18
Dopo l'episodio di quella mattina sul tetto, Ryan tirò quasi un sospiro di sollievo quando lasciò il suo appartamento, nel pomeriggio, per recarsi all'appuntamento con il suo psicologo.
In strada venne accolto da un sole cocente e abbacinante; socchiuse gli occhi e frugò dentro la propria borsa in cerca degli occhiali da sole, mentre un taxi accostava al marciapiede dopo essere stato richiamato dal giovane. Una volta tirata fuori la custodia, l'aprì e sollevò il capo; fece per indossare gli occhiali, ma rimase pietrificato sul posto, mentre il sole gli feriva gli occhi, distorcendo la sua percezione delle cose.
Percepì un brivido di puro terrore corrergli lungo la schiena. Fissò ancora per un paio di secondi l'uomo che si trovava sull'altro lato della strada, di fronte a lui. Batté le palpebre e indossò gli occhiali da sole, tornado a guardare nello stesso punto. Tirò un sospiro di sollievo nel rendersi conto che, dall'altra parte, non c'era nessuno intento a fissarlo. Doveva avere avuto un'allucinazione.
Salì sul taxi, sentendosi ancora un po' scosso. Fornì l'indirizzo dello psicologo all'autista e si mise comodo, tentando di rilassarsi. Dopo tutto quello che era successo negli ultimi giorni, aveva preferito evitare di mettersi alla guida della propria auto, spaventato dall'eventualità di poter essere sorpreso da un attacco di panico in mezzo al traffico.
Dopo una decina di minuti si sentì di nuovo abbastanza tranquillo, desideroso di arrivare al suo appuntamento, consapevole di avere estremamente bisogno di sfogarsi un po'. "Stavolta ce la farai a tirare fuori tutto quello che ti lacera dentro?" si chiese e poggiò la fronte contro il finestrino, mentre il caldo che proveniva dall'esterno dell'abitacolo sembrava distruggere i tentativi dell'aria condizionata di raffreddare la temperatura all'interno del veicolo.
Un rumore catturò la sua attenzione e sussultò sul posto.
-Tutto bene, signore?- domandò l'autista e la sua voce fece venire i brividi al giovane, che cercò con gli occhi il riflesso del suo viso nello specchietto retrovisore. Lo vide sorridere con fare impacciato e Ryan annuì per rassicurarlo, ma poi il cuore parve balzargli in gola: aveva appena battuto le palpebre e il volto dell'uomo era già cambiato.
Ryan riconobbe la sensazione spiacevole del panico che gli irrigidiva i muscoli, rendendo i suoi respiri più corti e tremuli.
-Max?- sussurrò con un filo di voce.
-Come?- chiese il tassista e il giovane si azzardò a guardare di nuovo lo specchietto retrovisore: l'uomo alla guida era tornato a essere un perfetto sconosciuto.
-Nulla, mi scusi- disse Ryan e si rannicchiò in un angolo del sedile, tentando di calmarsi. Il cuore gli batteva ancora all'impazzata e più volte rivolse sguardi furtivi in direzione dell'autista, tirando un sospiro di sollievo tutte le volte che lo riscopriva totalmente estraneo.
"Ci mancavano le allucinazioni" si disse, prendendosi la testa tra le mani, "Guarda il lato positivo: non è lui, quindi, anche l'uomo che hai visto davanti casa non era lui" tentò di rassicurarsi.
Arrivarono a destinazione una ventina di minuti dopo e Ryan si sentiva spossato - non per il caldo - e così confuso che perse un po' di tempo facendo avanti e indietro sulla testa porzione di marciapiede, girando su se stesso finché non si decise di prendere un caffè, nella speranza di "svegliarsi" un po'.
"Magari è colpa dei farmaci. Anche se lo psicologo dice che sono solo integratori, è possibile che mi procurino allucinazioni? Ricordati di chiederglielo" si disse, mentre era intento a sorseggiare del caffè.
Fuori dal locale in cui aveva acquistato la bevanda, tentò di auto-convincendosi che il caffè avesse avuto poteri magici, in grado di liberargli la mente da tutti i pensieri più angosciosi. Entrò nello stabile in cui si trovava lo studio del medico e si fermò davanti le porte dell'ascensore, in attesa di salire al quindicesimo piano e presentarsi al suo appuntamento.
Fissò con un po' di ansia i numerini che si andavano illuminando sopra le porte, segnando il piano di riferimento durante la discesa dell'ascensore e, quando giunse da lui, abbassò lo sguardo, le porte si aprirono e ne uscirono cinque persone. Ryan aggrottò la fronte e attese ancora, ma poi parve che il tempo si fermasse, le sue orecchie vennero private di ogni suono, si sentì come sospeso nel vuoto, tra due fasci di colori privi di forme, al cui centro stava lui: Max, intento a fissarlo con quel suo solito sorriso in grado di farlo tremare di paura.
Ryan ansimò e compì un passo indietro, urtando qualcuno. Si girò di scatto, trovando una donna a fissarlo.
-Tutto bene?- gli chiese lei, notando nel giovane qualcosa che la mise in allarme, in modo spontaneo.
Ryan annuì con fare convulso e deglutì sonoramente, facendosi coraggio e tornando a guardare dentro l'ascensore, mentre un paio di persone si affrettavano a occuparlo: Max non c'era più.
Si strinse una mano all'altezza del petto, udendo vagamente la donna di prima domandargli se davvero si sentisse bene, ma lui la ignorò e raggiunse gli altri dentro l'ascensore, un attimo prima che le porte si richiudessero.
Arrivato al piano, come al solito, non trovò nessuno ad attenderlo, nemmeno una segretaria.
Guardò l'orologio affisso sulla parete, sopra la porta che introduceva allo studio del dottore, e si accorse di essere in anticipo di un paio di minuti. La lampadina che si trovava vicino al campanello era accesa, di un inteso colore rosso, segno che il dottore era impegnato con un paziente.
Ryan sedette in sala d'attesa. Anche lì l'aria condizionata era stata impostata a una temperatura praticamente invernale, ma i vetrocamera delle finestre isolavano abbastanza l'ambiente, a differenza che dentro il taxi, rendendo l'aria piacevolmente fresca.
La stanza dove si trovava non era molto grande, ma conteneva davvero poche cose: una scrivania bianca, una sedia, uno scaffale, due poltrone dai colori pastello e un paio di piantine. Le pareti erano state tinteggiate di un delicato azzurro che ben si sposava con il parquet chiaro del pavimento.
Incominciò a rilassarsi, ripensando a quanto accaduto poco prima.
"Forse è successo perché negli ultimi giorni ho pensato spesso a lui" si disse con un sospiro e recuperò il proprio cellulare per spegnerlo, ma prima si soffermò per un attimo a fissare la foto che aveva impostato come salvaschermo: uno dei pochi scatti che lo immortalavano con Jade e Claud. Si sorprese a sorridere con dolcezza, ogni rancore nei confronti di entrambi totalmente dimenticato.
"Loro mi rendono felice".
Sperava soltanto che la colazione del giorno successivo si rendesse galeotta di una loro completa riappacificazione.
La porta dello studio si aprì in automatico e Ryan notò che la lampadina si era spenta. Nessuno venne fuori dalla stanza perché all'interno era presente un'uscita secondaria, di modo che i pazienti non si incontrassero mai tra di loro.
Il giovane si alzò ed entrò nello studio.
-Ryan. Ciao- lo salutò il dottore, rivolgendogli l'immancabile sorriso rassicurante con cui era solito accoglierlo, fissandolo da dietro gli occhiali dalle lenti rotonde. -Come stai oggi?- gli chiese, indicandogli il divano al fianco della poltrona che occupava lui.
Ryan ripose la borsa nell'appendiabiti vicino la porta e si passò entrambe le mani sui pantaloncini jeans che indossava, rendendosi conto solo in quel momento di avere le palme bagnate di sudore. Sorrise un po' in imbarazzo e prese posto sul divano.
-Non molto bene- disse, distogliendo lo sguardo dal medico.
-Che cosa non ti fa stare bene? L'altro giorno mi hai detto che sentivi quasi che la tua vita fosse sul punto di una...- disse l'uomo, sbirciando i propri appunti dal tablet che teneva in una mano. - ... incredibile svolta-
-Uhm. Pensavo che tra me, Jade e Claud le cose stessero andando per il verso giusto-
-Pensavi? È cambiato qualcosa negli ultimi due giorni?-
Ryan si strinse nelle spalle.
-Lei non crede che dovremmo pensare più a noi, in questo periodo? Magari non è il caso di stare con qualcuno...-
-Ryan- lo richiamò con gentilezza il dottore e il giovane gli rivolse uno sguardo in tralice. -Credevo che fossi innamorato. Me l'hai detto tu, ricordi? E questo è un periodo in cui fai benissimo a circondarti di cose belle, di cose che ti fanno stare bene-
Ryan aggrottò la fronte e ripensò al discorso di Claud, alle parole che aveva rivolto a lui e Jade per giustificare la sua intenzione di interrompere la loro relazione. "Forse per lui non siamo una cosa abbastanza bella?" si chiese, approfittando della pazienza del suo psicologo per cercare di dare ordine ai propri pensieri, dato che, mentre era nel taxi, non c'era riuscito nemmeno un po'.
Sospirò e si augurò che, durante la colazione, Claud chiedesse loro scusa, così avrebbero potuto tentare di riprendere da dove si erano interrotti con la loro relazione. Era bello dormire al fianco di Jade - anche se la notte precedente non era riuscito a chiudere occhio a causa del suo stalker - e vederlo girare per casa; capiva perché tanto era piaciuto anche a Claud convivere con lui: gli erano bastati quei due giorni sotto lo stesso tetto per affezionarsi ancora di più al suo amante. Ma non poteva negare quanto la notte, nonostante il caldo e Jade, percepisse un proprio fianco farsi gelido a causa dell'assenza di Claud - e la cosa era accentuata dall'ansia che lo teneva sveglio.
Sollevò gli occhi sul dottore e il suo sorriso si spense immediatamente. S'irrigidì, mentre la pelle gli si ricopriva di brividi spinosi e riconosceva nei lineamenti del suo volto, negli occhi castani e dall'espressione dura, non più celati dietro gli occhiali, proprio Max.
Balzò sul posto e scivolò all'indietro sul divano.
-Ryan?- chiese lo psicologo e il giovane si sentì ancora più confuso e spaventato, dato che la voce che aveva udito non corrispondeva a quella di Max.
-Credo... oh mio Dio!- mormorò in preda a una paura profonda.
-Ryan, sei al sicuro qui, non c'è niente di cui...- e mentre il dottore parlava, il giovane si trovò con le orecchie piene di rumori privi di logica che sembravano andare a tempo con i battiti frenetici del suo cuore. Si sentì mancare e si distese sul divano, prendendosi la testa tra le mani, stringendo con forza i capelli.
-Ryan...- lo richiamò il medico e lui si sforzò di guardarlo in viso: Max era sparito. Il giovane tremò con violenza e chiuse gli occhi, mentre il mondo intorno a lui perdeva forma, cedendo il passo a un buio profondo.
•
Claud uscì dalla stanza degli ospiti con passo marziale, dopo avere rimuginato per più di mezz'ora su ciò che si apprestava a fare. Aveva provato persino le battute davanti lo specchio che si trovava in camera, tentando di prevedere le risposte e le argomentazioni con cui Jeffrey avrebbe potuto smontare il suo discorso.
Non sapeva per quale motivo, ma, in quei due giorni che aveva vissuto in casa dell'amico, si era reso conto di come Jeffrey fosse riuscito a sviluppare un'incredibile capacità di influenzare i suoi pensieri.
Claud capiva che, in parte, la colpa di ciò era proprio sua: per anni lo aveva seguito alla stregua di un cagnolino bisognoso di attenzioni, senza mai riuscire a conquistare il suo cuore. Ora che erano amici, che Jeffrey gli aveva detto e dimostrato più volte di volergli bene, lui non voleva perderlo, per questo motivo aveva iniziato ad assecondarlo, anche troppo.
Trasse un profondo respiro e iniziò a giocherellare nervosamente con una ciocca dei propri capelli, raggiungendo l'altro nel soggiorno.
Rimase interdetto quando si accorse che l'amico non era solo.
-Ciao... Claud- lo salutò Daniel con un sorriso e il giovane si irrigidì un po'. "Lui non lo conosco abbastanza, non sono pronto per uno scontro due contro uno" si disse, incominciando a ponderare l'ipotesi di rimandare la sua discussione con l'amico.
-Sei qui! Che bello, così possiamo parlare del nuovo progetto proposto da Daniel per il Seraphim- disse Jeffrey, prendendo una cartellina da quelle che erano disposte sulla superficie del basso tavolino collocato tra i divani. La porse all'amico con un sorriso. -Domani mattina ci sarà una riunione speciale e...-
-Domani mattina ho già un impegno- disse Claud di getto, nascondendo le mani dentro le tasche dei jeans che indossava. Si sentiva a disagio, aveva parlato senza riflettere e, istintivamente, volse uno sguardo in direzione di Daniel.
-Dove devi andare?- chiese Jeffrey e Daniel gli pestò un piede. Il compagno imprecò e gli rivolse un'occhiataccia.
-Non sei... il suo... badante. Dove va non... non è affare tuo- gli disse e l'uomo si fece cupo in viso.
Claud sgranò gli occhi, stupito dalle parole di Daniel, ma si sentì rinvigorire da una nuova sicurezza. Inspirò profondamente, espirò piano, e si decise a vuotare il sacco, anche se dimenticò di colpo tutte le battute che si era preparato per affrontare quella discussione.
-Domani mi vedo con Jade e Ryan, a colazione. Ho già mandato un messaggio a entrambi...-
-Cosa?!- lo interruppe Jeffrey, alzandosi in piedi. -Ti sei ammattito? Credi davvero che ti siano bastati due giorni per rimetterti in sesto?-
-Io sto ben...- tentò di dire il giovane, ma venne interrotto da Daniel.
-Ma... che problemi... hai!- urlò, strattonando il compagno per un braccio.
Claud sgranò gli occhi, sempre più stupito, ma in cuor suo grato all'altro per essere intervenuto in suo favore.
Forse, grazie proprio a Daniel, quella volta sarebbe riuscito a spuntarla contro Jeffrey.
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