Capitolo 21~Leave Out All The Restl
Ok... ciao... allora. Vi do un paio di consigli: cercate di mettervi tranquilli, e di prendervi il vostro tempo per leggere questo capitolo... anche perché è esageratamente lungo. Si aggira attorno alle 9863 parole, quindi seriamente, prendetevela con calma, e... be', ci vediamo giù. Se ci arrivate giù. E se avrete ancora voglia di leggere qualcos'altro.
[Mike]
Se c'era un giorno di scuola che Mike Shinoda odiava più del primo, quello era l'ultimo. Non fraintendete: non era così perché era il tipo di nerd che viveva per i libri e che sentiva il bisogno patologico di perdere un numero spropositato di ore al giorno per un'istruzione meticolosa che, detto francamente, probabilmente nella vita non gli sarebbe servita a un emerito ca... volo, perché avrebbe passato i suoi anni prima di giovane adulto e poi di adulto disagiato con la mezza età precoce a giocare ai videogame arcade nel seminterrato della madre, rigorosamente vedova, con la testa piena di bigodini e convinta che la partita a Bridge con le amiche del Sabato sera fosse lo sballo della propria esistenza. No, lui non era quel tipo di persona.
Il problema tra lui e gli ultimi giorni di scuola aveva le sue radici in un anno scolastico di eoni prima, quando un piccolo Mike con gli occhioni e un maglioncino azzurro ancora andava alle elementari e pensava che la scuola fosse fantastica e che le spelling bee fossero la cosa più imbarazzante del pianeta, anche se oggettivamente era abbastanza bravo nello spelling... però questa è un'altra storia... cioè, sono altre storie sia le spelling bee sia il motivo per cui Mike odiava gli ultimi giorni di scuola.
L'unica cosa che vi interesserà davvero sapere, è che anche se aveva ormai da tempo superato il trauma infantile che aveva subito quando ancora portava i maglioncini azzurri e pensava che le spelling bee fossero la cosa più imbarazzante del pianeta, il suo odio per l'ultimo giorno persisteva... e Gesù: in fondo perché non avrebbe dovuto odiarlo? C'era sempre un casino tremendo negli ultimi giorni all'Inferno, e tutti lo salutavano come se fosse l'ultima maledetta volta che si vedevano, anche se avrebbero passato l'estate a due strade di distanza l'uno dall'altro e, alla peggio, si sarebbero rivisti dopo due mesi... oppure tutti quei cori che scoppiavano nei corridoi: quelli sì che lo facevano ammattire. Da una parte il suo lato da musicista urlava alla blasfemia per le stecche madornali che prendevano i suoi compagni una nota sì e l'altra anche, e dall'altro il suo cervello si lamentava di avere mal di testa e di volere una vacanza. Il suo cervello. Che cavolo poteva farci Mike con un cervello che aveva il mal di testa? E poi c'era quella cosa, quella cosa tremenda che capitava sempre prima delle vacanze, ma che per quelle estive era ventimila volte peggio: la fibrillazione. La parola Libertà! che gli rimbalzava dentro il cervello come un fulmine chiuso dentro una bolla e non lo lasciava fare pensieri sensati, ma lo faceva rimuginare su cose come cervelli con il mal di testa, o come spelling bee fatte quando era piccolo, il che era assurdo, perché di solito faceva di tutto per non pensarci, alle spelling bee.
Insomma, per queste ed altre motivazioni, quando quel 23 di Giugno Mike Shinoda salì sull'autobus per tornare a casa, sentì un peso scendergli dalle spalle: la guerra era finita, e lui ne era uscito vivo anche quell'anno.
Andò a sedersi a quello che ormai era diventato il suo solito posto e che Joe gli aveva così gentilmente tenuto... gentilmente, o magari con l'intento malefico di fregargli il telefono e leggere tutti i messaggi che lui e Chester si erano scritti nelle ultime ore come se fossero l'ultimo capitolo di una delle sue fanfiction... perché, sì: Mike aveva scoperto che Joe non solo si faceva filmini a go go, ma scriveva anche fanfiction che lui aveva troppa paura per leggere. Comunque, ormai aveva smesso di preoccuparsene: in fondo a quel punto cosa cambiava?
Il suo cellulare si mise a vibrare come se avesse capito che stava pensando a lui, e per poco non prese un colpo... perché diamine: quando cavolo lo aveva acceso?
3.07 p.m.
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E, altra domanda: Chester quando cavolo l'aveva trovato il tempo di mandargli diciassette dannati messaggi?
Sentì la risata di Joe coprire il casino che c'era attorno a loro, e senza nemmeno dargli il tempo di respirare una specie di maglio... o di mano asiatica... gli calò sulla spalla, frantumando le sue povere ossa senza pietà.
-Che fai Mickey, non leggi i messaggi del tuo ragazzo?- esplose la sua voce spaventosamente bassa.
Seriamente, Joe era alto un metro e un tappo: come diavolo poteva avere una voce così bassa? Corde vocali più corde non implicavano voci più alte? Ba'... meglio non farsi troppe domande. Non su Joe Hahn... che poi, in effetti le corde vocali non erano nemmeno corde vere, quindi era inutile parlare di lunghezza...
-Urlalo un po' più forte...- sbuffò -Credo che giù in Arizona non ti abbiano sentito.-
-Rilassati, Mickey: con questo casino se ci fosse un concerto degli Zona del Disastro* accanto all'autista, qui in fondo non lo sentiremmo. Chi vuoi che mi caghi?-
-Zona del Disastro? Gesù, sei sempre stato così nerd o sei peggiorato ultimamente?-
-Non lo so, probabilmente entrambe. Ora sbrigati a sbloccare quel dannato telefono: sto morendo di curiosità.-
Mike scosse la testa fra sé e sé, pensando che sì, il suo migliore amico era decisamente malato.
Sbloccò il telefono il più lentamente possibile, giusto per fargli un dispetto, e decise che, tanto per allungare il brodo, avrebbe letto prima il messaggio di sua madre.
From: Mamma
Buon ultimo giorno di scuola, tesoro! Io e papà saremo in giro fino a Lunedì prossimo temo (problemi in Illinois...). Tieni d'occhio Jay e non farlo uscire la sera: gira tanta brutta gente. Ti voglio bene 😘
-Andiamo Mike, levami questa merda da davanti agli occhi: voglio i messaggi del cretino.- sbottò Joe -Datti una mossa, dannazione.-
-Hey, datti una calmata, cazzo: stai parlando di mia madre e del mio ragazzo, vorrei ricordarti.-
-È così carino quando dice che è il suo ragazzo...- si intromise Brad dal sedile dietro con un'espressione sognante stampata in faccia.
-Gesù, Brad: ci credevo in te.-
-Ma piantala Mike: siete carinissimi assieme.- sbottò Rob.
-Siete talmente dolci che quando vi vedo mi sale il vomito.- ammise Dave.
Gesù, persino Dave.
-Sì, be', non fraintendetemi: adoro sentire come diciate implicitamente tutti che ho avuto ragione fin dall'inizio, ma adesso voglio vedere quei dannati messaggi.- sbottò Joe.
-Santo Cielo...-
Mike sbuffò mentre apriva la chat con Chester.
-E comunque non siamo dolci.- bofonchiò mentre cominciava a leggere.
From: Chazy :)
Buongiorno.
From: Chazy :)
Seriamente Mickey?
Non guardi il telefono a lezione?
Cazzo, sei davvero un bravo ragazzo.
From: Chazy :)
Lo sai, l'algebra è la cosa peggiore di questo fottuto mondo.
Dopo i Lunedì mattina.
Forse.
Guarda il tuo cazzo di telefono, così poi magari mi rispondi.
From: Chazy :)
Rispondi.
Ti prego.
Ci sto facendo le ragnatele su questo dannato banco, cazzo.
From: Chazy :)
Rispondi, o giuro che stasera non porto la torta.
Non sto scherzando.
Farete una dannatissima festa di fine anno senza neanche una fottutissima briciola.
From: Chazy :)
Accendi 'sto cazzo di telefono prima che mi salga il crimine.
From: Chazy :)
Ok, ammetto che forse economia è peggio dell'algebra.
Se fossi morto mi sentirei più vivo.
From: Chazy :)
Credo di non essermi mai annoiato così tanto in vita mia.
Mi sta venendo voglia di tagliarmi le vene un'altra volta, cazzo.
From: Chazy :)
Ok, battuta di merda.
Me ne sono accorto solo dopo...
Spero che tu non la legga...
From: Chazy :)
Sono piuttosto sicuro che il mio fottuto prof di psicologia sia un alieno mandato in missione per uccidermi.
E prima che ti venga in mente anche solo di pensarlo: no, non sono un cazzo di paranoico.
Sono solo in astinenza da nicotina.
E da Mike.
Cristo, sto diventando dannatamente sdolcinato.
Mi faccio schifo da solo.
-No, Mike. Non siete dolci. Come ti viene in mente?-
-Sta' zitto Joe.-
From: Chazy :)
Mi sto fottutamente annoiando, Mike.
Non vedo l'ora che questa giornata di merda finisca.
O magari no.
C'é un che di nostalgico negli ultimi giorni di scuola, non credi?
Nostalgico... è dannatamente strana come parola.
Perché sto scrivendo tutte queste cazzate?
Forse perché so che non stai leggendo.
From: Chazy :)
Ho fame.
Ti prego, dimmi che accendi il telefono almeno a pranzo.
Non voglio starci con un cretino che tiene il telefono spento a scuola.
From: Chazy :)
Scherzavo.
Ora ti prego, guarda quel fottuto telefono.
No, non guardare me, cazzo.
Siamo a scuola: non guardarmi.
Non voglio che una banda di figli di puttana ti rovini la vita.
Ok. Adesso giuro che la smetto, ma tu guarda il tuo cazzo di telefono.
From: Chazy :)
Basta, mi sono rotto il cazzo di scriverti a vuoto.
Buona giornata.
From: Chazy :)
Dai, rispondi...
No, avevo detto che la smettevo e adesso la smetto...
From: Chazy :)
Cristo.
Ho scritto una marea di cazzate.
From: Chazy :)
Ti voglio bene.
Mike sorrise inconsciamente, mentre scorreva i messaggi, e si sentì vagamente in colpa per non aver mai accesso il telefono per tutto il giorno: da quando in qua, poi, lo teneva spento? Cioè, a parte quando si dimenticava di metterlo in carica... oh... giusto.
To: Chazy :)
Scusa, stanotte ho dimenticato di mettere il telefono in carica e ho dovuto tenerlo spento per far arrivare la batteria a fine giornata.
La torta la porti stasera, vero?
-Sei serio, Mike?- sbottò Joe -Ma che cazzo di problemi hai? Gli rispondi dopo ore e dopo che ti ha scritto una marea di cose dolcissime e gli chiedi se stasera porta la torta? Dammi quel maledetto telefono, Shinoda.-
Prima ancora che Mike potesse reagire, Joe si allungò con uno scatto fulmineo verso la sua parte del sedile, schiacciandogli la spalla gli aveva già frantumato e strappandogli letteralmente il cellulare dalle mani. Come cavolo facesse a essere così agile, Mike non l'aveva mai capito.
To: Chazy :)
Ti amo da morire e voglio scoparti.
Si sentì salire la furia omicida, mentre si imponeva di non essere eccessivamente violento: ma perché doveva avere un amico così cretino?
-Joe, che cazzo hai scritto?- tuonò riprendendosi il telefono.
Chester aveva già risposto.
From: Chazy :)
Joe, sono lusingato (e fottutamente traumatizzato).
Ma a letto con te non ci verrei neanche se mi pagassi.
Neanche morto.
Mike lo amò sul serio, per un secondo o due, e quella cosa un po' lo spaventò: amare era un verbo un po' drastico, e poi a lui i verbi regolari non erano mai piaciuti.
Quelli irregolari avevano suoni molto più poetici: dimenticare, abbandonare, scrivere, sognare, disegnare, bruciare, iniziare, cadere... Gesù, quelli sì che erano verbi: altro che amare... ed ecco che tornavano fuori i suoi ragionamenti idioti sulle spelling bee e i cervelli con il mal di testa, e ora a quanto pareva anche sul suono dei verbi. Gesù, non vedeva l'ora di essere in vacanza.
To: Chazy :)
Come facevi a sapere che era Joe?
From: Chazy :)
Tu diventi rosso anche solo a sentirlo nominare, il sesso.
Figurati se puoi scrivere una cosa del genere in mezzo a un fottuto autobus pieno di gente.
E comunque non credo tu sia il tipo di idiota che dice ti amo per messaggio.
Sorrise di nuovo. Già, non lo avrebbe mai detto per messaggio: toglieva tutta la poesia, e per quanto tentasse di negarlo anche a se stesso, a lui le cose poetiche e un po' teatrali piacevano.
To: Chazy :)
Però la torta la porti, vero?
From: Chazy :)
Scordatelo Mickey.
Eri stato avvisato e pagherai per il tuo fottuto affronto.
To:Chazy :)
Per favore Chazy, mi fai la torta per questa sera anche se sono uno stronzo e ti ho involontariamente ignorato tutto il giorno? <3 xxx
From: Chazy :)
Dipende: cosa mi dai in cambio?
Mike si fermò un attimo a pensare, facendo del proprio meglio per ignorare Joe che suggeriva cose come il mio cazzo o il mio amore fino alla fine del mondo.
To: Chazy :)
La mia... eterna gratitudine?
From: Chazy :)
Ringrazia il tuo dio che mi stai simpatico, Shinoda.
A parte gli scherzi, come è andata oggi?
To: Chazy :)
Una noia mortale, ma a quanto pare sono ancora vivo.
Ci vediamo oggi pomeriggio?
From: Chazy :)
Non posso.
Devo fare la tua fottuta torta.
-A quello non ci avevi pensato, eh Mickey?-
-Chiudi quella fogna, Joe. Lascialo in pace.-
-Bravo Bradford, fai finta di non starti divertendo almeno quanto me.-
To: Chazy :)
Vengo da te e ti do una mano :)
From: Chazy :)
Se vuoi venire vieni.
Ma tieni le tue sporche mani lontane dalla mia fottuta cucina.
To: Chazy :)
Ok. Ci vediamo tra un'oretta da te?
From: Chazy :)
Andata.
[***]
Mike bussò di nuovo alla porta di casa Bennington, poi imprecò e si sfregò le mani sulle braccia, cercando disperatamente di scaldarsi.
23 Giugno. Erano le quattro del pomeriggio del 23 Giugno e si stava gelando il culo: Gesù, sembrava più Febbraio che Giugno.
Pioveva forte, le previsioni dicevano che avrebbe continuato per tutta la notte e lui voleva soltanto che Chester si sbrigasse ad aprirgli quella dannata porta, prima che gli venisse la broncopeste fulminante.
-Dannazione Chaz...- biascicò cercando di non battere i denti e di stringersi di più l'impermeabile addosso.
Mentre iniziava a considerare l'idea di girarsi e tornare a casa, cominciò a sentire trambusto provenire dall'interno assieme a una serie di imprecazioni soffocate e percepì un sorriso affiorargli sul viso: Chester non si smentiva mai.
Lo sentì trafficare con la serratura, poi la porta si aprì e lui apparve sulla soglia stropicciandosi gli occhi come un bambino troppo alto e troppo magro.
-Hey...- bofonchiò -spero che tu non sia qui da tanto. Mi ero addormentato sul divano. Ti ho sentito solo adesso.-
Era a petto nudo, senza occhiali e con i capelli tutti in disordine ed era... splendido. In realtà Mike odiava quella parola, ma in quel momento non ce n'era un altra che descrivesse tutto il ben di Dio che aveva davanti. Si bloccò un attimo a fissargli i tatuaggi: gli piaceva guardarli... Shade era strana, ma era maledettamente brava a fare il suo lavoro e i tatuaggi di Chester erano vere e proprie opere d'arte. Poi si riscosse e lo spinse in casa.
-Muoviti, stupido: ti prenderai un accidente. Si gela qui fuori.- sbuffò mentre si chiudeva la porta alle spalle.
-Cazzo, odio quando fai la mamma chioccia.- sbottò Chester.
-No, non è vero.-
-Ok...- borbottò -Non è vero.-
Mike lo seguì con lo sguardo mentre attraversava il salotto, cercando di non inciampare sulle bottiglie e le lattine vuote che suo padre abbandonava in giro di continuo. Lo guardò mentre andava a recuperare la camicia di flanella verde e nera che aveva abbandonato sul divano e se la infilava, prima di mettersi a cercare gli occhiali a tastoni, e solo quando lo vide girarsi verso di lui per cercarli per terra notò quanto sembrasse spaventosamente stanco.
-Hey, tutto bene?- chiese -Sembri stanco morto.-
Chester trovò gli occhiali e se li mise sul naso, poi cominciò ad abbottonarsi la camicia.
-Sì.- disse -Sto bene. È che non ho dormito bene stanotte. Continuavo a fare un sogno dannatamente strano.-
Mike restò a fissarlo mentre i bottoni entravano nelle loro asole e a poco a poco la sua pelle spariva: sembrava quasi assente, e le sue dita tremavano. Gli si avvicinò con calma, per non spaventarlo, e con delicatezza prese le sue mani pallide tra le proprie e lo aiutò a chiudere gli ultimi due bottoni.
-Grazie.- bofonchiò Chester arrossendo appena.
Mike lo guardò negli occhi e gli diede un bacio leggero sulla fronte.
-Di niente.- disse -Sei sicuro di stare bene?-
Cercò il suo guardo, ma Chester gli dava l'impressione di evitarlo apposta. Nascondeva qualcosa... o forse quel sogno era stato davvero tremendo.
-Sì.- sussurrò -Era solo un sogno del cazzo. Sono solo stanco.-
-Vuoi parlarne?-
Per dirla tutta, si pentì subito di quella domanda: Gesù, Chester non era il tipo di persona che si sedeva su un divano sfondato a parlare con qualcuno di sogni orribili.
Non si sarebbe mai aspettato che lo facesse, semplice.
-No...- rispose infatti accennando un mezzo sorriso -Magari dopo. Adesso facciamo quella maledetta torta.-
-Non dovevo tenere le mie sporche mani lontane dalla tua fottuta cucina?-
-Muovi il culo e basta, Shinoda.-
Mike lo segui in cucina, ma appena ebbero varcato la soglia sentì una specie di tonfo provenire da sopra le loro teste.
-Cos'é stato?- domandò a bassa voce alzando la testa verso l'alto.
-Niente...- borbottò Chester mentre apriva il frigo e ci infilava la testa dentro -Solo quel cazzone di mio padre che è caduto dal letto, probabilmente. È sbronzo e non dovrebbe svegliarsi, ma se scende tu ti sei scordato le chiavi e i tuoi non erano a casa.-
-Ok...-
Mike si guardò attorno. Era stato altre volte a casa Bennington, ma non si era mai veramente fermato ad analizzare l'ambiente, anche perché di solito se non pioveva passavano tutto il tempo sotto il salice nel giardino posteriore.
La casa in sé era un disastro: era vecchia, scricchiolante e al primo piano, quando il tempo era brutto, ovvero praticamente sempre, pioveva dentro. Il salotto era sporco e in disordine, e sapeva per esperienza che era così anche tutto il resto a parte tre stanze: la cucina, il bagno di sopra e la camera di Chester, che probabilmente poi era più in disordine del resto della casa, ma almeno era pulita.
La cucina, in particolare, era tenuta come un tempio: i pannelli di legno dei pensili erano così lucidi che ci si poteva specchiare, il fornello era sempre pulito e ogni singola cosa aveva un suo posto. Chester aveva una tale mania per quella cucina che aveva persino un ordine con cui disfare la lavastoviglie: prima i piatti fondi, poi quelli lisci, poi le forchette, poi i coltelli, poi i bicchieri, poi i cucchiai e per ultime tazze e scodelle.
-Che torta facciamo?-
-Io faccio una torta alla cioccolata. Tu guardi e non mi rompi le palle.-
Chester riemerse dal frigo con latte, uova e burro e dispose tutto sul tavolo, mentre Mike gli girava attorno imbronciato.
-Dai- sbuffò -Non sono poi così disastroso.-
-No, Mike. Non sei disastroso, sei dannatamente apocalittico.- gli rispose mentre si chinava per prendere una ciotola dall'armadietto più basso.
-Non è vero...- si lamentò Mike.
-L'ultima volta che ti ho chiesto di mescolarmi la pastella dei pancakes poi ci ho messo due fottute ore a toglierti i grumi di farina e uova dai capelli. Due. Fottute. Ore. E ho detto tutto.-
-Ok, ok. Mi arrendo, tu cucini e io ti guardo.- sbuffò sconfitto mentre si sedeva sul tavolo accanto agli ingredienti e agli aggeggi che Chester ci stava ammucchiando sopra -Mi dispiace di non averti risposto stamattina, ma avevo il telefono in riserva...-
-Lo so: ho letto. Non ti preoccupare. In fondo la noia, per quanto sia una rottura di coglioni, non ha mai ucciso nessuno.-
Chester si arrotolò le maniche della camicia fino al gomito e cominciò a rompere le uova sul bordo della ciotola.
-Comunque io continuo a credere che il mio prof di psicologia stesse progettando il mio omicidio.- aggiunse.
-Perché queste convinzioni?-
-Continuava a guardarmi come se gli avessi ammazzato il cane. Ti sembro uno che va in giro ad ammazzare cani, per caso?-
Misurò latte e farina e li versò nella ciotola, poi cominciò a mischiare con una tale energia che sembrava che odiasse qualunque cosa ci fosse dentro.
Le sfumature blu e arancioni delle fiamme sui suoi polsi sembravano quasi muoversi mentre mescolava e Mike rimase incantato a guardarle per qualche secondo prima di rendersi conto che magari, ma soltanto magari, avrebbe anche dovuto rispondere. Gesù, si incantava troppo spesso ultimamente.
-No, tu adori i cani.-
-Appunto! E quello stronzo continuava a guardarmi male.-
-I professori sono tutti un po' strani, Chazy...-
Chester smise di mescolare e aggiunse il cacao in polvere, lo zucchero e il lievito.
-Perché non metti dentro tutto insieme e non mescoli una volta sola?- chiese Mike mentre afferrava un sacchetto di mini marshmallows e cominciava a leggere la lista degli ingredienti. Orrore.
-Perché non riesco a mescolare bene se c'é troppa roba nella ciotola. E perché ho le mie fottute manie e ogni tanto devo sfogarle su qualche cazzata come l'ordine con cui faccio le cose.- spiegò Chester -Ora dammi quei maledetti marshmellows.-
-Metti i marshmallows nell'impasto della torta alla cioccolata?-
Gli passò il sacchetto e lui lo aprì con un coltellino a serra manico che prima quasi sicuramente non aveva in mano, poi versò i marshmallows nella futura torta alla cioccolata e riprese a mescolare.
-É una specie di ricetta segreta.- borbottò.
Levò il mestolo dalla ciotola e lo passò a Mike.
-Dimmi se c'é abbastanza zucchero.-
Mike rimase a fissare quell'enorme cucchiaio di legno per un paio di secondi, poi raccolse con un dito un po' della futura torta che ci era rimasta sopra e assaggiò.
-Sì, è a posto.-
-Ottimo.-
Chester imburrò lo stampo da torta e lo cosparse con il pangrattato, poi ci versò l'impasto e lo mise in forno.
-E la fottuta torta è fatta. Ricordami che dobbiamo spegnere il forno tra un'ora.- [*]
Mike annuì e saltò giù dal tavolo per aiutarlo a mettere a posto le cose che aveva tirato fuori.
-Che facciamo adesso?- chiese quando ebbero finito.
-Non ne ho la più pallida idea. Fuori che fa, piove?-
Sì avvicinò alla finestra per sbirciare fuori e la trovò lievemente appannata: Gesù, fuori doveva fare davvero un freddo cane.
-No.- rispose alla fine -Diluvia.-
-Quindi immagino tu non abbia voglia di uscire.-
-Non ci penso proprio.- sbottò -Lo so che ami la pioggia, ma non voglio morire.-
Chester si morse il labbro e scosse la testa, sorridendo appena. Il suo sorriso però aveva un che di malinconico, e Mike si chiese perché: a volte capitava che Chester avesse momenti in cui sembrava triste senza un motivo, ma non succedeva mai quando pioveva così forte... gli si avvicinò e lo abbracciò stretto, senza nemmeno pensarci.
-C'é qualcosa che non va.- sussurrò mentre passava le braccia attorno ai suoi fianchi e stringeva tra le dita la flanella della sua camicia.
-No. Sto bene.-
-Non era una domanda.-
Sentì Chester sospirare, mentre lentamente e in un modo stranamente dolce ricambiava il suo abbraccio. Non che di solito non fosse dolce con lui, ma il modo in cui si stava comportando in quel momento era strano. Maledettamente strano.
-Ok. Forse non sto proprio così tanto bene.- ammise mentre nascondeva il viso pallido nell'incavo del suo collo -Ma sto bene... é che quel sogno non era soltanto strano. Era maledettamente inquietante. E sono stanco... ho solo bisogno di dormire un po'.-
Mike salì con la destra lungo la sua schiena, sfiorandogli la colonna vertebrale con le dita da sopra la stoffa della camicia, e cominciò ad accarezzargli piano i capelli, cercando di rassicurarlo. Sembrava malinconico, ma non agitato o spaventato, come si presumeva che dovesse essere se il problema era stato sul serio un brutto sogno. Perché sembrava così malinconico, Gesù?
-Lì c'é un divano e la torta deve stare in forno un'ora.- disse piano -Puoi dormire un po' se vuoi, visto che non abbiamo niente da fare... io resto qui con te, ok?-
Chester annuì appena e si staccò da lui lentamente, avviandosi verso il divano senza mai lasciarlo andare davvero, come se non volesse lasciarlo andare.
Si sedettero entrambi e gli appoggiò la testa sulla spalla, mentre Mike gli toglieva delicatamente gli occhiali dal naso.
-Grazie.-
-Tranquillo... adesso dormi, ok?-
Chester annuì di nuovo, e Mike realizzò una cosa: aveva imprecato troppo poco, da quando era arrivato, e non aveva imprecato per niente negli ultimi cinque minuti. Gesù, normalmente Chester Charles Bennington -e sì, Mike stava ancora adorando il fatto che il suo secondo nome fosse Charles- era una delle persone più volgari che conoscesse ed era strano che non dicesse parolacce. Quasi un po' inquietante.
-Sai, io nemmeno c'ero. Nel sogno, dico.- borbottò quasi cinque minuti dopo.
Mike gli passò un braccio dietro le spalle e ricominciò ad accarezzargli piano i capelli, cercando di essere il più rassicurante possibile.
-No?- chiese.
-No. Io mi ero perso. O ero sparito non so dove, non lo so. Stanotte non era nemmeno la prima volta che lo facevo, ma non sono mai riuscito a capire perché non c'ero. So solo che vedevo tutto da fuori scena. Come se fossi stato un cameraman su un set, o una cosa del genere.-
Chester si raggomitolò meglio contro di lui e sospirò.
-L'unico che sembrava accorgersi che non c'ero, eri tu. Eri spaventato a morte e cercavi di avvisare gli altri. Di convincere qualcuno a venirmi a cercare. Ma nessuno ti ascoltava, perché a nessuno interessava.- bofonchiò -Io ero sparito e a nessuno fregava niente. Soltanto a te importava... poi hai smesso di cercarmi anche tu. Hai cominciato ad odiarmi perché me n'ero andato senza nemmeno salutare. E io continuavo a provare a dirti che non volevo farlo. Che non volevo che stessi male e che ce l'avessi con me. Che non era dipeso da me. Ma non ci riuscivo, perché non c'ero veramente.-
Mike avrebbe voluto sapere cosa dire, ma non ne aveva idea... niente sembrava giusto, davanti a una cosa del genere: sembrava poco, ma il pensiero che nessuno avrebbe pensato a lui nel caso fosse sparito lo terrorizzava... la cosa che sul serio lo preoccupava era che Chester sembrava triste, non terrorizzato.
-Ogni tanto penso a cosa mi lascerei indietro se me ne andassi. E non mi lascerei indietro un emerito cazzo di niente, perché a nessuno interessa. Se a nessuno interessa di te, esisti veramente?- chiese Chester.
-Non importa.- gli sussurrò Mike -Perché a me interessa di te, e quindi in ogni caso esisti. Era solo un sogno, Chazy.-
-Era un sogno, certo.- borbottò lui -Ma era vero, però. Se morissi adesso, non mancherei a nessuno, Mike, a parte che a te... forse. Perché non ho mai fatto un cazzo per piacere alla gente. Ho fatto solo una marea di cazzate. Non ci ho nemmeno mai provato a essere forte o a essere perfetto o chissà cos'altro. Non ci ho nemmeno mai provato a piacere alla gente. Non so nemmeno perché piaccio a te.-
-Be', ma non devi mica morire adesso...- obiettò Mike -Hai diciotto anni e stai bene, Gesù, perché dovresti morire? Hai tempo per lasciarti indietro qualche motivo per mancare a qualcuno.-
-Mi aiuterai?-
-Certo.-
Mike gli posò un bacio leggero fra i capelli e lo strinse un po' di più a sé.
-E comunque, a me mancheresti da morire.-
Chester si irrigidì appena contro di lui, ma tornò a rilassarsi così in fretta che pensò di esserselo immaginato.
[***]
Mike non sapeva esattamente perché avesse organizzato una festa di fine anno. In effetti, non era una cosa che aveva molto senso, soprattutto visto e considerato che per oscuri e non meglio specificati traumi infantili lui odiava gli ultimi giorni di scuola e, anche se adorava le vacanze, non ci vedeva niente da festeggiare. Forse voleva solo passare un po' di tempo con i suoi amici e approfittare del fatto che Jason dormiva da un suo amico per stare un po' con Chester in santa pace senza che il suo fratellino gli rompesse le scatole e senza il terrore che gli capitasse davanti spuntando da dietro un angolo.
Certe volte odiava suo fratello: era così invadente da essere imbarazzante e ogni tanto si chiedeva se anche lui, senza accorgersene, si comportasse così. Sperava tanto di no, perché altrimenti Chester aveva ragione a dirgli che era un rompipalle.
Quando, vero le sei del pomeriggio, infilò le chiavi nella toppa e entrò zuppo d'acqua gelida e pieno di pensieri strani sulle feste di fine anno per la testa nel corridoio del 3702 di Lincoln Street, ebbe la strana sensazione che quella non fosse veramente casa sua... il che era strano, perché a Mike quella casa piaceva quasi di più di quanto non gli fosse piaciuta quella in cui era cresciuto, a Los Angeles. Gli piaceva vivere in Lincoln Street: gli piaceva la tranquillità, gli piacevano le persone che aveva incontrato, gli piaceva avere una band che spaccava i culi anche se nessuno ancora la conosceva e ormai gli piaceva persino la pioggia perenne... ma in quel momento il 3702 gli sembrava un luogo completamente estraneo. Non c'era nessuno in casa e le luci del corridoio e della cucina erano spente: tutto era avvolto nella penombra, rigato dalle ombre delle goccioline d'acqua che scendevano lungo i vetri delle finestre e pieno di un silenzio inquietante e paradossalmente vuoto... Mike aveva dimenticato quanto odiava le case vuote: il silenzio lo assordava. Non gli era mai piaciuto stare solo: adorava la gente, e gli piaceva averla attorno.
Rimase fermo sulla soglia per quattro lunghi secondi, durante i quali la pioggia decise che l'idea di entrare dal piccolo spiraglio che aveva lasciato tra la porta e il muro potesse essere divertente, e di conseguenza gli allagò l'entrata, poi sospirò e si chiuse l'uscio alle spalle, appoggiandosi alla porta con la schiena.
-Dannazione...- borbottò.
In fondo poteva anche borbottare quando era da solo, tanto non lo sentiva nessuno.
Lasciò andare un altro sospiro, poi si tolse l'impermeabile e lo appese al termosifone che c'era accanto alla porta, sperando che si asciugasse e non prendesse fuoco... non si poteva mai sapere con la stoffa sintetica. Scosse la testa per cercare di liberarsi di almeno metà della pioggia ghiacciata che gli era rimasta tra i capelli... Benny sarebbe stato fiero di lui, se lo avesse visto.
Benny... chissà dove si era andato a cacciare. Probabilmente stava dormendo su qualche letto al piano di sopra e non lo aveva sentito rientrare: Mike aveva notato che diventava particolarmente sonnacchioso quando il tempo era così brutto, e anche se teoricamente i suoi non volevano che dormisse sui letti era così carino e pacifico quando dormiva che non se la sentì di chiamarlo e svegliarlo dai suoi sogni canini.
Si accorse di avere ancora le chiavi in mano e le posò sul mobiletto accanto alla porta del garage, poi entrò con calma in cucina, accese la luce e andò dritto verso il pensile dove sua madre teneva le bustine del the. Normalmente non andava matto per il the o per gli infusi in generale: preferiva di gran lunga il caffè, ma in quel momento aveva voglia di the, e nulla lo avrebbe fermato, tantomeno il fatto che a lui il the nemmeno piaceva.
Mise un pentolino d'acqua sul fuoco, poi si sedette sull'isola della cucina, perché le sedie erano sopravvalutate, e si mise a fissare un punto indistinto sopra il forno, pensando al modo strano in cui si era comportato Chester quel pomeriggio. Era piuttosto sicuro che fosse preoccupato per qualcosa, ma non riusciva a capire cosa: forse Elka era stata male, o forse sul serio quel sogno che aveva fatto lo aveva scosso. In effetti era un sogno inquietante... probabilmente se lo avesse fatto lui, poi non avrebbe più dormito per giorni: magari non sembrava così tremendo al primo colpo, ma bastava pensarci un attimo, per capire che essere invisibili e essere costretti a restare a guardare il resto del mondo che se ne andava avanti sbattendosene altamente era tremendo... eppure aveva la sensazione che ci fosse qualcos'altro, qualcosa di terribilmente sbagliato... forse avrebbe dovuto solo smetterla di preoccuparsi come un deficiente: probabilmente era solo la sua empatia che esagerava le cose come sempre.
Chester diceva che stava bene, Gesù: forse avrebbe dovuto smetterla di sfinirsi di seghe mentali e cominciare a fidarsi di lui. O forse avrebbe dovuto tornare a casa sua immediatamente e rimanergli appiccicato come una groupie assatanata finché non avesse ricominciato come minimo a imprecare... ma magari lo avrebbe fatto più tardi: in quel momento aveva un the da bere e una festa per una cosa che odiava da preparare... però, magari, prima una cosa poteva farla.
Tirò fuori il telefono dalla tasca senza nemmeno chiedersi come diavolo la batteria durasse ancora, e prima ancora che potesse pensarci davvero e ricordarsi che meno vedeva quel pazzoide e meglio era, stava già chiamando Jared Leto.
«Pronto?»
Solo quando sentì la sua voce, si rese veramente conto di chi stava chiamando. Ora chiariamoci: come già abbiamo detto in passato, Mike aveva la tendenza a voler bene a tutti e quindi non aveva niente di particolare contro Jared: semplicemente non era la sua persona preferita sulla faccia della terra, ecco.
-Ciao Jared, sono Mike Shinoda...-
«Già, lo so. La rubrica del mio telefono funziona ancora.» disse Jared dall'altra parte «Dimmi tutto Mike: cosa ti turba?»
Mike rimase fermo per un attimo a pensare: come faceva a sapere che lo chiamava per quello? Gesù: era finito in una città di telepati e nessuno glielo aveva detto. Avrebbero dovuto quanto meno metterci un cartello, Cristo Santo: Non entrate, qui la gente sa sempre perché la state chiamando al telefono prima che glielo diciate.
«Mike, sei ancora lì?»
Mike si riscosse all'improvviso e per poco il cellulare non gli volò giù dalle mani. Doveva smetterla di estraniarsi così dal mondo, o quel povero coso avrebbe fatto una brutta fine.
-Sì, sì, ci sono, scusa. Mi ero incantato.-
«Tranquillo tesoro. Secondo me la pioggia diminuisce la capacità di concentrazione: quando piove così forte io divago continuamente... come adesso. Cosa ti serviva?»
La voce di Jared suonava tremula, anche se dal vivo non tremava mai: probabilmente la pioggia disturbava anche la linea telefonica, e non solo la concentrazione della gente... e forse aveva qualche effetto strano anche sulla tendenza di Mike all'essere diretto il più possibile, perché in quel momento non sapeva proprio come dire quello che aveva intenzione di dire.
-Be', ecco... volevo chiederti... tu sai se Elka è stata male o qualcosa del genere negli ultimi giorni? - sputò alla fine, pregando fra sé e sé che non sembrasse una domanda ridicola, soprattutto perché, il più delle volte, parlare con Jared gli faceva strano: aveva il viso di un ragazzino, e per la maggior parte del tempo si comportava anche come un ragazzino, ma aveva ventidue anni, e Mike si sentiva a sua volta un ragazzino le poche volte che se ne ricordava.
«Male? Elka? No, non credo. Perché?»
-Non lo so... è da tutto il giorno che Chester si comporta in modo strano e sono un po' preoccupato. Pensavo che magari poteva centrare qualcosa lei, ma se sta bene...-
Si passò una mano tra i capelli e rimase a fissare distrattamente l'acqua per il the mentre ribolliva e usciva a farsi una gita fuori pentolino sul fornello, ma ovviamente non gli passò nemmeno per l'anticamera del cervello che potesse non essere una cosa che l'acqua faceva ogni volta che qualcuno preparava un the. Elka stava bene... ma se Elka stava bene, allora che diavolo poteva avere Chester? Forse era per suo padre che era ubriaco di nuovo. O magri era sul serio stato il sogno, ma in qualche modo Mike era convinto che non fosse solo quello.
«Io non mi preoccuperei più di tanto: lo sai com'è fatto lui, no? Va a periodi come una donna col ciclo. Magari è solo stanco.»
-Spero che tu abbia ragione...-
«Pff... ma certo che ho ragione, tesoro. Abbi più fiducia in questo povero vecchio, Mickey...»
Mike sorrise fra sé e sé, prima di ricordarsi che Jared più di tanto non gli piaceva e che quindi sorridere non rientrava tra le sue opzioni e che, di conseguenza, non avrebbe decisamente dovuto sorridere.
-Terrò a mente...- disse, cercando disperatamente di continuare a non sorridere -Comunque... grazie. Adesso devo andare, ma davvero: grazie.-
«Quando vuoi, Mickey. E salutami Chazy, la prossima volta che lo vedi.»
-Sarà fatto... allora ciao, Jared.-
Jared lo salutò a sua volta, poi la chiamata si interruppe e Mike, riprendendo coscienza di se stesso e del mondo attorno a lui, si accorse finalmente di aver letteralmente bruciato il the.
[***]
Si era messo la cravatta. Dopo anni e anni passati a rifiutarsi deliberatamente di legarsi addosso uno di quegli affari infernali, la sera di quel 23 Giugno il mondo vide per la prima volta un pezzo di tessuto scuro pendere dal collo di Michael Kenji Shinoda. Non sapeva esattamente perché l'avesse fatto, ed era piuttosto sicuro che, esteticamente parlando, fosse una delle schifezze più colossali di cui si fosse mai reso colpevole in vita sua: non gliene era mai fregato granché della moda, ma da quel poco che ne sapeva portare la cravatta sopra a una t-shirt era universalmente riconosciuta come una blasfemia stilistica... eppure, in un qualche modo assurdo e totalmente all'infuori da ogni sua possibile comprensione di vile e misero mortale, se l'era messa e il modo in cui gli stava gli aveva fatto passare la voglia di togliersela: in fondo non gli pareva poi così tanto schifosamente brutta... ma erano soltanto le sette e mezza, e, conoscendosi, se non si fosse trovato subito qualcos'altro da fare, entro le otto sarebbe riuscito a togliersela, pentirsene, rimettersela e togliersela di nuovo almeno un paio di volte, se non anche tre o quattro, ragion per cui doveva assolutamente trovarsi qualcosa da fare che non fosse girare in tondo per il garage cercando di non inciampare su Benny, che gli scodinzolava attorno tutto felice, e chiedersi che cavolo fare fino alle otto. Gesù, perché l'universo lo odiava così tanto? Perché doveva sempre sentirsi in dovere di fare le cose in anticipo e di finire mezz'ora prima? Perché il cane del suo ragazzo doveva essere così dannatamente appiccicoso? Cioè, non che non gli volesse bene, ma... perché? E, più importante: perché diavolo...
Prima ancora che potesse veramente mettersi a maledire la vita, l'universo e tutto quanto e a mandare al diavolo Joe Hahn per avergli fatto tornare in testa Hitchhiker Guide To The Galaxy, qualcuno decise di disturbare la sua sessione di seghe mentali giornaliera e di bussare alla porta. Mike si bloccò a metà del cinquantatreesimo giro del garage e restò indeciso a guardare il portone per un attimo o due mentre Benny correva abbaiando e scodinzolando furiosamente verso l'entrata, prima di ricordarsi che fuori diluviava e che magari era meglio andare ad aprire, prima che il chiunque fosse che c'era fuori si prendesse una polmonite. Gesù, aveva davvero contato i giri? Sbuffò e mosse quei due passi che lo separavano dalla porta dicendo a Benny di darsi una calmata, poi afferrò la maniglia: in fondo probabilmente era solo Joe che si era preso in anticipo per avere il tempo di fangirlargli dietro fino allo sfinimento... chi altro avrebbe potuto essere?
Aprì la porta con calma, e si ritrovò davanti qualcuno che non avrebbe dovuto essere lì, perché l'aveva visto in anticipo una volta sola da quando lo conosceva, ed era stato uno dei giorni più maledettamente terrificanti della sua vita... e per certi versi anche uno dei più belli, ma quello era un dettaglio.
-Hey Mickey.- disse Chester con un sorriso strano che gli si allargava sul viso mentre Benny gli attaccava le gambe per fargli le feste.
Mike non poté fare a meno di sorridere a sua volta mentre ringraziava il cielo che il cane si stesse contenendo, perché ormai era diventato così grosso che se si fosse messo a fare le feste sul serio, Chester sarebbe finito con il culo a terra.
Rimase lì impalato a fissarli come un cretino: Chester aveva l'ombrello. Non l'aveva mai visto con in mano un ombrello: diceva che quei maledetti cosi toglievano tutta la poesia alla pioggia... invece eccolo lì, con un ombrello gigante a spicchi colorati nella destra e un portatorte di stoffa nella sinistra.
-Non c'é la piattola qui attorno, vero?-
-No...-
Scosse la testa, chiedendosi quando Chester avesse preso l'abitudine di chiamare suo fratello piattola, e come facesse lui a sapere che parlava proprio di suo fratello. Se lo stava ancora chiedendo, quando il suo ragazzo iniziò con tutta calma a chiudere l'ombrello, a metterlo da una parte e a spingerlo in casa... poi la calma finì. Chester si chiuse la porta alle spalle quasi sbattendola, posò il portatorte sul primo mobile che gli capitò a tiro, poi lo afferrò per la cravatta e se lo tirò addosso.
Mike restò interdetto per un secondo, mentre la sensazione ormai familiare dell'anellino di metallo freddo del piercing che gli premeva contro il labbro gli si faceva strada nelle terminazioni nervose, poi si rese conto del fatto che stava rimanendo immobile come un deficiente in un momento in cui decisamente non avrebbe dovuto stare fermo e rispose al bacio quasi disperato che Chester gli stava dando. Le sue mani volarono sulla sua schiena, stringendosi attorno alla flanella della sua camicia, mentre cercava di tirarselo più vicino.
Chester gli mordicchiò il labbro inferiore, probabilmente fregandosene del fatto che lui non avesse mai capito come diavolo si gestissero i morsi... Gesù, avrebbe dovuto studiare. Si poteva imparare a baciare studiando? Probabilmente no, e probabilmente Chester l'avrebbe preso in giro a vita se lo avesse scoperto... però aveva un'estate da riempire: un paio di giorni poteva anche perderli a leggere Wikihow e a cercare di imparare qualcosa...
Inconsciamente schiuse appena le labbra, permettendogli di approfondire il bacio. Sentì le dita di una delle sue mani infilarglisi sotto la maglietta e cominciare disegnargli linee brucianti lungo la pancia, mentre con l'altra lo stava ancora tirando per la cravatta.
Quando si staccarono facevano fatica a respirare.
-Non che non apprezzi tutto questo entusiasmo...- bofonchiò cercando di riprendere fiato -Ma a cosa devo?-
-Non posso baciare il mio fottuto ragazzo ogni tanto?- rispose Chester a una manciata di millimetri dalle sue labbra -Tra l'altro, potrei o non potrei aver sempre sognato di fare questa cosa.- aggiunse dando un leggero strattone alla cravatta -Sei maledettamente sexy questa cosa addosso...-
-Grazie. Anche tu non sei male.-
Chester abbassò lo sguardo ridacchiando piano.
-Dio...- disse -Stiamo diventando troppo froci per i miei gusti...-
Mike sorrise, anche se la battuta era uscita in un tono un po' strano: sembrava allegro, sì, ma non per davvero.
Benny era sparito... Mike aveva il sospetto che non gli piacesse assistere a certe effusioni: probabilmente, come i bambini umani, pensava che i baci facessero schifo.
-Abituatici...- bofonchiò.
Chester sorrise in un modo che aveva un che di sarcastico e Mike gli posò un bacio leggero sulla guancia, prima di guardarlo in faccia per davvero per la prima volta.
-Che hai fatto agli occhi?- gli chiese sfiorandogli con le dita quella stessa guancia che un attimo prima aveva baciato.
Lui si rabbuiò all'improvviso. Aveva gli occhi gonfi, arrossati... disperati.
-Niente.- bisbigliò -Sto bene.-
Ok, stava bene... ma Mike non gliel'aveva chiesto.
-Hai pianto?-
-No. È solo... solo allergia, credo. Me li fa lacrimare un casino, e a forza di sfregarli per asciugarli sono diventati così. È tutto a posto.-
Lo guardò meglio: sentiva, da qualche parte nei meandri del suo cervello, che c'era qualcosa di profondamente diverso, e forse anche sbagliato, in Chester, quel giorno. Il modo in cui si stava comportando era assurdo e il suo sguardo... era diverso: aveva un che di spento, di malinconico e allo stesso tempo era quasi troppo dolce, eppure lui si ostinava a dire che stava bene e per qualche strana ragione Mike si sentiva come se potesse credergli e non credergli allo stesso tempo. Era così dannatamente ovvio che non stava bene, eppure allo stesso tempo sembravalp più sereno di quanto lo avesse mai visto. Era strano... maledettamente strano, e non riusciva a capacitarsene: era abituato a capirlo con uno sguardo, e quella... quella cosa, quella sua incapacità di decifrare qualunque cosa gli stesse passando per la testa era assolutamente fuori da ogni grazia divina.
-Sei sicuro di stare bene?- gli chiese.
-Sì... sì, sto bene.-
-Se ci fosse qualcosa che non va, me lo diresti?-
Lui rimase zitto per un secondo o due, poi gli buttò le braccia al collo e lo abbracciò. Fu un movimento abbastanza lento e dolce, ma la sua presa era stretta abbastanza da lasciare Mike senza fiato per un attimo prima che gli passasse per la testa di ricambiare.
-Sì...- si sentì bisbigliare all'orecchio -Sì. Certo che te lo direi.-
[***]
-Hey Mike!- sbottò Dave sedendosi tra lui e Joe sul divano con una fetta di torta in mano -Hai visto Chester di recente? Volevo fargli i complimenti per... qualunque cosa sia questa roba.-
Era passata mezzanotte, la musica era diventata relativamente bassa, tutti, a parte Benny, erano un po' brilli e nel garage di casa Shinoda regnava la classica atmosfera da festa quasi finita che si ostinava a voler tirare gli ultimi respiri, come un bambino che vuole restare sveglio altri cinque minuti ma ha già praticamente gli occhi chiusi. La luce gialla delle lampadine che pendevano qua e la dal soffitto illuminava fiocamente tutta la stanza e i cartoni della pizza che avevano ordinato erano abbandonati un po' ovunque, assieme a bottiglie vuote di vario genere e a stelle filanti saltate fuori da Dio solo sapeva dove.
Benny era sparito verso le undici e non si era più fatto vedere, Rob se ne stava beato e mezzo addormentato nelle braccia di Brad mentre ballavano un lento su In The End, anche se era più che probabile che nemmeno loro sapessero che diavolo stavano facendo, Joe e Mike stavano chiacchierando pigramente sul divano e Dave... be' Dave dava l'idea di essere l'unico veramente sveglio, con la sua fetta di torta e tutto il resto.
-Non ne ho idea.- gli rispose stropicciandosi gli occhi -Come anche lui adora ricordare: sono il suo ragazzo, non sua madre.-
-Ok, ma è un po' che non lo vedo. Credevo fosse andato a casa.-
Mike si accigliò: effettivamente era passato un po' dall'ultima volta che lo aveva visto. Si ricordava vagamente di un Esco a fumarmi una sigaretta verso le undici e un quarto, ma era piuttosto sicuro che fosse passato un po' troppo tempo per una sigaretta. E l'ultima volta che era passato troppo tempo per una sigaretta... Dio, non voleva nemmeno pensarci.
-Non credo...- ammise alzandosi dal divano -Forse è qui fuori che fuma, magari non l'abbiamo visto uscire.-
Cammino verso la porta che dava sul vialetto, la aprì e mise la testa fuori: Lincoln Street era deserta. La strada era avvolta dal buio, rischiarato solo dai lampioni posti lungo il marciapiede e da qualche rara luce ancora accesa dietro una finestra. Piovigginava ancora e l'asfalto bagnato rifletteva il bagliore tremolante dei lampioni... tutto era soffocato nel silenzio più totale, se non si badava al ticchettio della pioggia e alla musica che arrivava dal loro garage. Di Chester non c'era traccia.
-Lí fuori non c'é, a occhio e croce.- gli fece notare Joe.
-Grazie mille, Joseph.-
-Magari è andato in bagno e si è addormentato sul gabinetto?- ipotizzò Dave.
Si fermarono tutti un secondo, a pensare.
-Na'...- disse alla fine Joe -Non mi sembra il tipo che fa pipì seduto, e addormentarsi in piedi... be', quello lo sanno fare solo i cavalli.-
Mike prese un respiro profondo e ordinò al suo cervello di ignorare la battuta, per il bene della sua salute mentale, poi tirò fuori il cellulare -che nel frattempo si era fatto tre belle ore di carica- e si avviò verso la cucina.
-Dove vai?- chiese Brad.
-In cucina.- rispose cominciando a sbloccare il telefono -Provo a chiamarlo.-
Attraversò il corridoio e si infilò in cucina, mentre ancora guardava lo schermo e cercava di capire quale fosse l'icona della rubrica. Accese la luce e andò a sedersi sull'isola, sentendo il sangue che all'improvviso cominciava a battergli dietro le tempie mentre una paura fottuta gli strisciava su per la gola. Si arrese a fare il numero a memoria, con le dita che gli tremavano mentre premevano sui tasti. Gesù, perché all'improvviso si sentiva così terrorizzato? Riuscì a far partire la chiamata e il telefono cominciò a squillare... e continuò a farlo per un'eternità, mentre lui teneva lo sguardo fisso davanti a sé e guardava i resti del tentativo di the che aveva fatto quel pomeriggio, fino a quando non partì la segreteria.
-Dannazione...- borbottò fra sé e sé.
Provò di nuovo, e poi ci provò ancora e poi un'altra volta, ma il risultato fu lo stesso: una lunga serie di beep e poi la segreteria, e poi il niente.
-Gesù, Chester... rispondi, cazzo.- bofonchiò mentre lo chiamava per la quinta volta.
Niente. Silenzio radio.
-Mike?- lo chiamò Joe entrando nella stanza con passo insolitamente felpato -Tutto bene?-
-Non risponde...-
Mike scrisse un messaggio in tutta fretta, poi scese dall'isola e tornò verso il garage.
To: Chazy :)
Dv diavolo 6?
Mentre passava per il corridoio afferrò l'impermeabile che aveva abbandonato sul termosifone ore prima e che miracolosamente non aveva ancora preso fuoco.
-Dove stai andando?- gli urlò dietro uno degli altri appena prima che aprisse la porta del garage per uscire.
Non aveva idea di chi fosse stato: era troppo deconcentrato e il sangue nelle sue orecchie faceva troppo casino perché potesse capirlo.
-A cercarlo.- rispose girandosi verso di loro.
-Andiamo Mike, magari è solo andato a casa e si è addormentato.- tentò Joe -Fuori piove e fa freddo e, come hai detto tu prima: sei il suo ragazzo, non sua madre. Forse dovresti fidarti di lui.-
Mike prese un respiro profondo e chiuse gli occhi per un attimo.
-Mi fido di lui...- borbottò -Ma è un diciottenne tossicodipendente in disintossicazione con tendenze all'autolesionismo e un odio maniacale verso ombrelli e giacche, fuori piove e fa freddo, quindi scusami, ma ho tutta l'intenzione di uscire di qui preoccupato come un deficiente, andare a cercarlo e spaccargli quella testa di cazzo ossigenata appena lo trovo.-
E fu così dicendo, che la notte di quello che ormai era il 24 Giugno Mike Shinoda si infilò l'impermeabile e si buttò fuori casa con il cappuccio abbassato per cercare di vedere qualcosa in mezzo alla pioggia che, giusto perché lui era appena uscito, si stava facendo più fitta.
Nessuno degli altri lo seguì... forse perché nessun altro era paranoico e fuori di testa quanto lui, o forse perché a nessun altro interessava, fatto sta che era mezzanotte e mezza passata, pioveva, e Mike intraprese la sua folle corsa da solo, con lo stomaco che gli si rivoltava a ogni passo e il cuore che gli batteva direttamente dentro la testa. Gesù, che fine aveva fatto quel cretino?
Il primo posto che andò a ispezionare fu ovviamente casa sua: sapeva per certo che suo padre era di turno alla centrale di polizia e sapeva dove tenevano le chiavi di riserva, quindi entrare e girare tutte le stanze a una a una per vedere se c'era qualcuno fu talmente facile che se fosse stato un ladro si sarebbe commosso per la gentilezza e l'ingenuità di chi viveva in quella casa... peccato che lui non fosse un ladro e che comunque lì dentro non ci fosse niente che valesse la pena di rubare... né niente che confermasse l'idea di ingenuità e gentilezza.
Provò a guardare anche sotto il salice nel cortile posteriore, ma di Chester non c'era nemmeno l'ombra... tra l'altro aveva trovato la porta chiusa a doppia mandata, quindi con ogni probabilità a casa non ci era mai nemmeno tornato. Uscì quasi correndo, e cominciò a girare per il quartiere come un'anima in pena mentre la pioggia gli picchiettava il cranio e gli faceva salire il mal di testa. Gesù, perché aveva bevuto?
Controllò in ogni strada, guardò in ogni vicolo e setacciò il Linkoln Park fino all'ultimo filo d'erba, chiedendo a ogni singola persona intenta a infilarsi aghi nelle braccia se lo avesse visto, ma i più non erano abbastanza in sé per capire l'inglese, e di quei pochi che ancora sapevano chi erano, nessuno aveva idea di dove diavolo potesse essere Chester... non che ce ne fosse tanta di gente, comunque: in quel momento diluviava e persino gli eroinomani preferivano starsene a casa in una notte del genere. Un ragazzo con i capelli tinti di rosso e un giubbotto strano gli disse di avvisarlo se lo avesse trovato, ma Mike era troppo agitato per continuare a badargli dopo il No, non l'ho visto, e lui probabilmente era troppo fatto per sapere davvero cosa stava dicendo.
Quando tornò in strada, Mike si stava sentendo morire: stava girando a vuoto da più di un'ora e mezza, l'aveva chiamato almeno una quarantina di volte e aveva perso il conto dei messaggi che aveva mandato.
Aveva chiamato Jared, Elka e persino suo padre, ma era stato:
a) Invitato cortesemente da una segreteria a richiamare in mattinata;
b) Supplicato di richiamare appena avesse avuto notizie;
c) Mandato poco elegantemente a fanculo;
e quindi erano passate le due da almeno una decina di minuti, e ancora non aveva in mano niente.
Chester non c'era, non c'era da nessuna parte: come fosse sparito nel nulla, e tra l'altro adesso non sapeva più nemmeno dove cercarlo.
Camminò in fretta fino all'angolo dell'isolato, cercando di ignorare la pioggia gelida che gli si era infilata sotto l'impermeabile e che gli scendeva lungo la schiena, ma appena lo ebbe girato si rese conto di non avere la più pallida idea di dove andare.
-Gesù...- borbottò prendendosi la testa tra le mani -Gesù, Chester, dove ti sei cacciato?-
Sì passò le dita tra i capelli fradici e si guardò attorno.
-Dannazione Mike, sei un idiota! Un completo idiota! Non avresti mai dovuto perderlo di vista, porca miseria, era tutto il giorno che si comportava in modo strano e tu te lo sei lasciato sparire da sotto al naso... e adesso perché parlo da solo? Cristo Santo... ok, devo stare calmo. Calmati Mike: andrà tutto bene, respira. Pensa... Dove può essere andato? Oh, Gesù...-
Stava ancora sproloquiando fra sé e sé, quando gli venne l'illuminazione: forse era andato al Minutes To Midnight... se si sbrigava e non si perdeva, il che era improbabile, a piedi poteva arrivarci in circa una quarantina di minuti. Peccato che era quasi sicuro che non fosse là... insomma, perché diavolo avrebbe dovuto andare al Minutes? Però dove altro poteva andare a cercarlo? Almeno era qualcosa... bella illuminazione di merda, cacchio.
Girò la testa per cercare di vedere il cavalcavia che passava sopra alla statale, al limite del quartiere: era a circa metà strada, e almeno fino a lì ci sapeva arrivare. Più o meno.
Si mise in marcia stringendosi l'impermeabile addosso e cercando di non battere i denti: Gesù, era normale che facesse così freddo il 24 di Giugno? Perché era piuttosto sicuro che non lo fosse.
Il freddo e la pioggia battente lo rallentarono, anche se avrebbe voluto mettersi a correre. Si sentiva ancora il sangue in testa e stava tremando come una foglia, ma, anche se aveva rallentato, non si fermò più: se si fermava aveva il tempo di pensare, e visto lo stato in cui versava la sua salute mentale in quel momento non era proprio il caso che lasciasse alla sua testa la libertà di pensare. Le strade erano buie, rischiarate solo dai coni di luce dei lampioni sfocati dalla pioggia, e spesso non sapeva dove stesse andando o dove diavolo fosse il cavalcavia. Sbagliò strada sette volte, e ogni volta sentì il suo cuore battere un po' più veloce, perché poteva star succedendo qualunque cosa e Chester era da solo chi sa dove e... Gesù.
Accelerò un po' il passo dopo la settima volta: un po' perché, per dirla in un modo non proprio elegante, ma simile a quello che stava pensando lui, gli si stavano letteralmente ghiacciando le chiappe, e sapeva che muovendosi più in fretta gli si sarebbero scongelate almeno un pochino, e un po' perché erano passate le tre meno un quarto e lui ancora non aveva idea di dove diavolo fosse Chester. A ogni passo che faceva, la sensazione di malessere che lo avvolgeva peggiorava: era arrivato al livello nausea, freddo e incasinamento mentale, che nella sua scala del terrore da uno a sette era circa un tredici.
Sperava davvero tanto che Chester fosse al Minutes, anche se non riusciva a farsi venire in mente un solo motivo per cui avrebbe dovuto essere là e stava cercando prepotentemente di non pensare a dove diavolo avrebbe potuto cercarlo nel caso non ci fosse stato. Perché doveva essere là, dannazione.
Quando alla fine arrivò al cavalcavia erano le tre meno cinque. Era bagnato da capo a piedi come una spugna appena tirata fuori da una vasca da bagno, e anche se si fosse tolto l'impermeabile, ora mai, non sarebbe cambiato molto.
I lampioni là erano più vicini tra loro, e riusciva a vedere ogni singolo sassolino impiantato nel cemento armato del cavalcavia nel raggio di cinque metri, ragion per cui non ebbe il minimo problema a vedere il ragazzo magro e completamente fradicio in piedi circa a una decina di metri da lui, appoggiato a un palo. Lo riconobbe subito, e dovette trattenere sia la voglia di urlargli contro sia quella di saltargli addosso e baciarlo come se non ci fosse stato un domani.
L'acqua sui capelli ossigenati di Chester rifletteva la luce gialla e calda dei lampioni, facendoli sembrare più dorati che quasi bianchi e le lenti degli occhiali erano ricoperte d'acqua, il che fece pensare a Mike che probabilmente, qualunque cosa stesse facendo con il telefono che aveva in mano, probabilmente lo stava facendo alla cieca. Sentì il cellulare vibrare nella tasca posteriore dei suoi pantaloni, ma lo ignorò e rimase a guardare Chester in piedi in mezzo al diluvio. La sua ansia era sparita: era lì, stava bene. O almeno sembrava che stesse bene.
Stava quasi per chiamarlo, ma non ce ne fu bisogno: si tolse gli occhiali per asciugarli con la maglietta fradicia, poi si guardò attorno con calma, e alla fine si girò verso di lui. All'inizio parve un po' sorpreso di vederlo, come se avesse pensato di poter sparire senza che qualcuno andasse in panico, ma poi un sorriso stranamente triste gli si allargó sul viso, mosse le labbra per dire qualcosa che sembrava molto un Ti voglio bene, Mickey, e poi fu un attimo.
Prima era lì, gli sorrideva anche se pareva triste, e sembrava strano, ma non poi così tremendo, poi cominciava a correre verso il bordo del cavalcavia e non sembrava intenzionato a fermarsi e Mike era troppo distante per impedirgli di fare qualunque cosa, perso a metà tra uno stato di profonda incomprensione della realtà e di un rischio di annegamento nel terrore fottuto che gli stava allagando la gola e voleva urlare, ma era come se ogni suo muscolo si fosse pietrificato e sospettava che non sarebbe riuscito nemmeno a miagolare, figuriamoci a urlare.
Di colpo Chester aveva spiccato un salto, e l'ossigeno aveva definitivamente abbandonato il suo cervello, i suoi polmoni avevano impacchettato baracca e burattini e se n'erano andati e tutto quello che il suo istinto riusciva a visualizzare era un'enorme scritta verde e lampeggiante che recitava Error.
E l'attimo dopo Chester non c'era più. Il suo posto sotto la luce del lampione era vuoto ed era come se quel vuoto avesse mandato a puttane tutto l'equilibrio dell'universo.
Fu un attimo: un attimo prima Chester era lì, e l'attimo dopo non c'era più, e Mike sentì distintamente qualcosa di lui da qualche parte che si rompeva, mentre cercava di elaborare quello che aveva appena visto, anche se era piuttosto sicuro che fosse qualcosa che non sarebbe riuscito ad elaborare: Chester non si era buttato da quel maledetto cavalcavia. Non poteva averlo fatto.
ANGOLINO NERO PER UN'ANIMA NERA (molto nera)
Ok... mettiamola così: non vi implorerò nemmeno pietà, perché la verità è che credo di meritarmi tutta la cattiveria di questo mondo. Perché lo so che sono una persona orrenda... e fidatevi che sto soffrendo. Perché mi sento profondamente in colpa per quello che ho fatto qui. Mi sento una cazzo di assassina... ma la trama era scritta prima che avessi il tempo di affezionarmi ai miei personaggi come invece poi è successo, e quando sono arrivata a doverlo effettivamente buttare ormai era tardi per cambiare.
Scrivere questo capitolo è stata una tortura... ma cosa non si fa per l'arte, uhm? Sì, ok. Arte un cazzo.
Tutto quello che posso dirvi è di cercare di avere pazienza e di darmi la possibilità di spiegare le cose nei prossimi capitoli... in particolare si spiega tutto nei contenuti speciali.
E... niente. Sono particolarmente contenta di come si è inserita la canzone, ma a parte quello non me la senso di dare un vero giudizio a questo... mostro... e accetto pareri. Anche critiche. Dichiarazioni di guerra. Minacce di morte... be', magari quelle no. Sì, evitiamo le minacce di morte se possiamo, ok?
Buonanotte a tutti...
Cursed_Soldier
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