Capitolo 2~Faint
[Chester]
Chester aprì gli occhi quel tanto che bastava per farsi accecare.
Accecato dalla penombra lieve che regnava nella sua stanza.
Ridicolo.
Cristo, sto uno schifo.
Che cazzo di ora è?
Quanto cazzo ho dormito?
Girò la testa sul cuscino.
Faceva male.
Tutto quanto.
Non c'era una sola cellula in tutto il suo fottuto corpo che non lo stesse uccidendo.
Le tempie pulsavano.
I muscoli si lamentavano.
Il petto chiedeva vendetta.
Bestemmiando come un vecchio italiano incazzato.
Merda.
La sveglia sul comodino segnava le tre di notte.
Fantastico.
Provò a tirarsi addosso le coperte.
Faceva un freddo fottuto in quella stanza maledetta.
O forse era lui a sentire un freddo fottuto.
Si era addormentato bagnato fino al midollo.
Con gli occhiali ancora addosso.
I vestiti ancora sporchi di fango.
Forse era lui a sentire un freddo fottuto.
Devo farmi una cazzo di doccia.
Calda.
Mi verrà una cazzo di polmonite.
Si tolse le coperte di dosso.
Scalciandole via in un moto di rabbia.
Contro quel tipo di freddo erano fottutamente inutili.
Sbuffò.
Si alzò a fatica.
Una scarica di dolori lo attraversò dalla testa ai piedi.
Uscì a fatica dalla sua stanza.
Sono messo peggio di quello che credevo...
Possibile che non mi sia rimasto un solo fottuto muscolo tutto intero?
Si appoggiò al muro.
Cercando di riprendere fiato.
La porta del bagno.
Devo arrivare alla porta del bagno.
Posso farcela.
Si trascinò fino al bagno.
Restando appoggiato al muro per non cadere.
Imprecando ogni due passi.
Mordendosi il labbro per non urlare.
Faceva male.
Tutto quanto.
Porca puttana.
Sono a pezzi.
Dalla sua camera al bagno erano tre metri.
Tre metri dalla sua camera.
Quei tre metri sembrarono durare una vita.
Quando arrivò si sentiva morire.
Possibile che sia messo così male?
Entrò nella stanza.
Cominciò a spogliarsi.
Imprecando ogni volta che toccava uno dei punti in cui faceva male... la fregatura era che faceva male più o meno dappertutto.
Stava per entrare in doccia quando guardò lo specchio.
Non doveva guardarlo.
Era una delle sue fottute maledette regole fondamentali.
Merda.
Su quel maledetto specchio gli sembrava di vedere un fottutissimo cadavere.
Chester non era alto, ma neppure basso.
Era magro.
Troppo magro.
Le ossa sporgevano da sotto la sua cazzo di pelle cadaverica.
Era un cimitero di lividi e cicatrici con un tatuaggio sulla spalla.
Cicatrici che non si potevano nascondere.
Che tutti vedevano.
Quello che tutti volevano vedere.
Vedere cosa cazzo ci fosse sotto non rientrava nelle priorità della gente.
Troppa fatica cercare di capire.
Non sarebbe bastato un giorno per contarle, quelle cicatrici del cazzo.
Il tempo non le avrebbe mai fatte guarire.
Non avrebbe mai potuto convincere tutti gli altri che quello che lui voleva mostrare (e quindi di sicuro non quei cazzo di segni sulla sua pelle) fosse la realtà.
Per questo lasciava perdere.
Li lasciava voltargli le spalle.
Lasciava che lo ignorassero.
Come sempre.
Smise di guardarsi le cicatrici.
Si guardò la faccia.
Aveva le occhiaie.
Gli occhi arrossati.
Sembrava un cazzo di drogato.
Sono un cazzo di drogato.
Rimase a guardarsi.
Non doveva guardarsi.
Era una delle sue fottute maledette regole fondamentali.
Su quel maledetto specchio gli sembrava di vedere un fottutissimo idiota disperato.
Un po' di solitudine.
Un po' di indifferenza.
Urla che sarebbero rimaste dentro.
Forse era un po' insicuro.
Un po' diffidente.
Perché la gente non capiva che lui faceva quello che poteva per non cadere.
Ma non riusciva a essere chiaro quando parlava.
Quando cercava di farsi capire.
Diceva quello che nessuno avrebbe voluto sentire.
Non che cambiasse qualcosa, comunque.
Non importava cosa cazzo facesse.
Non avrebbe mai potuto convincere qualcuno ad ascoltarlo almeno una dannatissima volta.
A sentire quello che aveva da dire.
Non che avesse qualcosa da dire, comunque.
Per questo lasciava perdere.
Guardava la gente voltargli le spalle.
Guardava la gente fingere che lui non esistesse.
Lasciava che lo ignorassero.
Anche se non voleva essere ignorato.
Anche se faceva male.
Come sempre.
Distolse lo sguardo imprecando.
Entrò nella doccia.
Si lasciò scivolare lungo la parete.
Rimase lì.
Rimase lì e basta.
Gli piacevano le docce.
Gli ricordavano la pioggia.
In doccia non riusciva a pensare.
Proprio come quando pioveva.
L'acqua calda lo fece sentire un po' meglio.
Quasi quasi questa notte dormo qui.
[Mike]
-Mike? Mike ci sei?-
Mike aprì di poco gli occhi senza la minima voglia di farlo.
Gesù, gente che urlava per strada nel bel mezzo della notte. Cosa c'era di meglio per svegliarsi di qualche cretino che urlava sotto la sua finestra?
-Hey! C'è nessuno in casa? Terra chiama Mike Shinoda, Mike Shinoda rispondi!-
Si rigirò nel letto e ficcò la testa sotto il cuscino: non aveva decisamente voglia di alzarsi. Urla o non urla.
Poi il cellulare sul comodino prese a squillare, e lui sobbalzo fra le coperte come se lo avesse punto un'ape.
–Merda...- biascicò mentre allungava una mano per tastare il comodino e cercare il telefono -Pronto?-
-Mike, si può sapere cosa diavolo stai aspettando a uscire?-
Joe. Joe. Perché Joe lo stava chiamando nel cuore della notte? Perché? E soprattutto, perché diavolo stava urlando come un cretino nel bel mezzo della strada? Perché era lui l'idiota che stava urlando in strada, sicuro come era sicuro che lui si chiamava Michael.
-Sono le sette e mezza: praticamente siamo nel cuore della notte. Perché dovrei uscire?- chiese, la voce impastata dal sonno -Che cosa diavolo vuoi da me? -
Era ancora mezzo addormentato, avrebbe pagato oro e diamanti per poter restare a letto... non che fosse un tipo pigro, anzi. Ma alzarsi prima delle otto era moralmente sbagliato, anche se magari era sveglio da ore e si stava annoiando.
Non si sentiva psicologicamente pronto a vivere, prima delle otto.
-Dobbiamo andare a scuola deficiente!-
Allontanò un po' il telefono dall'orecchio. Joe doveva per forza urlare?
-Scuola?- chiese confuso.
-Sì Mike, scuola. Hai presente quel posto orribile che gli adulti usano per rovinare le menti di noi poveri ragazzi indifesi? Ecco, quello.-
Mike si stropicciò gli occhi.
-Scuola.- ripeté cercando di metabolizzare la cosa.
Poi fece il collegamento.
-Gesù Cristo, la scuola!- esclamò -Non ti muovere da lì, sto arrivando.-
Saltò giù dal letto e si catapultò in bagno.
Perché diavolo la sveglia non l'aveva svegliato? Mentre si lavava i denti decise che l'ammasso immondo di chip e plastica l'avrebbe pagata primo o poi. Lei, i suoi figli e i figli dei suoi figli.
Le sveglie potevano avere figli?
Mentre saltellava in corridoio cercando di infilarsi le scarpe e chiedendosi dove si fosse cacciato il suo zaino passò davanti alla stanza di suo fratello Jason che russava beatamente ignaro del fatto che per lui fosse il primo giorno di scuola, perché si era misteriosamente ritrovato con una febbre vertiginosa proprio la sera prima, il bastardo... gli venne una voglia assurda di fare irruzione in camera urlando come un alienato, ma poi si ricordò di essere in ritardo e ricominciò a rimbalzare da un piede all'altro verso la cucina alla disperata ricerca del suo maledetto zaino.
Che senso aveva cercare lo zaino in cucina non lo sapeva nemmeno lui, ma da qualche parte doveva pur cominciare. E poi, aveva un ritardo terrificante e c'era un tipo che lo aspettava in strada abbastanza incazzato: era disperato.
-Mike!- urlò Joe fuori dalla porta.
Ecco, appunto.
-Arrivo... merda!-
Era inciampato nello zaino.
Nel bel mezzo del corridoio. Cosa cavolo ci faceva il suo zaino nel bel mezzo del corridoio?
Meglio non farsi domande.
Scosse la testa e lo raccolse, poi cominciò a scavalcare gli scatoloni del trasloco ammucchiati davanti all'ingresso per uscire.
-Finalmente! Cominciavo a darti per morto.- sbottò Joe.
Lo stava aspettando in fondo al vialetto, con le mani in tasca e uno uno zaino ricoperto di graffiti fatti a pennarello abbandonato accanto a lui sul marciapiede. Quello, più una faccia che era praticamente una minaccia di morte sottintesa. Neanche troppo sottintesa, a dire il vero.
-Scusami Joe: non avevo sentito la sveglia.-
Mike odiava le sveglie. Non c'era niente al mondo che fosse peggio di una sveglia. Gli agenti Smith di Matrix in confronto erano roba simpatica.
-Sì, sì, certo. Ora muoviti, tesoro, o perderemo l'autobus.-
Mike annuì, e nel giro di cinque secondi si ritrovò ad osservare Joe che gli camminava davanti, diretto verso la fermata dell'autobus come se fosse il re del mondo.
Lo conosceva da due settimane, cioè dal giorno stesso in cui era arrivato in quella città dopo il trasloco: abitava nella casa di fronte alla sua, e aveva la stravagante abitudine di attaccare bottone con chiunque avesse la sventura di trovarsi in strada nello stesso momento in cui c'era lui. Mike lo adorava.
Quando arrivarono alla fermata, lo scuolabus non era ancora arrivato.
Perché gli autobus dovevano sempre essere in ritardo? Colpa delle sveglie, probabilmente. Mike ci avrebbe scommeso, anche se per una volta il fatto che fosse in ritardo non era una brutta cosa: insomma, era meglio arrivare tardi per colpa dell'autobus che colpa della sveglia... anche se alla fine era comunque colpa di una sveglia, solo che non era la sua.
Quando alla fine l'autobus arrivò, era già strapieno: solo per salire, Mike dovette spintonare almeno una cinquantina di persone.
Come giornata stava andando alla grande.
-Hey Joe! Ti ho tenuto il posto!- urlò un ragazzo riccio, seduto in una delle ultime file.
Mike si rese conto di conoscerlo: quel tipo lo aveva salutato con una mano mentre entravano in città, il giorno del trasloco.
-Grazie Brad, ma per oggi passo. Ho promesso a sua madre che avrei badato a lui.- disse Joe indicando Mike.
-Hey!-
-Scherzo, Mike. Vieni con me.-
Joe cominciò a farsi largo in quel macello di ragazzi e ormoni per cercare di arrivare in fondo, verso due posti liberi che erano rimasti vuoti per miracolo e sembravano aspettare loro.
-Il posto vicino al finestrino è mio.- avvisò il suo nuovo amico, lanciando lo zaino sul sedile prima di andare a sedersi.
Mike si accomodò al suo fianco e prese a guardarsi attorno.
Gli piacevano prendere l'autobus per andare a scuola: quel macello di gente che rideva e faceva casino oppure faceva finta di studiare lo faceva sentire a suo agio. A Mike piacevano le persone, e gli piaceva il caos della gente che cominciava a vivere di prima mattina.
Gli piaceva stare seduto e osservare ciò che gli succedeva attorno, e ascoltare chi ripeteva a voce alta, e le battute di chi cercava di svegliarsi ridendo, o i tonfi di chi usava lo zaino per picchiare il proprio vicino... e fu proprio perché gli piaceva starsene tranquillo e lasciarsi avvolgere dal caos che si accorse che su quel particolare autobus c'era qualcosa che non andava.
Avrebbe potuto giurare che ci fosse una specie di nota che stonava, in quella strana sinfonia di ormoni, noia e scaga per l'imminente compito in classe. C'era qualcosa che andava controcorrente, in tutto quel macello, il problema era che non riusciva a capire cosa.
D'altronde non è che fosse scontato.
Era già di per sé difficile pensare che qualcosa potesse suonare in un'apocalisse acustica del genere, figurarsi capire cosa.
Mike continuò a vagare con lo sguardo in giro per lo scuolabus per un po', cercando quel fantomatico qualcosa che stonava.
Passò un minuto. Ne passarono due. Poi cinque... ma non riusciva a vedere niente di strano. Non sembrava che ci fosse qualcosa di strano.
Sembrava tutto perfettamente normale e incasinato, come ogni scuolabus di questo mondo dovrebbe essere. C'era solo...
-Joe, quello chi è?- chiese, indicando un ragazzo seduto un paio di file davanti a loro dalla parte opposta dell'autobus.
Era mingherlino, infilato in vestiti troppo grandi e troppo scuri, con un paio di occhiali con la montatura nera sul naso e un berretto di lana che gli copriva i capelli. Sedeva da solo, ascoltava la musica con le cuffie e aveva l'aria di uno a cui fosse appena crollato il mondo addosso.
-Quello è Chester Bennington.- disse Joe con un gesto noncurante -È... diciamo che è un po' tipo lo strambo del quartiere.-
-Lo strambo del quartiere?-
-Sì, be', è tipo il prototipo del ragazzo bruciato: di sicuro beve, probabilmente si fa come un cavallo da corsa, praticamente non ha una famiglia, amici zero, perennemente perso da qualche parte nel suo mondo...- Joe ne parlava come se niente fosse. Come se fosse normale, che un ragazzo che poteva avere al massimo diciassette anni avesse una vita del genere -Vive qui da una decina d'anni, ma non so praticamente niente di lui se non che deve avere un fratello e un paio di sorelle maggiori, ma non li ho nemmeno mai visti. Sta con il padre in fondo alla nostra strada... se vuoi più tardi ti faccio vedere la casa.-
Mike distolse lo sguardo, solo per tornare a guardare il ragazzo raggomitolato sul sedile e chiedersi come fosse possibile che sembrasse così a pezzi anche solo a vederlo di spalle e con un berretto in testa.
-Ma non ha proprio neanche un amico?- chiese.
-Non credo... ho sentito dire che ne aveva uno che si è suicidato, una volta, o qualcosa del genere, ma credo che fosse solo una storia..-
Mike continuò a guardarlo.
Chester.
Era un nome interessante. Gli ricordava un vecchietto isterico ossessionato dai bambini che gli pestavano l'erba sul prato, ma era interessante.
-Perché?-
-Perché cosa?-
-Perché non ha amici?-
Era curioso... e non è che volesse particolarmente esserlo, ma non poteva farci niente. La gente lo incuriosiva: era fatto così.
-Ma dico: lo hai visto?-
-Sì, perché? Cos'ha che non va?- domandò, effettivamente confuso.
Perché non gli sembrava che avesse niente di sbagliato, né di strano... e anche se lo avesse avuto, difficilmente sarebbe potuto essere un buon motivo per il suo non avere amici.
Nessuno meritava di stare solo.
-Che diavolo ne so... niente credo, ma andiamo: è uno sfigato! E poi te l'ho detto: è strano.- sbuffò Joe.
Poi si mise a guardare fuori dal finestrino, e Mike capì che la conversazione era chiusa.
Lui però non aveva capito: a lui Chester non sembrava particolarmente diverso da tutti gli altri. Non aveva niente che indicasse che non si meritava una possibilità. Magari era uno sfigato, e allora? Da quando essere sfigati era un crimine?
Restò a pensarci per tutto il resto del viaggio. O almeno per un pezzo. Poi, cominciò a chiedersi se avrebbero potuto essere amici, Chester e lui.
Mike era fatto così: gli piacevano le persone. Gli piaceva avere gente attorno, avere qualcuno di cui potersi fidare... e poi era bravo, con le persone. Le capiva, e a tutti piace un ragazzo comprensivo e un po' emotivo.
E in quel momento, Chester Bennington gli sembrava in chiaro bisogno di affetto e comprensione.
No, lui non gli avrebbe voltato le spalle. Lui non lo avrebbe ignorato.
[...]
Come c'era da aspettarsi, fu un primo giorno parecchio noioso.
Ormai era iniziato ottobre: era il 6 per la precisione, il che significava che la scuola era cominciata da quasi una vita, e che la gente aveva avuto tutto il tempo di fare amicizia e di decidere dove sedersi a pranzo.
Significava che le probabilità di riuscire a trovare un gruppo disposto ad adottarlo e di riuscire anche effettivamente a farsi adottare si aggiravano attorno al 2,8%.
Mike lo arrotondava al 3, giusto perché gli piaceva considerarsi ottimista.
A salvarlo da un anno di isolamento e tristezza furono soltanto il fatto che conosceva già Joe e che avesse abbastanza talento per le relazioni sociali da riuscire a piacere ai suoi amici nel giro di dieci minuti in corridoio.
Quando alla fine tornarono alla fermata dell'autobus era più o meno ancora vivo, e quello era già un traguardo.
Era sopravvissuto a tre ore di letteratura inglese, una di matematica, una di educazione fisica e due di disegno tecnico, e voleva soltanto andare a casa, buttarsi sul letto e guardare Doctor Who fino allo sfinimento. Però, come giornata, aveva avuto anche dei lati positivi: aveva conosciuto un po' di gente, tanto per cominciare.
Ad esempio c'era il ragazzo riccio che lo aveva salutato il giorno in cui era arrivato in città, Brad Delson. Poi, a pranzo, aveva conosciuto Rob Bourdon e un altro tipo, un tale di nome Dave che però si era presentato come Phoenix.
Joe diceva che quei tre erano tipo i suoi migliori amici.
Mike li aveva trovati dannatamente simpatici.
In mensa aveva visto anche Chester, seduto da solo a scarabocchiare su un quaderno, mentre un vassoio di cibo giaceva completamente ignorato sul tavolo davanti a lui. Era rimasto a guardarlo più o meno dieci secondi, prima che Joe gli presentasse tutta la gang.
Finì per guardarlo anche anche lì, alla fermata.
Se ne stava con la schiena appoggiata a un palo, con la testa abbandonata all'indietro e gli occhi chiusi.
Sarebbe quasi parso che dormisse, se non fosse stato per le dita che battevano il tempo della musica che ascoltava con le cuffie.
Mike si accorse di starlo fissando e distolse lo sguardo vergognandosi come un ladro.
Tentò di rivolgere la sua attenzione a qualunque cosa fosse la cosa su cui Joe stava sproloquiando da un quarto d'ora, ma si sentì in colpa quasi subito.
Non gli sembrava giusto essere l'ennesima persona che lo ignorava.
Quel ragazzo aveva bisogno di qualcuno che non si comportasse come se non esistesse. Tutti ne hanno bisogno.
Il punto era che in un'intera giornata non aveva visto una singola persona che non si fosse comportata così: lo ignoravano tutti, come se si fossero messi d'accordo per far finta che fosse invisibile.
In autobus, in mensa e ora persino lì alla fermata: la gente gli voltava le spalle e faceva finta di non vederlo. Qualcuno ogni tanto gli finiva addosso oer sbaglio o gli pestava un piede, ma mai una parola di scusa o uno straccio di reazione da parte sua.
A nessuno interessava, e sembrava non interessasse nemmeno a Chestert, quindi festa finita.
Se ne stava sempre per conto suo, per lo più così fermo che Mike l'avrebbe preso per una statua se non fosse stato per la faccia da cadavere ambulante.
Non riusciva a capire che impressione gli facesse: da una parte sembrava che quel ragazzo avesse un muro costruito tutto attorno, dall'altra Mike sapeva che i muri avevano sempre almeno una crepa, e comunque erano sempre una facciata.
Il muro era solo qualcosa da mostrare. Qualcosa che si tira su quando ormai ci si è abituati al fatto che la gente non cerchi mai di vedere oltre la maschera, e ci si è rassegnati a lasciare fuori solo quello che le persone vogliono vedere e a tenere la persona che si è veramente sepolta in un armadio.
Mike si chiese chi ci fosse, nell'armadio di Chester Benningto.
Cosa ci fosse dietro il muro. Gli sarebbe piaciuto conoscerlo, e stava quasi per decidersi ad andare a parlargli, quando qualcosa spezzò la linea dei suoi pensieri.
-Hey Bennington, hai una sigaretta?-
Dal niente era comparso un tipo. Un tipo grande e grosso che aveva pensato che chiedere cose a uno con le cuffie fosse una buona idea, e si era andato a piantare proprio davanti a Chester con l'aria di uno che si aspettava una risposta, anche se Chester non l'aveva palesemente sentito e non si era minimamente accorto di lui.
Era talmente fermo e impassibile che sembrava morto.
-Sto parlando con te, coglione!- ringhiò il tizio.
Fece un passo avanti e gli diede uno spintone... e non era eccessivamente grosso, ma Chester probabilmente pesava tipo la metà di lui, e quasi finì per terra. Scosse un po' la testa, pii si rimise al suo posto senza fare una piega e riprese a farsi i fatti suoi, con le mani nelle tasche dei jeans e l'espressione da morto vivente.
Mike si morse un labbro: se continuava così, le avrebbe prese entro tre minuti. Poco, ma sicuro. Alla gente non piace essere ignorata.
-Porca miseria, hai questa fottuta sigaretta sì o no?-
Chester non si mosse.
-E che cazzo!- sbottò l'altro.
Poi successe tutto in una frazione di secondo. L'attimo prima era in piedi in mezzo al marciapiede e l'attimo dopo era in ginocchio e spiaccicato contro il palo, con Chester che lo guardava strafottente a cinque o sei passi di distanza. Mike pensò che dovesse avere dei riflessi niente male, per schivare un placcaggio del genere.
L'altro ragazzo si rialzò nel giro di un paio di secondi, talmente rosso in faccia che avrebbe fatto luce al buio.
-Vieni qui brutto figlio di una troia!- tuonò.
Mike rimase a fissare incredulo Chester che gli si avvicinava, tranquillo come un fiore a primavera, e gli faceva il medio con stampato in faccia il sorriso più infame degli ultimi due secoli.
Ma cos'era, masochista?
L'altro gli fu addosso dopo neanche un secondo, e questa volta Chester non avrebbe potuto schivarlo neanche se fosse stato Neo su Matrix?
In un petosecondo erano entrambi terra e il tizio lo stava riempendo di botte, mentre lui tentava inutilmente di difendersi menando colpi alla cieca.
Mike non si accorse nemmeno di essersi mosso, non si accorse di Joe che tentava di trattenerlo.
A tutto c'era un limite, e lui i pestaggi non li aveva mai sopportati.
Afferrò l'altro ragazzo per la giacca e lo strattonò via da Chester, poi lo spinse contro il palo con tutta la forza che aveva, pregando di essere riuscito a immobilizzarlo e non solo a farlo incazzare di più.
-Che cavolo fai? Vuoi ammazzarlo?-
-Fatti i cazzi tuoi.- sibilò l'altro.
Tentò di divincolarsi con uno strattone, ma Mike riuscì a tenerlo fermo.
Si chiese cosa fare: se lo mollava, quello si girava e lo gonfiava di botte, sicuro come la morte... non poteva nemmeno tenerlo lì per sempre, però.
A salvarlo fu l'arrivo dell'autobus: se rischiava di perdere l'autobus, quel coglione non poteva pestarlo. Quando la maggior parte degli altri furono saliti, lo lasciò andare.
-Fanculo, stronzo.- lo sentì dire mentre se ne andava.
Lo scuolabus ripartì sbuffando, lasciandolo lì assieme a un Chester un po' ammaccato che cercava di tirarsi su da terra.
-Tutto bene?- gli chiese avvicinandosi un po'.
Il ragazzo annuì sistemandosi gli occhiali sul naso. Aveva gli occhi dello stesso colore del caffè. Mike si avvicinò ancora, deciso ad aiutarlo ad alzarsi. L'altro accettò la sua mano e si tirò su borbottando un grazie.
-Forse è meglio se fai un salto in infermeria.-
-No, sto bene.-
-A me non sembra.- ribatté Mike.
Lanciò un'occhiata significativa al modo in cui Chester si teneva lo stomaco, e ottenne in risposta un'alzata di spalle.
-Cosa sei, cazzo, un medico?-
-Nope... cercavo... di essere gentile? Mi chiamo Mike comunque, Mike Shinoda.-
-Ok, Mike Shinoda, sai che c'é? Lascia stare.- disse Chester raddrizzando la schiena e cominciando a camminare barcollando un pochino -Con me non ne vale la pena di essere gentili.- aggiunse.
Poi sparì al di là della prima curva della strada, e Mike so ritrovò da solo a fissare come un cretino il punto in cui era stato fino ad un attimo prima.
Cosa diavolo significava che non ne valeva la pena?
Valeva sempre la pena. Soprattutto con chi chi veniva pestato davanti alla fermata dell'autobus.
Forse Chester aveva paura che la gente fosse gentile con lui... ma non importava: Mike era deciso a provarci. Era deciso a non essere solo l'ennesima persona che lo ignorava.
In quel momento, però, doveva riuscire a tornare a casa. Fece un respiro profondo e mosse i primi due passi, poi per poco non pestò qualcosa
che luccicava sul marciapiede e si fermò.
Cos'era, un cellulare? Aveva lo schermo graffiato e la cover che cadeva a pezzi, ma era, senza ombra di dubbio, un telefono. Che cavolo ci faceva un telefono lì? Sospirò e se lo mise in tasca: l'avrebbe portato in segreteria il giorno dopo, o qualcosa del genere. Probabilmente era o di Chester o dell'altro ragazzo. Uno dei due doveva averlo perso mentre si pestavano. Guardò il cielo sperando che non piovesse, poi fischiettando si incamminò verso casa.
ANGOLINO NERO PER UN'ANIMA NERA
*si affaccia timidamente* buona sera... Ebbene sì, sono qui bella puntuale il 17 Aprile a mezzanotte esatta, minuto più minuto meno, con il secondo capitolo. La canzone è piuttosto famosa (piuttosto tanto famosa), a differenza di Robot Boy, e spero di essere riuscita a inserirla al meglio.
Spero vi sia piaciuto il POV di Mike. Io adoro scrivere le cose dal suo punto di vista perché è semplicemente troppo puccioso. Che ve ne pare della differenziazione tra i POV?
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Ci leggiamo il 3 Maggio, nel frattempo...
Buona notte a tutti,
Cursed_Soldier
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