Capitolo 18~Point Of Authority

[Mike]

-Alla migliore band del mondo, futuri incantatori delle masse e per il momento strimpellatori da garage!- brindò Joe alzando una birra al cielo –Ai Linkin Park!-
-Ai Linkin!- risposero Brad, Rob e Dave in coro.
-Ai Linkin.- ridacchiò Jared Leto dall'angolo della tavolata.
Chi diavolo l'aveva invitato quello? Seriamente, chi?
-Ai Linkin...- borbottò Mike con poco entusiasmo.
Stava borbottando, Gesù Cristo. Dove diavolo era finito Chester? Non poteva essersene dimenticato, dannazione, non se si trattava della band: la band era sacra. Persino Chester di solito se ne ricordava.
-Andiamo Mickey: su con la vita. Qual è il problema?- chiese una voce piuttosto irritante alla sua sinistra.
Non che non fosse tutto irritante in quel momento, ma parliamoci chiaro: Mike non aveva niente contro Jared Leto. Forse gli stava leggermente sulle palle e forse, ma soltanto forse, era un po' geloso... il che, insomma, era strano, perché Chester aveva una scopamica incinta di suo figlio, ma Mike adorava quella ragazza, mentre con Jared non aveva mai fatto niente... almeno in teoria...
Tra parentesi, Jared lo sapeva o no che loro due... Gesù Cristo, stava diventando anche paranoico adesso.
Fantastico, un altro po' e sarebbe sembrato lui quello in preda agli ormoni, altro che Elka.
Tra l'altro, chi cavolo gliel'aveva dato a quel frocio del cazzo il permesso di chiamarlo Mickey?
Frocio del cazzo? Leggermente ipocrita come insulto... soprattutto visto che teoricamente poteva risultare maleducato, ma non era esattamente un insulto. Merda, stava sclerando di nuovo. Cazzo. Perché diavolo continuava a imprecare ultimamente? Maledetto stress...
-Mickey? Ti sei incantato?-
-Uhm. No, scusa.- borbottò rigirandosi il bicchiere di birra tra le mani.
In quella maledetta tavola calda avrebbero venduto alcolici persino a un neonato, cavolo. Era semplicemente assurdo.
–Sono solo preoccupato.- aggiunse prima di prendere un sorso.
Era anche calda, tra l'altro.
-Stai tranquillo, prima o poi arriverà.-
-Tu come diavolo fai a saperlo?-
Se Jared si sentì offeso o colpito da quello scatto, fece del suo meglio per non farglielo capire e continuò a comportarsi esattamente come aveva fatto tutta la serata: come se non avesse un pensiero al mondo.
-Aveva detto che veniva, no?- rispose tranquillo.
-Già, l'aveva detto.-
Mike fece del suo meglio per ignorarlo e cominciò a guardarsi attorno: la tavola calda sembrava un po' meno squallida ora che c'era effettivamente qualcuno ad occupare i tavoli a parte la polvere e i dispencer dei tovaglioli. A parte loro, che facevano il loro casino in un tavolo d'angolo, c'erano una famiglia che, a giudicare dalla lingua, doveva essere italiana, un altro gruppo di ragazzi seduto vicino alla porta e due ragazze con i capelli castani che se ne stavano in un tavolo appartato a chiacchierare e ridacchiare di tanto in tanto, e lui non riusciva a capire se fossero sorelle, amiche, o qualcosa di più. Sembravano così tranquille e serene... il loro tavolo, a confronto, sembrava un campo di battaglia: senza sapere bene come, lui e la sua improvvisa depressione si erano ritrovati strizzati nel mezzo tra Dave, in quel momento impegnato a fulminare con lo sguardo la persona di fronte a lui, ovvero Joe, e Jared, che, essendosi probabilmente stancato di rompergli le scatole, stava guardando Brad e Rob che si litigavano scherzosamente le ultime patatine. Aveva stampata in faccia un'espressione quasi comica, a metà tra il meravigliato e l'intenerito.
Normalmente, avrebbe considerato una serata del genere fantastica, ma quelle non erano considerabili condizioni normali. Nemmeno un pochino. Cioè, a meno che il fatto che il suo ragazzo -che ok, sì: erano in prova, ma era pur sempre il suo ragazzo, oltre che il futuro padre di un bambino concepito con una scopamica e un diciottenne tendente all'autolesionismo e di recente ricaduto nella tossicodipendenza- fosse disperso non fosse da considerarsi una condizione normale... e no, non credeva che fosse da considerarsi tale. Avrebbe dato via l'anima, il cuore e anche un braccio e una gamba, per sapere dove diavolo fosse andato a cacciarsi Chester, ma per sua infinita sfiga non era pratico né di chiaroveggenza né di magia nera, quindi tutto quello che poteva fare in quel momento era starsene seduto ad un tavolo in una tavola calda di merda a ingoiare l'ansia, strizzato tra una fabbrica vivente di sguardi assassini e un tizio con i capelli decisamente troppo lunghi impegnato a fissare quelli che in confronto a lui erano due ragazzini con un Awww stampato in faccia.
No, decisamente non l'avrebbe ricordata come una serata fantastica.
Magari, avrebbe potuto fare in modo di non ricordarsela proprio: poteva bere fino allo sfinimento, dormire per strada sotto la pioggia e tornarsene a casa il giorno dopo con un mal di testa apocalittico e magari un bel principio di broncopeste -malattia gentilmente inventata dal dottor Joe Hahn- senza ricordarsi niente di quello schifo di sera. Gesù Cristo, cominciava a capire perché Chester beveva. Ma no, in effetti non sembrava una buona idea: non aveva mai retto granché l'alcool e non ci teneva a stare male per i tre giorni a venire. Tra l'altro, dubitava che una qualsivoglia dose spaventosa -o magari traumatizzante- di alcolici -o magari di superalcolici- gli avrebbe fatto passare l'ansia terrificante che gli stava stritolando lo stomaco e i polmoni.
La sensazione era simile a quella che si prova quando si finisce in mezzo a una corsa troppo veloce. Una di quelle in cui metti tutta l'anima, sputi sangue e combatti contro te stesso fino allo stremo delle tue forze per andare un po' più veloce, ma il passo è semplicemente troppo per te, ed anche solo provare a starci dietro è una battaglia persa. Semplicemente non ce la puoi fare.
L'alcool non avrebbe potuto migliorare granché la situazione, probabilmente, ma, decise alla fine, una birra in più non poteva certo fargli male... cioé, probabilmente sì, ma erano dettagli.
Proprio mentre stava per alzarsi e andare a procurarsi la seconda birra della serata, un tizio magro e bagnato fradicio fece irruzione nella tavola calda e corse verso il bagno, lasciandosi dietro una scia di pioggia e una porta aperta.
Schizzò in piedi e scavalcò Jared, mentre il barista ossessivo compulsivo agitava una biro, ovvero l'oggetto dei comportamenti maniacali della serata, dietro a Chester che spariva dietro la porta del bagno, urlando qualcosa come Per usare la toilette c'é la consumazione obbligatoria!
-Prende una birra.- disse sbattendo cinque dollari sul bancone prima di fiondarsi in bagno.
Il bagno, come tutto il resto della tavola calda, era, per farla breve, uno schifo: i muri erano ricoperti di piastrelle sbeccate di ceramica smaltata di bianco, il pavimento era sporco di... be', forse era meglio non saperlo... e c'erano soltanto due cubicoli, ricavati da séparé di carton gesso pieni di buchi grandi quando un pugno. Uno dei due aveva la porta socchiusa.
Mike ci sbirciò dentro, cercando di non fare rumore.
-Tutto bene?- chiese.
-Bene un cazzo.- mugolò Chester con voce flebile.
Era chinato sulla tazza del water e aveva posato gli occhiali per terra, mentre vomitava anche l'anima.
Mike non riusciva a vederlo bene in viso, ma aveva i capelli incollati alla testa dalla pioggia e sembrava persino più pallido del solito. Di un pallore quasi inquietante. Quanto meno non gli pareva che avesse gli occhi rossi e non gli sembrava di sentire odore di fumo, ma visto il diluvio che aveva appena attraversato, quella non era una considerazione attendibile.
Prese un respiro profondo e entrò nel cubicolo. Era stretto, soffocante e puzzava di piscio, ma non aveva il tempo di preoccuparsene. Si accucciò vicino a lui, gli posò una mano sul braccio e lo guardò meglio, cercando di capire se fosse fatto di qualche schifezza o se stesse semplicemente vomitando.
-Piantala di guardarmi così. Cazzo.- bofonchiò Chester non appena fu in grado di alzare il viso dal gabinetto.
Il modo in cui parlava quanto meno sembrava abbastanza normale: non sembrava né fatto, né particolarmente ubriaco.
-Così come?-
-Come se fossi un peccatore del cazzo al banco della fottuta Inquisizione spagnola.- disse –Non sono fatto. Credo solo di aver preso freddo.-
-Sfido che prendi freddo...- sussurrò Mike fra sé e sé –Non sono nemmeno sicuro che tu conosca anche solo il significato della parola giacca.-
-Porca puttana Mike. Sei il mio ragazzo, non mia madre.- scattò Chester.
Chiuse gli occhi e restò un attimo in silenzio, respirando a fatica l'aria putrida del bagno.
-Cazzo. Non volevo aggredirti così.- borbottò qualche secondo dopo –È che sono stanco morto.-
-Non fa niente.-
Mike si alzò e gli tese la mano, con un sorriso incerto che gli aleggiava sulle labbra.
-Te la senti di venire di là?-
Chester accettò la sua mano con un sorriso poco convinto e si rialzò barcollando un po'.
-Sì. Sto meglio adesso. Più o meno. Ho solo bisogno di un fottutissimo triplo cheesburger.-
Mike rise, scosse la testa e lo portò fuori dal quel cubicolo rivoltante, un po' sostenendolo e un po' trascinandolo.
-Cazzo ridi? È il dannato potere magico dei cheesburger: ti rimettono lo stomaco a posto. Oppure ti ammazzano.-
La voce di Chester era un po' meno tremula ora, e le sue guance stavano prendendo un po' di colore.
-Sì be', non ci tengo ad avere un'anima tormentata sulla coscienza.-
-Affari tuoi.- borbottò mordicchiandosi il piercing –Puoi lasciarmi andare adesso. Mi reggo in piedi anche da solo. Grazie.-
-Wow: un'intera frase senza imprecare!- ridacchiò Mike lasciandolo andare –Non mi starai mica diventando un bravo ragazzo, vero?-
-Fanculo Mickey.- rispose Chester, sorridendo a pieno per la prima volta.
-Ora ti riconosco.-
Mike gli stampò un bacio sulla guancia e gli sorrise ancora.
-Ti aspetto qui fuori, ok Charly?-
-Non cominciare anche tu. Cazzo. Non tu.-
Mike rise e uscì dal bagno. Si sentiva meglio adesso: quella serata forse non sarebbe stato un completo schifo.
Si appoggiò al muro accanto alla porta e si guardò di nuovo attorno: sembrava tutto un po' più caldo adesso, un po' meno uno schifo.
Gesù, quando aveva cominciato Chester a fargli quell'effetto? Faceva quasi impressione... anche senza il quasi.
Dave che guardava Joe come se volesse spaccargli la sedia in testa e poi sbranarlo vivo non gli sembrava più tanto fastidioso, Brad e Rob che litigavano per le patatine non erano poi così infantili come aveva pensato e Jared in fondo non gli stava poi così tanto sulle palle... più o meno. Era un bravo ragazzo, nel profondo.
Chester gli stava diventando una dipendenza: non riusciva più nemmeno a vedere le cose come le vedeva prima e... e Gesù Cristo, doveva smetterla di pensare come una ragazzina.
Seriamente, le fanfiction che leggeva Joe erano meno smielate.
Cavolo... quando era diventato così gay?
-Cosa mi sono perso finora?- chiese Chester apparendo al suo fianco.
Era ancora un po' pallido e sembrava che camminasse in preda a un giramento di testa, ma almeno adesso pareva almeno lontanamente un essere umano vivo, e non un cadavere.
-La cena e un paio di brindisi.- rispose sorridendogli –E forse un altro paio di cose che credo di essermi perso anche io.-
-Avete cominciato a bere senza di me? Bastardi.-
-Tu non arrivavi più.-
-Questa non è una giustificazione valida, Mickey.- disse Chester -Non si comincia a bere senza di me, e tu lo sai.-
Sembrava addirittura moderatamente allegro, il che ultimamente era una cosa rara. Mike quasi si preoccupò.
-Andiamo?- si sentì chiamare un paio di secondi dopo.
Guardò di nuovo il tavolo dove era seduto il resto dei Linkin Park e Jared. Non sembravano essersi accorti di loro, e continuavano a comportarsi esattamente come quando Mike si era alzato... e cioè da cretini.
Sorrise fra sé e sé.
-Andiamo.-
-Ecco il nostro vocalist!- esplose Joe non appena li vide –E anche Mike.- aggiunse facendo ridere tutti.
-Buonasera anche a voi, banda di sfigati.- salutò Chester mentre si sedeva vicino a Jared.
Mike si strinse nei venti centimetri scarsi di panca che restavano e recuperò gli avanzi della sua birra dal suo ex posto, che ora era diventato quello di Jared.
Perché le panche delle tavole calde dovevano essere sempre così maledettamente corte? Avevano prenotato un tavolo da dieci per stare larghi, e invece ci stavano stretti in sette: consideravano solo clienti dai dieci anni in giù per decidere come fare i tavoli o cosa?
-Sfigato a chi, Bennington?- borbottò Dave con il solito tono incazzoso.
-Credo dicesse a te, David.- gli rispose Rob ridendo.
-Andiamo: voi due potreste almeno tentare di non litigare? Almeno per stasera?- si intromise Brad.
Ogni tanto Mike si chiedeva che fine avrebbero fatto senza Brad che tentava in tutti i modi di non farli litigare... probabilmente, come gruppo, avrebbero fatto acqua da tutte le parti. Si sarebbero sbranati a vicenda senza pietà.
-Io comunque ce l'avevo con tutti quanti.- precisò Chester.
-Grazie Chester...- disse Joe battendo la fronte sul tavolo.
Melodrammatico e teatrale come al solito... se non avesse scoperto le console probabilmente avrebbe fatto il comico.
La serata andò avanti così, almeno per un po'. Le loro serate andavano sempre avanti così, se si voleva dirla tutta: con Joe che faceva il cretino, Dave che gli diceva di farla finita, Brad e Rob che facevano i piccioncini, Mike che rideva e Chester che si divertiva a creare situazioni ambigue e a prendere tutti per il culo almeno un po'.
Solo che, verso le undici e mezza, qualcosa cambiò. Cominciò con Chester che usciva con la scusa della sigaretta.
-Non dovresti uscire di nuovo sotto questo diluvio.- lo avvertì Mike –Prima hai vomitato anche l'anima.-
-È solo una fottuta sigaretta Mike. Non mi prenderò il dannato colera nel tempo di fumare una sigaretta.-
-Prendi almeno la mia giacca.-
-Sì, mamma.- sbottò Chester avviandosi verso la porta della tavola calda.
Senza giacca, ovviamente.
Lascialo in pace, Mickey. Lo presero in giro gli altri. Lascialo respirare. Gli dissero.
Chester resto fuori venti minuti. Tornò dentro bagnato fradicio e con una faccia da funerale. Si fermò un attimo sulla soglia, a fissare il vuoto come se lo odiasse, e poi andò verso il bagno.
Mike lo segui senza nemmeno pensarci, e lo trovo vicino a un lavandino di ceramica che prima non aveva notato. Era aggrappato con le mani al bordo, e lo stringeva talmente forte che le nocche gli si erano sbiancate. Era pallido e aveva gli occhi rossi. Del rosso sbagliato.
Guardando quegli occhi, Mike si sentì cadere: non era andato fuori a fumare una sigaretta.
-Stai bene? - gli chiese non appena sentì di avere abbastanza aria nei polmoni per farlo.
Non era sicuro di voler conoscere la risposta: aveva un brutto presentimento... anzi, più che un brutto presentimento, un presentimento orrendo. L'ansia tornò ad attanagliargli la gola e forse... forse non l'avrebbe ricordata come una serata fantastica.
-Sì.- borbottò Chester –Mai stato meglio.-
Perché ora gli raccontava anche balle? Ultimamente avevano fatto progressi sul fronte sincerità sulle proprie condizioni psicofisiche, che fine avevano fatto?
-Che è successo?- domandò incerto.
-Fatti i cazzi tuoi, Mike.-
Il suo tono era gelido... Gesù, perché era così freddo? Era stato allegro e tranquillo fino a venti minuti prima, che cavolo stava succedendo adesso? Perché si comportava così? Aveva fatto qualcosa di sbagliato? Probabilmente sì, doveva averlo fatto. O forse centrava Elka. Forse era stata male o... o forse era suo padre: forse aveva scoperto qualcosa.
-È tutto a posto?-
-No.- sbottò Chester tirando un pugno rabbioso al muro –Non c'é un cazzo che vada bene. E smettila di chiedermelo. Smettila di starmi fottutamente addosso. Smettila di comportarti come se ti fregasse qualcosa di me, cazzo!-
Mike sentì distintamente i propri muscoli diventare sassi sotto la sua pelle, e rabbrividì quando il sangue gli si ghiacciò dentro le vene: Gesù, in che senso Smettila di comportarti come se ti fregasse qualcosa di me ? Ok, forse era un po' insistente e anche un po' appiccicoso, ma cavolo: certo che gli importava di lui.
-Cristo. Smettila di fissarmi.- ringhiò Chester.
Mike distolse lo sguardo d'istinto, si diede dello stupido e alla fine tornò a guardarlo. Dio, aveva gli occhi decisamente del rosso sbagliato.
-Ok, va bene, la smetto di starti addosso. Adesso calmati però, ok?- borbottò.
-No che non mi calmo, porca puttana!-
Chester sembrava furioso, e lui non aveva la più pallida idea del perché: sapeva solo che quella situazione lo innervosiva, lo spaventava e in un certo senso lo faceva sentire inutile. Doveva cercare di scoprire cosa avesse, o quanto meno di capirci qualcosa: aveva bisogno di informazioni, non poteva fare i mattoni se non aveva l'argilla.
-Chester...-
-No Mike. Chester un cazzo.-
-Per favore, Chester. Questo non sei tu.-
Chester gli puntò addosso i suoi occhi color caffè: in quel momento sembravano neri e spaventosi.
Mike mandò giù il nodo che aveva in gola, ma la sua gola restò maledettamente annodata. Gesù, doveva stare calmo.
-Che cazzo ne sai tu, eh? Che cazzo ne sai che questo non sono io?- chiese continuando a fissarlo stralunato.
La sua voce era graffiante, sprezzante, piena di rabbia. Faceva male, cavolo. Un male dannato. Perché si stava comportando così? Cosa gli aveva fatto? Cosa gli era successo?
-Lo so perché ti conosco. Questo non sei tu.- ribadì Mike tentando di mantenere un tono fermo.
-Certo. Certo, tu mi conosci: vero Mickey? Credi sempre di sapere tutto. Credi di non sbagliarti mai... invece non sai un cazzo.-
Mike sentì il respiro mancargli. Perché gli stava dicendo quelle cose? Perché continuava a... no. No, doveva stare calmo: Chester era solo fatto. Non era se stesso, quando era fatto.
-Non sai un cazzo e lo sai perché? Perché non ti interessa un cazzo di me. Ti piace solo il modo in cui ti guardo. Ti piacciono le cose che dico che farò. Il modo in cui continuo a farmi del male raccontandoti stronzate della mia vita di merda alle quali non vorrei nemmeno pensare e tentando di essere qualcuno che non sono solo per restare con te.-
Tutto diventò nero per un secondo.
Perché?
Perché continuava a dire cose del genere?
Mike continuava a ripetersi che era colpa di qualunque cosa Chester si fosse fumato e che probabilmente non era del tutto consapevole di ciò di cui stava parlando, ma... e se si sbagliava? E se Chester le pensava davvero?
Si morse un labbro e rimase zitto, cercando di continuare a respirare con regolarità.
-A te non frega niente, vero? Non ti frega niente di nessuno. Vuoi solo poterti comportare come se fossi un cazzo di qualcuno.- continuò Chester –Prendi tutto quello che ti viene messo davanti e lo soffochi. Come stai facendo con me. Attacchi come una fottuta malattia. Porti via tutto. La vita, l'orgoglio. Spacchi tutto. E non te ne frega un cazzo.-
-Smettila.- bofonchiò Mike.
La sua voce era strozzata, rotta dal tentativo di ingoiare il pianto. Aveva gli occhi lucidi, ma non voleva piangere: non in quel maledetto bagno, non davanti a lui.
-Perché dovrei? Sai una cosa? Fa un fottuto favore a te stesso. Dimenticati questo gioco di merda. Prima che finisca male. Smettila di rompere il cazzo. Va a tormentare qualcun'altro.-
-Smettila. Per favore, smettila.- ripeté.
Non riusciva a capire perché gli stesse rovesciando addosso tutte quelle cattiverie... perché non se le meritava, sapeva di non meritarsele: gli importava di Chester, forse anche troppo.
-Vaffanculo Mike.- sbottò Chester.
Lo sorpassò con una spallata e uscì dal bagno. Mike rimase fermo dov'era per un secondo o due, frastornato, poi lo seguì. Trovò tutti gli altri, compreso Jared, ad origliare fuori dalla porta: era quasi mezzanotte ed erano rimasti solo loro nella tavola calda, più il barista che, come sempre, li guardava male, e, a quanto pareva, dovevano aver pensato che spiarli fosse divertente.
Fece appena a tempo a vedere Chester attraversare la porta del locale e stava per partire all'inseguimento, quando si senti una mano sulla spalla.
-Lascia perdere.- disse Jared –Se c'é una cosa che ho capito di lui, è che è sempre un po' incazzato, ma che quando è incazzato sul serio non ragiona. Lo seguo io: a te ha già detto abbastanza cazzate per stanotte.-
Non si prese il disturbo di aspettare che Mike esprimesse la propria opinione: semplicemente si girò e corse fuori, sotto la pioggia.
-Mike?- lo chiamò Brad qualche secondo dopo.
Mike stava ancora fissando il vuoto davanti alla porta, assorto.
-Mike?-
-Uhm?-
-Tutto bene?-
Lo accompagnarono a sedersi al loro tavolo e gli fecero gruppo attorno.
-Sì.- mentì Mike.
-Non ci stare troppo male Mike.- gli consigliò Dave –È solo uno stronzo che vuole qualcuno da ferire come è stato ferito lui.-
-Sicuro che sia tutto a posto?- gli chiese Joe con uno sguardo preoccupato.
-Sì.-
Mike si alzò e si fece largo tra i suoi amici, dirigendosi verso la porta.
Si sentiva ancora frastornato, come se lo avessero messo dentro una campana da cattedrale e poi l'avessero suonata.
-Dove stai andando?- domandò Rob.
-A casa.- rispose a bassa voce –Sono stanco.-
Gli altri lo fissarono in silenzio, mentre pian piano attraversava la tavola calda e usciva dalla porta.
Attraversò il quartiere camminando lento sotto la pioggia, senza pensare a niente.
Quando arrivò davanti alla porta verde del 3702 di Lincoln Street si trascinò in casa bagnato come un pulcino, ignorò le domande di sua madre che, per una volta tanto, era in casa e stava leggendo un libro seduta su una seria vicino all'isola della cucina. Salì le scale in silenzio, senza preoccuparsi di bagnare la moquette rossa, e si rifugiò in camera sua. Si tolse la giacca e si buttò sul letto ancora vestito e bagnato fino alle ossa. Rimase sdraiato immobile per circa tre minuti, poi si girò, premette il viso nel cuscino e fece una cosa che non faceva da anni: pianse.

[Chester]

Il finestrino dell'autobus era freddo.
Fottutamente gelido.
Rigato di pioggia.

Maggio, uhm?
Maggio un cazzo.
A Dicembre era più caldo.
Cazzo.

Era una settimana che Chester sentiva freddo.
Un freddo dannato.

Era cominciato quando aveva urlato a Mike quel fottio di cazzate.

Sensi di colpa.
Fottutissimi sensi di colpa del cazzo.

Non riusciva nemmeno a dormire bene.
Non riusciva nemmeno a pensare bene.

Aveva freddo.
Sempre un freddo dannato.
Non riusciva a toglierselo di dosso..

Sensi di colpa.
Fottutissimi sensi di colpa del cazzo.

All'inizio era stato incazzato nero.
Sul serio.
Poi però si era reso conto di essere stato un coglione.
Un gigantesco fottuto coglione.

E ora se ne stava lì.
Seduto da solo sul maledetto autobus che andava a scuola.
Con la testa contro un fottuto finestrino gelido.
Ascoltando Blackbirds a ciclo continuo.

Era strano non fare più quel viaggio messaggiando con Mike.
Era strano che la suoneria dei messaggi se ne stesse maledettamente in silenzio per tutto il tempo.

Cioè... all'inizio in realtà suonava.
Mike ci aveva provato ad aggiustare le cose.

Poi i suoi messaggi si erano fatti sempre meno lunghi.
Sempre più dannatamente freddi.

Poi avevano smesso di arrivare.
Attorno al quarto giorno.

E Chester si era sentito ancora più un assoluto stronzo deficiente per non avergli mai risposto.

E ora se ne stava lì.
Seduto da solo sul maledetto autobus che andava a scuola.
Con la testa contro un fottuto finestrino gelido.
Ascoltando Blackbirds a ciclo continuo.

Con un mal di testa fottuto.
Perché non riusciva a dormire decentemente da giorni.

Un bisogno maledetto di fumarsi qualcosa di pesante.
Perché non riusciva a pensare decentemente da giorni.
Come se la marijuana avesse mai risolto qualcosa.

Cazzo.
La marijuana incasina tutto e basta.
Io incasino tutto e basta.

Sentiva freddo.
Sentiva la voglia di urlare che gli premeva sul petto.
Aveva voglia di spaccare qualunque fottuta cosa gli capitasse sotto mano.

Aveva rovinato tutto.

Cazzo.

E aveva fatto male a Mike.

Cazzo.

Era un po' che lo osservava.
Tutti i giorni si sedeva con i ragazzi della band.
Come sempre.

Ma lui non era come sempre.

Sembrava fottutamente triste.
Non scherzava.
Non rideva.
Non sorrideva.

Stava zitto e in silenzio.
Fissava il vuoto.

E basta.

Aveva fatto male a Mike.

Cazzo.
Sono un coglione.
Un fottutissimo coglione.

Nemmeno si ricordava bene cosa cazzo gli avesse detto.
Sapeva solo che stava parlando a vanvera.
Che non sapeva quello che stava dicendo.

E aveva rovinato tutto.

E ora se ne stava lì .
Seduto da solo sul maledetto autobus che andava a scuola.
Con la testa contro un fottuto finestrino gelido.
Ascoltando Blackbirds a ciclo continuo.

E aveva freddo.
E aveva voglia di urlare.

ANGOLINO NERO PER UN'ANIMA NERA
Here I am! Eccoci qui, tornati con Points of Authority, ovvero il capitolo che nella mia scaletta era segnato come "quello dove tutto va in mona", che tradotto significa "in figa".
Lo so, è un po' traumatizzante... ma già meno di White Noise, secondo me. Voi che ne dite? I prossimi due lo sono meno comunque, quindi mettete via i forconi e cercate di non odiarmi troppo...
La canzone è spalmata un po' dappertutto, ma il grosso è nella sfuriata di Chester... che dovrebbe seriamente cambiare spacciatore.
Dubbi? Teorie? Pareri? Non esitate a esprimervi, i commenti esistono anche per quello :)
Be', che dire? Ho finito di risistemare le ultime cose che mi mancavano nell'epilogo e nei contenuti speciali e quando ho visto il conteggio delle parole totali (sono stata un'ora a copiaincollare ogni capitolo su un documento finale solo per vedere questa cosa) è saltato fuori che sono circa 116k... il che vuol dire che questa ff è più lunga dei primi tre libri di Harry Potter... mi sento un mostro... passiamo a cose più ordinarie: avevo detto che forse avrei pubblicato più spesso una volta finito di scriverla... invece no. Ho fatto un paio di conti e continuando così e saltando una pubblicazione tra l'epilogo e il contenuto speciale arrivo alla seconda metà di Marzo, e quindi direi che è d'obbligo farla finire nel giorno in cui tutto è iniziato... ovvero il 20 Marzo :)
Detto questo, noi ci leggiamo il 17.
Buona notte,

Cursed_Soldier

P.s.: ho rinnovato un po' la copertina. Che ve ne pare?

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