Maschere
Anakin mollò il datapad sulla scrivania, smettendo di fingere di stare leggendo l'ultimo rapporto da Chandrilla che aveva ricevuto. Paura e preoccupazione infuriavano dentro il cuore dell'ex Cavaliere Jedi. Non che quella fosse una novità. Fin dal crollo della Repubblica, aveva vissuto in costante terrore. Certo, c'erano stati momenti in cui era stato possibile, quasi facile, dimenticarsi della presenza incombente di Palpatine. Momenti felici in cui lui e Padmè si erano dedicati semplicemente a crescere i loro figli e a mantenere un basso profilo.
Ma bastava poco - la cattura e esecuzione di un Jedi celebrata dall'holonet, le disperate condizioni dei mondi sfruttati, la sfilza di orrori che si mormorava l'Impero facesse a coloro che riteneva non gli fossero leali - e la terribile realtà della loro situazioni si riversava su Anakin come una doccia fredda.
Se Palpatine li avesse scoperti...
Il suo stomaco era ormai perennemente annodato in uno stretto nodo. Ora più che mai, era vitale mantenere il segreto. Non riusciva nemmeno a pensare a cosa sarebbe successo a Luke e Leia se l'Impero fosse venuto a sapere da chi discendevano davvero. Palpatine li avrebbe uccisi, o peggio. Vista la loro sensibilità alla Forza, magari avrebbe tentato di convertirli come aveva cercato di fare con lui. Punire i figli per i peccati del padre.
Anakin scosse la testa, sforzandosi di scacciare quei pensieri. Se fosse dipeso solo da lui, sarebbe andato alla caccia di Palpatine seduta stante, ma non poteva permettersi di mettere in pericolo la sua famiglia. Prima, doveva avere la certezza che non avrebbe fallito.
E ci stava lavorando, ci stavano lavorando. Sua moglie aveva ancora la flebile speranza che non si sarebbe arrivati ad uno scontro armato, ma lui non era così ingenuo. Per quanto avesse sperimentato sulla sua pelle abbastanza sanguinose battaglie durante le dure Guerre dei Cloni da averne abbastanza per tutta la vita, era consapevole che la guerra fosse inevitabile.
Non nell'immediato, no, non erano ancora pronti per quel tipo di sfida, ma prima o poi sarebbe successo. Palpatine non avrebbe mai volontariamente rinunciato al potere, e, negli ambienti più privati, si vociferava di un nuovo apprendista al comando dell'enorme flotta imperiale. Per un attimo, Anakin immaginò che le cose fossero andate diversamente nell'ufficio del Cancelliere quella terribile notte su Coruscant. In quel momento ci sarebbe stato lui, sul ponte di un destroyer, Padmè al suo fianco e la galassia ai suoi piedi...
Anakin quasi rise per il pensiero ridicolo. Come se la sua Padmè avesse mai potuto accettare una cosa del genere. Probabilmente avrebbe riportato le sue chiappe deliranti a casa, dopo averlo colpito ripetutamente con uno di quei suoi ferri per capelli incandescenti, ordinandogli di ritornare in sé.
Non avrebbe mai potuto passare al lato oscuro, di quello ne era sicuro. Anche se ormai era lontano dall'Ordine da abbastanza tempo, che i confini tra luce e buio tendevano a farsi sempre più sfumati. Non viveva più nell'ansia di controllare le sue emozioni, ma le lasciava scorrere liberamente dentro di lui, stando attento che non offuscassero troppo il suo giudizio. Senza rendersene conto, aveva raggiunto una calma e un equilibrio che si poteva solo sognare quando era davvero un Cavaliere Jedi.
Nonostante tutto, c'erano cose dell'essere un Jedi che gli mancavano. Il costante contatto con la Forza, per esempio. Non si era nemmeno reso di quanto la sua vita dipendesse dall'energia vitale che permeava ogni cosa. Ora doveva stare attento a non spostare accidentalmente un oggetto allungando una mano, o a non aprire una porta con pensiero. Oltre a questo, nascondersi dai Sith richiedeva un lavoro di scudi mentali non indifferente. Era quasi doloroso stare così chiuso in sé stesso, senza contatti con altre menti. Non che ne fossero rimaste molte. La purga Jedi aveva avuto il suo discreto successo. A volte Anakin si chiedeva se Obi-Wan fosse vivo e come se la stesse passando. Aveva trovato un po' di pace? Lo sperava, per quanto fosse possibile trovare la pace sotto una dittatura.
Anakin immaginò per un attimo che sensazione avrebbe dato connettersi mentalmente con i suoi figli. Il potere di Luke e Leia ribolliva sotto la superficie, dormiente, ma loro padre non aveva dubbi che, se fossero nati una generazione prima, sarebbero stati reclutati dall'Ordine. L'idea lo rendeva orgoglioso e nauseato in ugual misura.
Vedere Luke e Leia fieri e solenni, le spade laser alla cintura e il viso impassibile, privati della possibilità di provare emozioni... Ma no, non sarebbe mai accaduto. L'Ordine era morto e sepolto da anni, lui e pochi altri gli ultimi baluardi di un'epoca ormai conclusa.
Anakin sospirò e mise da parte quei pensieri insensati. Al momento, non poteva permettersi il lusso di rimuginare su un possibile futuro. Il presente era già abbastanza problematico. Perché, proprio quando erano impegnati nella più grande operazione segreta della galassia, Luke aveva deciso di scappare di casa e andare a farsi una gita sul pianeta più malfamato dell'universo.
***
Owen Lars non si poteva certo definire un tipo di gran compagnia, pensò Luke, mentre l'uomo lo riaccompagnava a Mos Esley. Il giovane agricoltore aveva passato tutti i venti minuti di viaggio in un silenzio tombale, guardando dritto fuori dal finestrino. Ogni tanto, lanciava delle sfuggenti occhiate in direzione di Luke e stringeva le labbra, come se disapprovasse enormemente tutta la sua persona.
Luke iniziava sentirsi vagamente a disagio, tanto che si sentì sollevato quando avvistarono le prime abitazioni della periferia della città.
Owen parcheggiò lo speeder di fianco al gate in cui Han aveva parcheggiato il Falcon e voltò gli occhi scuri verso Luke.
Il ragazzo si affrettò ad aprire la portiera e a scendere. "Grazie mille per il passaggio. E scusi per il disturbo. Sono in debito." Disse rispettosamente.
Owen gli lanciò un'occhiata incerta poi annuì, dopo aver scrutato attentamente oltre il vetro della vettura. Il porto spaziale era relativamente sgombro, con solo qualche Twi'lek verdognolo che caricava casse dal contenuto discutibile su un piccolo elevatore, e gruppetti sparsi di Jawa e nativi che discutevano tra loro. Luke aveva già individuato Han e Chewbe, in un angolo in una fitta conversazione con lo stesso alieno che avevano incontrato quella mattina.
Luke fece scendere anche R2 e 3PO e, stava per andarsene, quando la voce di Owen lo fermò. "Ehi ragazzo." Abbaiò, con voce la sua voce roca.
L'uomo si stava ancora guardando intorno con circospezione, come se temesse di vedere un aggressore spuntare da dietro ogni angolo. Cosa che, pensandoci bene, non era così improbabile. "Stai attento, d'accordo?" disse seccamente, guardando Luke con le sopracciglia aggrottate. "Questo è un postaccio. Non andare in cerca di guai."
Luke, preso leggermente di sorpresa dalla sua preoccupazione, esitò prima di annuire.
"Non sei qui solo, vero?" chiese Owen.
Luke scosse la testa. "No, sono qui con... un amico. È proprio là che mi aspetta." Rispose, indicando vagamente con la mano verso la direzione in cui si trovava Han.
Owen lo fissò ancora per qualche secondo in silenzio e Luke lo prese come un'autorizzazione per andarsene. "Grazie ancora per l'aiuto." Disse con gentilezza. "Arrivederci."
Il suo zio acquisito fece un gesto brusco come saluto e Luke si voltò, dirigendosi verso Han e l'alieno verde. Owen aspettò fino a che Luke non li raggiunse per dare gas e volare via.
Il ragazzo si fermò qualche passo indietro al corelliano, non volendo disturbare. Si appoggiò al muro dell'edificio e incrociò le braccia, riflettendo sulla giornata. Ora che la rabbia, lo shock e la confusione erano svaniti, tutto ciò che gli restava era un profonda stanchezza e un cocente senso di delusione. E lui che pensava che i suoi genitori si fidassero di lui. Che ingenuo che era stato. Chissà cos'altro gli avevano tenuto nascosto. Magari veniva fuori che sua madre da giovane allevava nexus in cantina e il nonno era stato il presidente della più importante organizzazione criminale di Coruscant.
Luke buttò fuori l'aria, soffiando una risatina. Okay, quello era piuttosto improbabile. Però restava il fatto che Anakin e Padmè gli avevano mentito per tutta la sua vita.
"Senti Greedo, lo so che Jabba è arrabbiato, ma se mi dessi ancora un po' di tempo-"
L'invettiva dell'alieno chiamato Greedo interruppe Han e riscosse Luke dai suoi pensieri nefasti. Il ragazzo si girò incuriosito e intravide la punta di un blaster spuntare dalla manica di Greedo e puntare verso Han.
Allarmato, Luke si avvicinò al duo, deciso a risolvere la situazione. Han lo notò e gli lanciò un'occhiataccia che significava 'non pensarci nemmeno, stanne fuori'. Luke rispose con un'occhiata che diceva 'se non torno a casa entro stasera, l'unica cosa da cui starò fuori sarà casa mia perché mio padre deciderà di vendermi ai mercanti di spezie ambulanti'.
Han aprì la bocca per protestare, ma ormai Greedo aveva notato Luke.
"Ehi." Disse il ragazzo con un largo sorriso. "Scusate se vi interrompo, ragazzi." L'alieno si limitò a fissarlo con uno sguardo che Luke interpretò come vacuo, mentre Han sembrava stesse cercando di dargli fuoco con il pensiero.
"Per caso uno di voi due ha una navicella Corsair della Incom Corporation?" chiese casualmente Luke.
Greedo fece un micromovimento con le sopracciglia che Luke intuì fosse il suo modo per aggrottare la fronte.
"Perché nella Cantina ho sentito dire da un tipo che le hanno appena dato fuoco." Spiegò candidamente Luke.
"Ittu!" imprecò Greedo, spostando lo sguardo alternativamente da Solo alla strada, evidentemente indeciso tra finire la discussione con il contrabbandiere o salvare la sua preziosa navicella. "Non finisce qui!" strillò in basico con un accento marcato, anche se il cromosoma y iniziava a farsi sentire e alla seconda enne di non stava già arretrando verso il porto. Nel giro di pochi istanti di lui restava solo la scia di deodorante scadente che si era lasciato dietro.
Han tirò un sospiro di sollievo poi voltò uno sguardo incandescente verso Luke. "Il tuo intervento non era né richiesto, né gradito."
Luke sfoggiò un'espressione innocente e si guardò i piedi. Han sospirò di nuovo. "Ma immagino che tu mi abbia appena salvato la pelle."
Luke alzò gli occhi di scattò e sorrise lievemente. Han rispose al sorriso e aggiunse, serio come un infarto. "Sono in debito. Cosa posso fare per ripagarti?"
A quelle parole, Luke aggrottò le sopracciglia. "Cosa? No, non voglio niente. Ti ho solo fatto un favore."
Il corelliano arricciò il naso. "Beh, che tu lo voglia o no, dalle mie parti quando uno ti fa un favore, è buona educazione ricambiare, quindi sputa il rospo, cosa vuoi?"
"Dalle mie parte, invece, è buona educazione fare un favore senza aspettarsi nulla in cambio, ma solo perché si vuole aiutare un amico." Replicò Luke.
"Andiamo, ragazzino, cosa vuoi? Crediti?"
"Non voglio crediti." Luke iniziava a spazientirsi. "Perché non puoi accettare la cosa e basta?"
L'espressione di Han si indurì. "Non voglio essere in debito con nessuno. Un debito è una debolezza."
Luke lo fissò cercando di indovinare la storia dietro quelle parole, ma il viso del contrabbandiere era illeggibile. "Senti, se proprio ci tieni facciamo così: la prossima volta che mi serve un passaggio, ti faccio un fischio."
Han lo guardò a lungo. "Sembra accettabile." Concesse alla fine. "Adesso sarà meglio andare, Greedo si accorgerà presto del tuo trucchetto." Aggiunse, spingendo Luke verso il Falcon. "E tra parentesi, come sapevi qual era la sua navicella?"
Luke alzò le spalle. "Non lo sapevo. Ho tirato a indovinare."
Han spalancò gli occhi e gli lanciò un'occhiata scioccata. "Ragazzino." Disse dopo parecchi secondi.
"Sì?"
"Se mai la galassia, per qualche oscura ragione, decidesse di farci intraprendere qualche strana avventura insieme, ricordami di non lasciarti mai fare il piano."
Luke alzò gli occhi al cielo.
***
Quando Luke face atterrare dolcemente lo speeder sul pavimento dell'hangar di casa sua e vide suo padre fermo di fronte ad una navetta con le braccia incrociate, scoprì che dopotutto non aveva più nessuna voglia di affrontarlo. Era chiaro come il sole che era al corrente di tutto ciò che aveva fatto, o perlomeno di una buona parte, e si sarebbe sicuramente arrabbiato. Anzi, già lo era. Messe così le cose e conoscendo Anakin, non ci sarebbe stato verso di indurlo a qualcosa di simile al perdono e alla comprensione. Men che meno al racconto di uno scottante passato, che aveva ferocemente tenuto nascosto per sedici anni.
Luke chiuse gli occhi, fece un respiro profondo e scese dallo speeder. Con l'entusiasmo di un condannato a morte che sta salendo i gradini del podio della ghigliottina, gli si avvicinò. "Ciao." Disse apaticamente e cercò di raggiungere la porta che portava ai piani superiori. Se riusciva ad arrivare in camera sua, poi poteva chiudersi dentro e sfuggire all'interrogatorio. Non credeva che suo padre sarebbe arrivato a buttare giù la porta, se non altro perché Padmè l'avrebbe ucciso.
Ma ovviamente non aveva calcolato i riflessi di suo padre. Non appena comprese le sue intenzioni, Anakin gli si parò davanti, sbarrandogli la strada. "Allora, non hai niente da dirmi?"
Il tono glaciale fece venire i brividi a Luke che incrociò per la prima volta gli occhi di suo padre. Due pupille di un anonimo marrone fango lo inchiodarono con lo sguardo. Quel dettaglio infiammò la rabbia del ragazzo. Suo padre stava indossando la maschera di Qui-Gon Antilles. Ma Luke non voleva parlare con una copertura, voleva Anakin Skywalker, suo padre.
"No." Disse, serrando i denti.
"No?! Hai lasciato il pianeta senza dirmi niente! Questo per te non è niente?" esclamò Anakin.
"Ti ho lasciato un biglietto."
"Oh ti prego, Luke! Non prendermi in giro!" Anakin rise senza la minima traccia di allegria.
"Non ti sto prendendo in giro. Ho scritto che andavo a fare una ricerca e sono andato a fare una ricerca, molto produttiva tra parentesi. Non immaginerai mai cosa ho scoperto." Luke cercò di nuovo di sgusciare verso la porta, ma Anakin gli afferrò il braccio.
"Tu non capisci. È imperativo che tu mi dica dove sei e dove vai!" La voce gli si era in qualche modo addolcita e ora portava con sé una corrente di angoscia e preoccupazione. In circostanze normali, Luke l'avrebbe notato e si sarebbe calmato. Ma quelle non erano circostanze normali.
"E da quando te ne importa qualcosa?"
Suo padre si immobilizzò e chiuse per un momento gli occhi. "Luke..." mormorò. "Sono tuo padre. Lo sai che mi importa di te."
"Sì, certo." Rispose Luke, con voce atona. Si scrollò di dosso la mano di Anakin e fece un passo indietro. "Mi dispiace di averti fatto stare in pensiero." Perlomeno, questo suonava sincero. "Ma avevo davvero bisogno di quelle informazioni."
"E non avevi intenzione di informarmi del piccolo dettaglio che hai lasciato il pianeta, per andare nientepopodimeno che su Tatooine, la cui popolazione, tra parantesi, è formata per il 97% da criminali, solo, senza protezione a parte quella di due droidi, per fare una ricerca?" sbottò Anakin, con tono esasperato.
Luke inchiodò suo padre con lo sguardo. "Non lo so, papà. Tu avevi intenzione di informarmi del piccolo dettaglio che sei un Cavaliere Jedi?"
Il respiro di Anakin gli si bloccò nel petto. Boccheggiò, cercando di convincere l'aria ad entrare nei polmoni, mentre i muscoli gli si irrigidivano ancora di più. Panico e terrore si impadronirono di lui e rabbrividì.
"Cosa hai detto?" mormorò piano, quando riuscì a riprendere il controllo del suo corpo.
Luke lo stava fissando con uno sguardo ferito e tradito. Aveva gli occhi lucidi e il mento gli tremava violentemente. "Hai capito benissimo."
Anakin non rispose, ma rimase semplicemente immobile come una statua a fissare suo figlio con nessuna emozione leggibile sul viso. Luke lo guardò per qualche secondo. Con il manipolatore del viso e le lenti a contatto, non sembrava nemmeno suo padre, e per un attimo si domandò chi fosse davvero quello sconosciuto che aveva davanti.
Senza aggiungere altro, Luke girò i tacchi e se ne andò, prima che potesse fare qualcosa di stupido, come mettersi a piangere.
Anakin non lo fermò.
***
Grazie alla mia beta reader KeylSolo
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