19
-Stanne fuori!- tuonò Jeffrey rivolgendosi al suo amante e Claud fece un passo verso entrambi, con le mani ben in vista, indeciso se intromettersi per dividerli oppure lasciare che se la sbrigassero da soli.
-Ragazzi- tentò di richiamarli, ma i due lo ignorarono.
-Non ho intenzione di vederlo di nuovo nello stesso stato catatonico dell'altra sera a causa di quei due!- disse Jeffrey e Claud sussultò, percependo gli occhi riempirsi di lacrime.
-Tu non... hai... hai capito un... bel niente! Non... sei... nessuno per metterti... in mezzo...!-
-È il mio migliore amico!-
-E non ti... stai comportando... affatto da tale!- sbottò l'altro, allontanatosi da lui, furioso.
-Daniel- tentò di richiamarlo Jeffrey, ma il giovane lo fulminò con un'occhiataccia e gli rivolse il dito medio di una mano.
-Se Claud sta... male è... è colpa tua- disse e il suo amante si sentì profondamente ferito da quelle parole.
-Io sarei qui- mormorò l'ex modello, tenendo gli occhi bassi, fissando il pavimento senza riuscire a vederlo attraverso le lacrime che gli annebbiavano la vista.
Si sentiva impotente, in balia di una tempesta; un tripudio di emozioni contrastanti gli riempivano il petto, sbattacciandolo come se fosse una barchetta tra le onde, che si abbattevano con forza devastante contro di lui, lasciandolo malfermo sulle gambe. Nulla di tutto quello era visibile a occhio nudo, Claud lo sapeva, e non riusciva a trovare le parole giuste per spiegarlo a coloro che lo circondavano.
Non c'era riuscito con Jade e Ryan, limitandosi ad allontanarsi da loro, ponendo come scuse parole che, con il senno di poi, anche a lui, ripensandoci, suonavano come prive di logica.
-Claud...- disse Daniel, poggiando una mano su un suo braccio, fissandolo dal basso nel tentativo di scorgere i suoi occhi, celati dai capelli che gli ricadevano attorno al viso. Il giovane rabbrividì e si strinse la braccia intorno al busto.
-Domani mi vedo con Jade e Ryan- ripeté.
Jeffrey si lasciò sfuggire un gemito di frustrazione e tornò a sedersi, allargando le braccia sullo schienale del divano.
-Perfetto, bra... bravissimo- disse Daniel. -Vi... volete bene, vi... amate, è... è giusto che passiate del... tempo insieme-
Jeffrey gli rivolse uno sguardo in tralice e l'altro lo ricambiò con l'ennesima occhiataccia, puntandogli contro un dito, mettendo a tacere tutte le sue possibili parole di protesta solo con quel silenzioso gesto.
-Daniel ha ragione- disse l'uomo, anche se il suo tono risultò poco convinto. -E non perché lo dice lui, ma anche io ho passato gli ultimi due giorni a riflettere sulla cosa-
-Allora perché hai reagito tanto male, prima?- gli chiese Claud con un sospiro di sollievo, mentre sollevava la testa e si portava una ciocca di capelli dietro un orecchio, per poi tornare a incrociare le braccia sul petto. Tirò su col naso, sentendosi ridicolo e fin troppo scoperto: era certo che i suoi occhi umidi mostrassero senza pietà tutta la sua fragilità.
-Perché... sono egoista. Okay?- borbottò Jeffrey protendendosi in avanti, curvando le spalle, come se stesse cedendo sotto il peso dei propri pensieri, ma anche per sfuggire all'espressione ferita che lesse sul viso del suo amico.
-Non vuoi che sto con loro?- gli chiese Claud e Daniel sbuffò e scosse la testa.
-No, non è proprio questo. Nel senso che non condivido il tipo di relazione che hai tu. Non credo nell'amore tra più persone, però posso accettare che esista, anche se non lo comprendo-
-È stupido pensare... che... possa esistere una... una sola anima... gemella per ogni persona in... in tutto il mondo, quando... siamo... più di sette miliardi di... di persone. Lo trovo davvero... stupido- disse Daniel.
-E io la penso così. Visto? Non ti sto dando ragione a prescindere, sto cercando di ragionare con la mia testa- ribatté Jeffrey, rinfacciando al compagno, in modo ambiguo, la discussione che avevano avuto qualche giorno prima.
-Forse è meglio se... se ti stai... zitto, allora- borbottò Daniel, ancora arrabbiato con lui. -Siamo frammenti di... anime in... giro per il... il Pianeta, un luogo immenso. Alcuni hanno fortuna e... e finiscono per incontrare... più pezzi della... propria anima nello... stesso posto. Il cuore è come... un elastico, si ingrandisce... senza mai spezzarsi. Anche quando un... un amore finisce, non si esaurisce del... tutto, ma... ma cambia, e... rimane nel cuore- disse e fissò il compagno, reclinando il capo da un lato.
-Io amo te. Con Theo è finita- sibilò Jeffrey e Daniel scrollò le spalle.
-Chi amiamo è... sempre una... una scelta: tu hai... scelto me. Claud è... è fortunato- disse, rivolgendo uno sguardo in direzione dell'altro, sorridendogli con dolcezza. -Ha incontrato... te, Keith, Jade e... e Ryan. Ha scelto... Jade e... Ryan-
Claud ricambiò il suo sorriso e annuì, poi tornò a guardare Jeffrey. Rimasero in silenzio per un paio di secondi, soltanto guardandosi negli occhi, poi il giovane si prese di coraggio e gli si avvicinò, sedendo al suo fianco.
-Se non è questo mio modo di amare, allora cos'è che ti fa pensare di essere egoista?- gli chiese e l'altro gli passò un braccio intorno alle spalle, gli baciò la fronte e sospirò mesto, per poi reclinare il capo sullo schienale del divano e chiudere gli occhi.
-Hai rischiato di morire- disse Jeffrey, passandosi entrambe le mani sul viso. -Ti ho ignorato e trattato male per anni, forse anche approfottandomi un po' del tuo amore per me. Era un periodo in cui commettevo un errore dietro l'altro: prima con Evan, poi con te, con Keith. Ero un grande stronzo. Per fortuna, sono cambiato d'allora, non sono più l'uomo che ha cercato di aiutare Keith a riprendersi dopo il divorzio con la sola intenzione di portarselo a letto, né il cretino che ha tagliato fuori dalla sua vita il fratello e solo per gelosia- disse con amarezza, tornando ad aprire gli occhi.
Claud gli accarezzò i capelli con gentilezza, sentendosi tanto vicino a lui come mai prima d'allora.
-Saperti lontano, in pericolo, mi ha fatto stare male. Ho pensato che non avrei più potuto rimediare ai miei errori. Continuavo a sbagliare. Ma adesso mi rendo conto che tu sei davvero importante per me, hai sofferto tanto e io farei di tutto per proteggerti. Solo che capito di averti costretto dentro una prigione di lusso e tutto ciò che ti fa piangere e ti rende triste, nella mia mente, diventa di colpo... cattivo, sbagliato e desidero tenerti a distanza da queste cose, per proteggerti. Come se soltanto io fossi in grado di non ferirti, ma... ti sto ferendo lo stesso-
Claud scosse la testa e sorrise.
-Sei il mio migliore amico, J.- disse e l'altro si lasciò sfuggire un risolino nervoso.
-Che si è... comportato da... da idiota!- esclamò Daniel, raggiungendoli sul divano; sedette a debita distanza da entrambi, assumendo un'espressione offesa.
-Ma adesso che mi ha chiesto scusa...- tentò di dire Claud, ma l'altro lo interruppe subito.
-Come... no!-
-A modo suo l'ha fatto, D.-
-Io sarei qui- si intromise Jeffrey, ma gli altri due fecero finta di non averlo sentito.
-Va beh, facciamo... finta di... di sì- disse Daniel, iniziando a cedere.
-Certo che sei incredibile!- esclamò il suo compagno.
-Non è che potreste farmi contento e fare pace anche tra di voi?- chiese Claud, rivolgendo a entrambi il suo sfavillante sorriso da seduttore.
Daniel arrossì e ridacchiò, poi annuì, mentre Jeffrey tirava un sospiro di sollievo e si sporgeva sul divano, verso di lui, stringendolo in vita e concludendo quella loro discussione con un bacio.
•
Il giorno successivo Ryan si svegliò con un mal di testa di proporzioni epiche. Si girò un paio di volte nel letto, infastidito dalla luce, dalla "durezza" del cuscino, dal modo in cui il sangue gli pulsava nelle orecchie, persino dal lieve russare di Jade.
Si alzò a sedere in mezzo al letto con cautela, toccando con gesti insicuri il materasso, nel tentativo di darsi dei solidi punti di riferimento.
Il giorno prima, durante la seduta con lo psicologo, era svenuto e, quando si era risvegliato il medico non aveva fatto nulla per nascondergli la preoccupazione riguardo l'aggravante delle sua situazione: rischiava un crollo psicotico.
Purtroppo non c'erano strade infallibili sulle quali puntare per evitare che ciò accadesse, ma solo svariati tentativi da intraprendere nella speranza di trovare una soluzione. E, sopra ogni cosa, il medico aveva quasi implorato il giovane di tenersi a debita distanza da tutto quello che, in modo istintivo e non, reputava deleterio per se stesso.
Tuttavia, Ryan aveva finito per passare l'ennesima notte in bianco, combattuto tra il desiderio di cancellare ogni cosa, i sensi di colpa, e la consapevolezza di non potersi concedere l'ennesima fuga.
Aveva passato l'intera infanzia a scappare dalla casa di famiglia, finché non aveva persino inscenato la propria morte pur di sfuggire alla morsa dei Dervinshi. Si era illuso di esserci riuscito, nonostante Redonald fosse ancora a piede libero, ed ecco che a rendere la sua vita impossibile era arrivato uno stalker.
Il giovane nascose il viso dietro le palme delle mani, sospirando, e scese giù dal letto con l'unico pensiero di recarsi in cucina e controllare il davanzale della finestra.
Rivolse un breve sguardo in direzione di Jade, poi al suo cellulare, poggiato su un comodino, e ne picchettò lo schermo, scoprendo che erano appena le sette del mattino.
A passo strascicato percorse il corridoio, accarezzando distrattamente una parete con una mano. Prima di girare l'angolo ed entrare nella stanza, si fermò e poggiò una tempia contro il muro. Chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro, mentre le orecchie iniziavano a fischiargli, ponendo quel rumore fastidioso in sottofondo al suo mal di testa. Percepiva la testa come se fosse sul punto di esplodere: gli faceva male ogni singolo osso del cranio, come se si fossero fatti tutti tanto duri e spessi da premere contro la pelle, nel tentativo di venire fuori.
Socchiuse le palpebre e girò l'angolo, rimanendo fermo sulla soglia. Rivolse uno sguardo titubante in direzione della finestra e quando vide la rosa si sentì pervadere da un senso di impotenza tanto profonda da sentirsi raggelare. Pareva che pure il cuore avesse smesso di battergli nel petto.
Si decise a lasciarla lì, di ignorarla, nella speranza che sparisse. Meno di due ore dopo si sarebbe dovuto recare con Jade all'appuntamento con Claud e non voleva distrarsi. Doveva concentrarsi, imporsi di tagliare fuori dal suo mondo tutto che ciò che lo faceva stare male, un passo per volta.
-Devo parlarne con qualcuno, però- mormorò.
-Di cosa?- chiese Jade, facendo il proprio ingresso nella stanza, sbadigliando sonoramente. Ryan lo guardò in tralice, con le palpebre sempre socchiuse. Si sentiva come prigioniero di una bolla all'interno della quale nulla riusciva ad arrivare a lui con la giusta chiarezza. I pensieri erano fumosi, le percezioni parziali, i sensi attutiti da quel malessere che lo faceva sentire distante, incollato al pavimento, ma, allo stesso tempo, in procinto di dissolversi nel nulla.
-Credo di avere uno stalker- disse e ammetterlo ad alta voce gli procurò un brivido di paura. Le sue spalle tremarono, sgranò gli occhi e la tazza che stringeva tra le mani sfuggì dalla sua presa, infrangendosi sul pavimento. Ryan rimase a osservare i cocchi con morboso interesse.
-Amore...- sussurrò Jade, facendoglisi vicino, sfiorandogli una spalla in punta di dita, come se temesse di vederlo andare in frantumi a sua volta, da un momento all'altro.
-Le rose- disse Ryan con un filo di voce.
-Di nuovo?- gli chiese il giovane, mettendosi in allarme, e corse verso la finestra. La spalancò e Ryan tese le orecchie, ma non udì null'altro oltre il rumore del traffico che proveniva dalla strada.
Si girò verso il suo amante, trovandolo immobile davanti la finestra, intento a dargli le spalle.
-Chiamo Sue- disse Jade con voce carica di tensione, dopo qualche secondo di silenzio.
-Non penso che l'F.B.I. sia interessata...-
-Non è per questo- lo interruppe il giovane, reclinando il capo per poterlo guardare in viso. -Ieri ci siamo visti e non mi ha detto nulla-
-Perché avrebbe dovuto dirti qualcosa?- gli domandò Ryan, ma l'altro tornò a girarsi verso la rosa, non rispondendogli.
"Sta sorvegliando solo me?" si chiese Jade, "Non penso. Non dopo quello ch'è successo due mesi fa. Ma se avesse saputo o visto qualcosa me lo avrebbe lasciato intendere, mi avrebbe messo in guardia come ha fatto per Dervinshi" scosse la testa e richiuse la finestra, mentre recuperava il cellulare e componeva il numero della sua ex collega, "Meglio che Ryan non sappia che potrebbe trattarsi proprio di lui".
-Sai che...- disse il suo amante con voce atona e Jade sussultò, riscuotendosi dai propri pensieri e fermandosi un istante prima che partisse la chiamata al numero dell'agente Turner. -In teoria dovresti saperlo. Avete indagato tanto sulla nostra famiglia- continuò Ryan con un sospiro, lasciandosi scivolare sul pavimento, sedendo vicino i cocci della tazza. Chiuse gli occhi, percependoli bruciare sotto le palpebre abbassate.
-I miei sono originari di Tropoja, ma hanno vissuto per un certo periodo lontani dalla città. Mio padre era stato esiliato da Tropoja da mio nonno, perché aveva cercato di farlo fuori e prendere il suo posto. Sono stati via da Tropoja per anni e mio padre ha dovuto attendere la morte di mio nonno prima di poterci tornare e prendere il suo posto. Sono tornati lì che Redonald era piccolo e io non ero ancora nato- disse, mentre la voce gli si faceva sempre più sottile e incerta. -Përmet. Redonald è nato a Përmet. Sai come la chiamano?- chiese con fare retorico – perché immaginava che l'altro, dato che aveva dovuto documentarsi a fondo riguardo la storia dei Dervinshi, mentre indagava su di loro in veste di agente, conoscesse la risposta.
-La Città delle rose- rispose, infatti, Jade e Ryan annuì.
-E rosso è il colore del sangue- mormorò e tornò a chiudere gli occhi, pregando che ogni cosa intorno a lui la smettesse di fargli tanto male.
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