35. La Luna


E mi chiedo quanto dolore si celi dietro a chi non ha più fiducia in nessuno
-Isabel Celima

<hei>.
Nico alza lo sguardo dal libro di algebra<hei>risponde titubante.
<è libero?> indico con un cenno del mento la sedia davanti a lui,le mani occupate dagli ingombranti volumi di lettere. Lui si limita ad annuire, ancora stranito. Non posso impedire alle mie labbra di piegarsi in un sorriso sghembo.

Per alcuni minuti rimaniamo in silenzio. Alzo lo sguardo su di lui e, nonostante non mi abbia rivolto una sola occhiata da quando mi sono seduto, so che è irrequieto.
<stai rileggendo quella pagina da 10 minuti> allungo il collo per leggere il titolo < e non è neanche un argomento che abbiamo fatto questo semestre> concludo.

Alza lo sguardo e, al posto di quello truce ed omicida che mi avrebbe lanciato di solito, scorgo solo una punta di irritazione sul fondo delle sue iridi. Per il resto, mi sembra solo molto stanco.

Il mio sorriso si spegne lentamente. Improvvisamente in soggezione davanti a quegli occhi pieni di malinconia, come se stessi osservando un momento intimo a cui non avrei dovuto assistere, abbasso il capo sul mio libro.

Il silenzio regna sovrano per un altra decina di minuti. Ad intervallarlo, i mormorii degli altri studenti seduti ai tavoli della biblioteca e il fruscio delle pagine.

<dove hai dormito? > chiedo, ed è la domanda più stupida ed inutile che potessi fare, ma è quella che mi preoccupava di più; me ne rendo conto solamente ora.

Si morde un labbro con nervosismo.
Silenzio.

<Nico?> lo richiamo, vedendo che non sembra intenzionato a rispondere.

Il labbro inferiore si arrossa a tal punto che ho il timore si metta a sanguinare da un momento all'altro.

<conosco della gente> rimane suo vago.
Sollevo entrambe le sopracciglia <non ti viene bene raccontare balle>.
Lui alza gli occhi al cielo, ghignando, e per un attimo mi pare di rivederlo, svergognato e noncurante, irriverente e beffardo. Questione di un attimo, poi l'ombra sul suo viso lo oscura di nuovo.

<cos'è successo l'altra sera Nico?>.
Non mi importa dove ha dormito, non importa se mi nasconde le sue amicizie: voglio solo sapere se sta bene.

Niente,silenzio di tomba.

<Nico? > continuo a chiamarlo per nome, nella speranza che lo risvegli dal sonno lugubre in cui sembra essere caduto da giorni.

Rimaniamo immoboli, la testa china su una pagina mai letta veramente.
Prendo un respiro profondo.
<sono solo preoccupato per te> gli dico, richiamando la sua attenzione,e riflesso nei suoi occhi vedo con quanto dolore mormoro quelle parole.

Ricambia lo sguardo, piegando un angolo della bocca nel sorriso più triste che abbia mai visto.

Allungo una mano verso la sua, posandocela sopra.
<ti prego > lo supplico, perché peggio di questo silenzio non può esserci niente al mondo.
Preferirei che mi urlasse in faccia, come l'ultima volta, che scoppiasse a piangere o mi insultasse in greco antico, che mi prendesse a pugni o rovesciasse il tavolo di questa stupida biblioteca: tutto, ma non questa indifferenza.

Ritrae la mano, come scottato, e la mia prende il posto della sua sul tavolo, vicino a lui: abbandonata.
<questo non è il luogo> risponde in un sussurro.
La sua voce è bassa ma ha la stessa luce negli occhi di un cervo accecato dai fari di un tir sulla statale.

All'improvviso realizzo.

Non è il silenzio a ferirmi, ma il suo sguardo. Non incattivito, indifferente o amareggiato.
Solamente spaventato.

Sgrano gli occhi e sono io a ritirare il braccio.
Realizzo che Nico non vorrebbe essere qui. Che non vuole parlarne,  che facendo così sto solo peggiorando le cose.
Che la causa del suo atteggiamento scostante è il fatto che si sente a disagio, oppresso, violato.
E la cosa peggiore è che l'origine del suo attuale malessere sono io.

Non voglio essere così. Non voglio vederlo ferito, a maggior ragione non voglio essere la causa del dolore.

Mi alzo in tutta fretta.
<hai ragione> dico calmo<questo non è il luogo, né il momento. E io non sono la persona giusta> gli rivolgo un sorriso debole.
Raccolgo velocemente le mie cose e me ne vado, senza guardarmi indietro.
Nico non cerca di fermarmi.

[...]

Il resto della giornata passa senza che me ne accorga, lasciandomi un senso di vuoto in mezzo al petto che non riesco a spiegarmi.

Mi accorgo di aver perso la cognizione del tempo, troppo preso dai miei pensieri, quando guardando l'orologio realizzo di aver passato da un pezzo l'orario della cena.

Sospiro, rassegnandomi a saltare un pasto poiché la caffetteria è chiusa ormai da un'ora e mi dirigo fuori dalla mia camera.
Percorro il corridoio e svoltando a destra mi trovo davanti ad una coppia di macchinette di cibo spazzatura: veloce, indolore, un pugno in pancia alla mie etica salutista.

<dovrò pur mettere qualcosa sotto i denti >mormoro tra me e me inserendo una moneta e selezionando ciò che di meno chimico posso scorgere tra le fila del distributore.

Vedo il mio riflesso nel vetro e mi perdo a fissarlo, estraniandomi.

<terra chiama Will. Ripeto: terra chiama Will> mi volto ed al mio fianco ritrovo Reyna, un sorriso beffardo sulle labbra <quella barretta è caduta da dieci minuti, surfista>mi sollecita. Noto che tiene una moneta in mano e mi appresto a lasciarle il posto.

Picchietta sul tastierino velocemente mentre scambiamo un paio di battute sintetiche sulla nostra giornata.

Una volta conclusa l'operazione, prende la sua coca cola e si dirige verso le scale accennando un saluto con la mano. Prima di svoltare, però, si volta.
<oh!> esclama come se si fosse ricordata all'improvviso di qualche cosa <Nico mi ha detto che ti aspetta in cortile> mi dice con leggerezza. Si volta nuovamente e se ne va.

Corruccio le sopracciglia.
Mentre mi dirigo ancora perplesso verso il cortile, mi domando cosa ci facesse Reyna nell'ala maschile alle dieci di sera.

[...]

Il cortile interno dell'istituto di notte assume un altro aspetto.
I lampioni proiettano ombre inquietanti sul ciottolato della pavimentazione,gli alberi frusciano sinistri e il cielo scuro sembra inghiottire tutto ciò che è circostante.

Mentre mi siedo sulla panchina sotto la quercia più imponente del cortile il freddo mi punge la pelle al pari di mille aghi.

Nico è vicino a me, la felpa come unica arma contro la temperatura terribilmente bassa.

Apro la bocca per poi richiuderla dopo essermi accorto di non sapere cosa dire. Alla fine trovo l'unica cosa sensata.

<scusa> ma la mia parola è un coro a due voci. Mi accorgo che abbiamo parlato insieme.

Ci voltiamo all'unisono, sorpresi.
<scusa>  ripetiamo nuovamente insieme, stavolta in imbarazzo.

Scoppiamo a ridere entrambi.
Dopo poco torna il silenzio, stavolta alleggerito dal precedente momento di ilarità.

<non pensavo venissi> ammette mesto.

<sei abituato alle persone che si arrendono, quando diventi difficile. Non sei abituato a chi ci riprova una seconda volta. Forse è per questo che non ti piacevo all'inizio: ho sempre insistito con te. Mi domando se non avessi ragione nel farlo> il fiume in piena di parole esce dalle mie labbra prima che possa fermarlo.

Lui sbuffa una mezza risata.
<già >. Prende un respiro tremante.
<senti...> comincia, mi accorgo che anche le sue mani stanno tremando. Ne afferro una con cauzione e lui non oppone resistenza.
<non so cosa sia successo l'altra sera. A volte succedono delle cose e non so perché, né posso fare qualcosa per fermarle. Non ho idea di che cosa stia sbagliando, ma ci sto lavorando. Sto cercando di capire, ho solo bisogno di tempo... E pazienza>.

<tua o degli altri?>.

<entrambe>.

Annuisco, lento.

<sono sempre stato solo, tutta la mia vita > dice con una semplicità disarmante<scusa se non sono abituato a condividere tutto con tutti>alza gli occhi al cielo debolmente.
<hai scelto di rimanere solo> ribatto. Il suo sguardo gelido mi trapassa da parte a parte.
<a volte, sì> ammette <forse è stata la scelta migliore>.

Alzo entrambe le spalle.
<non lo so. Lo è stata? > gli chiedo.
Mi guarda di nuovo negli occhi, senza dire una parola e per un attimo temo di poter sprofondare nell'abisso.

<lo capisco >continuo <non lo condivido, ma posso capirlo. Ed è okay se a volte fai delle cose strane, mi urli addosso e poi te ne vai. Però per favore, assicurati sempre di tornare, alla fine>.

<okay>.

Alzo lo sguardo e la luna offuscata dalle nubi fa capolino. Sorrido, il primo sorriso vero da una serie di giorni.

Le nostre mani rimangono una sopra l'altra in mezzo a noi ed, anche se è notte e si gela, non sento alcun freddo.

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