RAY OF SUN (NICOLE)


Soffro di attacchi di panico, non è una cosa semplice da ammettere a sé stessi o in presenza di altre persone, e dal momento che non ho amici mi reco almeno due volte a settimana da una psicologa, la dottoressa Megan Roan.

È brava e non prova mai ad insistere troppo per spingermi a raccontarle qualcosa di nuovo, anche se molto probabilmente ha capito che ci sono ancora tante cose che le tengo nascoste.

"Questa notte ho avuto l'ennesimo incubo" le confesso a pochi minuti dall'inizio della seduta "e quando mi sono svegliata non riuscivo quasi a respirare ed avevo il cuore che continuava a rimbombarmi nelle orecchie. Ho provato a seguire il suo consiglio di prendere una serie di profondi respiri, ma non ha funzionato. Ho iniziato a calmarmi quando...".

Mi blocco all'improvviso perché non so se continuare.

"Quando?" m'incalza gentilmente lei, smettendo di scrivere chissà cosa nel suo taccuino nero e lucido.

"Quando ho preso il mio mp3 e mi sono messa le cuffie nelle orecchie. Ho selezionato una canzone e quando l'ho fatta partire mi sono sentita subito meglio. Lo so, è una cosa stupida, ma le giuro che è la verità"

"Non è una cosa stupida, Nicole. Ogni persona che soffre di attacchi di panico usa un metodo diverso per uscirne: ad alcuni basta prendere una serie di profondi respiri, ad altri basta chiudersi in una stanza completamente buia ed a altri ancora, proprio come nel tuo caso, basta ascoltare una canzone. Cerca di avere sempre con te il tuo mp3, in modo da non essere impreparata se un attacco ti coglie di sorpresa. Però, Nicole..." s'interrompe la dottoressa, togliendosi gli occhiali, ed io sento la stessa sgradevole sensazione che mi ha aggredita il giorno precedente, nell'ufficio di Pope "ormai sei una mia paziente da diverso tempo ed arriva sempre un momento in cui bisogna iniziare ad esplorare la ragione del loro malessere. Penso che sia arrivato il momento di esplorare la tua"

"Ed io dico che è ancora troppo presto" rispondo in un soffio, impallidendo vistosamente; Megan se ne accorge ed infatti fa un passo indietro.

"Non sto dicendo che devi farlo adesso. Lo devi fare solo quando te la sentirai, senza nessuna costrizione, ma ricorda che più continuerai a posticiparlo, più continuerai a non vivere appieno la tua vita".



Quando arrivo a Fox River le parole della psicologa ancora non hanno abbandonato la mia testa.

Il mio primo paziente sta dormendo e preferisco non svegliarlo; entro nel mio Studio ed il malumore e la confusione lasciano spazio alla sorpresa quando sulla scrivania noto una cartellina rigida, un bicchiere ed una busta marrone: prendo in mano la cartellina, la apro e trovo una lastra ed un biglietto scritto da Sara Tancredi in cui mi comunica che gli esami non hanno rilevato nulla di rotto e quindi Bagwell può tornare in cella dai suoi amici.

Poso tutto nuovamente sopra la superficie liscia e mi concentro sul bicchiere e sulla busta: il primo contiene del cappuccino caldo mentre la seconda un muffin ai mirtilli; qualcuno si è preoccupato di farmi trovare la colazione e penso anche di sapere chi è stato.

Adam.

Non so che idea si è fatto, ma non ho alcuna intenzione di illuderlo e così butto tutto dentro il cestino della carta; non ho neppure intenzione di ferire i suoi sentimenti e così cerco di nascondere il cibo con cura con alcuni fogli di carta stropicciati.

Esco di nuovo dal mio Studio, mi avvicino al mio primo paziente e cerco di svegliarlo, perché per lui è arrivato il momento di tornare dietro le sbarre.

"Ha mantenuto la sua promessa. È la prima persona che lo fa con me" mi dice non appena apre gli occhi, con un altro sorriso smagliante; preferisco non rispondere a queste parole e gli comunico la buona notizia.

"Le lastre non hanno rilevato nulla di rotto. Può tornare dai suoi amici, signor Bagwell, non sono intenzionata a trattenerla un solo minuto in più. Vado a chiamare subito qualche guardia"

"Ohh... E questa le sembra una bella notizia, dottoressa?"

"Perché non dovrebbe esserlo?" chiedo, incuriosita.

"Perché questo significa che dovrò trovare un modo per convincere i secondini a portarmi nuovamente qui" risponde lui, come se fosse la cosa più naturale al mondo.



Non vedo Karla fino all'ora di pranzo: è lei ad entrare nel mio Studio per propormi di andare a mangiare qualcosa in un ristorante italiano .

"Veramente... Pensavo di mangiare qualcosa delle macchinette"

"Dai, non puoi rimanere qui dentro per dodici ore consecutive. Ogni tanto bisogna staccare la spina altrimenti rischi di andare fuori di testa".

Riesce a persuadermi ed insieme usciamo dall'infermeria; mentre attraversiamo il sentiero lastricato che porta al cancello sento diverse voci e qualcuno dei tanto temuti fischi ed apprezzamenti: tengo lo sguardo fisso davanti a me e capisco che la nostra ora di pausa per il pranzo corrisponde all'ora di aria all'aperto dei detenuti.

Karla mi assicura che non devo preoccuparmi di questa cosa, perché capita spesso anche a lei, alle altre infermiere ed alla dottoressa Tancredi; rispondo che so badare benissimo a me stessa, proprio come ho detto a Pope durante il mio primo giorno a Fox River.

Entriamo nel ristorante italiano: i tavoli sono decorati con le classiche tovaglie a quadrati bianchi e rossi ed anche se non è la mia cucina preferita quando prendo in mano il menù non so davvero quale portata scegliere.

Alla fine optiamo entrambe per un piatto di pasta e quando un cameriere ce li porta hanno un aspetto semplicemente delizioso.

"Avevi ragione" dico dopo aver assaggiato una prima forchettata "si mangia davvero molto bene"

"Te lo avevo detto. Allora... Come ti trovi a Fox River?"

"Non è male. Anche se si è creata una situazione alquanto imbarazzante"

"Quale?" mi domanda subito lei con una luce curiosa negli occhi verdi; prendo un profondo sospiro, sistemo delle ciocche di capelli dietro le orecchie e poi le racconto dell'episodio della colazione e dei sospetti che ho su Adam; Karla si porta entrambe le mani alla bocca e sembra proprio una studentessa alle prese con un succoso pettegolezzo "ma lui ti piace?".

"No, assolutamente no. Sembra un bravo ragazzo ma in questo momento non sono intenzionata né ad avere una relazione né tantomeno averne una sul posto di lavoro"

"E che cosa hai intenzione di fare se dovesse riservarti altre attenzioni?"

"Gli parlerò e metterò le cose in chiaro" rispondo in tono sicuro, perché è la verità: avere un uomo a mio fianco è assolutamente l'ultima cosa di cui ho bisogno in questo momento.

Quando l'ora di pausa finisce, ed io e Karla rientriamo in infermeria, mi ritrovo davanti alla terza sorpresa della giornata: durante la mia assenza qualcuno ha messo sopra la mia scrivania un vaso di vetro con dentro una rosa rossa; sul gambo spinoso del fiore c'è un biglietto attaccato ad una sottile cordicella.

Lo stacco subito e leggo le due brevi righe, scritte con una penna nera.


'All'unico raggio di sole

In questo mare buio di disperazione'


"Ma è una cosa dolcissima!"

"No, è una cosa fuori luogo che non deve accadere ancora" replico accartocciando il bigliettino e gettando anche quello dentro il cestino della carta; dico a Karla che può prendersi il vaso con la rosa, se vuole, perché a me i fiori non sono mai piaciuti e non sono intenzionata a tenere il regalo di una persona che mi è indifferente.

Per tutto il resto della giornata attendo che Adam si affacci al mio Studio, ma questo non accade e non mi resta altro che sperare di vederlo il giorno seguente, in modo da chiarire tutta la faccenda il prima possibile, prima che prenda una piega più seria; appena esco nel corridoio colpisco per sbaglio qualcosa con il piede destro: abbasso lo sguardo e mi accorgo che si tratta di un cappello a visiera, blu, che deve essere caduto sicuramente ad una guardia.

Lo raccolgo, lo ripulisco dalla polvere ed appena incontro Karla le chiedo se sa a chi appartiene, ma lei risponde che non lo ha mai visto.

"Giù c'è una scatola per gli oggetti smarriti, se pensi che sia di qualche guardia lo puoi mettere là dentro ed il proprietario lo ritroverà prima o poi".

So che questa è la cosa più giusta da fare dal momento che questo cappello non è mio, ma è così bello che è un peccato lasciarlo ammuffire dentro una scatola insieme ad altri oggetti.

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