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Jade chiuse la telefonata con suo padre, indeciso se tirare un sospiro di sollievo oppure iniziare a preoccuparsi.
Si era sentito rincuorare nell'apprendere che Ryan e Bryan erano stati tirati vivi fuori dalla loro prigionia, ma c'erano ancora troppe cose che lo impensierivano, a incominciare proprio dalle condizioni di salute del suo amante.
Lasciò che fosse Claud a guidare la sua auto mentre si recavano in ospedale e fece sì che sempre lui si presentasse come compagno "ufficiale" di Ryan, preferendo restare in disparte, trincerato in un silenzio carico di tensione.
C'erano diversi motivi per cui aveva deciso di agire in quel modo, uno su tutti, sicuramente, risiedeva nella sua incapacità di mostrare alcuna emozione. Da quando aveva ricevuto la notizia non aveva fatto altro che agire, come se avesse impostato il pilota automatico. Non aveva versato una lacrime – né di gioia né di paura. Si sentiva sospeso in un limbo, distante, ma, soprattutto, freddo.
Guardava Claud, leggeva nei suoi movimenti un'agitazione palpabile e provava una certa invidia per la sua capacità di esternare i sentimenti.
"Non gli ho mai detto quello che provo. A Ryan e nemmeno a Claud" pensò e percepì un brivido corrergli lungo la schiena, mentre teneva le spalle poggiate contro una parete, tentando di non soccombere al peso che pareva gravargli sulle spalle.
I minuti trascorsero lenti e la sala d'attesa dell'ospedale si andò riempiendo velocemente di persone di cui conosceva benissimo i volti. Claud aveva sparso la notizia e in breve tempo vennero raggiunti dall'intera squadra di amici, pronti a supportarli e, quella volta, Jade fu sollevato di vedere ognuno di loro presentarsi lì, per lui e Claud, ma, soprattutto, per Ryan.
Claud parve sciogliersi nell'abbraccio di Jeffrey, mentre Daniel gli dava pacche affettuose alle spalle, con evidente imbarazzo. Forse, anche lui, non aveva idea di come comportarsi.
Jade aveva imparato con il suo lavoro a mantenere un certo distacco da situazioni come quella: per evitare di farsi coinvolgere troppo, di impiegare troppo cuore all'interno di dinamiche che, purtroppo, si presentavano spesso nella sua quotidianità di agente. Ma era diverso trovarsi coinvolto tanto da vicino; pensava che, quantomeno, avrebbe dovuto continuare con la stessa insofferenza che lo aveva reso tanto irritabile mentre suo padre e i colleghi dell'F.B.I si impegnavano a ritrovare i due ragazzi, invece anche quella rabbia colma di paura pareva essersi volatilizzata del tutto in un battito di ciglia.
Appena aveva chiuso la telefonata con suo padre, Jade si era sentito spegnere. Ogni cosa aveva perso peso, tutto si era fatto incerto, confuso, privo di contorni precisi.
Non riusciva ad accettarlo, non riusciva a capire per quale motivo non potesse stare lì e dimostrare agli occhi altrui lo sconcerto di una persona che rischiava di perdere qualcuno che amava.
"Cosa devi dimostrare, ancora?" si chiese e nello stesso momento in cui quel pensiero prese forma nella sua mente capì che no, non era a nessuno delle persone presenti che desiderava dimostrare qualcosa. L'unico a cui pretendeva di dare conferme era se stesso. Temeva che quell'apatia fosse sintomo di una mancanza.
Isaac li raggiunse soltanto dopo avere recuperato Bryan, in tarda serata, e solo perché il marito aveva insistito nel voler passare dall'ospedale, prima di tornare a casa e riposare.
Erano tutti in pena per Ryan, ma, per la maggior parte del giorno, riuscirono a ottenere soltanto notizie che puntavano a tranquillizzarli, sì, ma senza accendere in loro neanche la più piccola scintilla di sollievo. C'erano troppi "forse" e termini medici altisonanti fra le parole dei dottori che li tenevano aggiornati sulle condizioni del loro amico; dopo ore in sala operatoria era stata trasportato in una stanza dove lo avrebbero tenuto sotto stretta sorveglianza per un po' e nemmeno a Claud – ufficialmente il suo compagno – avevano ancora acconsentito il permesso di incontrarlo.
Quando Jade vide Isaac e Bryan raggiungerli, gli tornarono alla mente le parole di suo padre, che lo aveva esortato a parlare con Williams, nel tentativo di convincerlo a testimoniare e a raccontare all'agenzia quello che era successo, prima che qualcuno si facesse venire la triste idea di applicare su di lui e Ryan una custodia preventiva in attesa di scoprire la verità.
Ma Jade non aveva proprio testa di fare l'agente, in quel momento. Tutti i suoi pensieri erano concentrati su Ryan e se stesso non riusciva a distogliere lo sguardo per più di una frazione di secondo da Claud. Non era un civile, ma era umano, e le sue priorità erano altre.
"E non gliel'hai mai detto" si ripeté con rammarico, mentre il giorno si esauriva, e la notte appariva immensa e oscura attraverso le vetrate dell'ingresso principale dell'ospedale, oltre le quali non riusciva a scorgere altro se non quel blocco nero, sfalsato soltanto da tremolanti e incerti riflessi della sala d'aspetto e delle persone che la occupavano.
Sempre di meno: uomini e donne che scomparivano poco alla volta, uscendo per strada, oppure all'interno di una stanza, per i corridoi della struttura, su per le scale che conducevano al piano superiore, lasciandosi dietro un altro vuoto, che pareva allargarsi all'infinito intorno a loro, inglobandoli, rendendo persino l'aria condizionata insopportabile, superflua ed eccessiva quando il gelo dell'anima faceva sì che in molti di loro rabbrividissero.
Anche Keith, che gli si stava avvicinando, aveva entrambe le braccia ricoperte di brividi. Il giovane si fermò a un passo da lui e allungò una mano nella sua direzione. Jade rimase a fissarla per un po', ma poi sospirò e la strinse, stupendosi di quanto fosse caldo il suo palmo contro il proprio. Isaac e Bryan li raggiunsero pochi istanti dopo e Jade non poté fare a meno di domandarsi come potesse Bryan resistere ancora, restare in piedi nonostante tutto. Sembrava indistruttibile, anche se i suoi occhi apparivano stanchi, il viso era pallido e spesso il volume della sua voce risultava talmente basso da rendere le – pochissime – parole che aveva pronunciato, di rado, incomprensibili.
-Ho convinto il mio amore a tornare a casa- disse Isaac in un sussurro e il giovane sorrise piano. Era incredibile come tutto, dentro un ospedale, diventasse parte di un mormorio costante, placido, a cui si poteva fare caso soltanto sforzandosi, cercandolo tra i suoni attutiti, tra i passi che parevano venire assorbiti dal pavimento; le voci concitate di un paio di medici e infermieri che si trovavano poco più in là, intenti a bisbigliare, mentre rivolgevano occhiate furtive intorno a sé, evidentemente per assicurarsi di non essere uditi.
-Ho paura ad andarmene da qui- mormorò Bryan e la sua voce risuonò stridula e incerta, come se avesse perso la sua solita frequenza.
-Dovresti riposarti un po'- disse Keith, mentre anche Evan li raggiungeva e passava un braccio intorno alle spalle del marito, poi allungava una mano, stringendo una spalla di Bryan; quest'ultimo sollevò gli occhi su di lui, ma pareva non essere in grado di riconoscerlo: non c'era la solita complicità da amico nel suo sguardo, il solito guizzo di giocosità.
-Dovresti tornare a casa, sì, ascolta Isaac- disse Jade e Bryan aggrottò la fronte, rivolgendogli uno sguardo in tralice.
Jade sussultò come se fosse stato colpito in pieno da un pugno e ansimò, non riuscendo a spiegarsi il perché di quella propria reazione a un'occhiataccia.
-Ryan... pensa che tu sia più legato a Claud- sibilò Bryan e intorno a lui calò un silenzio pesante. Isaac gli accarezzò un braccio, fissando Jade di sottecchi; non sembrava dispiaciuto per le parole del marito, anzi, pareva più che altro all'erta, come se si aspettasse una qualsiasi tipo di reazione negativa da parte di Jade e fosse già pronto a intervenire.
"Ecco, anch'io dovrei essere così" si disse Jade, mentre Claud si alzava dalla sedia che aveva occupato fino a quel momento, tra Jeffrey e Daniel, e iniziava ad andare avanti e indietro per la sala, insofferente a causa della lunga attesa che stavano patendo.
Poco dopo Isaac e Bryan andarono via, ma il giovane non riuscì a togliersi dalla mente le parole che gli aveva rivolto il secondo, le emozioni contrastanti che gli aveva suscitato il primo. Keith ed Evan si scambiarono uno sguardo interrogativo, ma poi preferirono restare in silenzio, vedendo Amber raggiungerli con passo tremante, gli occhi pieni di lacrime e le guance umide a causa di quelle che aveva già versato.
Accaddero più cose contemporaneamente nel giro di un battito di ciglia, spezzando la tensione che li aveva tenuti sospesi durante le ore precedenti: Charles Hayes varcò l'ingresso dell'ospedale, Claud si fece sfuggire un grugnito di frustrazione, che rimbombò nel silenzio come un urlo mentre un medico gli si faceva vicino, cercava di tranquillizzarlo, informandolo sulle novità riguardanti le condizioni di Ryan: adesso era stabile e se, voleva, avrebbe anche potuto vederlo. Il medico non aveva neanche finito di parlare che Claud lo stava già precedendo verso il corridoio dal quale l'uomo era arrivato.
E Amber abbracciò Jade, slanciandosi verso di lui con impeto e dando l'impressione di stare cadendo in avanti. Il fatto che Jade avesse risposto subito al suo gesto parve arrestare la caduta della ragazza, ma quel contatto umano, tanto innocuo, ruppe le difese del giovane, facendo vibrare con violenza le corde del suo cuore.
Jade sgranò gli occhi e si morse le labbra, mentre il corpo veniva scosso da spasmi dolorosi e la vista si faceva incerta e liquida. Nascose il viso contro una spalla della giovane e si lasciò andare, buttando giù la maschera dietro cui non si era nemmeno reso conto di essersi rifugiato.
•
La stanza era abbastanza ampia e piena di macchinari di cui Claud non aveva idea a cosa servissero. Ryan, disteso nel letto e coperto in buona parte da un lenzuolo, appariva piccolo e fragile, ma anche una specie di mutante a causa di tutti quei fili attaccati alla pelle, del respiratore, delle garze che coprivano la maggioranza delle parti visibili del suo corpo.
Ogni più piccolo livido, taglio, erano testimonianza di qualcosa che impediva al giovane di battere le palpebre.
"È colpa tua" si disse e nulla potevano le parole che Jade gli aveva rivolto meno di due giorni prima, quando avevano saputo del rapimento del loro amante, perché non erano abbastanza per giustificare quello che aveva davanti agli occhi.
-Mi... hai fatto chiamare?- nell'udire la sua voce Claud tremò e chiuse gli occhi, abbassando piano le palpebre, combattuto tra il desiderio di continuare a fissare Ryan e nascondersi.
Percepì Jade farglisi vicino, poggiare con delicatezza una mano su una sua spalla. Claud aprì gli occhi e si girò a guardarlo.
-È giusto che anche tu sia qui- disse con voce tesa e l'altro gli strinse un lembo della sua maglietta. Claud trasalì, non lo aveva toccato eppure era riuscito a percepire il suo calore con prepotenza, come un'onda che si infrangeva contro di lui; lo guardò come se lo vedesse per la prima volta, notando il rossore intorno al disegno delicato degli occhi, le ciglia scure e lunghe umide, come la pelle delle guance. E lo sgomento, profondo e palpabile che trasmetteva, mentre continuava ad aggrapparsi a lui, tremando di paura, "E sensi di colpa, esattamente come me" aggiunse nella propria mente, perché ammetterlo ad alta voce, di fronte a Ryan, dopo tutto quello che lui aveva subito – anche se non poteva sentirli, forse – appariva oltremodo inopportuno.
Un po' come il Tizio che si lamenta di essersi rotto un'unghia con uno a cui hanno mozzato una mano.
Claud sospirò mesto e poggiò la fronte contro quella dell'altro.
-Tocca a noi essere forti- soffiò sulle sue labbra e coprì la infinitesimale distanza che li separava, lo strinse tra le braccia, gli baciò i capelli e gli accarezzò le spalle, mentre Jade sprofondava il viso nell'incavo del suo collo e chiudeva gli occhi.
•
-Dovrei tornare a essere un agente- disse Jade dopo un po', mentre entrambi occupavano i lati del letto di Ryan, seduti su sedie di metallo, dannatamente scomode. Tuttavia, nessuno dei due se ne lamentava, anzi, erano grati all'infermiera che si era presentata con quella sedia in più subito dopo essere entrata in stanza, sorprendendoli ad abbracciarsi con tanta tenerezza. Si era limitata ad annuire, era uscita e tornata nel giro di pochi istanti con la sedia per Jade, come se avesse capito che entrambi avevano il diritto di trovarsi lì.
-Se è quello che vuoi- disse Claud mentre accarezzava una mano di Ryan, senza staccare gli occhi dal suo viso tumefatto.
-Se fossi stato dentro la situazione...-
-Jade- lo interruppe il compagno. -Per favore, basta con in se. Ognuno di noi ha le sue colpe e...-
-Se vuoi affrontare questo argomento con me e rassicurarmi, ti conviene evitare di flagellarti ancora per quello ch'è successo lo scorso inverno-
Claud sorrise con amarezza.
-Adesso ti senti meglio?- gli chiese e l'altro gli rivolse uno sguardo colmo di imbarazzo, accarezzandosi la parte posteriore del collo.
-Te ne eri accorto?- gli domandò Jade di rimando, portandosi alle labbra una mano di Ryan, che baciò con delicatezza.
-Temevo stessi per implodere- disse Claud con un sospiro colmo di preoccupazione.
-Amber... Amber mi ha fatto esplodere-
-Mi dispiace non averlo fatto io-
-Stavi messo peggio di me-
-Non credo sia giusto fare una... "classifica"-
-Io non ve l'ho mai detto- lo interruppe Jade, percependo gli occhi riempirsi di lacrime.
-Cosa?-
-Che non era disperazione, empatia, solidarietà, né chissà che altro- disse parlando tanto velocemente da mangiarsi le parole, poi sollevò lo sguardo su di lui, trovandolo intento a fissarlo con un'intensità tale da mozzargli il respiro. -Io vi amo- sussurrò ed entrambi percepirono una tensione improvvisa, che tornò a coprirgli la pelle di brividi spinosi.
Abbassarono lo sguardo su Ryan e lo videro battere le palpebre un paio di volte mentre, lentamente, si svegliava.
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