ONE LESS (T-BAG)


"Io non entro lì dentro" dico con un tono che non ammette repliche; C-Note si affaccia dal bordo della buca, mi osserva con il sopracciglio destro sollevato e con un'espressione di scherno stampata sulla faccia.

"Sergente Sodomia, stai davvero dicendo che esiste un buco in tutta Fox River in cui non desideri infilarti?".

Nel nostro gruppo in procinto di evadere c'è una piccola novità: ci sono due nuovi arrivati.

Il primo è Westmoreland: vuole uscire perché il direttore Pope gli ha comunicato che la figlia è gravemente malata ed i medici hanno detto che le restano solo due settimane di vita; il secondo, invece, è C-Note.

Ha notato il cemento sbriciolato che lasciamo cadere in cortile durante la nostra ora all'aperto, ha svolto le sue indagini personali e quando ha comunicato a Scofield i suoi sospetti è diventato, automaticamente, uno di noi.

La mia risposta non tarda ad arrivare sottoforma di dito medio, ma la nostra discussione viene interrotta da Sucre, che ci comunica l'arrivo di un secondino; copriamo velocemente il buco con un tappeto e ci posizioniamo sopra un tavolino esattamente una manciata di secondi prima che la porta si apra un'altra volta.

Fortunatamente si tratta di Michael di ritorno dal suo giretto in infermeria: a quanto pare ha bisogno di iniezioni quotidiane di insulina, o almeno questo è ciò che dice lui.

Ha un'espressione preoccupata che non fa promettere nulla di buono.

"Abbiamo un problema" dice, infatti, poco dopo con le mani infilate nelle tasche della tuta "ho calcolato il tempo che ciascuno di noi impiegherebbe per scavalcare le mura di Fox River. È troppo, non ce la faremo mai"

"E questo cosa significa?" domanda subito Abruzzi, dando voce ai pensieri di tutti.

"Significa che qualcuno deve abbandonare" risponde Scofield categorico.

Tra di noi cala il silenzio: nessuno è intenzionato a rinunciare ad un'opportunità simile ed ho l'impressione di essere già la vittima designata; proprio per questo motivo decido di procurarmi un ulteriore lasciapassare per la mia libertà.

In cortile ci sono alcune cabine telefoniche che noi detenuti possiamo utilizzare durante l'ora all'aria aperta per chiamare i parenti o gli amici, così il giorno seguente aspetto in fila il mio turno e poi digito il numero dell'unico famigliare a cui sono sempre stato legato: mio cugino.

"Come stai, James? Tutto bene? E come sta il mio bambino? Scommetto che cresce molto velocemente" gli domando, ridendo; attendo le sue riposte e poi gli comunico il motivo per cui l'ho chiamato "James... Ascolta attentamente quello che sto per dirti...".



Quello stesso pomeriggio, mentre io ed il resto della squadra siamo all'interno del capannone, racconto della mia breve telefonata.

"Sei un figlio di puttana, Bagwell" mi apostrofa Abruzzi, puntandomi l'indice destro contro, ed io mi limito a sorridere, perché non può fare altro che minacciarmi con parole inutili.

"Ahh, io sono il figlio di puttana? Non voi che avevate già in mente di farmi fuori dal gruppo? Non sono io ad essere l'ultimo arrivato. Dovrebbe funzionare in questo modo! Ho detto a mio cugino che se cinque minuti prima dell'evasione e venti minuti dopo non riceve una mia chiamata, deve digitare il numero di Fox River e raccontare ogni singola cosa. Quindi io sono ancora dentro"

"Penseremo a questo in un altro momento, T-Bag, adesso vai fuori a renderti utile" interviene Michael lanciandomi la cartellina rigida; la sua espressione è sempre inscrutabile, ma so di aver fatto una mossa che non si aspettava.

Appena esco dal capannone sento il resto del gruppo iniziare a discutere animatamente, soprattutto John, ma proprio come ho detto a lui non possono fare altro, perché in questo momento sono pressoché intoccabile.



Il giorno seguente, quando le porte delle nostre celle si aprono automaticamente per lasciarci uscire, ricevo una visita del tutto inaspettata: mi trovo faccia a faccia con il direttore Pope, scortato da Bellick e da altri secondini, che mi chiede di aspettare ad uscire in cortile perché deve parlarmi con urgenza.

Mi dice di rientrare nella mia cella e di sedermi sulla mia brandina, e così capisco che è successo qualcosa di veramente grave, come mi conferma lui stesso poco dopo.

"C'è stata una sparatoria. Tuo cugino e tuo nipote..." dice, per poi bloccarsi; non sa come continuare e mi appoggia una mano sulla spalla destra "mi dispiace".

Esce dalla cella senza dire altro e poco dopo faccio lo stesso, raggiungendo tutti gli altri detenuti in cortile.

Il dolore mi colpisce all'improvviso ed è così forte che cado a terra, in ginocchio; succede tutto così rapidamente che qualcuno pensa ad un proiettile sparato da una delle guardie che si trovano sulle torrette.

James non era solo mio cugino, era anche il mio migliore amico: da ragazzino trascorrevo sempre le vacanze estive da lui e questi sono gli unici ricordi felici che ho della mia infanzia; non mi ha mai abbandonato, neppure quando mi hanno arrestato e rinchiuso a marcire a Fox River.

Mio nipote aveva appena quattro anni.

Inizio ad urlare con tutta l'aria che ho nei polmoni e sento le lacrime bagnarmi le guance mentre realizzo, finalmente, che loro due non ci sono più; qualcuno del mio gruppo si avvicina a me, mi scuote per le spalle ma io non reagisco.

Alla fine due guardie mi afferrano per le braccia, mi costringono ad alzarmi e mi scortano in infermeria; prima di uscire dal cortile, però, riesco a lanciare un'occhiata in direzione di Michael, Sucre ed Abruzzi.

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