Capitolo 22~With You
[Joe]
in qualche assurdo modo che nessuno era ancora stato in grado di capire, mike era riuscito a non piangere per tutto il tempo: il funerale si trascinava da quasi due ore e non una sola lacrima gli era scesa lungo le guance... o se qualcuna lo aveva fatto almeno joe non l'aveva vista. in effetti non sembrava che stesse veramente provando qualcosa: sembrava soltanto spento, completamente vuoto. esattamente com'era stato quella notte, quando era rimasto fermo e immobile a lasciarsi scivolare la pioggia sulle spalle e a fissare il poliziotto che gli faceva le domande senza dire niente. la verità era che joe aveva avuto l'impressione che stesse cercando di fare qualunque cosa che gli impedisse di pensare a o guardare verso il cavalcavia. In quel momento sembrava stesse facendo la stessa cosa.
gli posò una mano sul braccio, guardandolo in faccia per l'ennesima volta con la speranza ormai persa di trovarci anche solo un minimo accenno del ragazzo abbronzato e spensierato che era arrivato da los angeles a settembre dell'anno prima, ma praticamente non restava niente di veramente vivo sul suo viso. niente di niente. quindi figurarsi se poteva restare qualcosa del mike allegro e felice di nove mesi prima.
-terra chiama mike: mike rispondi. passo.- gli sussurrò.
mike non rispose... nel senso che non reagì in alcun modo, come se nemmeno lo avesse sentito: nothing, niente, nichts, nichego, nada. era lì, seduto accanto a lui, eppure non c'era.
era lì: fissava il niente davanti a sé con occhi vuoti, respirava, tremava addirittura, ma non sembrava vivo. non sembrava nemmeno lui. era come essere seduti di fianco a una sedia vuota.
non avrebbero mai dovuto portarlo a quel maledetto funerale e, come suo migliore amico, avrebbe dovuto capirlo anche solo dalle occhiaie che aveva quella mattina quando era andato a prenderlo per andare insieme al cimitero... nemmeno in quel momento, comunque, sembrava granché in forma: aveva i capelli in disordine, ancora un po' umidi per la pioggia che era caduta verso l'inizio di quelle due ore da incubo, quell'accenno di barba spelacchiata da diciassettenne che si ritrovava aveva tutta l'aria di essere stata abbandonata a se stessa da almeno tre giorni, il suo normale colorito olivastro vagamente asiatico si era stinto in una specie di bianco giallastro cadaverico e i suoi occhi... be', meno joe pensava agli occhi di quel povero ragazzo e meglio era. erano gli occhi di chi aveva perso ogni motivo per andare avanti: erano gonfi, arrossati dal pianto e con quelle maledette occhiaie sembravano ancora più neri, più disperati, più spenti. riflettevano lo stesso niente che trasmettevano la sua figura rattrappita su se stessa e il suo fissare continuamente il vuoto tremando e masticandosi le labbra a sangue: quel tipo di niente che ti fa venire voglia di raggomitolarti sotto le coperte e restare là a piangerti addosso per il resto della vita, mentre fuori piove. era quel genere di niente di cui uno come mike non avrebbe neanche dovuto ipotizzare l'esistenza: il genere di niente che ti fa stare male al solo vederlo e che, pur essendo, per l'appunto, niente, sembra un maledetto universo pronto a collassare su se stesso. era lì da una settimana, ormai, e joe cominciava a temere che non se ne sarebbe mai andato del tutto: aveva cercato di passare più tempo possibile con lui, dopo quella notte. Era andato a trovarlo tutti i giorni, e gli era sembrato che invece che migliorare le cose peggiorassero.
sottovalutare quanto mike stesse male era stata, effettivamente, la prima grande cazzata che aveva fatto all'inizio. la seconda, era stata portarlo fuori: aveva pensato che prendere aria e distrarsi un po' gli avrebbe fatto bene... il che si era dimostrato sbagliato, anzi, enormemente sbagliato, perché non aveva preso in considerazione il fatto che fuori dalla porta di casa shinoda c'era il resto del mondo, e che il resto del mondo era pieno di cose che svegliavano ricordi che facevano male... e anche se aveva provato a trattenersi per tutta la passeggiata, quando erano passati davanti al linkoln park mike non ce l'aveva fatta più, e aveva pianto. aveva pianto un sacco, e la poca gente che c'era per strada aveva cominciato a indicarlo e a bisbigliare, e joe aveva dovuto trascinarlo a casa quasi di peso prima che allagasse tutto l'isolato. tenerlo rinchiuso non era proprio il massimo, ma almeno se stava in mezzo a quattro mura e nessuno lo vedeva, poteva sfogarsi senza che nessuno lo additasse o cominciasse a spettegolare, e quindi ci erano rimasti, a casa sua, a massacrare gente innocente su call of duty e a bere quantità inimmaginabili di the e caffè fra un pianto e l'altro... perché dopo quell'esplosione davanti al linkoln park mike sembrava aver perso la capacità di tenersi dentro i propri sentimenti. joe comunque sospettava che in quel momento avesse reagito così perché passando davanti a quel maledetto parco giochi per drogati aveva capito che era finita. che chester non sarebbe tornato, che era volato giù da un fottuto cavalcavia come un uccello con le ali spezzate e che si era spiaccicato a terra come una maledetta marmellata, e aveva il presentimento che questa realizzazione si sarebbe ripetuta ogni dannata volta che quella povera creatura stropicciata si fosse azzardata a muovere un passo nel mondo fuori dalla porta di casa, o che avesse tentato di rientrare del garage delle prove, quindi aveva ritenuto che fosse meglio tenerlo, per l'appunto, a giocare a cod nel salotto di casa sua, dove almeno poteva disperarsi senza che la gente cominciasse a additarlo e i bambini a chiedere alle mamme perché c'era un ragazzo vestito di nero che piangeva per strada.
solo che adesso erano fuori, e non stava piangendo.
anzi, peggio: erano in un cimitero e si stava svolgendo il funerale del suo ragazzo, e non stava piangendo.
sembrava morto dentro più del solito, e l'unico segno di vita che dava era massacrarsi il labbro inferiore con i denti, però ce la stava facendo: non stava piangendo da quasi due ore, e joe avrebbe potuto scommettere che fosse il suo record... o forse stava troppo male persino per piangere, non si poteva mai sapere con mike shinoda e la sua emotività: per esempio, nessuno aveva la più pallida idea di dove avesse trovato la forza, quasi mezz'ora prima, di alzarsi e andare verso la bara per l'elogio funebre. dopo che si era allontanato, dave aveva borbottato sottovoce che aveva paura che collassasse prima di di riuscire a finire il discorso, e nessuno era riuscito a dargli torto: bastava pensare a come si era alzato. il prete aveva dovuto chiamare il suo nome due volte, prima che si riscuotesse dal suo torpore, e anche dopo aveva fatto un respiro profondo, aveva chiuso gli occhi e aveva aspettato quasi quindici lunghissimi secondi prima di tirarsi su, come se avesse avuto bisogno di tempo per raccogliere tutti i pezzetti che si era perso dietro e incollarli di nuovo al loro posto alla bell'e meglio per dare almeno l'idea di qualcuno che era ancora intero.
poi era andato verso la bara scura e chiusa, aveva afferrato il microfono che il prete gli stava porgendo e si era girato verso tutti gli altri.
sua madre, suo padre e suo fratello erano seduti rilassati in una delle prime file, con pose rassicuranti, quasi incoraggianti, e joe si chiedeva come diavolo facessero a non accorgersi di cosa avessero davanti, di quanto male stesse mike. persino da lì, dal fondo del fondo delle file di sedie, si vedevano la sua espressione sofferente e i suoi occhi spenti. aveva la faccia di uno che avrebbe preferito un improvviso sterminio dell'umanità a quello che stava facendo, ma loro non se ne accorgevano. non si accorgevano di niente: il loro figlio aveva visto un suo caro amico buttarsi da un cavalcavia, e loro non si erano nemmeno presi la briga di stare un po' a casa con lui. troppo lavoro, troppi casini. "che genitori di merda".
-be'... io...- aveva cominciato con la voce che gli tremava e lo sguardo che saettava da un volto all'altro, come se fosse terrorizzato.
ma joe sapeva che non era terrorizzato. era disperato, il che forse era anche peggio.
-be', penso di poter dire tranquillamente... e chi mi conosce sa che è vero, che preferirei essere al mio, di funerale, piuttosto che... piuttosto che qui.-
il suo sguardo si era focalizzato su qualcuno o qualcosa che da dove si era sistemato quello che restava dei linkin park non si vedeva, ma da come mike aveva continuato a deglutire a vuoto, più che in cerca di rassicurazione era sembrato uno che, in barca o in macchina, guardava un punto fisso dell'orizzonte per non vomitare. aveva chiuso gli occhi, riempiendosi i polmoni d'aria come se fosse stato sul punto di tuffarsi in acqua, poi aveva ripreso a parlare con una voce un po' più salda e uno sguardo un po' meno sperso.
-non so nemmeno cosa vi aspettiate che vi dica.- aveva ammesso –forse che chester era un bravo ragazzo, che non aveva mai fatto niente di male in vita sua, che mancherà a tutti o che diavolo ne so io, ma la verità è che è inutile che stia qui a raccontarvi cazzate del genere, perché il solo fatto che siate venuti significa che lo sapete che, almeno nel senso più convenzionale, chester non era un bravo ragazzo, e che nella sua breve vita ha combinato non poche cose di cui poca gente avrebbe il coraggio di andare fiera.-
si era fermato un attimo, per prendere fiato e deglutire per l'ennesima volta. probabilmente aveva un rospo bloccato in gola, o qualcosa del genere.
-nonostante questo, però, ero il suo... migliore amico, probabilmente, anche se ci conoscevamo da relativamente poco tempo, e posso dirvi che chester non sarà stato un bravo ragazzo nel modo in cui la gente lo intende di solito, però era una persona buona, e fargli da babysitter era diventato un po' lo scopo della mia esistenza... da quando se n'é andato c'é qualcosa che manca e...-
gli si era spezzata la voce, e anche se era lontano joe aveva visto distintamente il piccolo castello di vetro che si era costruito dietro ai suoi occhi andare giù come se ci fosse esplosa una bomba dentro.
-mi sveglio la mattina e mi sento come se fossi in trance, e mi sembra di essere in un incubo, perché non ha senso pensare che lui non ci sia. non ha senso: la gente non può smettere di esistere così a caso, da un momento all'altro. chi me la spiega questa cosa? chi mi spiega perché non riesco nemmeno a ricordare com'erano le cose ieri quando andava ancora tutto bene?-
altro respiro, la voce che di nuovo aveva cominciato a tremare: non ce l'avrebbe fatta. joe credeva in mike, ma in quel momento era stato piuttosto sicuro che avrebbe mollato ogni tentativo e sarebbe scoppiato a piangere. invece non l'aveva fatto.
-sapete, a volte mi capita di chiudere gli occhi, e fare finta che non sia successo niente. è un po' ipocrita da parte mia, perché sono sempre stato il primo a dire che bisogna accettare i fatti e andare avanti, ma... sentirselo addosso è diverso. pensare che chester non ci sia più è diverso. era un tipo strano: sembrava fare sempre di tutto per mettere la gente in imbarazzo, era schivo, maleducato e volgare, eppure nel corso della nostra amicizia mi ha dimostrato più volte di essere anche un ragazzo intelligente, generoso e... be', s'incazzerebbe se sapesse che ve lo sto dicendo, ma a volte addirittura dolce. la verità è che la maggior parte della gente passava il tempo a tentare di capire come toglierselo di torno, ma adesso che non è qui non è la stessa cosa, vero?-
aveva sospirato, scuotendo appena la testa. joe aveva visto qualcuno bisbigliare, qualche fila più avanti: probabilmente era qualche familiare di chester che si stava facendo qualche domanda.
-io... mi sento uno schifo, davvero. perché ero suo amico, gli volevo bene e avrei dovuto capire che c'era qualcosa che non andava, avrei dovuto aiutarlo, e invece sono arrivato appena in tempo per vederlo buttarsi e non ho fatto niente. ho sbagliato, sono stato troppo lento a reagire, e non l'ho salvato.-
joe aveva rizzato le orecchie, sentendo quella frase, e aveva visto dave, brad e rob fare lo stesso: non era stata colpa di mike.
quello era sbagliato.
perché lui ci aveva provato ad aiutarlo, dannazione, ci aveva provato e quello... quello non era giusto. non era giusto nemmeno un po'.
-è così maledettamente strano... perché è qui adesso. qui in questa maledetta scatola di legno. è vicinissimo, ma non potrebbe essere più lontano e io non posso farci niente: non posso portarlo indietro, posso solo stare qui a parlare come se davvero importasse qualcosa quello che dico e sentirmi inutile, perché la verità è che non importa un fico secco quello che dico: se n'é andato. l'ho visto andarsene, e non tornerà indietro, anche se resterà sempre stampato nella mia testa.-
si era fermato di nuovo, e aveva alzato di nuovo gli occhi per guardarsi intorno, come se si fosse accorto solo in quel momento di quanto per tutto il tempo fosse sembrato molto di più che un amico e gli fosse venuto il dubbio di aver fatto qualche danno, ma la maggior parte della poca gente che c'era non lo stava nemmeno ascoltando.
-era uno dei miei migliori amici.- aveva aggiunto sospirando –e immagino che adesso dovrei dire qualche stupidaggine come so che sarai sempre con noi, ora vai lassù e insegna agli angeli cos'é la musica vera... ma onestamente ho sempre pensato che queste frasi non siano altro che immensi controsensi, e poi, se proprio vogliamo essere sinceri, chester aveva fede in dio, ma a tutta questa cosa della vita eterna e del paradiso e dell'inferno non ci ha nemmeno mai creduto, quindi credo che darò una versione mia della cosa, e lo so che sembra idiota chazy, ma se c'é una remota possibilità che tu mi stia ascoltando, voglio che tu sappia che anche se non sarai con me, io sarò con te.-
non aveva nemmeno fatto a tempo a finire la parola te, prima che il prete gli strappasse il microfono di mano e lo rimandasse a sedersi.
nessuno era sembrato accorgersi di quanto veramente rotto fosse mike, a parte il prete che era sembrato accorgersene benissimo e sembrava non essere per niente entusiasta.
mike aveva lanciato un ultimo sofferente sguardo alla bara, prima di ritornare da loro.
di solito le bare venivano tenute aperte durante i funerali, ma quelle erano circostanze straordinarie: chester aveva avuto la brillante idea di buttarsi giù da quel maledetto cavalcavia di testa e la sua testa... be', non l'aveva presa bene. insomma, la tenevano chiusa per motivi di decenza, per farla breve. joe aveva la tentazione di pensare che lo avesse fatto per mike, perché non voleva che dovesse vederlo così, ma la verità era che quel bastardo egoista si era buttato davanti a lui, e l'aveva lasciato solo... probabilmente voleva solo essere sicuro di crepare e basta, e della bara non gliene fregava niente. mike l'aveva fissata per un paio di secondi, prima di girarsi e tornare al suo posto strascicando i piedi, poi si era seduto e non si era più mosso. era solo rimasto fermo a tremare e a guardare fisso davanti a sé fino a quel momento.
joe provò di nuovo a scuoterlo gentilmente, ma non ottenne granché. soltanto uno sguardo vuoto e un sospiro stanco. ancora non piangeva. si erano messi in fondo, in un angolino, in modo che potesse sfogarsi in santa pace, ma lui non sembrava aver voglia di farlo. non in mezzo a tutta quella gente almeno, anche se in realtà non c'era molta gente. non c'era praticamente nessuno. c'erano loro. c'erano i genitori di mike assieme a jay, che se ne stavano seduti tranquilli nei loro posti davanti e sembravano beatamente ignari di quello che mike stava passando. c'era anna hillinger, e sembrava triste, ma non poi così tanto. c'erano il padre di chester e un ragazzo e un paio di ragazze che dovevano essere i suoi fratelli maggiori. c'erano alcuni ragazzi che joe ricordava di aver visto a scuola e due o tre professori che probabilmente stavano mettendo in dubbio le loro scelte di vita e si stavano chiedendo come diavolo fosse passato loro per la testa di perdere una mattina al funerale di uno degli studenti peggiori che avessero mai avuto in tutta la loro carriera di insegnanti depressi e caffeinomani. c'erano un terzetto di ragazzi che avevano tutta l'aria di essere spacciatori. c'era elka, che se ne stava avvolta in uno scialle di lana nera, nascosta in un angolino assieme a jared e a shannon leto. e in fine c'era un ragazzo con i capelli tinti di rosso e un giubbotto blu, mano nella mano con un altro ragazzo basso e pieno di tatuaggi, come se se ne fregassero altamente del fatto che erano in un cimitero e che c'era un prete dall'aria piuttosto bigotta che li fissava da ore come se avesse voluto scomunicarli. non c'era quasi nessuno, ma mike sembrava comunque non voler reagire a niente.
-mike.- provò –mickey avanti, rispondimi.-
-è tutto sbagliato.- mormorò mike.
nemmeno si mosse, non si girò nemmeno per guardarlo. rimase fermo a tremare, e a guardare avanti, anche se davanti a lui non c'era niente.
-non dire così, mickey, va tutto bene: sei stato bravissimo.- lo rassicurò brad.
dave era seduto fra lui e rob. dalla notte del 24 quei due avevano evitato di starsi troppo vicini quando c'era mike.
-no invece, brad. ho solo fatto il morto per due ore, e per quei dieci minuti in cui sono stato vivo l'unica cosa che ho detto che non fosse una cazzata è che sono stato un idiota. ho detto un mucchio di balle al funerale del mio ragazzo... mi sento uno schifo.-
la sua voce era così rauca che non sembrava neanche la sua... aveva pianto decisamente troppo negli ultimi tempi, e tra l'altro sembrava che facesse fatica a respirare. Forse si stava prendendo un raffreddore.
-non è vero, mickey: é vero che stai malissimo, hai solo cambiato un po' il motivo. diciamo che hai detto un mucchio di mezze verità.- disse dolcemente rob accarezzandogli appena il braccio.
-ma una mezza verità è una bugia intera.-
-andiamo mike, non è il momento per queste sottigliezze: sei stato bravo.- bofonchiò dave. non era mai stato bravo a rassicurare, ma in qualche modo joe apprezzava il fatto che ci stesse almeno provando.
-é tutto sbagliato.- ripeté mike continuando a fissare il vuoto.
-certo che è sbagliato, mickey, ma ormai non possiamo farci niente...-
-no, non quello... cioè anche, ma non solo quello. è tutto quanto sbagliato. tutto quanto.- borbottò –è il funerale di chester, e non posso neanche dirgli addio come si deve, perchè se queste persone sapessero chi era veramente lo odierebbero anche di più di quanto non facciano già. non so spiegarvelo, ma sono andato là davanti giurando a me stesso che avrei detto tutta la verità e che l'avrei salutato come dio comanda, e invece quando ho avuto il microfono in mano e ho visto tutti quanti che mi fissavano ho capitolo che non potevo. gente sbagliata, momento sbagliato e posto sbagliato e... non voglio che tutti quanti se lo ricordino solo come il frocio sfigato che si é suicidato a diciotto anni, perché non se lo meriterebbe.-
fissava il niente, tremava, e parlava piano, in tono piatto, come se non sentisse niente. joe trovò assurdo che dopo tutto stesse ancora cercando di proteggere chester, ma non disse niente.
-avevo deciso che avrei parlato di noi, di quello che avevamo. di quella volta che non ci siamo parlati per giorni, perché le cose non andavano per il verso giusto e di come mi sia sentito come un giocattolo mollato per terra. quella volta mi sentivo esattamente come adesso: come se il tempo si fosse fermato e io fossi rimasto bloccato tra due cose diverse, senza la possibilità di tornare a prima e senza la capacità di accettare quello che era successo. volevo parlare del fatto che non riesco neanche più ad aspettare che venga domani perché spero ogni volta di svegliarmi e rendermi conto che mi sono sognato tutto. invece ho fatto finta di niente, come se tutto quello che c'é stato non fosse mai successo. come se il passato non fosse reale, anche se in realtà sono incastrato in mezzo ai ricordi. ho detto un mare di balle, perché la verità non la posso dire. per questa gente la verità è sbagliata, quindi l'unica cosa che posso fare è sparare cazzate e fare il morto.-
nessuno disse niente, ma joe gli posò una mano sulla spalla e strinse appena. "povero il mio piccolo mickey..."
-e comunque... mi sento un schifo a chiedervelo, ma potreste smetterla di chiamarmi mickey?-
[Mike]
Mike aveva detto la verità, sul fatto che avrebbe di gran lunga preferito essere al suo, di funerale, piuttosto che a quello di Chester: non si era mai sentito peggio in vita sua... non che avesse avuto molte occasioni per sentirsi male, prima, ma in quelle due ore c'erano stati momenti in cui avrebbe decisamente preferito essere morto anche lui. Era come essere pugnalato continuamente da una lama invisibile, e ogni volta faceva più male, ma non si moriva mai. E tra l'altro, doveva anche fare finta di stare relativamente bene, perché chissenefrega se lo aveva visto buttarsi da quel maledetto cavalcavia con i suoi stessi occhi: era soltanto un suo amico, per tutti gli altri, e quindi non aveva alcun diritto di sembrare sconvolto.
Nessuno badava a lui in realtà, a parte Joe e gli altri della band. Nessuno badava a nulla se proprio si doveva dirla tutta: quella gente era lì tanto perché doveva esserci, e gli sembrava di essere l'unico a stare male per davvero. E con male, intendeva male sul serio: faceva fatica a respirare, come se avesse avuto un vuoto al posto dei polmoni, si sentiva annegare e non riusciva a smettere di sentirsi come se stesse cadendo.
Chester se n'era andato, Gesù, se n'era andato per sempre, e non sarebbe tornato, nemmeno per lui. Perché doveva fare così fottutamente male? Perché doveva sentirsi come se l'avesse tirato sotto un autobus? Si sforzò di non pensarci: il funerale era praticamente finito oramai, poi sarebbe stato libero di uscire da quel maledettissimo cimitero, andarsene a casa a piangere sotto le coperte e non alzarsi mai più... ma prima c'era una cosa che doveva fare.
All'improvviso tutto divenne abbracci, lacrime che sembravano venire giù come fiumi dalle faccie di tutti, ma non dalla sua, strette di mano e condoglianze. Condoglianze che la gente andava a fare alla famiglia di Chester, senza guardare lui nemmeno per sbaglio.
Fu facile sparire, in mezzo a tutto quel disastro di gente che si fingeva disperata: bastò dire a Joe che doveva andare in bagno e poi uscire dal cimitero in fretta e furia e buttarsi sul primo autobus che andava nel suo quartiere. Era davanti alle cancellate del Linkoln Park dopo nemmeno un quarto d'ora.
Il cielo era grigio, il muro era bagnato e l'edera ricopriva il lato a destra del cancello arrugginito sembrava più verde del solito. Mike chiuse gli occhi e riempì i polmoni di aria che sapeva di pioggia e marijuana, cencando di convincere se stesso a entrare in quel maledetto parco e farla finita. Quando riaprì gli occhi il Linkoln Park graffitato a sinistra del cancello sembrava guardarlo male, come se gli stesse dicendo di smetterla di cincischiare e di muovere il culo. Scosse la testa e oltrepassò la cancellata camminando in un modo che nelle intenzioni doveva essere deciso, e invece sembrava lo zampettare di un pulcino bagnato, e attraversò il parco cercando di non badare a niente: ignorò le piante, ignorò le siringhe e i preservativi usati abbandonati qua e là tra le foglie marce che ricoprivano il terreno e ignorò persino le altalene, che dondolavano tristemente nel vento pigro che si stava alzando proprio in quel momento. Si diresse verso l'estremo a sinistra del fottuto Muro del Pianto, facendo del suo meglio per non guardare il Soldier che campeggiava nell'angolo a destra. La Nuvola sembrava stranamente asciutta, come la prima volta che l'aveva notata, solo che adesso la vedeva in un modo completamente diverso: si stava chiedendo se fosse asciutta perché nessuno di quelli che ci avevano scritto sopra un nome aveva pianto, come si era ripromesso di non fare neppure lui.
Sfiorò con le dita l'intonaco ammuffito e scrostato, ricoperto di segni di indelebile scuro che formavano lettere e numeri che lui non riusciva a leggere. Sembrava tutto così senza senso...
-Hey Chazy...- borbottò al nulla –Non so se mi senti. Probabilmente no, e io sono solo un coglione che sta parlando al vuoto come fanno i matti.-
Si appoggiò con la schiena al muro e si lasciò scivolare contro il cemento, fregandosene della camicia che si impigliava nelle schegge di intonaco e nei pezzi di ferro arrugginito che spuntavano dalla parete. Si sedette a terra e si guardò attorno, con un quasi sorriso amaro che gli spuntava in viso, mentre le lacrime pungevano contro le sue palpebre.
-Sai, sono appena stato al tuo funerale, e lasciatelo dire: è stato uno schifo. E poi, alla maggior parte della gente che c'era non fregava un cazzo di te. Era come se non fosse neanche il tuo... tu eri lì, ma eri così distante... ti sento più vicino persino adesso.-
Si strofinò una manica contro gli occhi, cercando di impedirsi piangere mentre sentiva la sua stessa voce tradirlo e andare in mille pezzi.
-Mi sento così idiota... era da tutto il giorno che ti comportavi in modo strano: ce l'avevi scritto in faccia che qualcosa non andava e lo vedo così bene adesso... persino quando chiudo gli occhi. Tu e la tua mania del cazzo di tenerti sempre tutto dentro...- borbottò.
Le parole gli grattavano l'interno della gola, come se si aggrappassero alla pelle e tentassero in tutti in modi di non uscire, e i polmoni gli bruciavano e non...
-Hey!-
Alzò gli occhi di scatto, chiedendosi vagamente se fosse impazzito del tutto o se davvero qualcuno avesse urlato.
-Hey!- ripeté qualcuno mentre un tipo sulla trentina camminava verso di lui.
Aveva un'aria stranamente familiare ed era vestito piuttosto bene, ma non sembrava gli fregasse qualcosa del fatto che il parco cadesse a pezzi, o che ci fosse siringe da eroina sparse ovunque.
Mike si alzò un po' a fatica, e cercò di ricacciare giù il nodo che aveva in gola mentre si spazzava via le foglie dalle gambe.
-Ce l'hai con me?- chiese esitante, provando con tutto se stesso a non farsi tremare la voce più si tanto.
-Sei Mike? Mike Shinoda?-
Lasciò perdere i pezzettini di foglie e le macchie di terra sui suoi pantaloni e alzò gli occhi, mentre una minima parte di lui si chiedeva come diavolo facesse quel tipo a conoscere il suo nome: magari era un maniaco, o un serial killer, o qualcosa del genere. Non che gli interessasse, a quel punto. Tanto le cose avevano smesso di avere senso da un po'.
Annuì appena, tirando su con il naso.
-Io mi chiamo Brian Bennington, sono il fratello di Chester.- disse il tipo.
Rimase zitto per un attimo, come se si aspettasse una risposta, ma Mike non disse niente. Continuò solo a guardarlo quasi in coma, cercando svogliatamente di capire cosa diavolo volesse da lui, o perché dovesse per forza infliggergli la sua presenza: non voleva mai più vedere un Bennington in vita sua, dannazione, mai più. O meglio, ce n'era uno che avrebbe rivisto molto volentieri... ma l'universo purtroppo non funzionava così.
-Già, lo so: non gli assomiglio molto...- borbottò Brian, che probabilmente aveva frainteso il suo sguardo –Non gli assomiglio un cazzo, a dire il vero... comunque... niente: volevo dirti che quello che hai detto prima è stato molto bello, e... l'altro ieri le mie sorelle e io abbiamo svuotato la sua camera e abbiamo trovato questa nel doppiofondo del cassetto del suo comodino.-
Frugò per un paio di secondi nella tasca interna della giacca di pelle che portava e ne tirò fuori una busta giallognola, gonfia e stropicciata con un Mickey scarabocchiato a penna sul davanti.
-Mi aveva parlato di te al telefono, sai, dunque ho immaginato che Mickey fossi tu.- aggiunse porgendogliela –Avrei voluto fartela avere prima, ma non sapevo dove abitavi, e ammetto che quando non ti ho più visto al cimitero sono andato un po' in panico... ma poi quel tuo amico mi ha detto che molto probabilmente eri qui, e infatti...-
Brian sorrideva, ma Mike sentiva che non stava bene: forse in fondo qualcun altro a cui interessava di Chester c'era stato, a quel maledetto funerale.
Afferrò la busta e se la mise in tasca, sforzandosi di non farsi salire le lacrime. Gesù, persino una lettera. Gli aveva scritto una cazzo di lettera d'addio, e lui comunque non si era accorto di niente.
-Grazie...- gracchiò abbassando lo sguardo.
-No, grazie a te...- bofonchiò Brian.
Sembrava alquanto imbarazzato, ma sincero.
-Grazie per tutto quello che hai fatto per lui... Chester... be', era una vita che non lo sentivo così felice.-
Mike deglutì, mordendosi a sangue la lingua, ma annuì piano, stringendo gli occhi per non piangere.
Brian gli strinse una spalla e gli mormorò uno Stammi bene, poi lo lasció andare e si incamminò verso l'uscita del parco.
Mike sospirò, di nuovo da solo e avvolto in una luce grigia e in un silenzio irreale. Poi scosse la testa, tirò fuori un pennarello indelebile da una tasca e si avvicinò al muro, mordendosi le labbra per impedire alle lacrime di scendere.
Chester C. Bennington
06/24
Even if you're not with me
I'm with you
ANGOLINO NERO PER UN'ANIMA NERA
Be'... salve a tutti gente, e ben trovati al capitolo 22 di Like Rain At Midnight... che per inciso è anche il penultimo, se non contiamo epilogo e contenuti speciali... Dio, non so a voi ma a me il pensiero di essere quasi arrivata alla fine di questa ff fa un'impressione assurda.
Dunque, la canzone è With You, e il capitolo è uno di quelli che ho scritto prima di arrivarci con il resto della storia e che poi ho dovuto rivoluzionare perché nel frattempo che ci arrivavo avevo cambiato cose. Per farla breve, questo capitolo nasce durante un viaggio in pullman di quindici ore (cosa non si fa per fare contenti i genitori...) dell'Agosto 2015, quando, se tutto va bene, con la linea generale della storia ero arrivata più o meno a Papercut... giusto perché a me piace complicarmi la vita e scrivere i finali prima di tutto il resto... vabbe', tutto questo sclero per dire che, in sostanza, sono felice di come nell'ultimo anno e mezzo si è evoluto questo capitolo. Perché la versione originale era un vero schifo. Fino all'ultimo sono stata indecisa se aggiungere una scena in più all'inizio, ma alla fine ho deciso di non farlo... anche perché eravamo già a 5k e se no poi vi ci addormentate sopra. Però potrebbe passarmi per la testa di fare una raccolta di scene tagliate, prima o poi.
La canzone è spezzettata all'interno dei discorsi di Mike e... niente, credo di aver finito le cazzate da dire.
Come al solito ci si legge il 17, con affetto,
Cursed_Soldier
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