Capitolo 13~Valentine's Day
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[Mike]
Mike aveva scoperto di odiare San Valentino.
Normalmente era una ricorrenza che non gli faceva né caldo né freddo, perché in fondo bastava aspettare che passasse. Era un giorno come un altro: Gesù, erano soltanto ventiquattro stupide ore qualunque su ottomilasettecentoquaranta... ma allora perché quel maledetto anno si sentiva come se non fosse per niente così?
Si sentiva maledettamente, disperatamente solo, e la cosa veramente tremenda era che era la prima volta in vita sua che si sentiva così. Cristo Santo, era tremendo: come diavolo aveva fatto Chester a passare così tutta l'adolescenza? Chester... no. No, pensare a Chester non era una cosa intelligente da fare, decisamente. Non da quando la Teoria aveva smesso di essere inequivocabilmente sbagliata e aveva iniziato a essere vagamente probabile.
E poi... quando aveva cominciato a fargli male l'idea di non avere mai avuto nessuno che gli volesse bene in quel modo? Insomma, se ne era sempre fregato: San Valentino era sempre stato un giorno come gli altri, cosa era cambiato stavolta? E, soprattutto, chi diavolo glielo aveva chiesto a quel qualcosa che era cambiato, di cambiare?
Quell'anno, tra l'altro, San Valentino era capitato di Sabato, il che era una grande sfiga perché fatalità il Sabato era anche il giorno in cui la band di solito provava.
Fatalità. Fatalità un cavolo. Probabilmente era, per l'appunto, soltanto sfiga e basta... ma Mike cercava ardentemente di non pensarci, mentre si mordeva il labbro quasi a sangue per cercare di tener fermi al loro posto quegli stronzi iperattivi dei suoi neuroni e scendeva le scale di casa per andare in garage e cercare almeno di cominciare ad accordare le chitarre. Anzi: la chitarra. Quel giorno sarebbero stati solo lui e Chester e lui non aveva voglia di mettersi a fare le cose per bene, quindi avrebbe accordato quella acustica e tanti saluti. Se la sarebbero fatta bastare.
Sentì lo stomaco salirgli in gola, perché Gesù: dopo la conversazione, o meglio, la discussione che aveva avuto con Anna tre giorni prima, non stava esattamente morendo dalla voglia di restare solo con Chester.
Che poi, tra l'altro, pareva che gli altri avessero trovato tutti qualcosa da fare apposta per lasciarlo solo: ok, poteva capire Brad e Rob che stavano effettivamente insieme e avevano il diritto di starsene un po' per conto loro, ma Joe era inequivocabilmente single, e la cosa dell'uscita di consolazione con i tipi della mensa pareva soltanto un'immensa stronzata. Quanto alla ragazza di Dave... be', cambiava nome ogni due ore, e se quella non era palesemente inventata, allora Mike era un rospo. E un rospo di quelli brutti e pieni di verruche, tra l'altro.
In parole povere, i suoi migliori amici lo avevano abbandonato solo e sperduto sul campo di battaglia, confuso sui propri sentimenti, una Teoria a metà tra lo spaventoso e il traumatizzante da confutare e con una prova in solitaria con un ragazzo per cui la sua ex migliore amica sosteneva avesse una cotta programmata per il pomeriggio.
Begli amici di merda che aveva... persino suo fratello si era dileguato... dove, poi, era meglio non stare neanche a chiederselo.
E così si ritrovava lì, solo e terrorizzato a piantarsi i denti nel labbro e a cercare disperatamente di non inciampare su un gradino o su Benny che gli trotterellava dietro e, soprattutto, di non sclerare.
Non che cercare di non sclerare fosse effettivamente utile, comunque: quella giornata era stata praticamente tutta uno sclero.
Tanto per cominciare, era iniziata con un bel quasi attacco di panico, perché, come al solito, si era svegliato presto ed era rimasto a letto a rimuginare. Insomma, e se si venivano a creare situazioni equivoche? Chester era... insomma, lui si divertiva, a essere equivoco: con lui era praticamente impossibile evitarle... il vero problema però non era quello, e la cosa un po' bruciava, perché più passavano le ore e più si rendeva conto che forse Anna aveva ragione e in qualche modo la Teoria si stava dimostrando giusta: Chester gli piaceva.
Gli piaceva in... be', Mike non ne era del tutto sicuro, ma... insomma, credeva che ci fosse una minima possibilità che gli piacesse in quel modo, e la cosa lo spaventava. Lo spaventava un casino.
Gesù, ci aveva pensato un sacco, troppo, probabilmente, e si era reso conto che c'erano un mucchio di cose di lui che lo facevano sentire... be', lui avrebbe detto strano, ma non era uno strano inteso in senso negativo.
La parte divertente è che erano cose piccole, a volte stupide, come il suo modo di ridere, il biondo ossigenato dei suoi capelli, i suoi occhi color caffè e poi gli occhiali spessi e rotti, le battute, le parolacce, la voce... lo facevano sentire... bene? Sì, be', era un po' strano, ma la parola che avrebbe usato lui era pressapoco quella. Forse semplicemente gli piacevano, ma non avevano lo stesso modo di piacergli che potevano avere il sorriso di Anna, o le stramberie di Joe, o la gentilezza di Brad: avevano un modo di piacergli che era quasi una dipendenza. Una dipendenza in un certo senso terrificante e quasi sicuramente almeno un po' sbagliata, ma che allo stesso modo riusciva in qualche modo a piacergli a sua volta.
Anche dopo che si era alzato, comunque, la situazione non era migliorata granché: aveva deciso, giusto perché gli piaceva farsi del male, di provare a chiamare Anna, e il risultato era stato una mattinata chiuso in camera a fare e rifare il suo numero soltanto per farsi sbattere in faccia il telefono senza nemmeno riuscire a dire pronto e a coccolare Benny o a strimpellare qualcosa sulla tastiera nelle pause tra una decina di telefonate e l'altra, cercando di tenere il proprio io interiore lontano dalle aree del cervello dove si stavano discutendo cose come Come evitiamo che Chester venga per le prove oggi pomeriggio?, Cosa succederà dalle tre e un quarto in poi? Dieci modi per sopravvivere alla Chesterapocalypse e Mille e una ragioni per cui Mike dovrebbe smetterla di farsi seghe mentali e dedicarsi a qualcosa di più produttivo.
L'unico momento quasi decente era stato quando era sceso in cucina a mangiare ed era passata alla radio quella canzone stupenda di cui non sapeva nemmeno il titolo che per un attimo era riuscita a non farlo pensare. Che giornata di merda.
La cosa divertente, oltre che quasi ironica, era che non tutto in lui voleva chiudersi in camera, raggomitolarsi nelle coperte e sparire. C'era una parte, nascosta in profondità e abbastanza magra e depressa, che non chiedeva altro che passare un bel pomeriggio assieme a uno dei suoi migliori amici... solo che ogni volta che quel pezzettino di lui cercava di farsi sentire, tutto il resto gli ricordava che forse il suddetto amico non era più solo uno dei suoi migliori amici e che forse non lo era nemmeno mai stato, e allora quel povero, piccolo groviglio di neuroni che ancora cercava di essere ottimista tornava a deprimersi nel suo angolino e se ne restava in silenzio per un po'.
Perso nei suoi pensieri, che non era sicuro di definire normali, senza nemmeno accorgersene era arrivato in fondo alle scale e stava entrando in garage.
Scosse la testa e fece una smorfia, cercando di chiudere tutto quel casino fuori dalla sua testa e allo stesso tempo di non pestare niente del casino che c'era fuori dalla sua testa.
Il macello che c'era sul pavimento del garage peggiorava ogni settimana un po' di più... Mike cominciava a sospettare che, a parte Benny che sembrava adorarlo, ci fosse anche qualcos'altro di vivo, in mezzo a quel disastro.
Visto che non aveva niente di meglio da fare e, soprattutto, visto che Chester era sempre in ritardo e che lui doveva pur fare qualcosa finché non iniziavano le prove, andò contro ogni suo principio e si mise a riordinare. Gesù, come diavolo aveva fatto a ridursi così?
Lanciò uno sguardo sconsolato attorno a sé. Gesù, lì dentro c'era veramente un macello: tanto per cominciare, perché diavolo la cassa delle birre era mezza vuota ed era in mezzo al pavimento? E perché c'era una delle sue chitarre sul divano? Merda.
Tra l'altro: perché tenevano un divano in garage? Poteva capire che i divani vecchi venissero tenuti in soffitta o in discarica, ma che cavolo centravano con i garage? Stessa cosa per il pianoforte: che cavolo ci faceva un pianoforte in un garage?
Scosse la testa e si rimboccò le maniche della camicia. Sarebbe stato un lungo e sporco lavoro. Ma qualcuno doveva pur farlo... prima o poi.
Sospirò e cominciò a spostare le cose più pesanti verso i muri. In realtà stava più ammucchiando che riordinando, ma... be', meglio di niente.
Grazie a Dio che c'era, però, il pianoforte. Era il motivo principale per cui aveva rotto le palle ai suoi per una settimana per riuscire a convertire il garage in sala prove: la tastiera era comoda, anzi, indispensabile, ma Gesù, per certe cose lui era un tradizionalista, e se voleva il piano... be', allora avrebbe usato il piano, e dove diavolo lo andava a cercare un altro pianoforte?
Sbuffando sollevò la cassa di birra e la mise fuori dalla finestra.
Ok, il leggero freddo di tre giorni prima se n'era andato e ora sembrava più autunno inoltrato che Febbraio, ma era sempre meglio di niente: non gli piaceva la birra calda.
Il freddo, comunque, non era stato l'unica cosa ad essersene andata: il tempo, tanto per cambiare, faceva di nuovo schifo e il cielo era talmente pieno di nuvole che invece che le due del pomeriggio sembrava sera, appena prima del tramonto.
Un brivido gli attraversò la schiena mentre chiudeva la finestra: Chester adorava le giornate come quella... ma Gesù, doveva smetterla di pensarci. Lui non era gay, Gesù Cristo, e Chester non gli piaceva in quel senso e durante quelle stramaledette prove sarebbe andato tutto alla grande e si sarebbe divertito un mondo... doveva solo riuscire a convincersene e a smetterla di farsi seghe mentali per niente: facile, no?
In fondo, perché diavolo si preoccupava? Non era nemmeno la prima volta che passavano del tempo insieme da soli e tutte le altre volte era andato tutto bene. Era inutile preoccuparsi, e anche un po' idiota.
Peccato solo che tutte le altre volte che erano stati soli era stato o in luoghi pubblici pieni di testimoni o in un parco giochi per drogati e comunque... be', comunque non erano mai stati soli a San Valentino, ecco. E poi... e poi niente. Doveva farla finita con le seghe mentali e basta, prima di uscire di testa.
Sarebbe andato tutto bene... doveva solo smetterla di preoccuparsi per niente. Appena Chester fosse arrivato si sarebbe scordato completamente tutte quelle paranoie del cavolo, doveva solo stare calmo.
Sì appoggiò al muro accanto alla finestra e diede uno sguardo al cellulare.
2.17 p.m.
Nessun segnale rilevato
Solo chiamate d'emergenza
Da quando in qua non c'era campo in garage? Quella era nuova...
Comunque Chester aveva promesso che sarebbe arrivato per le tre meno un quarto, il che significava che prima delle tre e un quarto non si sarebbe visto. Aveva più o meno un'altra ora per prepararsi psicologicamente all'Apocalisse.
Guardò Benny che trotterellava per la stanza, annusando qualche foglio qua e là. Quel cane era maledettamente curioso.
Scosse la testa e andò a sedersi al piano: se aveva un'ora da far passare, tanto valeva suonare qualcosa. Lasciò le proprie dita vagare sui tasti e, finalmente, smise di pensare.
C'era qualcosa... una melodia che gli ronzava in testa da un paio di giorni, ma non riusciva a farla uscire fuori, e quindi suonava cose a caso sperando che prima o poi sarebbe uscita da sola.
Andò avanti per un po', non seppe esattamente quanto: perdeva la cognizione del tempo, quando suonava.
Seppe solo che, quando un rumore sordo squarciò l'aria riducendo la sua pace interiore a un mucchietto di ceneri fumanti, era appena riuscito a calmarsi del tutto. Chi cacchio era che bussava al portone, Gesù Cristo?
Sentì il suo cuore fermarsi, poi ripartire, poi fare una giravolta, un paio di saltelli e alla fine accartocciarsi su se stesso come un foglio che bruciava, perché diavolo: non era pronto. Ok, sì, aveva perso la cognizione del tempo, ma non potevano essere gia passare le tre meno un quarto, e Chester non era mai, mai, in anticipo. Eppure chi altro avrebbe potuto essere?
Si alzò dallo sgabello e fece un respiro profondo. Doveva stare calmo: poteva farcela. Si passò una mano tra i capelli e cercò di imbastire un sorriso, giusto per non sembrare appena uscito da un funerale, poi, finalmente, si incammino verso il portone, sistemandosi il colletto e domandandosi se quella camicia non fosse un po' troppo da boscaiolo canadese.
Gesù, quando aveva cominciato a pensare alle camice?
No, no, no. Doveva calmarsi e smetterla di fare la ragazzina: Chester era solo un ragazzo e mal che vada... sì, ok, magari forse era gay, e allora? Al limite i suoi lo avrebbero fatto esorcizzare e buttato fuori casa... e suo fratello lo avrebbe preso per il culo a vita. No, in effetti era meglio evitare... era proprio il caso di smetterla di fare la ragazzina.
Si fermò davanti al portone e mise la mano sulla maniglia.
Coraggio. Chester era solo il suo migliore amico. Doveva stare calmo: sarebbe stato divertente e avrebbero passato un bel pomeriggio insieme e non sarebbe successo assolutamente niente di male.
Guardò Benny, che scodinzolava allegro accanto a lui e per un attimo lo invidiò: doveva essere bella la vita di un cane. Mangiare, dormire, annusare in giro e farsi grattare le orecchie. Doveva essere davvero una bella vita.
Guardò di nuovo la maniglia, poi sospirò di nuovo e aprì la fottuta porta. Si ritrovò davanti un Chester bagnato come un pulcino, con gli occhiali ricoperti di gocce d'acqua e i capelli biondi ossigenati incollati alla fronte e con il pugno già alzato per bussare ancora.
-Ciao Mike!- esclamò fermando la mano appena in tempo per non tirargli un cazzotto sul naso -Se non avessi sentito il piano avrei pensato che ci fossi morto lì dentro. Hey Benny!- aggiunse togliendosi gli occhiali per asciugarli sulla maglietta zuppa che spuntava da sotto un impermeabile enorme che a quanto pareva troppo impermeabile non era.
Mike restò lì, a fissarlo come un cretino, mentre l'acqua gli gocciolava dai vestiti e dai capelli: Chester Bennington in anticipo? C'era qualcosa che non andava. L'equilibrio dell'universo era stato spezzato, o qualcosa del genere.
Avrebbe voluto fargli una marea di domande, tipo perché fosse arrivato così presto o come pensasse di poter asciugare gli occhiali con della stoffa bagnata, ma l'unica cosa che riuscì a dire fu: -Piove?-
-No.- ribattè Chester, ironico -Ho solo pensato che potesse essere divertente fare la doccia vestito.-
Si rimise gli occhiali sul naso, anche se erano ancora pieni di goccioline di pioggia e sorrise, sarcastico.
Il suo sorriso era un'altra delle cose che a Mike piacevano: non si poteva dire che fosse particolarmente bello... anzi, non si poteva dire che Chester in generale fosse particolarmente bello... ma a modo suo riusciva essere il ragazzo più figo che conoscesse, e, per qualche motivo che risultava ignoto, a piacergli in un modo in cui non avrebbe dovuto piacergli.
-Tu sei fuori di testa.- disse.
Non si era mai accorto che articolare le frasi fosse così ostico.
-Mai sostenuto il contrario.- obbiettò Chester continuando a sorridere e accarezzando distrattamente la testa di Benny che gli faceva le feste.
Mike scosse la testa e sorrise veramente per la prima volta della giornata.
-Vieni dentro, ti prenderai una polmonite. Vuoi dei vestiti asciutti?-
Si sentiva un po' idiota a parlare così: gli pareva di sentire sua madre, ma tanto a quel punto era tutto il giorno che si sentiva un idiota, perché non continuare?
Chester fece spallucce.
-A meno che non ti dia fastidio vedermi girare nudo per casa tua...-
Mike non riuscì proprio a fare a meno di immaginarselo nudo. Lo studiò un attimo, pregando di non star diventando rosso. Quasi lo spaventava la precisione con cui riusciva a figurarselo: riusciva a visualizzare nel minimo dettaglio ogni linea, ogni sfumatura di ogni singolo tatuaggio che gli avesse visto. Poteva vedere i muscoli che si tendevano sotto la pelle colorata, contargli le costole sul petto magro e accarezzare con il pensiero le cicatrici dei tagli coperte delle fiamme sui polsi... quando aveva notato tutte quelle cose? Gesù, sembrava uno stalker. Si faceva paura da solo.
-Meglio di no.- disse alla fine -Aspetta qui, vado a cercare qualcosa di asciutto. Cerca di non gocciolare ovunque e di non fare la doccia a Benny.-
Lui sorrise, di nuovo, e Benny abbaiò, come per dirgli di non rompere le palle.
Se Chester continuava a sorridere così tutto il pomeriggio prima o poi Mike sarebbe esploso.
La verità era che quelle stramaledette labbra, i denti bianchi appena visibili, la sottile peluria sopra il labbro superiore... gli facevano stringere lo stomaco e lo attiravano come una calamita. Non capiva perché, e la cosa lo spaventava. Probabilmente si era fatto troppe pare mentali e si era influenzato da solo, ecco cosa.
Attraversò il garage e salì di nuovo le scale verso la sua camera, in cerca di qualcosa di decente da prestargli.
Chester era più basso di lui di almeno un paio di centimetri, anche se era un anno più vecchio, ed era parecchio più magro: i suoi vestiti gli sarebbero andati grandi, ma visto che lui di norma non metteva niente che non fosse almeno un di paio di taglie troppo grande, Mike dubitava che potesse fregargliene veramente qualcosa.
Tornò giù tre minuti e mezzo dopo con un asciugamano da spiaggia, una felpa nera e un paio di jeans strappati sulle ginocchia.
Chester era ancora dove l'aveva lasciato: non si era mosso per non bagnare dappertutto e se ne stava ancora là, in piedi davanti al portone a coccolare Benny, in mezzo a un laghetto di pioggia.
Mike appoggiò i vestiti sul divano e tornò a guardarlo.
-Devo uscire?-
-Se vuoi.- rispose lui cominciando ad aprirsi l'impermeabile.
Bella domanda: voleva uscire? Be', a essere sincero... no. Assolutamente no.
Poteva essere sicuro che non sarebbe rimasto lì pietrificato a fissarlo come un imbecille non appena avesse cominciato ad aprirsi i pantaloni? No, era abbastanza sicuro che la sua reazione sarebbe stata esattamente quella.
-Ok.-
Non era del tutto convinto che una risposta simile avesse un senso, ma andava bene, in fondo non era una novità che le sue conversazioni con Chester non avessero senso.
Senza aggiungere altro chiamò Benny e andò a sedersi sulle scale appena fuori dalla porta del garage. Lui e il cane aspettarono lì quasi sette minuti prima che Chester li chiamasse.
Quando entrarono, era a piedi nudi e si strofinava energicamente i capelli con l'asciugamano. Come previsto i vestiti gli erano grandi, ma era meglio così. Piuttosto che nudo... sì, insomma, Mike non ci teneva ad avere un infarto.
-Io sono pronto.- affermò Chester lanciando l'asciugamano sul divano.
Mike cominciò a incamminarsi verso la parete di fondo.
-Partiamo dalle scale?- chiese sedendosi davanti al piano.
-Fammi posto.-
Mike si diede mentalmente una sberla sulla nuca. Sul serio: perché diavolo quella volta aveva voluto proprio quello sgabello? Quando aveva cominciato a studiare piano, epoche prima, lo sgabello era andato perso da decenni e quindi avevano dovuto comprarlo nuovo. Ovviamente non poteva ascoltare sua madre e prenderne uno tondo, no: lui era Mike Shinoda e faceva sempre di testa sua, e lo sgabello lo voleva largo abbastanza da poterci suonare in due. Dannato stupido Mike di otto anni.
E adesso gli toccava dividerlo con Chester... gli sarebbe partito un ictus, sicuro com'è sicuro che il sole tramonta a ovest. No. Gesù, doveva stare calmo: Chester era un ragazzo e a lui i ragazzi non piacevano. Poteva suonare quattro maledette scale con lui praticamente attaccato. Poteva farcela.
Scivolò a sinistra e gli fece posto, pregando che non si accorgesse del fatto che stava praticamente tremando. Dopo che Chester gli si fu accomodato accanto si riempì i polmoni d'aria, ignorò il suo sguardo interdetto e posò le dita sui tasti, cercando di ricordare come si suonassero le maledette scale.
Oh, andiamo: avevano sempre fatto le scale. Le avevano sempre fatte ed era sempre andato tutto alla grande. Doveva solo stare calmo. Calmo.
Davvero: le scale le avevano sempre fatte, ogni sabato prima di cominciare le prove, mentre gli altri accordavano e sistemavano gli strumenti, perché era importante scaldare la voce prima di cantare e/o rappare ed erano il modo migliore di farlo.
Stava per cominciare, quando Chester fece una cosa che non aveva mai fatto. Mise una mano sui tasti e suonò il tema di Blackbirds.
-Sai suonare?- chiese.
Quella poi era nuova... da quando in qua Chester suonava il pianoforte?
-Un po'. So suonare anche la chitarra... più o meno. Ma non sono fottutamente bravo come te. Scusa.- disse togliendo la mano dal piano.
Mike si concesse un'altro secondo per fissarlo con la sua migliore espressione stupita, poi tornò a guardare il piano, chiuse gli occhi, si concentrò e cominciò a suonare la scala di introduzione, cercando disperatamente di non restare secco nel tentativo, ma le dita non volevano saperne di andare sulle note giuste, facevano ciò che volevano e lui non aveva voce in capitolo.
-Scusa.- borbottò.
Gesù, stava anche borbottando. Fantastico.
La voce tra l'altro gli tremava un po' e pregò che Chester, non se ne fosse accorto. Anche se, a giudicare dall'espressione, se n'era accorto eccome.
Seriamente, doveva stare calmo: andava tutto bene, era solo Chester. Doveva solo rilassarsi e stare calmo. Tutta questione di concentrazione o... qualcosa del genere.
Chiuse gli occhi e contò fino a cinque, poi li riaprì e ricominciò, lentamente a suonare la dannata scala. La prima filò via più o meno bene, ma poi Chester cominciò a cantare e quella poca concentrazione che era riuscito a tirare fuori andò definitivamente a farsi benedire. Non sentiva più neppure le dita sui tasti del piano, riusciva a sentire soltanto la sua voce. Gesù Cristo Santissimo come diavolo faceva ad avere una voce del genere? Sembrava fatta per urlare, ma era talmente limpida che poteva accarezzarti l'anima come la mano di un angelo.
Non poteva distrarsi, doveva restare concentrato. Poteva farcela. Doveva solo ricordarsi di respirare ogni tanto e sarebbe andato tutto alla grande.
Solo che però c'era qualcosa che mancava in quella scala. Mancava, tipo... lui? Doveva cantare, cavolo...
Provò timidamente a cantare un paio di note e... be', non se la stava cavando male... ci stava quasi riuscendo: la voce non gli tremava nemmeno più di tanto. Stava andando bene e per un attimo si sentì meglio.
-Mike?-
Le dita gli si inchiodarono sui tasti e un'assurda sensazione di soffocamento gli strozzò la voce in gola, con l'ultima nota della serie ancora sospesa sulle sue labbra... che cavolo gli stava... oh, aveva la mano di Chester sulla spalla. Perché all'improvviso faceva fatica a non tremare?
-Che c'è?-
-Che diavolo stavi suonando?-
Mike si sentì arrossire. Ma che cavolo... che pomeriggio di merda. Chester invece sembrava divertirsi... bastardo. E poi... lo stava guardando in un modo strano, sembrava quasi intenerito... ma andiamo, Chester Bennington intenerito? Ma quando mai... Mike era abbastanza sicuro che fosse impossibile. O magari no? Probabilmente sarebbe entrato nel suo elenco delle domande senza risposta, se non fosse stato così rincretinito da non avere nemmeno la presenza di spirito di chiederselo.
-Non ne ho idea.- ammise.
-Mi sembri un po' deconcentrato.- rilevò Chester cercando di guardarlo negli occhi anche se Mike stava facendo di tutto per evitarlo –E anche un po' meno sorridente del solito. Stai bene?-
Apprensivo.
Gesù, sembrava apprensivo.
Prima di conoscerlo, Mike non avrebbe mai immaginato che si potesse collegare una parola come quella a uno come lui.
-Sì...- borbottò Mike -È solo... solo sindrome da San Valentino, sto bene.-
Quand'era diventato un bugiardo? Ok, in parte era davvero Sindrome da San Valentino, ma il resto era... be', il resto era Chester che lo incasinava.
-Ti va una birra?-
Mike annuì e cercò di sorridere: non aveva voglia di sembrare completamente depresso.
Chester andò alla finestra... e sul serio, come diavolo faceva a sapere che le birre erano lì? Aveva un sesto senso che lo guidava verso l'alcool o qualcosa del genere? Mike evitò di guardarlo e andò a sedersi sul divano, vicino alla chitarra che si era dimenticato di spostare.
-La fottuta sindrome da San Valentino, eh?- chiese Chester mentre chiudeva la finestra.
Gli andò incontro e gli passò una bottiglia, già stappata. Ok, forse avere un cavatappi come portachiavi non era un'idea così tremenda.
-Ce l'ho avuta anche io per un po'. Quando ero più piccolo. Poi però mi sono messo il cuore in pace. È una cazzata di festa, punto.-
Mike annuì fra sé e sé mentre si portava la bottiglia alle labbra e mandava giù un paio di sorsi. Forse la prossima volta era meglio evitare la finestra: la bottiglia era tutta bagnata e... Gesù, faceva fatica a tenerla in mano. Chester era seduto accanto a lui con le gambe incrociate e lo guardava come se lo capisse.
Quegli occhi... sempre un po' rabbiosi, nervosi, delusi da quello che aveva attorno.
Gli sarebbe piaciuto vederli sorridere e basta, un giorno o l'altro. Senza quel mare di emozioni sul fondo: gli sarebbe piaciuto vederlo felice e basta, per una volta.
Distolse lo sguardo. Benny che mordicchiava allegro il suo osso di corda all'improvviso sembrava maledettamente interessante.
-Sarà anche un giorno qualunque, ma è un giorno qualunque di merda.- borbottò.
-Sai perché?-
Uhm... no, Mike non lo sapeva: non sul serio almeno. Sapeva solo che lo faceva stare male.
-Perché ricorda alle persone quanto fottutamente sole siano.-
Mike annuì di nuovo e sospirò. Non si era mai reso conto di quanto quella cosa fosse vera... be', se proprio doveva essere sincero a dire il vero non ci aveva mai nemmeno pensato, ma si era sentito così tutto il giorno: solo. Disperatamente e schifosamente solo.
-Il punto è che...- disse -È la prima volta che mi rendo conto di cosa voglia dire essere solo a San Valentino, ed è uno schifo. È come se tutto quello che ho dentro si stesse trasformando in cenere, lentamente, mentre il vento si porta via tutto e io collasso. In genere mi proteggevo da solo, ero capace di chiudermi in me stesso e aspettare che questo giorno di merda passasse, ma non ci riesco più: è difficile e fa male. Mi sento come se avessi perso la strada.-
Gesù, da dove gli era venuta fuori questa? E poi... com'é che fino a due minuti prima non riusciva a parlare e invece ora sproloquiava senza problemi? Quanto meno sembrava che Chester lo capisse.
Per qualche strana ragione quel semplice dettaglio lo faceva sentire meglio: era più calmo adesso. Era assurdo che allo stesso tempo Chester riuscisse sia a mandarlo in panico che a tranquillizzarlo. Quasi ironico a dire il vero.
-Sei innamorato?- chiese Chester.
Mike per poco non si strozzò. Erano domande da fare quelle? E adesso che cavolo rispondeva? Sì? No? Forse? Non lo sapeva nemmeno lui se era innamorato, Gesù.
-Ok, lascia perdere ho capito tutto.-
Chester, che probabilmente in realtà non aveva capito niente, prese un altro sorso di birra e ridacchiò.
-Il mio povero piccolo Mickey...-
Mike si lasciò sfuggire un sorriso e accarezzò la testa di Benny. Andava tutto bene. Doveva solo stare calmo.
[Chester]
Mentre Mike parlava, Chester non poteva fare a meno di guardarlo con una sensazione fottutamente strana nel petto...
Era quasi intenerito.
Quel ragazzo era talmente innocente, talmente dolce...
Gli era difficile credere che in quel mondo di merda esistessero persone come lui.
-Sei innamorato?-
Provò a imbastire un sorriso rassicurante.
Qualcosa che dicesse tranquillo, raccontami tutto, non ti giudicherò.
Provò a non ridere del modo in cui l'altro era arrossito.
Affannandosi per trovare una risposta.
-Ok, lascia perdere, ho capito tutto.-
Bevve un sorso di birra.
Vide Mike rilassarsi, e istintivamente gli passò la chitarra.
Sapeva che suonare lo calmava e poi...
Aveva un presentimento.
Mike la accettò senza nemmeno guardarla, e si mise a suonare quelle che all'inizio sembravano note a caso.
Ogni volta Chester si stupiva di come persino le sue maledette note a caso gli sembrassero maledetti capolavori.
Questo maledetto ragazzo è un fottuto genio.
-My insides all turn to ash, so slow...-
Chester era quasi un po' incerto: la sua voce era dolce, un po' malinconica. Non cantava spesso così.
E se gli da fastidio?
E se se la prende?
Be'... fanculo.
Si sentì addosso gli occhi di Mike. Cercò inutilmente di ordinare al sangue di starsene lontano dalle sue fottute guance e altre zone più fottutamente private.
Tra parentesi, perché cazzo sta andando là sotto?
-And blew away as I collapsed, so cold.-
Da dove diavolo la prende Mike questa roba?
Era una musica assurda. Quasi lo spaventava il modo in cui lo faceva sentire...
Si sentiva come una maledetta tredicenne: era terrorizzato, imbarazzato, felice, triste, confuso.
E poi c'era quello che stava facendo lui.
Le parole che gli uscivano dalla bocca sotto lo sguardo a metà tra il confuso e l'estasiato di Mike, da dove cazzo saltavano fuori?
In parte, il concetto era quello di cui aveva parlato prima Mike, ma assomigliava talmente tanto a quello che aveva sempre pensato lui che gli sembrava di averlo sempre avuto dentro.
Nascosto da qualche parte nella sua fottuta testa.
Come cazzo è possibile che io stia cantando su note che non ho mai sentito?
-A black wind took them away, from sight, and now the darkness over day, that night.-
Mike continuava a fissarlo.
Come cazzo fa a suonare quella fottuta chitarra se non la sta nemmeno guardando?
Si ritrovò a sorridere come un cretino, senza sapere nemmeno più quello che cantava.
Si era perso, cazzo.
Perso nello sguardo di Mike.
Cristo.
Sto diventando una ragazzina.
-And the clouds above move closer, looking so dissatisfied, but the heartless wind kept blowing, blowing. I used be my own protection, but not now...-
Non riusciva a smettere di guardarlo.
Perché questo cretino è l'unico che riesce a farmi sentire cosi?
L'unico che riesce a tirarmi fuori le parole.
L'unico che sembra capirmi per davvero.
Questa cosa non ha fottutamente senso.
-And the clouds above move closer, looking so dissatisfied, and the ground below grew colder, as they put you down inside, but the heartless wind kept blowing, blowing. So now you're gone, and I was wrong, I never knew what it was like, to be alone... on a Valentine's day!-
Quando smise di cantare, Chester si sentiva incredibilmente bene.
Come se si fosse liberato di un peso.
Guardò Mike.
Dio, era rosso come un peperone.
Si rese conto che probabilmente anche lui era più o meno dello stesso colore e gli sfuggì un sorriso timido.
Timido.
Sul serio, Chester?
Non si era mai considerato timido in vita sua.
Mike riusciva a farlo sentire anche così.
Assurdo.
-Cos'era quello?-
Mike non distolse lo sguardo da lui.
Chester sorrise di nuovo, stavolta per davvero.
Che diavolo abbiamo appena fatto?
-Non ne ho la più pallida fottuta idea. E potrei farti la stessa domanda.-
Suonava quasi come una confessione...
E che cazzo.
Poi Mike fece qualcosa che non si sarebbe mai aspettato.
Scoppiò a ridere come un isterico e lo afferrò per il collo.
Cominciò a scompigliargli i capelli.
Chester si ritrovò a ridere con lui, talmente di gusto che faceva fatica a respirare.
Sentiva i polmoni che bruciavano.
Perché cavolo stava ridendo, poi?
Cercò disperatamente di allontanare le mani di Mike dai suoi poveri capelli.
La cosa bella era che non rideva perché trovava buffa quella maledetta situazione del cazzo.
Semplicemente, rideva perché era lì, era con Mike e questo lo faceva stare... bene.
Lo faceva stare fottutamente bene.
Si sentiva fottutamente in pace, come se avesse trovato quel qualcosa che gli era sempre mancato.
–Bravo Chester!-
Lo sentì dire fra una risata e l'altra.
-Vedi che sei capace anche tu a mettere quattro parole a cazzo una dietro l'altra?-
Chester rise più forte.
Tentò di liberarsi dalla stretta di Mike, anche se ormai più che scompigliargli i capelli, glieli stava accarezzando.
Senza capire come alla fine riuscì a girarsi e si ritrovò praticamente con la testa sulle sue ginocchia, mentre ancora ridevano.
Per la prima volta, si rese conto di una cosa: se c'era lui, non era così brutto essere solo a san Valentino, perché non si sentiva solo.
Smise di agitarsi, mentre guardava gli ultimi accessi di riso che si trasformavano in sorrisi sul viso di Mike.
Era bello, cazzo.
Chester non se n'era mai accorto.
Aveva sempre pensato che fosse carino quando sorrideva, ma non aveva mai nemmeno preso in considerazione l'idea che Mike potesse essere bello.
In quel momento gli sembrava l'essere più fottutamente meraviglioso dell'universo.
Meraviglioso?
Da quando uso parole così fottutamente gay?
E non si rese conto di come accadde.
Semplicemente all'improvviso si sentì bruciare, come se avesse avuto fiamme ovunque, e non più solo sui polsi.
Semplicemente, all'improvviso sentiva la flanella della camicia di Mike fra le dita della destra, mentre la stringeva quasi con disperazione.
Semplicemente, all'improvviso sentì la barba corta e spelacchiata di Mike pungergli i polpastrelli della sinistra, mentre gli accarezzava la guancia.
Semplicemente, all'improvviso sentì le labbra di Mike premere sulle sue, mentre lo baciava.
Semplicemente, all'improvviso l'universo decise di sparire e di lasciarli lì, su quel divano più vecchio di loro.
E per Chester, all'improvviso non esisteva più nient'altro.
C'era soltanto Mike.
E la cosa era non poco terrificante.
Ma bastava non accorgersene.
Mike occupava tutto il suo fottuto mondo in pezzi, tutta la sua testa, tutto ciò che riusciva a vedere.
Non c'era altro.
Solo loro due.
Solo loro due su quel maledetto divano che sembrava galleggiare nel maledetto nulla.
Chester si ritrovò risucchiato dentro quel bacio casto, così... da Mike.
Dolce e un po' impacciato, come lui.
Non sapeva cosa fare.
Non riusciva a pensare, non era nemmeno sicuro di volerlo fare.
Istintivamente chiuse gli occhi e rispose.
No, decisamente non voleva pensare.
Stava bene, anche se bruciava.
Voleva continuare a bruciare, tutto qui.
Magari per un altro minuto, magari per un'altra vita, magari per sempre.
Quanto dura un per sempre?
Sembra un'eternità, quando uno non ci pensa.
Poi ci pensi e diventa tutto un fottuto scintillio nel nulla.
Per una volta...
Per una volta avrebbe lasciato che il suo maledetto cuore diventasse fottuta cenere, per una volta avrebbe lasciato che il vento se lo portasse via.
Non pareva poi così male, in fondo.
-Chester...-
Sentì le labbra di Mike formare il suo nome contro le sue.
E l'incantesimo si ruppe.
Che diavolo sto facendo?
Mike è il mio fottutissimo migliore amico.
Non è gay.
Nemmeno io sono fottutamente gay, Cristo Santo.
Che cazzo succede?
-No...-
Non andava bene.
Era tutto dannatamente sbagliato.
Molto dannatamente sbagliato.
Non poteva farlo.
Non con Mike.
Chi mi sta troppo vicino se ne va.
Sempre, cazzo.
Sempre.
Chi mi sta troppo vicino se ne va.
Non voglio che anche Mike vada via da me.
-No... cazzo. Non posso... cazzo.-
Chester si staccò.
Di un centimetro, forse due.
Quel tanto che bastava a vedere le guance arrossate di Mike.
Lo sguardo stupito e ferito nei suoi fottutissimi occhioni neri da bambino.
Sentiva ancora il suo respiro leggermente irregolare sulle labbra.
Si alzò di scatto.
Malfermo sulle gambe.
Recuperò i propri vestiti.
Abbandonati in un sacchetto di plastica vicino al portone.
Scappò via.
Che fottuto casino.
[...]
Chester se ne stava seduto sul davanzale interno della finestra.
A fumarsi la sua fottuta sigaretta della buonanotte.
Guardava fuori.
Come sempre.
Osservava la pioggia.
La pioggia che si portava via gli ultimi minuti di quel maledetto giorno che era San Valentino.
Per l'ennesima volta, provò a mettere in ordine i propri maledetti pensieri.
Era come se ci fosse una battaglia dentro la sua testa.
Una specie di rap battle.
Tra il suo lato da tredicenne in crisi ormonale e quella poca sanità mentale che gli restava.
Aveva ancora addosso la felpa di Mike.
Non aveva nessuna dannatissima intenzione di toglierla.
Quella fottuta felpa era maledettamente enorme.
Mike era parecchio più grosso di lui.
Probabilmente pesava almeno una decina di chili in più.
Quella fottuta felpa era maledettamente enorme.
Però era comoda.
Era calda.
Era di Mike.
Non aveva nessuna dannatissima intenzione di toglierla.
Non riusciva a capacitarsi di quello che era successo.
Non riusciva proprio a farsi una fottuta ragione del fatto che il suo migliore amico lo avesse baciato.
Non riusciva a capacitarsi di quello che era successo.
Non era il primo ragazzo che baciava.
Era la prima volta che lo faceva da sobrio.
Ma il punto non era quello.
Il punto non era nemmeno il fatto che gli fosse piaciuto.
Parecchio.
Il punto non era quello.
Il punto era che nessuno lo aveva mai fatto sentire così.
Non era una cosa positiva.
Io non sono gay.
Era stato come smettere di esistere.
Come se fosse stato soltanto una goccia di pioggia persa nell'uragano Michael.
Devo smetterla di pensare queste cazzate da ragazzina.
Non sono gay.
Si era sentito felice come quando da piccolo sua madre lo coccolava e gli diceva che andava tutto bene.
Era stato completamente diverso.
Era stato appagante, dolce, caldo, anche se oggettivamente, quell'idiota di Mike non sapeva baciare.
Io non sono gay.
Però mi è piaciuto, cazzo.
Perché deve essere tutto così fottutamente incasinato?
E perché il mio maledetto subconscio continua a urlare che ne vuole ancora?
Perché non si decide a capire che è tutto dannatamente sbagliato?
Chi mi sta troppo vicino se ne va.
Sempre, cazzo.
Sempre.
Chi mi sta troppo vicino se ne va.
Non voglio che anche Mike vada via da me.
Si ritrovò a sperare di non esserselo soltanto sognato.
Teoricamente stava cercando di spiegare al suo maledettissimo subconscio che Mike non gli piaceva.
Non in quel senso, almeno.
Alla fine, fece l'unica cosa che gli parve sensata.
Prese il telefono e chiamò l'unica persona della band che pensava non avrebbe mai chiamato.
-Pronto Joe? Sono Chester. Mi odio profondamente per quello che sto per dirti, ma ho bisogno di aiuto.-
ANGOLINO NERO PER UN'ANIMA NERA
E... bomba sganciata! Ebbene sì gente: finalmente la Bennoda è diventata realtà, e sono profondamente felice di come è successo, soprattutto se penso che questo capitolo è stato tipo il quarto di tutta la ff, che l'ho scritto quando ancora non sapevo come ci sarei arrivata (e quando ancora non sapevo che dopo i tre puntini andava lo spazio...) e che in origine era lungo qualcosa come 1400 e rotte parole ed era praticamente tutto dal punto di vista di Mike. Da allora, come un po' tutti i miei lavori, è stato riletto e modificato migliaia di volte, fino a diventare il mostro da seimila e quattrocento parole che è oggi. È stato un duro lavoro, ma ne è valsa la pena.
Credo sia inutile dirvi dov'é la canzone, quindi mi eclisso.
Mi raccomando: fatemi sapere cosa ne pensate con un commentino, un messaggio privato o, per quanto mi riguarda, anche con un piccione viaggiatore, ma esprimetevi, perché anche le critiche, per quanto io non sia una che le accetta più di tanto (ho la testa dura) aiutano a migliorare.
Grazie a tutti per essere stati con noi.
Come da regola, ci leggiamo il 3 Ottobre.
Buona notte a tutti, Soldiers, con affetto
Cursed_Soldier
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