23
A Beverly Hills, tra ville di lusso e locali alla moda, ampi viali alberati costeggiati da alte palme, dove la riservatezza la faceva da padrone e il pettegolezzo si annidava costantemente dietro l'angolo, sorgeva anche il Seraphim.
Il locale, ormai aperto da più di un anno, era un luogo esclusivo, pensato per una clientela specifica, interessata a trascorrere all'interno di un ambiente elegante del tempo in compagnia di avvenenti giovani. Oltre spessi tentadaggi di velluto, che celavano l'ingresso, si veniva introdotti all'interno di un'ampia sala, dove luci soffuse ed esotica musica di sottofondo accoglievano l'arrivo esclusivamente di uomini. Le pareti erano arricchite da affreschi di scene mitologiche, incorniciate da tende e fiori. Diversi salottini erano sparsi un po' dappertutto, molti dei quali circondati da separé di legno intarsiato e verniciato di color oro.
Il bancone del bar si trovava sulla destra, subito accanto la porta che conduceva negli spogliatoi, al fianco della scalinata che portava fino al soppalco, dove si trovava l'ufficio del direttore del locale.
I serafini avevano fama di essere bellezze rare e baciati da un'empatia genuina, in grado di farsi carico delle confidenze dei propri clienti che, magari, esausti, al termine di una lunga giornata lavorativa, gradivano trascorre la serata bevendo qualcosa e facendosi coccolare da un accompagnatore. Li si trovavano sempre sorridenti, in attesa, seduti ai sgabelli posti a ridosso del bar – anche se, nei fine settimana, era pure facile che fossero quasi sempre tutti impegnati tanto da avvicinarsi al bancone soltanto per richiedere le ordinazioni dei clienti.
A nessun altro era concesso di entrare al Seraphim: la stampa veniva tenuta a distanza con ostinazione, di modo da potere garantire la privacy dei frequentatori, abituali e non.
Jeffrey ne era il proprietario, anche se da diverso tempo aveva lasciato il locale sotto la gestione di Keith, ed entrambi erano riusciti a rendere il Seraphim un luogo alla moda, ma che brillava sotto la stella della legalità. Non avevano avuto bisogno di ingegnarsi in alcun modo per guadagnare e di quello ne erano entrambi orgogliosi, garantendo ai serafini assoluto rispetto da parte dei clienti: a nessuno era permesso di allungare le mani sui ragazzi, neanche durante le trasferte fuori dal locale, quando venivano pagati per figurare come accompagnatori ad eventi esterni.
Quello era il motivo principale per cui Ryan amava lavorare lì: quando, quasi due anni prima, era arrivato a Los Angeles, dopo avere inscenato la propria morte ed essersi nascosto da Redonald, aveva subito pensato di crearsi una situazione sicura anche con il lavoro, scegliendone uno che, a priori, gli avrebbe garantito di disgustare abbastanza la sua famiglia – se non avessero creduto alla sua dipartita – da permettergli di rendere loro ancora più difficile il ritrovarlo.
Tuttavia, era stato snervante presenziare a colloqui di lavoro, proponendosi come accompagnatore, quando spesso persino i suoi papabili capi avevano avuto un'idea deviata di tale figura; si era trovato troppe volte con le loro viscide mani addosso, mentre accostavano a quei gesti inopportuni parole che gli prospettavano la possibilità che gli venisse chiesto di fare "straordinari", durante i suoi turni – possibilmente senza vestiti e dentro un letto sconosciuto, con uomini che lo avrebbero pagato in cambio di prestazioni sessuali.
Ryan aveva ricevuto talmente tante offerte di quel tipo da demoralizzarsi, finché, appunto, aveva conosciuto Jeffrey, che gli aveva proposto un lavoro onesto, che non prevedeva di farlo diventare una specie di bambola del sesso. "A modo suo, Jeffrey ha salvato anche me" pensò, mentre entrava nel locale, seguito da Keith e Isaac. "Ha sbagliato con noi e..." si interruppe e la sua mente lo portò a ragionare sulle volte in cui lui stesso aveva sbagliato con qualcuno a cui voleva bene.
"Claud ha ragione" si disse con un sospiro, "A Keith ho mentito, l'ho offeso, eppure è rimasto... ma non ricordo nemmeno se gli ho chiesto scusa. Lui l'ha fatto con me".
Diede uno sguardo veloce alla sala, notando molti colleghi impegnati. Rabbrividì al ricordo che lo colse proprio in quel momento e gli tornò alla mente la sera in cui uno degli uomini di suo fratello si era introdotto nel locale, e soltanto per comunicargli che sapevano dove si trovava, che era vivo.
"E loro pronti a farmi di nuovo del male" si morse un labbro, mentre il cuore iniziava a battergli un po' più velocemente. Rivolse un breve pensiero a Jade che, ancora, non aveva risposto ai suoi tentativi di mettersi in contatto con lui, ma non voleva preoccuparsi troppo per il suo amante, altrimenti immaginava già quali sarebbero state le conseguenze, accorgendosi di come i suoi stessi respiri si fossero fatti un po' più brevi.
Il giovane rabbrividì, ma poi, da lontano, intravide Claud rivolgergli il cenno di una mano – cercando di non farsi beccare dal proprio cliente – e si sentì travolgere contemporaneamente dall'entusiasmo di Amber, che lavorava al Seraphim come banconista al bar, e di alcuni suoi colleghi, felici di vederlo lì.
"Non tutto va sempre come speriamo" si disse, sforzandosi di sorridere e di ricambiare la gioia con cui era stato accolto.
Ryan sollevò lo sguardo verso il soppalco, dove stava l'ufficio del direttore, la cui parete che dava sulla sala principale raffigurava un intricato disegno floreale in ferro battuto, in stile Liberty, che celava la vista degli estranei, permettendo a chi stava dentro l'ufficio di tenere sotto controllo, in modo diretto e discreto, quello che avveniva al piano di sotto. Come immaginava, li stava spiando – era probabile che fosse stato attirato dal confusione dei serafini – e, infatti, poco dopo, Jeffrey comparve in cima la scala che conduceva al soppalco.
Rimase sul pianerottolo, guardandolo dall'alto; poggiò i gomiti sulla balaustra e gli rivolse un cenno di saluto. Ryan si sforzò di sorridergli e annuì: era ancora arrabbiato con lui, ma aveva promesso a Claud che avrebbe deposto le armi, dando a Jeffrey un'opportunità.
•
-Amore!- esclamò Claud appena si fu liberato dalle attenzioni del suo ultimo cliente, raggiungendo l'amante e i suoi amici al bar.
-Oddio! Come sei diventato dolce!- disse Amber, ridacchiando imbarazzata, osservando il giovane depositare un casto bacio su una guancia del compagno.
-Un pasticcino-
-No, suo serio, C., è bello vederti così-
-Hai pagato il biglietto?-
Amber alzò gli occhi al soffitto e lo mandò a quel paese e Ryan gli batté un pugnetto sul petto, mentre l'altro scuoteva la testa.
-Stavo scherzando!- tentò di rassicurarlo Claud e Amber tornò subito alla carica.
-Non manca qualcuno all'appello?- domandò e l'amico scosse la testa.
-Ne manca più di uno, ma questa è una cosa privata- ribatté Isaac e la ragazza mise il broncio, per poi tornare al suo lavoro. -Vale anche per te- aggiunse l'uomo, passando un braccio intorno le spalle di Ryan. -È una serata tra amici- precisò e Claud scosse la testa, trattenendo a stento un sorrisino.
-Torno al lavoro, allora. Divertitevi! Noi, invece, ci vediamo domani- disse strizzando un occhio in direzione del compagno.
-Non si sarà offeso?- chiese Keith, guardando il giovane allontanarsi da loro per andare ad accogliere un nuovo cliente, e l'amico si strinse nelle spalle.
-Ha ragione Isaac, è una serata tra amici- disse Ryan. -Non mi concedevo una cosa tanto semplice da... non mi ricordo quando-
Keith gli accarezzò con gentilezza un braccio e poi ordinò da bere ad Amber.
-Non ho intenzione di fare favoritismi!- esclamò la giovane mentre serviva loro da bere. -Un bicchiere d'acqua per Keith, vino rosso per Ryan e brandy per Isaac!-
-Mi devi fare pagare pure l'acqua?-
-Ovvio, K.! Questa costa più di tutti, solo solo perché sei tu!- esclamò Amber, rivolgendogli uno sguardo divertito, mentre sbatteva le lunghe ciglia con fare innocente. Keith le rispose con un'occhiataccia, ma poi ci ripensò e aggiunse:
-Ricordati che lunedì torno a gestire io questo posto- disse e l'altra bofonchiò parole senza senso, assumendo un'espressione allibita.
-Mi stai minacciando? Tu! Stai attento a non inciampare con i tuoi stessi piedi mentre mi insegui!- ribatté la giovane e Keith arrossì mentre Ryan scoppiava a ridere.
-Tranquillo, tesoro, ti difendo io- disse, battendogli una pacca su un braccio.
-È bello vederti così sereno, finalmente-
Alle parole di Isaac, Ryan reclinò il capo da un lato, rendendosi conto che l'amico aveva ragione: si sentiva sereno. Sgranò gli occhi e poggiò il bicchiere sulla superficie del bancone, mentre il suo sorriso si appanava un po'.
-Quanto durerà ancora?- chiese a bassa voce e la musica che faceva da sottofondo nel locale, per fortuna – modulata di modo da non obbligare nessuno a urlare, per preservare la privacy dei clienti, soprattutto – non coprì le sue parole, che riuscirono ad arrivare agli altri due, i quali si scambiarono uno sguardo preoccupato.
-Hey- mormorò Isaac e Ryan parve come destarsi da un sogno e si rivolse a loro con fare titubante, tanto imbarazzato da non sapere che dire.
-Sicuro che vada tutto okay?- gli domandò Keith, ma poi contrasse la mascella e distolse gli occhi da lui, timoroso di essere già venuto meno alla promessa che gli aveva fatto, facendosi troppo invadente.
-Keith... non è che adesso devi smettere persino di chiedermi "come stai" soltanto perché hai paura che io possa prenderla male. Ne abbiamo parlato e credo che basti così, non trovi?-
Il giovane gli sorrise con evidente imbarazzo e tornò al suo fianco, abbracciandolo stretto a sé.
-Vorrei solo vederti felice-
-Lo sono- lo rassicurò Ryan. -Ogni tanto però... è come se mi perdessi. Non so spiegarlo diversamente: mi sento come se venissi sbalzato in un altro pianeta, senza aria, suoni, pieno di caos. Ormai ho imparato a riconoscere quando sto per sentirmi così e faccio di tutto perché non accada, ma non sempre ci riesco-
-Devi lasciarti le cose brutte alle spalle- disse Isaac e il giovane abbassò gli occhi sul pavimento. -È vero che non tutto è andato per il verso giusto, due mesi fa, ma se lui non è ancora tornato, forse non lo farà più- aggiunse l'uomo e Ryan scosse la testa, restando ostinatamente con gli occhi bassi.
-La pazienza di Redonald è sconfinata...- mormorò e poi si morse un labbro, serrando le palpebre. Ancora una volta si sentì sopraffare dal panico e si fece più vicino a entrambi, nella speranza di non essere udito da altri, poggiando la fronte contro l'ampio petto di Isaac, in cerca di conforto. -Credo che sia tornato- aggiunse in un soffio e gli altri due si scambiarono l'ennesimo sguardo preoccupato.
-Che intendi dire?- domandò Keith e Ryan sospirò e abbracciò la vita di Isaac, aggrappandosi alla stoffa della sua camicia.
-Ho iniziato a ricevere delle rose... Claud non sa nulla- si affrettò a precisare e sollevò il viso, guardandosi intorno in cerca del suo amante. Si rasserenò soltanto quando lo individuò in fondo alla sala, al fianco di un uomo dai capelli brizzolati, intento servire da bere, con un sorriso malizioso a incurvargli le labbra. -Non voglio che si preoccupi, che si senta di nuovo in pericolo stando con me- mormorò, percependo gli occhi riempirsi di lacrime. La vista gli si fece offuscata e si sentì in colpa per quelle che potevano essere le implicazioni riguardo quello che aveva appena detto.
Sapeva che era sbagliato tenere Claud all'oscuro della situazione, ma la paura di perderlo era ancora più grande.
-Tutto quello che mi sta intorno finisce per essere contagiato dalle cose brutte che mi porto dietro- mormorò con sconforto e Keith gli accarezzò la schiena nel tentativo di confortarlo, mentre ricacciava indietro l'emozione a fatica.
-Non è colpa tua-
-Penso sia egoistico tenere Claud all'oscuro di tutto, soltanto perché ho paura che possa spaventarsi e allontanarsi di nuovo da me e Jade. Questa è stata una delle settimane più lunghe della mia vita... sono stanco. Ancora non è finita e ho paura di svegliarmi domani, di trovare l'ennesimo messaggio di Redonald-
-Spiegaci quello ch'è successo- lo esortò Isaac e Ryan annuì.
Raccontò loro ogni cosa, senza risparmiarsi i dettagli, rendendoli partecipi anche della sua preoccupazione per Jade, per il fatto che non lo sentiva da ore, dei suoi timori riguardo la possibilità che il giovane stesse indagando per conto proprio, mettendosi in pericolo per proteggere lui e Claud.
-Ormai è chiaro che non possiamo essere noi a decidere per gli altri, tesoro- mormorò Keith, imbarazzato; scosse la testa e gli accarezzò una guancia. -Non devi preoccuparti per lui: sa il fatto suo. Va bene, penso, non dire nulla a Claud, almeno fino a quando non sapremo se davvero le rose siano un messaggio da parte di Redonald-
Ryan si strinse nelle spalle, già stanco di pronunciare e sentire pronunciare agli altri due il nome di suo fratello. Udirlo glielo faceva percepire ancora più vicino, procurandogli la sensazione che gli sarebbe bastato guardarsi alle spalle per vedere il suo viso.
-Claud stasera torna a casa sua. Abbiamo deciso di darci tempo e di non affrettare le cose. Jade vuole trovarsi un appartamento, Titty gli ha offerto un lavoro. Così potremo frequentarci in modo normale. È vero che Jade non ha ancora trovato casa, ma temo che stasera non tornerà da me... Vi andrebbe di passare la notte con me?- chiese agli amici. -Non voglio spaventarvi, mettervi in pericolo, però... non voglio restare solo- aggiunse e fu rincuorato nel sentirli subito accettare la sua proposta.
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