32. Quello che non sai


Non tutto il male vien per nuocere : a volte nei momenti più bui, ci accorgiamo di quanto sia importante la luce.



Cammino lentamente per i corridoi della scuola, che pullulano di vita durante questi miseri minuti di pausa mattutina tra una lezione e un'altra.

Osservo distrattamente intorno a me: ragazzi e ragazze di età diverse che chiaccherano, ridono o ripassano impanicati su grossi volumi scolastici.

Stringo tra le mani la giustifica che il professor Chirone mi ha consegnato poco fa, in segreteria, firmato direttamente da lui. Mentre ricontrollo che data e nome siano giusti  - per l'ennesima volta - sul foglio, sento qualcuno chiamarmi.

Una voce che mi pare familiare e che quando mi giro verso il proprietario, riesco a riconoscere totalmente: Percy Jackson mi sta camminando velocemente incontro, sventolando furiosamente la mano, sorridendo.

Quando mi è più vicino mi da una pacca sulla spalla.
<è bello rivederti in giro, Will> dice.

Accenno un sorriso<grazie... Percy>e spero che non noti la mia titubanza nel rispondere.

<dove sei stato? >chiede, sembrando intenzionato a non far cadere la  conversazione.

<ho... Avuto da fare a Miami. Questioni di famiglia> marco l'ultima parola, sperando che colga l'antifona e non cerchi di approfondire la questione : non sono esattamente dell'umore adatto per parlarne, e certamente non con lui. Nutro uno strano sentimento di attrito per Percy Jackson.

Riprendo a camminare lungo il corridoio e Percy mi segue a ruota, camminandomi di fianco, per mia sfortuna.

Mi trattengo dall'alzare gli occhi al cielo.

<Nico ti ha già passato gli appunti delle lezioni della scorsa settimana? Sempre che li abbia presi> conclude con una risata stucchevole, e vorrei volentieri sbattergli la faccia contro gli armadietti, ma per sua fortuna sono un non violento e credo fortemente nel giuramento di Ippocrate.

<non glieli ho ancora chiesti>rispondo in un mormorio sperando che riceva una chiamata improvvisa da qualcuno, un professore lo chiami nella sua classe o gli cada addosso un pezzo di soffitto.

<tu e Nico siete in buoni rapporti? Parlate? Vi trovate bene? Litigate spesso?> chiede a raffica, senza filtro, e mi chiedo chi tra lui e Leo Valdez sia peggio.

Mi maledico per la stupidità della domanda che mi sono posto: Leo Valdez almeno è simpatico.

Mi domando perché sia così interessato al rapporto che mi lega con Nico.
Un dubbio ancora più forte mi martella in testa: cosa lega Percy e Nico?

Certamente nulla di buono. Nico lo guarda sempre male, con gli occhi iniettati d'odio, pensando di non essere visto e Percy sembra invece avere un bizzarro interesse morboso per il mio compagno di stanza.

<andiamo d'accordo> rispondo senza sforzarmi di far sembrare il mio tono meno scocciato di quello che è.

Percy sembra finalmente capire che sono restio a parlargli.

<scusa se sembro invadente, ma tengo molto a Nico. È come un fratellino per me, non si è mai trovato bene con i compagni di stanza - non si trova bene praticamente con nessuno in questa scuola - e voglio solo assicurarmi che vada tutto bene> sembra volersi scusare, il sorriso che aveva poco fa sulle labbra leggermente oscurato dall'espressione seria che ha sul volto mentre parla.

Inarco leggermente un sopracciglio, fermandomi. Soppeso un momento le parole con cui rispondere.

<non devi preoccuparti, Percy. Io e Nico stiamo bene> incido forse troppa decisione nelle parole e il ragazzo dagli occhi verdi mi squadra un attimo.

Sembra ripensare alle mie parole, elaborandole. Poi annuisce, quasi a se stesso, e mi batte un'altra volta il palmo della mano destra sulla spalla.

Accenna ad un sorriso <sono felice per Nico, allora>.

Annuisco. Pensando che la conversazione sia conclusa, mi giro per riprendere il mio cammino verso la mia classe.

Sento una mano stringermi l'avambraccio con più forza del necessario.

Mi volto ed incontro lo sguardo gelido di Percy che scuro in volto mi fissa negli occhi <Tieni d'occhio Nico. Fai attenzione a lui, ne ha bisogno>.

Poi gira su se stesso e, senza dire una parola, si dirige nella direzione opposta a quella in cui ci stavamo dirigendo.
Proprio in quel momento suona la campanella che annuncia la fine della pausa.

L'ampio corridoio comincia a svuotarsi mentre gli alunni si dirigono verso le rispettive classi, salutando gli amici e dandosi appuntamento a pranzo.

Solo pochi si attardano vicino agli armadietti, armeggando con i lucchetti o scambiando effusioni con fidanzate e fidanzati.

Rimango fermo, al centro del corridoio, a fissare il vuoto.

Ripenso alle parole di Percy Jackson,al suo strano comportamento e repentino cambio d'umore.

Scuoto la testa, come a scacciare i brutti presentimenti.
Nonostante ciò, mentre mi dirigo verso la mia aula a passo svelto, un solo pensiero occupa la mia testa.

Percy Jackson ha qualcosa da nascondere.

[...]

Nella caffetteria della scuola mi dirigo velocemente verso il tavolo occupato da Nico, Hazel, Jason, Reyna e Frank.

Mentre reggo con due mani il vassoio con il pranzo qualcuno mi tira per la manica della maglia.

Mi arresto subito, timoroso di far cadere quello che ho tra le mani.
Mi giro di scatto <amico fai attenzione.. > interrompo la frase quando mi trovo davanti Calypso, i lunghi capelli raccolti in una coda disordinata e l'espressione stanca.

Mentre stringe ancora tra le dita la mia manica mormora <possiamo parlare?> fissando le piastrelle sbiadite della mensa, senza guardarmi in viso.

Sbigottito, annuisco lentamente.           < certo... >.

Lei senza dire altro si dirige a passo spedito verso un tavolo vuoto in un angolo appartato della grande sala.

La seguo, stranito.

Calypso sembra strana, diversa, e tutto questo è assurdo.
Da quando è qui non mi è mai venuta a parlare, lasciandomi appeso al filo del dubbio, senza conferme, con mille domande.

Questa sua richiesta di parlare non può simboleggiare altro che guai.

Mi siedo subito dopo di lei, standole di fronte, poggiando il vassoio poco lontano.

Per qualche secondo rimaniamo in silenzio, poi lei, sempre fissando il tavolo con la testa chinata, indica il mio pranzo <non mangi?> chiede.

Sposto il vassoio di lato <preferisco parlare, prima> asserisco, serio.

Non ho intenzione di giocare il suo gioco e farmi prendere in giro, non di nuovo.

Alza lentamente lo sguardo. Mi fissa negli occhi, e pur guardandola bene non riesco a vedere la Calypso di una volta.

Quella ragazza dagli occhi spenti, le occhiaie pronunciate sotto gli occhi e il volto sciupato non può essere la stessa che ho amato per tutta la mia infanzia e parte dell'adolescenza.

E non è neppure la ragazza spavalda ed ambigua che è arrivata prima di Natale presentandosi come nuova fidanzata di Leo Valdez.

Non riconosco in quel guscio vuoto nessuno, se non una persona disperata.

Con un sospiro tremante, comincia a parlare.
<mi dispiace Will, mi dispiace così tanto. Non avrei dovuto fare quello che ho fatto. Pensavo di poterti cambiare e quando mi hai rifiutata ero così ferita che non ho pensato alle conseguenze delle mie azioni. Non avrei dovuto mettere in giro quelle voci su di te, è stato orribile da parte mia. Forse pensavo che se avessi allontanano tutti alla fine saresti tornato da me o forse... > la voce le si spezza e trattiene un singhiozzo.

Continua a guardarmi negli occhi, lo sguardo arrossato <non so cosa pensavo. Sono stata sciocca, e cattiva. Poi è avvenuto l'incidente e lì, in quella camera d'ospedale, da sola... Non so cosa pensassi in quel momento, ho solo colto l'occasione al volo. Se il mio piano non aveva funzionato e non saresti tornato da me in ogni caso, almeno ti avrei ferito tanto quanto tu avevi ferito me...>.

La interrompo <Calypso, non avrei mai voluto ferirti. Se tu mi avessi parlato sin dall'inizio-> vengo interrotto dalla sua mano che si posa sulla mia, pietrificandomi.

<ti prego, fammi parlare> toglie la mano velocemente, come ad aver realizzato l'azione appena compiuta<quando sei andato via ho capito di aver sbagliato. Ma continuavo ad essere sola e ho cominciato ad odiarti non solo perché mi avevi rifiutata, ma perché mi avevi abbandonata dopo l'incidente. Questo era quello che mi dicevo per non sentirmi in colpa. Sono venuta qua, mi sono messa con un ragazzo casuale della scuola dove sapevo ti fossi trasferito. Speravo di trovarti e poter parlare, ma la fortuna si è presa gioco di me : non sapevo che Leo fosse tuo amico. Il piano era venire qui, parlarti e chiederti di tornare a casa, improvvisando un repentino ritorno della memoria ma... > la voce le si spezza.

Sorrido tristemente <ma ti è andata male e ti sei innamorata del ragazzo che doveva essere solo una pedina del tuo gioco> finisco la frase per lei.

Scuoto la testa amareggiato< sei finita vittima del tuo stesso inganno, la tua ragnatela di bugie è diventata talmente pesante da cadetti addosso>continuo.

Annuisce lentamente< e poi ho visto come ti sei ambientato, ho visto come tratti quello strano ragazzino> capisco che si riferisce a Nico e mi irrigidisco.

<lascialo stare> dico con voce ferma.

Lei sorride senza realmente farlo.         < non ti preoccupare, non gli farei mai nulla. Sembra avere già i suoi demoni. E tu sembri tenere molto a lui> la sua frase mi destabilizza e non trovo parole per rispondere.

< ti ho visto con gli stessi occhi con cui ti vedevo quando eravamo bambini. Tu sei una brava persona, Will,e sei molto forte. Nonostante tutto quello che ti è successo sei riuscito a cambiare vita e ci sei riuscito egregiamente e nonostante ciò che ti ho fatto... > si interrompe.

<avresti potuto dire a tutti la verità, Leo non è uno sciocco, ti avrebbe creduto e avresti avuto tutti dalla tua parte ma... Non l'hai fatto... >mi rivolge uno sguardo interrogativo e confuso.

<non conoscevo la verità. Non sapevo quanto di quello successo fosse vero e quanto una messa in scena. Non potevo sapere> le rispondo semplicemente.

I suoi occhi si fanno ancora più rossi.

Un singhiozzo le scuote le spalle, poi un altro, si porta una mano alla bocca e abbassa la testa.

Dopo poco sembra riaversi.
Con gli occhi arrossati da quel breve pianto mi guarda<mi dispiace Will. Non meritavi quello che ti ho fatto, non meriti nulla di quello che ti è successo. Mi dispiace. Non ti chiedo di perdonarmi ma... >.

La fermo<cosa è successo? Cosa ti ha fatto cambiare idea e redimere? Perché sei in queste condizioni dopo tutto quello che hai fatto?>.

Lei mi guarda spiazzata. Solo dopo un po' riesce a rispondermi <ho capito chi era il vero mostro della storia> mormora.

Si alza lentamente e appoggia una busta dal lettere sul mio vassoio < perfavore, dalla a Leo stasera, quando non ci sarò >.

Guardo la lettera e poi sposto lo sguardo su di lei< stai andando via? Torni a Miami? > domando.

Lei annuisce< è tempo per me di smettere di cercare di rovinare la felicità altrui e trovare la mia. Spero mi perdonerai, un giorno, Will. O che almeno, dimenticherai me e il dolore che ti ho procurato>.

Mentre Calypso si allontana dal tavolo ed esce dalla caffetteria, non penso neanche a ciò che mi ha detto.

Afferro il vassoio, mi infilo la busta in tasca e mi dirigo verso il tavolo di Nico.

Mi siedo sulla sedia vuota vicino a lui.
Mi salutano tutti ma prima che possa rispondere arriva al tavolo Leo Valdez evidentemente provato <avete visto Cal? > chiede concitato, spostando lo sguardo su ognuno dei presenti al tavolo. Alzano tutti le spalle.

Prendo la busta di Calypso dalla tasca dei miei pantaloni e gliela porgo <Chirone... Chirone mi ha detto di darti questa. Ha chiesto espressamente che la leggessi solo al termine delle lezioni pomeridiane.

Lui afferra la lettera distrattamente e se la infila nella tasca dei jeans. Mi ringrazia con un cenno e poi di reca fuori dalla mensa, in cerca della sua presunta ragazza.

Nico mi tira un pugno al braccio, probabilmente dopo avermi chiamato per nome molteplici volte mentre io ero perso nei miei pensieri fissando la figura di Leo Valdez scomparire dietro le porte della mensa.

<si può sapere che diavolo è successo? Che voleva Calypso da te?> Mi chiede sussurrando per non farsi udire dagli altri.

Sorrido inconsciamente. Ovviamente tutti si sarebbero lasciati sfuggire il dettaglio di me e Calypso sederci ad un tavolo da soli,tranne Nico di Angelo.

Mi tira un altro pugno, più forte.
<ahi! Questo per cos'era? >chiedo mentre mi massaggio il braccio dolorante.

Nico alza gli occhi al cielo< sorridevi come un idiota>.

Sbuffo una risata. <quando siamo da soli ti spiego tutto> gli sussurro velocemente prima di mettermi a magiare.

Le questioni tragiche mi mettono fame.

Mentre mangio, un pensiero mi attraversa la mente facendomi correre un brivido gelido lungo la schiena.

Non riconoscevo la mia compagna di avventure bambinesche in quella figura stanca a sciupata perché mi trovavo davanti allo spettro di chi aveva amato e ferito chi amava ben due volte, e se n'era reso conto.

#Spaziomehh
ugh lo so che sparisco e ricompaiono come una luce intermittente, shame on me :(

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