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Quando la squadra della S.W.A.T. fece irruzione nell'edificio abbandonato, in cui si aspettavano di trovare Dervinshi con i ragazzi, gli agenti federali a capo dell'indagine non credevano di certo che tutto sarebbe filato liscio come l'olio.
Il Direttore Trent aveva tenuto in considerazione tutti i possibili risvolti, anche quelli meno piacevoli, con grande sgomento del Direttore Hayes, che avrebbe voluto prendere a testate il collega ogni volta in cui aveva fatto riferimento al fatto che avrebbero potuto tirare fuori dalla struttura solo cadaveri: era una possibilità da non poter scartare a priori, ma che mandava fuori di testa Charles, che non riusciva a sopportare l'idea di perdere due innocenti per far fuori un solo criminale – anche se si trattava di uno della portata di Rozaf Dervinshi.
Tuttavia, ogni più nefasta previsione era stata spazzata via nel giro di pochi secondi: la S.W.A.T. aveva preso contatti con loro meno di un minuto dopo l'irruzione, comunicando un "via libera".
-Un morto. Un ferito. Mandate soccorsi-
Lo stupore aveva lasciato tutti gli agenti coinvolti di sasso. La prima a riscuotersi dallo shock era stata Sue, che era corsa dentro l'edificio, seguita da Charles e Fay e altri tre agenti; a chiudere il gruppo, il Direttore Trent – e se Charles fosse stato meno diffidente nei suoi confronti, forse non avrebbe interpretato l'emozione che lesse sul suo viso come indisponenza.
Il suo collega era deluso perché non aveva potuto tirare fuori la pistola, rischiare la vita e finire sulle prime pagine dei giornali con l'altisonante titolo de Il nuovo eroe di L.A.?
Magari lo Sish non gli avrebbe battuto alcuna pacca sulla spalla a causa delle sue mancante prodezze e quello lo indispettiva.
"Deve pregare che Doyle e Williams siano ancora vivi" si disse, mentre entrava nella struttura con gli altri, sicuro che, se avesse scoperto che ai ragazzi era successo qualcosa, non sarebbe stato in grado di passare sopra quell'espressione inopportuna che aveva letto sul viso del suo collega.
Lo terrorizzava il fatto che fosse già stata accertata la presenza di un corpo senza vita. L'idea che potesse trattarsi di Ryan spingeva i suoi pensieri inesorabilmente verso Jade e quella che sarebbe potuta essere la reazione di suo figlio a una notizia di quel tipo, e ciò lo portava a procedere con il cuore in gola.
L'edificio era immenso, ma avevano tutti studiato le planimetrie che avevano recuperato dall'ufficio del catasto, quindi sapevano come muoversi al suo interno. Avevano subito ipotizzato che Rozaf potesse avere rinchiuso Doyle e Williams nel seminterrato, poiché era l'unica parte della struttura che non presentava vie di fuga e alla quale si poteva accedere soltanto scendendo delle scale che non conducevano altrove se non lì.
Era andata esattamente come avevano previsto, anche se nessuno di loro aveva immaginato di trovarsi testimone di ciò che gli si palesò agli occhi.
-Chiamate due ambulanze e il servizio di pompe funebri. Dite al medico legale e ai ragazzi della Scientifica di venire giù- disse il Direttore Trent, mentre Charles spostava lo sguardo tra i due ragazzi rannicchiati sotto l'unica fonte di luce della stanza – a eccezione delle torce degli agenti che cercavano di sopperire con quelle alla scarsa illuminazione dell'ambiente.
La S.W.A.T. aveva già ispezionato quella parte dell'edificio, quindi erano certi di essere al sicuro, ma i conti non tornavano, così come non riuscivano a spiegarsi come, il corpo privo di vita che avevano rinvenuto, fosse quello di Rozaf Dervinshi. Lo stupore era tanto che persino Charles, a quel punto, non fu in grado di gioire del tutto per l'inaspettata conclusione positiva di quella faccenda.
Il terrore di dover affrontare suo figlio proprio no, non voleva saperne di schiodarsi dai suoi pensieri.
Nel giro di pochi istanti la stanza, per quanto fosse di grandi dimensioni, divenne claustrofobica a causa delle troppe persone che, come sempre, si presentarono lì per svolgere il proprio lavoro.
Charles seguì con gli occhi quello che accadeva, finché non portarono via i ragazzi, e allora tallonò i paramedici all'esterno, mentre trasportavano Doyle e Williams alle ambulanze. Il primo era messo parecchio male e venne subito trasportato in ospedale; il secondo, invece, appariva sotto shock, ma illeso.
Charles sapeva di non avere l'autorità per muoversi di propria iniziativa, ma il Direttore Trent era impegnato, ancora dentro l'edificio, mentre lui e Fay restavano a guardare, ché il loro supporto non bisognava a nessuno. Così l'uomo si trovò a fissare da lontano Bryan Williams, seduto sulla brandina dell'ambulanza, avvolto in una coperta termica.
"Chissà perché lo shock gela pure l'anima, anche con il caldo" si trovò a pensare, anche se possedeva abbastanza conoscenze medico-psicologiche da potersi dare una risposta, ma quella non era mai riuscita a soddisfarlo fino in fondo.
Avevano già delimitato la zona, ma continuava a esserci un via vai incredibile di gente e sembrava che tutti fossero così impegnati, mentre lui e Fay così superflui che Charles si mosse in direzione di Williams, con l'arroganza nei gesti tipica di una persona sicura delle proprie azioni – anche se, l'unica sicurezza che aveva, era che no, non aveva alcuna autorizzazione ad agire di testa propria e avrebbe dovuto evitare di interrogare Williams prima che a farlo fosse il Direttore Trent.
"Conflitto d'interessi. Agente di supporto... Ma andassero tutti a farsi fottere!" pensò con stizza, mentre sua nuora lo fissava con un pizzico di incertezza, ma lo seguiva devota, pronta a spalleggiarlo in ogni situazione.
A pochi passi dell'ambulanza, Charles si guardò intorno: "Tutti così impegnati..." pensò con sarcasmo ed entrò nel mezzo, mentre Fay restava fuori, guardandosi attorno con discrezione, pronta ad avvisare il suocero nell'eventualità in cui avesse visto ricomparire il Direttore Trent. Non c'era stato bisogno di scambiarsi una sola parola e avevano agito in perfetta sincronia. Dopotutto, Jade aveva avuto ragione nel dire che Fay Wong era diventata il suo gioiello. Era la moglie di suo figlio, di Paul, e Charles la vedeva con gli occhi di un padre, ma la donna era anche un ottimo agente, ed era orgoglioso di averla nella sua squadra.
-Ciao, Bryan- disse Charles, e sedette su uno sgabello, ponendosi dinanzi al giovane che lo fissava in tralice con evidente diffidenza. -Sono il Direttore Hayes, F.B.I. di New York-
Bryan batté le palpebre e parve divenire ancora più pallido, di colpo.
-Hayes... come Jade?- domandò con un filo di voce e l'uomo annuì mentre gli mostrava il distintivo con gesti sbrigativi, ponendo presto fine alle formalità e rivolgendogli un sorriso rassicurante.
-Sono suo padre- disse e rimase qualche istante in silenzio, attendendo che il giovane assimilasse quell'informazione. -Sai dirmi cosa è successo?- gli chiese dopo un po' e Bryan fuggì dal suo sguardo, fissando un punto imprecisato vicino ai suoi piedi.
-Come avete fatto a... neutralizzare Dervinshi?- domandò, evitando volutamente determinate parole, per non spaventarlo ancora di più.
Silenzio.
-Cosa ha fatto a Roan...?- tentò di chiedergli ancora, ma l'altro saltò sul posto come una molla, interrompendolo.
-Ryan- sbottò il giovane con rabbia e il direttore annuì di nuovo.
-Perdonami, hai ragione: Ryan. È stato Dervinshi a ridurre il tuo amico in quello stato, vero? Ha fatto del male anche a te?-
Bryan si morse le labbra e i suoi occhi tremarono. Non aveva alcuna intenzione di parlare con lui. A differenza di ciò che avevano detto i paramedici che lo avevano visitato poco prima, lui non si sentiva affatto sotto shock, non era confuso. Anzi. Se chiudeva gli occhi, Bryan poteva rivedere con estrema nitidezza tutto quello che era accaduto nel giro di pochi secondi, subito dopo il ritorno di Rozaf all'interno della stanza in cui erano stati tenuti prigionieri.
La paura, il coltello, le urla, il caos. Durante quegli attimi aveva temuto davvero di morire; aveva chiuso gli occhi richiamando alla mente l'immagine di Isaac, aggrappandosi con il pensiero a lui, ma, quando aveva trovato il coraggio di tornare a guardarsi intorno, senza più percepire la presa di Rozaf su di sé, aveva sgranato gli occhi e non era più stato in grado di battere le palpebre finché quell'uomo non era stramazzato al suolo, privo di vita.
-È stato Dervinshi a ridurlo in quello stato?-
-Cosa ha fatto a Roan?-
Roan.
"Quello non era Ryan" pensò il giovane e un brivido di terrore corse a gelargli le spalle, mozzandogli il respiro, "Adesso lo capisco davvero" si disse con orrore, percependo gli occhi riempirsi di lacrime al ricordo delle urla, della violenza, della furia accecante che avevano portato il suo amico a reagire in quel modo. Non aveva più paura di lui, anzi, nonostante si fosse trovato testimone dell'accaduto, Bryan non poteva fare a meno di giustificarlo. Sapeva ch'era sbagliato, che non potevano esserci giustificazioni a determinate azioni, ma lui non riusciva a farne a meno.
Ryan aveva patito le pene dell'Inferno ed era quasi certo che l'idea di vedere Rozaf pronto a fare del male anche a lui lo avesse condotto a un punto di non ritorno: era crollato, per salvare lui aveva ceduto alla parte più oscura di sé, si era annientato e mandato a puttane anni in cui aveva lottato per essere diverso, per non essere Roan.
Poi si era spento. Bryan aveva temuto per la sua vita, non aveva tentennato neanche per un secondo prima di avvicinarsi all'amico e accertarsi che fosse ancora vivo, nonostante lo avesse appena visto uccidere un uomo a mani nude.
Bryan aveva avuto paura per lui.
Ricordava le parole dell'amico: -Questo non è un film- e il giovane non sapeva se tutto quello che era accaduto potesse venire considerato "legittima difesa". Un sacco di persone si salvavano con la legittima difesa, nei film. Ma in California esisteva ancora la pena di morte e anche se non veniva applicata a cuor leggero, anche se erano anni che non si sentiva di una sentenza che prevedesse una tale soluzione, Bryan aveva paura.
Paura per Ryan.
Se avesse parlato, se avesse raccontato al padre di Jade la verità, Ryan sarebbe finito in prigione? L'avrebbero condannato a morte per omicidio, per tutti i crimini che era stato costretto a commettere per conto della sua famiglia, perché era un Dervinshi?
Non sapeva ancora se l'amico sarebbe sopravvissuto alle ferite che aveva riportato a seguito del pestaggio e dello scontro con Rozaf e l'idea che per lui, dopo, si sarebbero potute aprire le porte dell'ennesima prigione lo mandava fuori di testa. Che venisse punito con la pena massima soltanto perché, come lui stesso aveva sostenuto con amarezza: lui era quello che era e finiva sempre per essere ricacciato indietro.
"Sempre in fondo al pozzo. Continuano a spezzargli le ali" si disse con rabbia, stringendo i pugni sopra le ginocchia.
Non era shock – o forse lo era, ma non aveva importanza: non accettava che Ryan potesse soffrire ancora. Forse, in parte, quell'ostinazione scavava in profondità, toccando il senso di colpa per avere anche lui dubitato del suo amico. Non lo sapeva e non aveva testa di indagarsi, in quel momento. Voleva solo tornare a casa, riabbracciare Isaac, e vedere il mondo intero lasciare Ryan in pace.
Charles comprese, dal potrarsi del silenzio, che qualcosa non andava.
Interpretò quell'assenza di parole come un'ammissione di colpa, ma non riusciva a comprendere perché il giovane continuasse a tacere, finché non ebbe come un'illuminazione.
-Nessuno vi farà del male. Non era premeditato. Avete agito per disperazione, no? Per difendervi...- disse e Bryan tornò a guardarlo in tralice, ma dalle contrazioni muscolari che intravide sulle sue guance, Charles comprese di avere centrato il punto. -Non vi faranno del male- ripeté l'uomo e Bryan non fu più in grado di vederlo oltre il velo di lacrime che gli oscurò la vista.
-Come avete fatto in primavera?! Sapevate che sarebbero tornati e li avete abbandonati e sapevate pure che farlo li avrebbe messi in pericolo!- tuonò il giovane e l'altro non poté fare altro che tacere di fronte quelle accuse.
Charles sapeva di non avere giustificazioni per tutto quello che era accaduto negli ultimi mesi: sciorinare leggi interne ed esterne all'agenzia, difendere ogni azione intrapresa con parole come "protocollo", "politica" e similari, era certo che non avrebbe soddisfatto Williams e avrebbe fatto apparire lui come un burattino nelle mani di qualcuno che si divertiva a giocare con le vite altrui.
Ed era la sensazione che fin troppo spesso, anche lui, aveva provato e continuava a provare.
-Non vi toccheranno- ribadì, ma Bryan scosse la testa e Fay bussò con due dita contro una fiancata dell'ambulanza. Charles comprese il messaggio, si congedò dal ragazzo e scese dal mezzo.
Subito recuperò il cellulare, rivolgendo le spalle all'occhiataccia che gli riservò il Direttore Trent, mentre Sue abbandonava il fianco del suo superiore, avvicinandosi a loro due.
-Se continua fare lo stronzo, potrei decidermi di tornare a N.Y.- sbottò infastidita e Fay trattenne a stento un sorrisino.
-Sarebbe pure ora, cazzo- ribatté Charles e l'altra sollevò un sopracciglio con scetticismo.
-Ti ricordo che...- prese a dire l'agente speciale Turner, ma l'uomo l'ammonì con una smorfia delle labbra, rispondendo al telefono.
-Jade- disse soltanto e le altre due si zittirono subito.
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