Capitolo 8~From The Inside

[Mike]

To: Chazy:)
Ciao... lo sai che canti da Dio?

To: Chazy:)
Dico davvero, sei bravo. Ti ho sentito sabato  sera al Minutes To Midnight: vai alla grande ;)

To: Chazy:)
C'è qualcosa che non va? :(

Mike lanciò il telefono sulla scrivania e buttò lo zaino ai piedi del letto liberando uno sbuffo frustrato.
Gesù Cristo, perché diavolo Chester non rispondeva? Era strano... perché insomma, ok: capitava che ci mettesse un po' a rispondere, a volte, ma era tutto il dannato giorno che provava a iniziare una conversazione e riceveva solo silenzio radio come risposta. Cominciava preoccuparsi, cacchio.

To: Chazy:)
Seriamente, tutto ok? Comincio a preoccuparmi

Recuperò il libro di storia dell'arte e cercò di mettersi a studiare, ma non riusciva a concentrarsi. Continuava a pensare a quel cretino con la testa ossigenata... perché diavolo non rispondeva? Sbloccò il telefono e prese a guardarlo fisso: Chester avrebbe risposto, bastava crederci. Si mise a fare gesti strani con la mano: Chester doveva rispondere.
Restò a fissare lo schermo del cellulare, mormorando parole strane a mo' di incantesimo per quasi un minuto, poi sbuffò e fece per lanciarlo di nuovo sulla scrivania, quando all'improvviso si mise a vibrare.
Fu come se gli avessero ficcato una bella scarica di adrenalina dritta in vena: scattò a sedere sul letto, e, se fossero esistite le Olimpiadi di sblocca telefono, avrebbe vinto una dannata medaglia.

From: Joe-Fangirl-Hahn
Oi cretino :), mi passi gli appunti di letteratura? Per favoooreee!

Chiuse gli occhi e ricacciò indietro un insulto decisamente poco da lui.
-Ma vaffanculo Joe...- bofonchiò alla fine lasciando ricadere la schiena sul materasso e coprendosi gli occhi con il maledetto mattone di storia. Perché doveva avere un migliore amico così stupido?
Rimase lì a borbottare maledizioni per altri due minuti, poi decise che forse era il caso di mettersi a fare qualcosa di utile, dal momento che Chester non avrebbe risposto.
Si tolse il mattone dalla faccia: cominciava a odiarlo, quello stupido coso. Non che non gli piacesse storia dell'arte, solo che negli ultimi tempi non aveva proprio voglia di studiarla...
-L'ordine Dorico è uno dei più antichi ordini architettonici della Grecia antica- lesse.
Benissimo, e a lui che cavolo avrebbe dovuto fregargliene?
Niente. rispose una vocina nella sua testa.
-Zitta tu.- sbottò -Basta Joe a compromettere la mia sanità mentale, non mi servono anche le voci.-
Prese un respiro profondo: ce la poteva fare, doveva solo concentrarsi.
-Ok, adesso ricominciamo: l'ordine Dorico è uno dei più antichi ordini... uno dei più antichi ordini... della Sparta antica? No... non era Sparta... Atene?- cacciò un urlo stizzito e buttò il libro da una parte -Basta: storia dell'arte, io e te abbiamo chiuso! È finita!-
Il telefono scelse proprio quel momento per ricominciare a vibrare, come se avesse capito che fra Mike e il libro di storia dell'arte le cose si stavano mettendo male. Quel genere di male alla fine del quale uno sta bruciando e l'altro guarda soddisfatto.
-Joe, spero vivamente che non sia di nuovo tu perché giuro su tutto quello in cui credo che faccio irruzione in casa tua e ti stermino la famiglia.-

[Chester]

Chester lo aveva visto, Mike.
Al Minutes To Midnight.
Sabato sera.

Era dannatamente nervoso.
Molto dannatamente nervoso.
Talmente dannatamente nervoso che aveva chiamato Elka.

Era dannatamente nervoso.
Molto dannatamente nervoso.

Elka Brand era forse l'unico lato positivo della sua vita di merda...

La sua scopamica.
In altre parole.
O almeno lo era stata.
All'inizio.

Prima che Chester scoprisse che non era solo maledettamente brava tra le lenzuola.
O che non aveva solo un bel viso.
Dei begli occhi scuri.
O un bel culo.

Era anche brava ad ascoltare.

Probabilmente quella poveraccia lo stava a sentire soltanto perché si sentiva in dovere di farlo.
Probabilmente quella poveraccia lo stava a sentire soltanto perché andavano a letto insieme.
Probabilmente quella poveraccia lo stava a sentire soltanto perché le faceva pena.

A Chester non importava più di tanto.
Il punto era che con qualcuno doveva pur sfogarsi.
Pur essendo fottutamente introverso com'era.

-E quindi ti ha sentito cantare?-

Elka se ne stava con la testa appoggiata sul suo petto.
Il suo respiro leggero gli sfiorava la pelle.

Quel lunedì era rimasto a casa.

Era dannatamente nervoso.
Molto dannatamente nervoso.
Non era sicuro che avrebbe retto a contatti con esseri umani normali.

Non se si fosse ritrovato Mike davanti.

Era dannatamente nervoso.
Molto dannatamente nervoso.

Aveva mandato a fanculo la scuola.
Ne aveva approfittato per invitare Elka.

Riusciva ad aprirsi meglio se ce l'aveva davanti.
Essere reduci da una bella seduta di sesso e avere una sigaretta in mano aiutava.

-Già, mi ha sentito cantare la sua fottutissima canzone.-

Soffiò una nuvola di fumo verso l'alto.

-E ti senti in colpa?-

-Un pochino.-

Non capiva il perché di quella reazione del cazzo.
Aveva mentito spudoratamente a Mike per farsi dare quella canzone.

E allora?
Al mondo ci sono più persone che mi hanno sentito raccontare balle che persone che conoscono il mio nome.

-Forse allora dovresti chiedergli scusa.-

Alzò lo sguardo per incontrare quello di Elka.

-Chiedere scusa?-

Chester sbuffò.
Provò a sorridere.

Era dannatamente nervoso.
Molto dannatamente nervoso.

-Chester Bennington non chiede mai scusa.-.

-Hai ragione Charles, scusa, l'avevo dimenticato.-

La ragazza rise.

Quel suo secondo nome era così fottutamente ridicolo...
Chester lo odiava.
Non lo diceva mai a nessuno.
A lei lo aveva detto in un momento in cui era ubriaco perso.
Si era pentito di averlo fatto prima ancora di essere tornato sobrio.

-Smettila di chiamarmi Charles.-

Quel suo secondo nome era così fottutamente ridicolo...

Picchiettò la sigaretta sul bordo del letto.

-Ok Charles... come hai detto che si chiama questo tipo?-

-Michael Kenji Shinoda.-

Ha un che di scenografico, come nome.
Suona fottutamente bene.
Persino per me che non capisco cosa cazzo ci trovi la gente di affascinante nell'oriente.
Cos'é, alla fine?
Un paio di miliardi di musi gialli e di tradizioni strane.

Non che fosse razzista.
Semplicemente non capiva proprio cosa ci fosse di così dannatamente speciale.

-Giapponese?-

-E io che cazzo ne so?-

Sarei curioso di saperlo però.
Il cognome è maledettamente asiatico.
Sicuro come la fottutissima morte.
Di dove?

-Scusa: pensavo lo sapessi, visto che è tuo amico.-

-Non è mio amico, è solo...-

Uno con cui messaggio quando mi annoio.
O quando sono incazzato.
O quando mi sento solo.

-...Mike.-

-Di un po', sarà mica che ti piace questo Michael, no? Non è che mi frega lo scopamico?-

Elka si alzò per rivestirsi.

-Cosa?-

Chester spalancò gli occhi.
Preso di sorpresa.
Boccheggiò cercando di capire.

-No: cazzo, ma sei fuori? Non sono mica frocio, è fottutamente ovvio che non mi piace!-

-Sì, sì, sì...-

La ragazza si infilò i pantaloni.

-Intanto però siamo qui che parliamo del fatto che ti senti in colpa per avergli fregato la canzone. Almeno era bella?-

-Nah...-

Si sentiva in dovere di mentire.
Non sapeva perché.

La verità era che aveva amato quella dannata canzone.
Aveva un ritmo che...
Aveva un significato che...

Non lo sapeva nemmeno lui.

Ogni volta che la risentiva.
Ogni volta che la canticchiava tra sé e sé.
Percepiva come un specie di scarica di adrenalina che saliva su per i suoi fottutissimi polmoni fumati.
Dritta dritta verso il cuore.

O verso quel che ne restava.

-Non particolarmente.-

-Potresti provare a parlarci: da come lo descrivi mi sembra di capire che è praticamente un santo, magari non è arrabbiato. O almeno non troppo.-

-Non lo so. Ho un fottutissimo uragano del cazzo in testa, al momento. Ci penserò. Grazie comunque.-

Spense la sigaretta sul bordo del comodino.
Si rimise gli occhiali.
Si alzò.
Raccolse la sua camicia abbandonata ai piedi del letto.

-Prego Charles,-

Elka gli si piazzò davanti già completamente vestita.

Lui aveva ancora la camicia mezza aperta.
Lui aveva ancora le gambe nude.

Come diavolo  fa questa dannata ragazza a vestirsi così in fretta?

-Grazie a te per avermelo raccontato.-

Gli diede un bacio leggero sull'angolo della bocca.

-Ora devo proprio andare. Ti chiamo io, ok?-

-Ok.-

Chester alzò gli occhi al cielo.
Era una cosa abbastanza insensata, per uno che non credeva.
Chester alzava spesso gli occhi al cielo.

Come se ci fosse veramente qualcosa lassù.
Dio.
O qualunque cosa fosse.

-Ma non chiamarmi Charles.-

Elka gli tirò un pugno scherzoso su un braccio.

-Se vuoi continuare ad approfittare del mio corpo e della mia saggezza, razza di depravato, sappi che mi riservo come minimo il diritto di chiamarti come cazzo mi pare, Charles.-

-Sei una stronza.-

Chester non riuscì a non sorridere.

Malgrado tutto, Elka gli piaceva.
Era simpatica.
Non lo faceva stare fottutamente bene.

Nessuno ci riusciva.
Lo tirava un po' su.

-Certo che lo sono Chazy, e ne vado anche fiera.-

Elka rise, andando verso la porta.

-Ciao idiota, cerca di fare il bravo. E chiama il tuo amico.-

Chester restò a fissare la porta della sua stanza per quasi un minuto.

Ormai era stata a casa sua talmente tante di quelle volte che entrava e usciva da sola.
Aveva persino le chiavi.

-Non è un mio amico.-

Era uscita da qualche minuto ormai.
Non sapeva nemmeno perché l'avesse detto.

No.
Mike non è mio amico.
È soltanto uno con cui messaggio di tanto in tanto.
Quando mi annoio.
Uno che, tra l'altro, non mi manda un SMS da quasi trentasei fottutissime ore.
Probabilmente è un record.

In effetti ne era stato quasi felice.
All'inizio.

Poi si era un po' pentito.

Mike non è mio amico.
È soltanto...
Mike.

Controllò il telefono.
Giusto per sicurezza

11.03 a.m.
1 nuovo messaggio da: Mickey Shinoda

-Come volevasi dimostrare...-

Sbuffò.
Trattenne un sorriso.

-Non sai proprio stare senza rompere le palle a qualche povero sfigato, vero Mickey?-

Gli tornò in mente che probabilmente in quel messaggio c'erano solo una sfilza di insulti del cazzo.
Magari un affettuoso invito ad andare a farsi fottere.

Non aveva molta voglia di leggere.

-Che faccio?-

Perché diavolo sto parlando ad alta voce?

-Lo leggo o no?-

Guardò ancora il telefono.

-Non lo leggo.-

Si mise il telefono in tasca.

-Al limite dopo.-

Scese in cucina a prepararsi la colazione.

Assurdo.

Quasi ora di pranzo.
Lui doveva ancora fare colazione...

Perché poi bisogna farla, la fottuta colazione?

Era uno di quei dubbi stupidi.
Di quelli che ti restano in testa fin dall'infanzia.
Di quelli che non riesci mai a toglierti, per quanto ci provi.

Vai a dormire poche ore dopo cena.
Si presume che tu dormendo non consumi più di tanto.
Quindi perché appena ti svegli ti viene fame?

Chester di quei fottutissimi dubbi stupidi ne aveva a tonnellate.
Non sapeva nemmeno più dove metterli.

Perché il buio fa paura più di giorno che di notte?
Perché le cose belle fanno male?

Puttanate, per lo più.
Puttanate banali, tra l'altro.

Cazzate che potevano essere spiegate semplicemente scorrendo un libro di psicologia.
O facendo una mini ricerca su internet.

Non riusciva a togliersele dalla testa.

Tornò nella sua stanza tre ore, due uova strapazzate e quattro sigarette e mezzo dopo.
Recuperò il cellulare.
Si buttò sul letto.

1.57 p.m.
4 nuovi messaggi da: Mickey Shinoda

-Addirittura quattro? Mi stupisci Mike...-

Alzò un sopracciglio.

-La tua persistenza nel rompere le palle a vuoto è sconcertante.-

Ora come ora, non aveva senso starsene lì a ciondolare.

Si alzò dal letto.
Si infilò un paio di pantaloni e un felpa.
Prese un pacchetto di sigarette.
Prese la sua bustina d'erba d'emergenza dal doppio fondo del cassetto del comodino.
Si mise a cercare le cuffie.

Ecco un altro dei suoi dubbi idioti.

Per quale cazzo di motivo le cose tendono a sparire quando servono?

Per lui le fottutissime cuffie erano uno degli oggetti indispensabili alla vita.
Quindi tendeva a perderne circa un paio al mese.

Le ritrovava in posti assurdi.
Settimane dopo.

Cominciava seriamente a pensare di averle perse di nuovo.
Notò un cavetto nero che spuntava da sotto il cuscino.

Eccovi qui, piccole figlie di puttana.
Guarda un po' dove andate a cacciarvi ogni cazzo di volta...

Uscì di casa sotto le note di una canzone dei Loverboy.

Era una giornata così fottutamente grigia...
Pioveva sempre in quella città del cazzo.

Ci viveva da una decina d'anni.
Non ricordava d'aver mai visto una sola dannatissima settimana senza
almeno un giorno di pioggia se non in agosto.

Gli piaceva la pioggia.
La pioggia era pulita.
Puliva tutto il resto.
Puliva lui.
Lo faceva sentire meno una merda.
Lo aiutava a non pensare a... be', a tutto quanto.

Rendeva tutto meno una merda.
Anche se la chiamavano tempo di merda.

Gli piaceva la pioggia.
Soprattutto quando era dannatamente nervoso.
Soprattutto quando era molto dannatamente nervoso.

Il Linkoln Park era un francobollo di erba secca a mezzo isolato da casa sua.
Circondato da muri più alti di quelli di un fottuto lager nazista.
Circondato da muri coperti di graffiti e macchie non meglio identificate.

Con uno scivolo sfondato.
Un'altalena arrugginita.
Cigolante.

Tutti e due piantati lì.
Come guardiani.
Piantati in mezzo a quattro piante più morte che vive.

Le piante con i loro rami ricoperti di foglie ingiallite impedivano alla luce di passare in modo decente.
Era sempre buio.
Umido.
Incredibilmente tranquillo.

Il posto perfetto per un povero sfigato che aveva voglia di spararsi un po' di eroina in vena in santa pace.

I drogati che lo frequentavano lo chiamavano così per scherzare.
Quello era il parco giochi abbandonato di Lincoln Street.
Dunque era il Lincoln Park.

Qualche coglione aveva avuto l'idea geniale di graffitare quel nome del cazzo su uno dei muri.
Ficcandoci in mezzo una bella K.
Giusto perché  faceva figo.

Linkoln Park.
Idioti.

Più che per drogarsi però, Chester ci andava quando voleva stare solo.

Di notte quel posto brulicava di gente che si bucava.
Prima del tramonto raramente si vedeva qualcuno da quelle parti.

Andava lì.
Si sedeva su uno dei sedili dell'altalena (sempre quello blu, a sinistra), e pensava.

A cosa cazzo pensasse il più delle volte non lo sapeva nemmeno lui.
Usciva di lì sapendo che aveva fatto ragionamenti fottutamente troppo grandi per la sua testa di cazzo ossigenata.
Ma non se li ricordava.

Attraversò il parco.
Il crepitio delle foglie sotto gli anfibi semi distrutti che si ostinava a portare che si sentiva a malapena sotto la musica che gli inondava la testa.

La musica era meglio della droga, a volte.

Andò a sedersi sulla sua altalena.
Sì dondolò a malapena.
Guardando fisso il terreno ricoperto di foglie umide.
La crepa sulla lente sinistra degli occhiali che sembrava serpeggiare sull'erba spelacchiata.

Mozziconi.
Siringhe.
Qualche preservativo.
Giusto per non farsi mancare niente.

Ognuna di quelle schifezze era qualcun'altro che stava male.

C'erano cinque mura, attorno, al Linkoln Park.
Mura di cemento armato.
Alte quasi cinque cazzo di metri.

Nessuno, cazzo, nessuno, aveva mai capito che cazzo ci facessero lì.
Se non farsi ricoprire di vernice spray e disegni che andavano dal porno al depresso.

In particolare ce n'era uno, di quei muri, che era ricoperto di frasi.

Qualcuno di fatto come un cavallo da corsa che aveva trovato l'ispirazione per una fottutissima poesia sconcia.
Qualcuno con la sbornia triste che aveva scritto una lettera alla propria innocenza perduta.
Alla sua adolescenza bruciata senza pietà.
Qualcuno come lui che aveva pezzi di canzoni sparsi nella testa da quando era nato e che non riusciva mai a farli andare via.

Quelli erano gli scrittori del Fottuto muro del pianto.
Gente che si era trovata un indelebile in mano e, non sapendo cosa farci, aveva scritto cazzate su un muro.

Tirò fuori il telefono dalla tasca.
Mandò un messaggio a Mike.
Non sapeva nemmeno perché cazzo lo stesse facendo.

Aveva fatto un ragionamento.
Ma non se lo ricordava.

In fondo, di Mike gli fregava poco o niente.

To: Mickey Shinoda
Sono al Linkoln Park, se hai voglia di parlare.

Perché poi quel coglione giapponese, o quel cazzo che era, avrebbe dovuto voler parlare con lui?
Di cosa poi?

Il cellulare vibrò.

From: Mickey Shinoda
Buongiorno! Cominciavo a preoccuparmi... dov'é il Linkoln Park?

Chester alzò un sopracciglio.
Quasi gli sfuggì un sorriso.
Di nuovo.

Davvero non lo sa?
Ma quanto cazzo ingenuo è?

To: Mickey Shinoda
Hai presente quella sottospecie di pentagono di cemento armato praticamente dietro casa tua?"

From: Mickey Shinoda
È un parco? Davvero? D:

-Che ragazzino...-

Non riuscì proprio a resistere.
Sorrise.

Cristo, è peggio di un bambino.

To: Mickey Shinoda
Non proprio, è più che altro un nome ironico.

From: Mickey Shinoda
Dammi cinque minuti e sono lì. Stai bene?

Non sapeva nemmeno come reagire: capitava di rado, molto di rado, che qualcuno gli chiedesse se stava bene.

Persino Elka non lo chiedeva troppo spesso.
Perché a Mike avrebbe dovuto interessare?

Stava ancora cercando di capirlo quando l'altro gli spuntò davanti.

-Posso...?-

Indicò l'altro sedile dell'altalena.

-Certo, non è mica mia...-

Mike si sedette e si guardò attorno... non sembrava per niente a disagio, malgrado tutto.

All'improvviso Chester sentì l'impellente bisogno di una sigaretta.
Parlava meglio, se aveva una sigaretta.
La  nicotina lo calmava.

Non che fosse timido, anzi.
Aveva il sospetto  di avere una mezza dannatissima mania di protagonismo.

Solo che non gli piacevano le persone.
Generalmente il sentimento era ricambiato.

-Vuoi una sigaretta?-

Offrì il malconcio pacchetto si Lucky Strike a Mike, mentre con l'altra mano cercava l'accendino in tasca.

L'ennesima dimostrazione che le cose amano sparire proprio quando servono.

Proprio come le persone.

-No, grazie.-

Mike nemmeno lo guardava, teneva lo sguardo fisso avanti a sé.
Come se ci fosse chissà cosa da vedere.
Non c'era un cazzo da vedere.

-Non fumo.-

-Davvero?-

-Sì, perché è così strano?-

-No.-

Suonava quasi come un'ammissione. Assurdo.

-Cazzo, almeno non credo.-

-Sai, mi è piaciuto come... come hai cantato sabato.-

Sembrava... Imbarazzato?

A Chester venne quasi da ridere...
Perché, cazzo, lui gli aveva fottuto la canzone, ma Mike gli stava dicendo che l'aveva cantata bene.

Gli venne quasi da ridere.

-Già be'... a proposito di quello...-

-No, davvero, sei stato grande. Hai una voce fantastica e... non lo so. Non sembrava nemmeno che fosse una cover. Sembrava tua, si vedeva che ci mettevi l'anima.-

Allora non stava scherzano?

-E non sei, che ne so... incazzato nero o fremente dalla voglia di spaccarmi la faccia?-

-No... perché, dovrei?-

Mike lo guardò per la prima volta, con quei fottutissimi occhi neri fin troppo ingenui.
Sembrava un bambino, cazzo.
Con le guanciotte, lo sguardo innocente e tutto il fottuto resto.

-E io che cazzo ne so? Sei tu quello bravo nei rapporti umani, mi pare di capire...-

-Già, così pare. Comunque non... non sono arrabbiato. L'hai cantata troppo bene perché possa arrabbiarmi per davvero.-

Mike sorrise.

Eccolo di nuovo, quel sorriso maledetto.

Cazzo.

Com'era possibile che un fottutissimo sedicenne riuscisse a sorridere in modo così sincero? Chester non aveva mai visto nessuno che avesse più di otto anni che riuscisse a sorridere così...

-È vero che non hai amici?-

Quella domanda lo spiazzò completamente.
Che cosa centrava?
Cosa interessava a Mike?

-Be', diciamo che a parte quello della band di sabato...-

-Jared?-

-Sì, Jared. Se non contiamo lui direi che non ho nessuno, a parte una ragazza che ogni tanto mi ascolta delirare.-

Non sapeva nemmeno perché stesse dicendo la verità.
Non conosceva Mike.

È soltanto... uno con cui messaggiare ogni tanto.
È soltanto... Mike.

-E in ogni caso, non sono altro che un cantante che mi sono quasi scopato in un bar mentre ero ubriaco e una scopamica che viene a letto con me quando non ha niente di meglio da fare.-

-Io vorrei essere tuo amico.-

-Non puoi essere mio amico...-

Quel pensiero gli metteva quasi tristezza.
Che cazzo passava per la testa di quel ragazzo?

Nessuno poteva essere suo amico.
Nessuno voleva essere suo amico.
Nessuno.

-Perché no?-

-Perché non mi fido di te. Non so più di chi posso fidarmi e non voglio sorprese. La gente non fa altro che promettere e poi andarsene lontano da me e ogni volta che penso che sia colpa mia e che provo a cambiare, a tornare sui miei passi mi sento esplodere, anche se provo a non farlo. Sono stufo di tutte queste cazzo di fregature, di questi fottuti inganni che non fanno altro che incatenarmi in me stesso.-

Si stupì lui stesso di averlo detto.
Non era mai stato il tipo che si apriva con gli sconosciuti.
Non era mai stato il tipo che diceva quello che realmente pensava a riguardo di qualcosa a uno sconosciuto.

Ma Mike non è uno sconosciuto.
Mike è soltanto... Mike.

Con lui era più facile prendere tutta la merda che aveva dentro e buttarla fuori, anche se non poteva farlo.

-Non mi fiderò di te.-

-Non puoi farcela da solo.-

-Sì che posso. È da tutta la mia fottuta vita di merda che la gente si allora da me.-

E allora, se ce la faccio, perché mi sento sempre così tanto una merda?

Cos'è questa tensione che sento sempre dentro?

Questa voglia di urlare.

Questi pensieri tristi che esigono di uscire?

-Non mi fiderò di te, o di qualcun altro, solo per poi vederti andare via come fanno sempre tutti. Non mi sprecherò con te Michael Shinoda.-

-Be', io non ho intenzione di schiodarmi da qui, se il problema è questo.-

-Non fare finta di non aver capito.-

Chester praticamente ringhiava.
Odiava ringhiare.
Si sentiva un cane.

-Ma ho capito, e non sto scherzando. Tu non sei un tipo che si arrende, ma nemmeno io.-

-Non mi fiderò di te.-

Non sentiva più la propria voce.

Come se l'avesse abbandonato all'improvviso..

-Ok...-

Disse Mike in tono pacato.

Chester ne fu quasi deluso.

Si aspettava che rompesse di più.

-Ma almeno lascia che ti chieda se hai voglia di farmi da vocalist.-

-Vocalist?-

Chester strabuzzò gli occhi.

Ma che cazzo...

-Te l'ho detto l'altra volta che mi serviva un cantante per la mia band, no? Io rappo abbastanza decentemente, ma una voce come la tua nemmeno me la sogno, quindi...se ti chiedessi di farmi da vocalist, ci staresti? Le canzoni le hai sentite, sai che tipo di musica facciamo...-

-Sì, sì, d'accordo, ho capito.-

Interruppe Mike prima che potesse fargli scoppiare la testa.

Il suo primo impulso fu di mandarlo a farsi fottere e poi andarsene.

-Non lo so.-

Nascose il viso tra le mani.

-Ci penserò. Ma non farti troppe illusioni.-

-Be', nel caso ti andasse, proviamo ogni sabato dalle tre nel mio garage.-

ANGOLINO NERO PER UN'ANIMA NERA
Eccomi qua, stavolta un po meno puntuale... il fatto è che mi sono resa conto che oggi è il 17 qualcosa come... otto secondi fa?
Ok, questo era forse un capitolo un po' di passaggio, ma personalmente a me piace, perché succedono cose che saranno importanti in futuro e per la prima volta facciamo la conoscenza con il Linkoln Park. A proposito del Linkoln Park: che mi dite? Vi ispira la rivisitazione?
Fatemi sapere cosa ne pensate, noi ci leggiamo forse un po' prima del 3 Agosto, perché il 29 Luglio parto per un luogo senza wifi, quindi pubblicherò un po' quando riuscirò (nel senso che magari non riuscirò a beccare proprio il giorno esatto, ma comunque le pubblicazioni non dovrebbero saltare.)
Buona giornata, con affetto

Cursed_Soldier

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