mai avuto la forza di dormire sull'altro lato del divano, o di andare al cimitero.
Per un po', in realtà, non ci sei andato perché lo stavi odiando: eri convinto di averlo lasciato diventare la parte peggiore di te. Eri convinto che ti avesse abbandonato, che ti avesse lasciato solo... poi hai capito che sbagliavi ed è passata, ma al cimitero non ci sei più andato lo stesso: preferisci venire qui. In fondo, più o meno è la stessa cosa.
-Hey...- bofonchi con la voce più bassa che ti viene –Sono tornato, hai visto?-
Chiudi gli occhi, sospiri, e ti chiedi perché ti vuoi così male... ma la verità è che ti senti come se niente potesse distrarti dal mare di ricordi che ti sta assalendo e da tutto il dolore che si porta dietro. Una volta facevi spesso questa cosa di parlare al vuoto come se stessi parlando a lui: credevi che ti aiutasse a scaricare la depressione... invece poi ti sei reso conto che il dolore di cui cercavi di liberarti stava diventando una parte di te. Chester è diventato una parte di te, più di quanto non lo fosse già prima: è sempre lì, un dolore fisso e pulsante dietro allo sterno, e sospetti che non se ne andrà mai via.
-É un po' che non parliamo, io e te... certo, tu non mi senti, ma questo è un dettaglio, giusto?-
Fissi il niente davanti a te come se lui dovesse apparire da un momento all'altro, anche se ormai hai smesso di credere alle favole e sai che non comparirà, come sai che non te lo ritroverai affianco la mattina dopo se dormi sul divano.
-Sono successe un sacco di cose quest'anno, sai? Brad e Rob si sono sposati due mesi fa... io non volevo nemmeno andarci, perché anche solo l'idea mi stava uccidendo, ma Jamie ha insistito un sacco e alla fine ci siamo andati... credevo che sarei morto, invece alla fine mi sono divertito. Non c'era tanta gente e... be', a un certo punto Rob ha detto qualcosa tipo E vaffanculo ai miei che dicevano che era solo una fase e non so neanche perché, ma mi è rimasto in testa e non riesco a smettere di pensarci. In fondo comunque sono contento di aver ascoltato Jamie ed esserci andato... ti assomiglia, sai?-
Pensare a Jamie ti fa salire i sensi di colpa, perché davvero, l'idea di averla lasciata a casa da sola di notte ti fa sentire un pessimo padre... anche se in effetti Jamie non è veramente figlia tua. Ogni tanto ti stupisci del fatto che nella tua famiglia nessuno si sia mai fatto domande: si vede distante un chilometro che non ti assomiglia per niente... fisicamente assomiglia molto ad Elka, ma ha gli occhi dello stesso color caffè di cui li aveva Chester e...
-È testarda esattamente come lo eri tu e... non lo so: mia madre dice che ha lo stesso carattere che avevo io alla sua età, ma ultimamente più la guardo e più penso che mi ricorda te... ascolta la tua stessa musica e... ha persino la stessa mania per la cucina che avevi tu. Vorrei tanto che potessi vederla: ti piacerebbe un sacco...-
Jamie... Joe ancora la chiama Mary Lee, e lei non ha mai capito perché.
Chester sembrava così felice, il giorno il cui ha scoperto che sarebbe stata una bambina... te lo ricordi Mike? È stato lo stesso giorno in cui avete dipinto il Soldier sul Muro del Pianto. Era così maledettamente felice che ti sei sentito felice anche tu... ti sei ricordato di quel momento, quando qualche mese dopo, in Agosto, hai saputo che quella bambina Elka non poteva tenerla. Non sai nemmeno lontanamente come ti sia passato per la testa che, facendo finta che fosse figlia tua, avresti potuto tenerla tu, e ancora meno sai dove hai trovato il coraggio di parlarne a Elka: sembrava così assurdo all'inizio... invece poi l'avete fatto sul serio: lei non voleva che sua figlia finisse in mano a qualche famiglia affidataria di pazzi e tu non volevi perdere l'unico pezzetto di Chester che fosse rimasto al mondo... quindi alla fine ci avete guadagnato tutti e due, e anche se eravate giovanissimi e riuscire prima a convincere i tuoi e poi a tirare su Jamie per davvero è stata un'impresa epica, adesso ha quasi quindici anni ed è una ragazza meravigliosa, quindi potete dire di avercela fatta... potete essere fieri di voi.
Ti chiedi come sarebbe stato se Chester non se ne fosse andato... ma ormai è inutile pensarci: Chester è morto, e le saghe di filmini mentali che ti sei fatto negli corso degli anni non hanno cambiato le cose.
Non cominceranno a cambiarle adesso.
-L'altro ieri sono andato a fare la spesa e ho incontrato Anna, ci credi? Te la ricordi Anna Hillinger? Io, sinceramente, mi ero dimenticato che esistesse... mi ha chiesto come stavo, e mi ha invitato a bere un caffè insieme, uno di questi giorni. Elka dice che dovrei andarci, e che dovrei lasciarmi un po' andare e provare a vivere di nuovo, ma a dire il vero non sono sicuro che sia davvero il caso. Le volevo bene quando avevamo sedici anni, e credo di volerle ancora bene, ma... so che si aspetterebbe qualcosa che non potrei darle.-
Già, be', hai visto come ti guardava al supermercato, no? E poi aveva una cotta per te una volta e... be', non ti senti pronto per buttarti di nuovo in mezzo a qualche casino sentimentale... perché ok, sono passati quindici anni, ma l'ultima volta non è finita esattamente nel migliore dei modi e adesso... adesso non riesci più nemmeno a pensare il nome di Chester senza farti investire da tutto quello che ci è collegato.
Ti ricordi quando è cominciato a succedere: lo vedevi ovunque, in qualunque cosa succedesse e i tuoi pensieri hanno cominciato lentamente a focalizzarsi su di lui, e... alla fine ti sei reso conto che ogni pensiero, ogni cosa che riguardava lui veniva e non se ne andava più: diventava una parte di te. All'inizio l'hai odiato per questo: ti aveva rovinato la vita, era stato così egoista da andarsene e lasciarti solo con un mucchio di ricordi che facevano un male dannato e una maledetta piastrina con scritto dietro I love you come unica consolazione... ma poi ti è passata. Hai capito che era inutile e ti è rimasto solo... questo. Questo vuoto maledetto e odioso che non ti abbandona mai.
Alzi il viso e guardi verso est... ha smesso di piovere e l'orizzonte si sta schiarendo. Il sole è sorto del tutto ormai e il cielo sembra la tavolozza di un pittore che ha avuto un attacco epilettico mescolando i colori... sta sorgendo il sole sul Linkoln Park e non pensavi che potesse essere una cosa così bella da vedere.
Ti torna in mente di quella volta che tu e Chester vi siete arrampicati sul tetto di casa sua, in Maggio, e avete guardato l'alba insieme... quella era stata l'ultima alba che avessi visto, fino ad adesso.
Era Sabato, avevate fatto pace da una settimana circa ed eravate stati svegli tutta la notte a guardare Death Note... e non ti ricordi esattamente perché aveste deciso di guardarlo, anche perché effettivamente più che guardarlo eravate rimasti tranquilli a coccolarvi tutta la notte, ma eravate arrivati circa al ventisettesimo episodio, o giù di lì, quando avete deciso di salire sul tetto a guardare l'alba... e ricordi di esserti lamentato perché faceva un freddo dannato, prima che lui ti baciasse e poi ti chiedesse, con quel suo solito sorriso da stronzo, "Hai ancora freddo, Mickey?".
Scuoti piano la testa, con un sorriso triste che ti affiora sul viso: certo che hai ancora freddo. Un sacco di freddo.
-Papà?-
All'inizio nemmeno ci badi. Probabilmente è solo l'odore di marijuana che appesta sempre questo posto che ti ha dato alla testa, perché non esiste che qualcuno ti stia davvero chiamando papà in mezzo al Linkoln Park.
Poi però lo senti di nuovo.
-Papà? Stai bene? Mike?-
Ti giri di scatto, rendendoti conti che non te lo stai sognando.
Jamie è in piedi a pochi metri da te, con una giacca di pelle, jeans neri strappati sulle ginocchia e il cappuccio della felpa alzato a coprirle i capelli castano chiaro corti e perennemente disordinati. Nemmeno sai perché voglia tenerli corti: si lamenta sempre del fatto che non può pettinarli in nessun modo figo a parte che facendo il ciuffo, che però la fa sembrare un ragazzo, ma poi puntualmente ogni mese va a tagliarli... forse dovresti rassegnarti al fatto che ci sono cose che non capirai mai. È stata furba, comunque, a coprirsi così: per quanto nessuno stia badando a voi e per quanto possa sembrare un pensiero maschilista, questo non è un posto sicuro per una ragazzina e... e non vorresti mai che succedesse anche a lei quello che è successo a Chester quando era piccolo.
-Jamie... cosa fai qui? È prestissimo... che ore sono?-
-Sono le sette meno un quarto, più o meno... mi sono svegliata e ho visto che non c'eri... ho chiamato mamma e mi ha detto che probabilmente eri uscito a fare una passeggiata e...-
Annuisci, e lei si zittisce: non vuoi nemmeno pensare a come facesse a sapere che ti avrebbe trovato qui.
-Mi dispiace, ma non riuscivo a dormire e... be', eccomi qui.-
-Scusa se sono uscita da sola a quest'ora, ma... avevo bisogno di parlarti.- borbotta lei.
Sembra imbarazzata, e la cosa un po' ti preoccupa... non è proprio il tipo di momento in cui ti sentiresti a tuo agio a fare il tipo di discorso che si fa di solito ai figli adolescenti: ti basta preoccuparti della tua, di adolescenza.
-Non fa niente...- borbotti -Ma non venire più qui da sola, ok? Non è un bel posto...-
Lei annuisce appena e si avvicina. Si siede sull'altalena rossa e abbraccia le catene... come faceva sempre Chester.
Comincia a fissare il Muro del Pianto con l'aria concentrata che le viene sempre quando cerca di aguzzare la vista. Ultimamente hai l'impressione che non ci veda bene: forse dovresti portarla da un oculista.
-Ma quel graffito non è...- inizia indicando vagamente verso il Soldier.
-Di cosa dovevi parlarmi?- la interrompi, mentre cominci lentamente a contare i mozziconi di sigaretta bruciati fino al filtro che ci sono per terra, mezzi nascosti tra le foglie.
Non hai né la voglia né il coraggio di parlare di quello: piuttosto meglio i discorsi scabrosi padre-figlia.
-Be', ecco... ieri sono uscita con i gemelli Jackson, hai presente?-
Sì, conosci Samantha e Dean Jackson... sono i figli del professor Jackson, che insegnava psicologia nella tua scuola, quando vivevi qui.
-Sì, perché?-
-Siamo andati a casa loro a fare merenda, verso le quattro, e il loro padre mi ha chiesto se per caso sono imparentata con una famiglia con un cognome strano... sembrava molto... inglese? Qualcosa tipo Bennington, o giù di lì.-
Cominci a sudare freddo e ti viene male al solo pensiero... Gesù, per quindici anni nessuno ha mai sospettato niente, e adesso...
- Io gli ho detto di no.- continua Jamie -E lui mi ha detto che gli ricordo un suo studente di circa quindici anni fa che si è suicidato, o qualcosa del genere.-
-Si sarà sbagliato...- borbotti.
Deglutisci a vuoto e fai di tutto per non guardarla... sono anni che ti chiedi se dovresti parlarle di Chester oppure no.
Anni.
In fondo era suo padre, e lei avrebbe il diritto di saperlo... però significherebbe doverle spiegare che quello che ha sempre considerato suo padre, che poi saresti tu, ha un passato gay che non è mai passato del tutto, perché dopo quindici anni e alla veneranda età di trentadue anni suonati ancora si strugge per il suo primo e unico ragazzo, morto suicida a diciotto anni dopo una vita di alcool, droga, autolesionismo e sesso occasionale. Non è esattamente il tipo di cosa che puoi spiegare a una quattordicenne, soprattutto se non vuoi che ti veda come l'essere patetico che sei per il resto della sua esistenza.
-Già, all'inizio l'ho pensato anche io...- risponde dondolandosi appena –Ma poi mi ha detto che è morto il 24 Giugno di quindici anni fa, e... be', tu sei sempre strano il 24 di Giugno.-
-Non è vero.- scatti.
-Sono le sette del mattino e siamo un parco giochi abbandonato e colonizzato dai dragati... scusa papà, ma non è esattamente da te venire in un posto come questo, tanto meno a un'ora come questa.-
Sospiri, e cerchi di capire che diavolo fare anche se sai che non servirà a niente.
-Tu quel ragazzo lo conoscevi, vero?-
Ti giri verso di lei, la guardi negli occhi e ti senti morire, perché in questi momenti capisci perché tua madre sia convinta che abbia il tuo carattere: Jamie ha la tua stessa empatia, la tua stessa capacità di capire ciò che passa per la testa delle persone che la circondano. Senti che lo sta facendo anche con te adesso: sta percependo i tuoi sensi di colpa, i tuoi tentativi inutili di mantenere un segreto che ti sei tenuto dentro per troppo tempo, il male che ti sta facendo tutta questa situazione orrenda.
-Sì.- riesci a dire alla fine.
Le parole ti graffiano la gola come carta vetrata e... e stai soffrendo come un cane, ma in fondo se vuole sapere è giusto che sappia.
-Sì, lo conoscevo. Si chiamava Chester e... be', si, lo conoscevo.-
-Ed era mio parente?-
-È una storia lunga...-
Già, è una storia lunga... forse troppo lunga, ma anche se Jamie non è biologicamente tua figlia l'hai cresciuta tu, e sai che tipo è: vorrà sentirla comunque.
-È... era il ragazzo del disegno, vero?- chiede, e per un attimo ti chiedi di cosa diavolo stia parlando –La sera in cui siamo tornati qui per la prima volta, tre anni fa, ho trovato dei fogli nel primo cassetto del tuo comodino, e ce n'era uno a righe con un disegno fatto a biro di due ragazzi che si abbracciavano. Tu dicevi che non erano nessuno, ma dalla tua espressione si capiva che non era vero.-
Torni a fissare il vuoto davanti a te, e ti nascondi il viso tra le mani, perché non è possibile. Non è possibile che sappia: ha quattordici anni, Cristo Santo, dovrebbe ascoltare boyband e andare dietro ai ragazzi, non risolvere misteri sui tuoi trascorsi adolescenziali con i fantasmi.
-Sì.- esali –Ma è una lunga storia.-
-Abbiamo tutto il tempo del mondo.- afferma –E poi, a me piacciono le storie.-
Ti togli le mani dalla faccia e prendi un profondo respiro: ha il diritto di sapere, e tu puoi farcela. Devi farcela.
-Ok...- dici, più a te stesso che a lei –Devi sapere che una delle cose importanti di questa storia, è la pioggia: Pioveva, quando è iniziata.
Pioveva forte da così tanto tempo...
Pareva che il cielo non avesse mai fatto altro che piovere.
Da giorni.
Da mesi.
Da anni.
Pareva che il cielo non avesse mai fatto altro che piovere...-

ANGOLINO NERO PER UN'ANIMA NERA
Ok, mi credete se vi dico che non sono esattamente sicura di come mi sto trattenendo dal dissanguarmi a forza di piangere sangue? Voglio dire, ho il mio cane seduto sulla pancia, e continua a leccarmi le mani e a guardarmi strano perché sto facendo delle smorfie assurde pur di non scoppiare in lacrime come la povera rincoglionita che sono.
Niente, il capitolo é... be', in parte è un riciclo di una One Shot che avevo scritto tempo fa, perché visto che non mi andava di lasciarla fuori l'ho fusa all'altra parte, che è il capitolo vero e proprio... qui ci sono due canzoni, tanto per supplire al prologo che non ne aveva nemmeno una: quella della prima parte è LOST IN THE ECHO, mentre quella della seconda (e in realtà più che citata è accennata) è Figure.09 e... bo'. Forse come epilogo è leggermente infinito: devo aver letto da qualche parte che prologhi ed epiloghi dovrebbero essere brevi ma... be', questo è un paese libero, quindi chissenefrega.
Be'... come ho scritto sopra, è un epilogo, quindi di per sé la storia è praticamente finita... ma... ma reggete fino al 20, perché con il contenuto speciale si capiscono un po' di cose.
Non mi dilungo oltre, mi fermo solo un attimo per farmi un po' di auto-spam: ho pubblicato una OS nuova, sempre Bennoda... se avete tempo andate a darci un occhio.
Ci leggiamo il 20 Marzo, con affetto

Cursed_Soldier

P.s.: siccome nei media a inizio capitolo mi lascia mettere un video solo, allego qui l'official video di LOST IN THE ECHO... e vi invito a prestare attenzione alla foto in alto a destra dentro alla valigia dal ventitreesimo secondo al venticinquesimo.

Giuro che quando l'ho scritta non lo sapevo! L'ho notato mesi dopo e ho urlato come una deficiente per venti minuti...

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