Capitolo 23~No Roads Left

[Mike]

Mike si rigirò nel suo letto per quella che gli parve la milionesima volta, pregando tra sé e sé di riuscire ad addormentarsi il prima possibile, perché non ne poteva praticamente più: aveva mal di testa ed era sudato, ma aveva i brividi e gli occhi gli bruciavano perché aveva un sonno assurdo, ma non riusciva a dormire, e poi... poi le coperte gli pesavano addosso come il coperchio di una bara, ed era più un senso di oppressione che un peso vero e proprio, ma quello era un dettaglio, e le  lenzuola profumavano ancora dall'ultimo bucato, e a rigor di logica avrebbero dovuto essere morbide, e invece pungevano contro la sua pelle come carta vetrata e il cuscino gli sembrava un sasso e il materasso aveva buchi che prima non aveva mai avuto e la sua maledetta testa era un maledetto macello e Morfeo, o l'omino della sabbia, o quello che era, sembrava essersi dimenticato della sua esistenza, e andava male. Molto male.
Aveva sempre sospettato che ci fosse sotto un complotto, e che l'universo lo facesse apposta, a non farlo dormire se il giorno dopo doveva fare qualcosa di importante tipo cominciare scuola, o andare al mare, o conoscere qualcuno, o... cambiare casa... insomma, sembrava che lo facesse apposta... ma in quel momento non aveva voglia di pensarci: in quel momento non aveva voglia di pensare a niente.
Si girò verso il comodino, e lanciò uno sguardo appannato dalla stanchezza allo schermo retroilluminato della sveglia. Erano le due e cinquantatré, e mancavano più o meno tre ore e trentasette minuti prima che suo padre venisse a svegliarlo... e mancavano esattamente quattro minuti alle due e cinquantasette del 24 Marzo.
Il 24 Marzo... che schifo di giorno per andarsene. Insomma: perché doveva essere sempre il 24? Perché quel maledetto numero doveva avercela così tanto con lui, Gesù?
E intanto la sveglia segnava le cinquantacinque, e mancavano due minuti. Due minuti, e poi sarebbero stati nove mesi... nove mesi senza Chester. E l'universo si rifiutava di farlo dormire, perché il karma ogni tanto deve dimostrare che è il figlio di puttana che è, e fatalità sceglie sempre i modi e i momenti peggiori per farlo.
La sua stanza era semi buia, e se il letto fosse stato messo al contrario, probabilmente Mike avrebbe potuto vedere una distesa di nuvole livide e cariche di pioggia che galleggiava al di là del vetro della sua finestra... invece vedeva un vago raggio di luce pallida che illuminava timidamente una barricata di valigie davanti alla porta, l'anta dell'armadio che sporgeva leggermente e un pezzetto del piano della scrivania, completamente sgombro forse per la prima volta da quando lui si era insediato in quella stanza, e vedeva le ombre sottili dei rami dell'albero mezzo morto che cresceva sotto la sua finestra che danzavano sul soffitto grigiastro a ogni colpo di vento.
Un paio d'ore prima aveva seriamente pensato di riesumare un paio di cuffie e di ascoltare musica fino a mattina, e invece poi non l'aveva fatto: era rimasto semplicemente steso nel suo letto, a guardare le ombre sul soffitto cercando di non pensare e ad ascoltare il ticchettio della pioggia contro il vetro e a maledire l'universo perché non lo lasciava dormire e a chiedersi perché stesse pensando in tondo. Chester una volta gli aveva detto che il suo cervello era una specie di serpente che si mordeva la coda, e che una frase normale diventavano venti e che le parole continuavano a tornare. Mike non sapeva se fosse la stessa cosa che stava succedendo a lui... non era nemmeno sicuro di aver capito cosa intendeva Chester. Sapeva solo che di parole lui non ne aveva praticamente più: faticava a trovarle, e parlare diventava un incubo, e quindi lo faceva il meno possibile. Non scriveva nemmeno più... ma tanto nessuno, a parte ciò che restava di quelli che nove mesi prima erano stati i Linkin Park, se ne accorgeva, e quindi non c'era poi tanto da preoccuparsene: la gente era cieca. Non vedevano niente. Mai. E quindi lui finiva per ritrovarsi sdraiato nel suo letto con i pensieri che gli giravano in tondo dentro la testa, in bilico tra il voler disperatamente dormire per avere un attimo di tregua e il non volersi addormentare per non dover sognare.
C'era un sogno che lo tormentava di continuo, ma... be', non aveva voglia di pensarci.
Chiuse gli occhi e tirò un sospiro, cercando di decidere che diavolo fare: poteva restare lì in coma cosciente fino alle sei e mezza, oppure poteva alzarsi e trovare qualcosa da fare senza fare rumore... oppure poteva semplicemente prendere lo zaino, scendere dalla finestra e andarsene e basta... Gesù, ormai aveva la patente ed era maggiorenne: cosa poteva fermarlo? Poi pensò ai suoi genitori, che erano talmente rintronati dai loro lavori che non si accorgevano quasi più di lui, e pensò a suo fratello che era disperato perché doveva separarsi dalla sua ragazza dopo quasi cinque mesi di storia perfetta, e pensò ai suoi amici che erano gli unici che gli erano stati vicino per davvero. Pensò ad Anna, che non gli parlava più. E pensò a Elka, e alla bambina che aveva dato alla luce sei mesi esatti prima, il 24 di Settembre, con otto settimane abbondanti di anticipo, e si ricordò come, guardando quel corpicino magro e arrossato infilato nell'incubatrice, si fosse ritrovato a sperare che il 24 non si portasse via anche quel minuscolo raggio di sole che aveva appena rischiarato un pelo la sua vita dopo quella che era sembrata un'eternità di pioggia e buio.
La bambina era così piccola, così delicata... e c'era il rischio che fosse nata davvero troppo presto, e i dottori non erano stati ottimisti, e invece lei li aveva fottuti tutti quanti, e ce l'aveva fatta. Elka l'aveva chiamata Jamie, e Mike aveva quasi pianto quando gliel'aveva detto, ma alla fine si era trattenuto: perché quella piccola persona chiusa dentro l'incubatrice davanti a loro non aveva ancora due giorni e già stava dimostrando di essere una guerriera, e lui non voleva essere da meno. Non così presto, almeno. E non volle essere da meno nemmeno in quel momento: non poteva semplicemente prendere e mettersi a correre finché il silenzio pieno di voci dentro la sua testa non l'avesse aperto in due. Non era così che funzionava: le battaglie andavano affrontate, e le guerre non si vincevano da sole, e lui si era preso delle responsabilità verso quella bambina, quindi alla fine si alzò a fatica dal letto e fece una cosa che non faceva da un po': tirò fuori da un borsone un blocco da disegno e un astuccio e cominciò a disegnare.
Si mise a scarabocchiare direttamente con una penna a china qualsiasi, senza preoccuparsi di fare linee con spessori decenti o di curare i dettagli come faceva di solito. La penna aveva una consistenza strana nella sua mano e la carta sembrava maledettamente diversa da come se la ricordava e l'inchiostro era del nero sbagliato e le venature della scrivania sotto il blocco sembravano quasi muoversi sotto i suoi occhi stanchi e... e tutto sembrava così maledettamente assurdo. Un po' come gli era sembrato assurdo il disegno delle mattonelle sul pavimento quella volta che lui e Chester avevano accompagnato Elka all'ecografia... Gesù, una delle esperienze più tragiche ed imbarazzanti della sua breve vita... perché ovviamente la ginecologa non poteva pensare che Elka fosse il genere di ragazza che aveva solo amici maschi e quindi si portava un paio di ragazzi a caso all'ecografia perché aveva paura degli ospedali, no? In fondo non sarebbe stato nemmeno poi così lontano dalla realtà. Morale della favola? No, non poteva. Quella donna aveva fatto metà del suo lavoro in silenzio, probabilmente montando le scene della sua telenovela mentale, e poi si era messa a sproloquiare in modo neanche troppo velato su quanto fossero senza pudore le ragazze di oggi.
-In tutti questi anni mi è capitato di vedere ragazze che non erano sicure di chi fosse il padre...- aveva detto -Ma mi mancava quella che si portava entrambe le alternative... cos'é, va di moda averne due, ultimamente?-
L'avevano lasciata parlare per un po', e un paio di volte Elka aveva provato a spiegarle che in realtà lui e Chester erano solo suoi amici, ma quella sembrava non volerne sapere di mollare l'osso... finché alla fine, dopo un commento parecchio bastardo mascherato da battuta, Chester non se ne era uscito con qualcosa tipo Veramente, Mike è il mio cazzo di ragazzo, non il suo. Ora per favore faccia il suo cazzo di lavoro e lasci in pace la mia migliore amica.
La donna li aveva guardati con aria a metà tra lo schifo e lo stupore per un paio di secondi, poi aveva spostato di nuovo la propria attenzione sulla pancia di Elka e aveva continuato a fare quella maledetta ecografia.
Appena erano riusciti a uscire dall'ospedale, Mike aveva tirato a Chester un pugno sulla spalla.
-Eravamo d'accordo che non avremmo dato spettacolo!- l'aveva sgridato.
-Non ho dato spettacolo!- aveva ribattuto lui ridendo –Ho soltanto difeso la futura madre di mia figlia da una troia.-
-Oddio, ma la smetterete mai di essere così carini, voi due?- si era intromessa Elka.
-Non siamo carini!-
-No, certo che no...- aveva riso –E poi... wow, quando avete cominciato a parlare contemporaneamente?-
-Piantala Elka...-
-Sì, Charlie, la pianto. Però sapete, quella troia mi ha fatto venire un'idea... potrei chiamarvi davvero i miei ragazzi...-
-Dio, donna: quanto ti odio...-
-Ma se l'adori, Chester...-
-Tu!-
Chester si era fermato in mezzo al marciapiede guardando Mike con una sfumatura fintamente ferita nello sguardo.
-Tu sei il mio ragazzo, dannazione! Dovresti essere dalla mia parte.-
Poi erano scoppiati a ridere ed erano andati a bersi un milkshake.
Mike ripassò il contorno di un occhio, cercando di non sbavarlo anche se in realtà non gli interessava più di tanto. Si ricordava quel giorno in un modo talmente nitido che quasi ne aveva paura: era diventato tutto così sfocato negli ultimi tempi che lo spaventava riuscire a ricordarsi l'esatta sfumatura del colore del cielo quando erano usciti dall'ospedale, o il giallo assurdo delle Converse alte che Elka aveva ai piedi, o quanto strano sembrasse il suo ombrello normale affianco a quello di Hello Kitty che lui era riuscito a raccattare dal porta ombrelli subito prima di filarsela da casa sua, o l'odore fresco della pioggia, o il tono gracchiante della voce della ginecologa, o il sorriso quasi spensierato di Chester, e la sua risata e la voglia matta di baciarlo lì in mezzo alla strada da cui si era sentito invadere mentre lo guardava ridere o dire a Elka di smetterla di chiamarlo Charlie.
-Sapete- aveva detto mentre rigirava la ciliegina nel suo frullato –Se fosse stato un maschietto mi sarebbe piaciuto chiamarlo James... giusto per non essere più l'unico coglione ad avere un nome da vecchio inglese isterico.-
-Avresti dovuto passare sul mio cadavere...- gli aveva risposto Elka.
-Be', se ti può consolare a me piace il tuo nome da vecchio inglese isterico...-
Quello sembrava un Mike così diverso... un Mike assieme al suo ragazzo e ad un'amica. Un Mike che aveva ancora una vaga idea di dove stesse andando la sua vita, e che non si sentiva come se fosse in piedi  da solo in mezzo al nulla, senza avere la più pallida idea di che direzione prendere. Un Mike che non aveva idea che alla fine Chester avrebbe trovato un modo per far chiamare sua figlia Jamie... che non era James, ma quasi. Un Mike che non si preoccupava più di tanto che il suo ragazzo stesse per avere una bambina perchè a quel punto quella bambina era quasi diventata una parte del loro mondo, e non sembrava una parte poi così negativa. Jamie era ancora una parte positiva, anche se adesso era reale e aveva sei mesi e aveva portato nella sua vita tutte le rogne che i bambini portano di solito.
Quel Mike che non aveva uno scopo vero nella sua vita se non fare in modo che quei momenti non finissero mai... mentre in quello, di momento, l'unico scopo che avrebbe potuto avere era cercare di rifarsela,  una vita, e c'era da dire che non ci stava nemmeno lontanamente provando. Semplicemente passava le sue notti a chiedersi come aveva fatto a cadere così in basso, o perché il suo orgoglio e il male che si sentiva dentro si assomigliassero così tanto –perché davvero, era stato così stupido-  o... insomma, tutto quello che aveva fatto fino a quel momento era stato correre cercando di lasciarsi indietro tutto prima che il silenzio dentro la sua testa lo facesse a pezzetti e lo seppellisse da qualche parte.
La cosa divertente era che praticamente era in larga parte colpa sua, se era finito in quella situazione: era stato così cieco, così stupido... Gesù, Chester si era buttato da un maledetto cavalcavia e gli aveva scritto una lettera e non l'aveva fatto d'impulso: ci aveva pensato, l'aveva programmato e Mike... Mike non si era mai accorto di niente. L'aveva visto sorridere e aveva visto i suoi occhi più sereni che mai e aveva pensato che sarebbe andato tutto bene, e invece si sbagliava, e riguardando indietro c'erano tante di quelle cose che avrebbe dovuto notare e di cui invece non si era mai accorto che avrebbe voluto prendere l'empatia di cui si era sempre vantato e bruciarla... si ricordava che una volta, ad esempio, stavano tornando dal centro e non si ricordava esattamente cosa ci fossero andati a fare, ma sapeva che era pomeriggio inoltrato e che non pioveva, ma che c'era un po' di nebbia e che l'aria sapeva di asfalto bagnato e di gas di scarico. Si ricordava che si erano fermati in mezzo al cavalcavia e che erano rimasti là per un po', a guardare gli abbaglianti delle rare auto che passavano tagliare la nebbia e poi sparire sotto l'ombra del ponte, mentre parlavano di qualcosa che lui non riusciva a ricordarsi: era fine Maggio, o giù di lì, quindi probabilmente si stavano solo lamentando del tempo di merda che se ne fregava del fatto che fosse quasi estate e che non li lasciava vedere il sole... poi a un certo punto aveva cominciato a piovere, e lui si era tirato su il cappuccio della felpa e aveva iniziato a pensare che fosse ora di tornarsene a casa.
Chester invece si era limitato a scuotere la testa e  a continuare a guardare giù.
-Ti viene mai voglia di buttarti di sotto? Quando sei sul bordo di qualcosa di maledettamente alto?- gli aveva chiesto –Giusto per vedere se riesci a farti spuntare delle cazzo di ali e volare via?-
Mike l'aveva preso per uno dei suoi momenti profondi: Chester aveva quella particolare tendenza a fare ragionamenti strani completamente fuori tema, quando era soprappensiero, e lui aveva creduto che lo stesse facendo anche in quel momento... invece probabilmente no. La cosa buffa è che se fosse stato chiunque altro, a una domanda del genere si sarebbe preoccupato, ma a Chester... a Chester aveva semplicemente risposto che sì, a volte gli veniva voglia di farlo, ma che dubitava che avrebbe mai avuto il coraggio di farlo davvero.
-Nessuno di fottutamente sano lo farebbe...- aveva ribattuto lui con un mezzo sorriso che aveva un che di malinconico –Ma non c'é niente di male a sognare, no?-
E poi Mike non sapeva esattamente bene cosa fosse successo, sapeva solo che tre secondi dopo Chester lo stava baciando e che le sue dita erano aggrappate all'orlo del suo cappuccio, come se stesse cercando di nasconderli da chiunque li stesse guardando, anche se nessuno li stava guardando.
Sentì qualcosa dentro di lui sbriciolarsi, a quel ricordo: Chester gli mancava talmente tanto che come cosa era quasi ridicola... gli mancava talmente tanto che era pronto a lasciarsi annegare nelle sue paure, nei suoi difetti e in tutta la merda che si stava depositando nella sua testa, pur di non doverci pensare per cinque minuti. Talmente tanto che stava correndo via come un codardo e che sapeva che non avrebbe smesso finché il silenzio che lo stava divorando non lo avesse rotto del tutto: lo stava facendo persino in quel momento, correndo via dagl'incubi che infestavano le sue notti e lo avrebbe fatto il giorno dopo, andando a prendere Jamie e scappando da quella città in cui aveva vissuto per più di un anno. Si chiese se volesse veramente quello: correre per scappare dallo spettro di Chester per tutta la vita, o almeno finché non ci fossero state più strade per correre.
Staccò la penna dal foglio, cercando di capire che diavolo avesse appena fatto. Non è che avesse un senso logico come cosa: era solo un ammasso di cose e di teschi e di scritte e non si capiva niente. Era come come se facendolo avesse smesso persino di provarci ad arrivare a fare un disegno perfetto, come se sapesse che la perfezione non  l'avrebbe trovata... c'erano i nomi di Chester e di Jamie scarabocchiati in un angolo.
Mike sbuffò, strappò il foglio dal blocco, lo appallottolò, socchiuse la finestra e lo buttò fuori. Neanche sapeva perché l'aveva fatto: forse era solo stufo di avere per la testa sempre la solita merda. Rimise via il blocco e l'astuccio, e si accorse di aver lasciato fuori la penna a china quando ormai aveva già chiuso il borsone, quindi decise di lasciarla sulla scrivania e sperare di ricordarsi di infilarsela in tasca la mattina dopo andando via, poi si stiracchiò, spense la luce e si rimise a letto.
Nel frattempo si erano fatte le quattro e diciotto.
Cercò di dormire, ci provò sul serio, ma continuava a pensare a Jamie... quella bambina con gli occhi ancora grigi e che ancora non aveva imparato a sorridere, ma che ci provava sempre. Mike l'adorava, anche se a volte a guardarla si sentiva uno schifo: per quanto sembrasse strano, visto che aveva diciotto anni da poco e che lui e Elka erano diventati amici dopo che lei era rimasta incinta e che si stava fingendo il padre, Jamie era diventata praticamente l'unico raggio di sole nella sua esistenza, il suo motivo per andare avanti. Ogni tanto ripensava a come suo padre e sua madre avevano reagito quando aveva detto loro di Elka e del fatto che aspettava una bambina... ovviamente l'aveva fatto in modo piuttosto creativo. Aveva seriamente creduto che suo padre sarebbe svenuto sul momento...
-Lo sapevo che nascondeva qualcosa...- aveva bofonchiato rivolto a sua madre.
Lei, dal canto suo, si era lentamente accasciata su una sedia.
-Almeno...- aveva risposto –Almeno non è gay come dicevi tu...-
Mike si era sentito vagamente ferito da quel commento, anche perché da lei non se lo sarebbe mai aspettato, ma non aveva detto niente: era solo rimasto lì ad aspettare che si incazzassero e che lo buttassero fuori casa... invece non l'avevano fatto: probabilmente avevano pensato che non fare troppe storie fosse un buon modo per farsi perdonare dopo averlo lasciato da solo a soffrire come un cane quando il suo migliore amico se n'era andato. Alla fine l'unica cosa che avevano fatto era stata limitargli le uscite a quando andava a trovare sua figlia, e non se n'era parlato più. Non che uscisse molto in altre occasioni, comunque, e poi non avevano detto niente riguardo all'invitare gente a casa, quindi al limite, se proprio si sentiva in crisi poteva sempre scrivere agli altri e chiedere loro di venire. Tanto il fatto che i suoi non ci fossero quasi mai non era cambiato...
Sospirò e si girò verso il muro, ficcando la testa sotto le coperte: da quel giorno in poi sarebbe cambiato tutto. Sarebbero andati a prendere Jamie da Elka verso le otto, e poi sarebbero tornati a Los Angeles, dove il sole c'era praticamente sempre e la gente andava in giro con le maniche corte anche in Dicembre, e dove Mike avrebbe potuto continuare a correre finché non avesse avuto più fiato, o finché il silenzio pieno di voci dentro la sua testa non lo avesse rotto del tutto, o finché non fosse più riuscito a ricordarsi i suoi rimpianti, e non ci fossero state più maledette strade su cui correre. 

ANGOLINO NERO PER UN'ANIMA NERA
E insomma eccoci qui, al terzultimo angolino nero. Se penso che tra un mese sarà finita, se penso a tutta la strada che ha fatto questa ff... Dio,voglio piangere.
Parliamo un po' del capitolo. So che in realtà è una sottospecie di marasma confusionario e depressivo, e a essere sincera non so nemmeno se mi piaccia... ma be', that's it.
È stato l'ultimo capitolo che ho scritto in assoluto, mettendo mano alla tastiera quando ormai credevo di aver già chiuso tutto, e sono stata indecisa se pubblicarlo più o meno fino a tipo... ieri... però alla fine c'é.
La canzone è No Roads Left... Talmente famosa che su Spotify non c'è. Mi è sempre piaciuta questa canzone, e circa un mese fa la ripetizione automatica me l'ha passata mentre cucinavo e mi si è accesa la lampadina.
Quindi... niente. Le citazioni sono sparse un po' in giro, quindi non posso dirvi esattamente dove.
Spero vi sia piaciuto, ci leggiamo il 3 Marzo con l'epilogo.
Buona Notte

Cursed_Soldier

P.s.: Ok, Ok, Ok... mi ero ripromessa di non farlo, ma... qualcun'altro ha sentito Heavy e poi si è sparato The Hybrid Theory venticinque volte di fila pregando di dimenticare? Gente, so che suona male, ma non ho firmato per questo. Cioè, dopo il finale di Sherlock mi ci voleva proprio una bella batosta per tirarmi giù del tutto. Speriamo che l'album non sia tutto così.

P.p.s: la cosa assurda è che il testo è anche carino, ma la musica... Dio, non ce la posso fare. Mi spiace. Non dirò nemmeno che fa schifo, perché a qualcuno magari piace e comunque non credo di avere le competenze musicali per dirlo, e neanche dirò che mi sento tradita, perché i Linkin sono sempre stati un gruppo che sperimenta, e se loro si sentono di fare questo tipo di musica buon per loro, ma... bo', a me sembra una commercialata. E adesso credo che andrò a piangere nel mio angolino e a ripetermi che alla fine non importa. Notte.

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