FREEDOM; TERZA PARTE (T-BAG)
In tutta la mia vita non ho mai corso così velocemente; neppure quando ero solo un ragazzino e tentavo di sottrarmi alle pesanti attenzioni dell'uomo che ha contribuito a mettermi al mondo.
Ho il volto in fiamme, la schiena completamente bagnata di sudore, il fianco destro che pulsa dal dolore e le gambe che continuano ad implorarmi di fermarmi subito; Abruzzi, se possibile, si trova in condizioni fisiche peggiori perché non ha il mio stesso corpo scattante ed il mio stesso ventre piatto.
Eppure non è intenzionato a cedere.
Nessuno di noi lo vuole fare, anche perché il rumore degli elicotteri in volo e l'abbaiare dei cani si fanno sempre più vicini.
"Fermi... Fermi..." ci ordina Abruzzi, inginocchiandosi dietro un grosso albero; lo imitiamo, in mezzo alla folta vegetazione del bosco in cui ci troviamo, e ne approfittiamo per riposare e riprendere fiato "è quella la fattoria di cui vi parlavo".
Poco prima dell'evasione, John si è messo in contatto con uno dei suoi uomini ancora liberi, affidandogli il compito di procurare un suv abbastanza spazioso, in modo da avere un mezzo di trasporto per raggiungere il prima possibile la pista d'atterraggio.
"Sicuro? Dove si trova la macchina? Non vedo nessuna macchina" chiede Tweener, con un gemito.
"Abbi un po' di fede, ragazzo" mormora Abruzzi, facendoci segno di seguirlo.
Scendiamo una bassa collinetta, attraversiamo un piccolo fiume con il fondo roccioso, e quando arriviamo alla fattoria ci lasciamo sfuggire delle esclamazioni di sollievo alla vista del suv.
"Che cosa stai facendo?" chiede ancora una volta David, mentre Michael si sta occupando di rompere i fanali posteriori della macchina.
"Se vogliamo passare inosservati, dobbiamo prendere alcune precauzioni" risponde lui, scrollando le spalle, ed io salgo sul mezzo di trasporto, rilassandomi per la prima volta da quando sono uscito dalla mia cella.
Nessuno di noi è intenzionato ad avere Patoshik come compagno di viaggio, e così Lincoln ed Abruzzi gli giocano un piccolo scherzetto: lo fanno scendere con la scusa di cercare una chiave, e nello stesso momento in cui la portiera si chiude, Lincoln aziona il motore della macchina e parte con una sgommata.
"Manca qualcuno... Perché non c'è Tweener?" domando incuriosito, dal momento che Scofield ha insistito per averlo nella squadra, ed è proprio lui a rispondermi.
"Lui non prosegue il viaggio con noi. È stato Tweener a spifferare ogni cosa a Bellick"
"Quindi tu lo sapevi già da tempo, ma gli hai permesso ugualmente di uscire con noi?"
"Avevo un debito nei suoi confronti e l'ho pagato"
"Voi tutti avete ancora diversi debiti nei miei confronti, eppure non vi siete mai preoccupati di saldarli" mormoro, girando il viso in direzione del finestrino alla mia destra; sento un rumore alle mie spalle e sorrido, perché è proprio ciò che stavo aspettando.
Nello stesso momento in cui la canna di una pistola si posa contro la mia testa, tiro fuori, da una tasca dei pantaloni, le manette che ho rubato alla guardia: chiudo un'estremità attorno al mio polso sinistro e l'altra attorno al polso destro di Scofield; tutto accade così velocemente che né lui né Abruzzi hanno il tempo di reagire.
"Figlio di puttana!"
"John... John... John... Davvero pensavi che avrei creduto alla tua offerta di pace? Davvero pensavi che non avrei preso precauzioni?"
"T-Bag, prendi subito la chiave!"
"Ohh, questa?" domando, mostrando il piccolo oggetto che sembra brillare sotto la luce della luna.
Michael prova ad afferrare la chiave, ma io la infilo in bocca e deglutisco.
In un attimo si scatena il caos.
Scofield appoggia entrambe le mani sulla fronte, e per la prima volta lo sento imprecare ripetutamente; John, invece, mi afferra il volto con la mano destra ed inizia a urlare.
"Sputa subito quella chiave, Bagwell! Hai sentito? Sputa subito quella chiave, razza di pervertito idiota! Sputala!"
"Sono desolato, ma temo che passerà del tempo prima che la chiave esca dal mio corpo... E non sono sicuro che avverrà tramite la mia bocca" rispondo, scoppiando a ridere divertito, ottenendo solo di irritare maggiormente tutti.
Non volevo prendere misure così drastiche, ma non mi hanno lasciato altra scelta.
"Ragazzi... Questo non è il momento migliore per litigare" ci avvisa Lincoln, spegnendo il motore.
A pochi metri di distanza c'è un posto di blocco e dal momento che non possiamo sfondarlo, Burrows ingrana la retromarcia: non possiamo né tornare indietro né andare avanti, e così il mezzo deve procedere in campo aperto, ma il terreno è ancora umido a causa di un recente temporale, e le ruote del suv affondano nel fango.
Scendiamo dalla vettura, proviamo a liberare le ruote, ma ben presto siamo costretti ad arrenderci e continuiamo la nostra fuga nel bosco, correndo il più velocemente possibile; io e Michael restiamo presto indietro perché abbiamo ancora i polsi ammanettati e perché ho difficoltà a tenere il suo stesso ritmo.
Ha appena trent'anni, mentre io sono sempre più vicino ai cinquanta.
"Dove sono andati?" domando dopo qualche minuto, con il fiato che si condensa in tante piccole nuvole.
"Di qua" risponde lui, indicandomi un capanno per gli attrezzi; dentro c'è il resto della squadra che ci sta aspettando.
Quando il pesante portone si richiude alle mie spalle, corruccio le sopracciglia, perché nessuno di loro si è mosso di un solo millimetro.
"Che succede? Che diavolo sta succedendo?" domando, guardandoli uno ad uno.
Lincoln mi attacca a tradimento: mi sbatte con forza contro la superficie di un tavolo e mi blocca insieme a C-Note, mentre Sucre afferra un tronchese con cui prova a rompere le manette; ogni tentativo, però, si rivela vano ed alla fine getta a terra l'utensile, frustrato.
"Non funziona!" esclama, subito dopo.
Io scoppio a ridere, perché trovo la situazione terribilmente comica.
"Ohh, pesciolino, come dice il detto? Dio li fa e poi li accoppia" dico senza riuscire a fermarmi; la mia espressione cambia completamente quando sento un rumore poco lontano, e mi volto appena in tempo per vedere Abruzzi che solleva un'ascia dalla lama affilata "no! No! John! No!".
Un dolore indescrivibile esplode nella mia testa e scivolo a terra urlando, in posizione fetale.
Poco lontano dal mio viso c'è un oggetto abbandonato, su cui spiccano delle macchie rosse; sbatto più volte le palpebre per riuscire a distinguerlo con più chiarezza, e quando ci riesco le mie urla s'intensificano.
È una mano.
La mia mano sinistra.
Quel figlio di puttana di Abruzzi me l'ha tagliata per liberare Scofield.
"Deve ritenersi fortunato" lo sento dire, con voce strafottente "non stavo mirando alla mano".
Il dolore è così forte che inizio a piangere e gemere, senza vergognarmi delle lacrime che scendono lungo le mie guance; qualcuno mi copre la bocca perché hanno sentito un rumore provenire dall'esterno, e dopo qualche minuto escono dal nascondiglio correndo, abbandonandomi al suo interno, nonostante Sucre sia fortemente contrario.
Non so per quanto tempo resto all'interno del capanno e non so neppure come riesco a trovare la forza per alzarmi ed afferrare la mia stessa mano, ma esco a mia volta dalla struttura e m'inoltro nuovamente nel bosco.
Dopo qualche passo sono costretto ad appoggiarmi al tronco di un albero.
Faccio fatica a respirare, ho i vestiti zuppi di sangue ed ogni singolo muscolo del corpo continua a pulsare.
Si dice che un vero uomo sa riconoscere quando arriva la propria fine; forse non posso considerarmi un vero uomo per tutto quello che ho fatto, ma non sono uno stupido e so di esser spacciato.
Proprio per questo motivo mi lascio cadere a terra, mentre in lontananza sento il rumore di alcune sirene.
Non so per quante ore resto privo di conoscenza, ma quando sollevo le palpebre la notte ha lasciato posto ai primi raggi di sole del mattino.
Ho tutto il corpo indolenzito e riesco ad alzarmi a fatica, stringendo i denti.
Credo di essere ancora vivo perché il freddo rigido dell'inverno ha bloccato l'emorragia, ma lo stesso non vale per il mio arto imputato: la pelle ha già iniziato a cambiare colore, e ciò significa che devo trovare il modo per conservarlo intatto prima che inizi ad imputridire.
Lo raccolgo, ripulisco le dita dal terriccio e dalle foglie e riprendo il cammino.
Spero con tutto me stesso che quei bastardi non siano riusciti a salire sull'aereo.
N.D.A: Ho una piccola brutta notizia da dare. Lunedì parto per una settimana al mare e non porterò con me il portatile, di conseguenza sabato prossimo non mi sarà possibile aggiornare, ma riprenderò a farlo da sabato 25. Mi dispiace farvi attendere così tanto tempo (sopratutto con questo ultimo capitolo) ma penso di meritarmi una settimana di completo relax. Scusate ancora l'inconveniente!
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