Capitolo 9
La lezione fu disastrosa, come Aleksander sapeva sarebbe stata: non solo, era stata per lui tanto sgradevole che quando venne cacciato fuori da Baghra vomitò tra i cespugli.
Come l’Evocaluce, anche Baghra era un amplificatore umano. Era bastato il semplice contatto e il potere di Aleksander era salito alla superficie, voglioso di uscire.
Non era uscito. Aleksander non lo lasciò uscire, più o meno coscientemente, neanche con la donna ad aiutarlo. Fu così che si era preso la prima di almeno una decina di bastonate, e se da una parte avrebbe voluto tirar fuori il potere così che smettesse, dall’altra gli venne da nascondere il potere più a lungo possibile.
Alla fine la donna lo aveva buttato fuori, dicendo che se non dimostrava neanche di poter evocare basilarmente con il suo aiuto allora era tutto inutile. Lui aveva vomitato, poi era andato in biblioteca, dove era stato sovraccaricato di libri di teoria in cui aveva deciso di immergersi subito. Voleva distrarsi, dimenticare, isolarsi e svanire.
Desiderò Mal fosse lì. L’avrebbe consolato come aveva già fatto prima. Poi ricordò che Mal aveva sempre ritenuto i Grisha malvagi e si sentì peggio di prima.
Non andò a pranzo. Rimase in biblioteca, convinto sarebbe dovuto restare lì tutto il pomeriggio: scoprì che così non era quando Marie e Nadia lo andarono fisicamente a prendere là dentro.
«Ah, eccoti! Eravamo tutti preoccupati, a pranzo non c'eri!» esclamò Marie appena lo vide.
«Credevamo te ne fossi andato!» aggiunse Nadia. Aleksander si chiese perché non ci avesse pensato subito a scappare di lì.
«No... Ero qui.» rispose Aleksander guardandole.
«Abbiamo visto il tuo orario, hai lezione con Botkin. Sarà dura, non hai mangiato nulla a pranzo, serve energia per una sua sessione di allenamento.»
«Vuol dire che non vomiterò anche l’anima appena mi farà correre.» disse lui decisamente giù di corda. non che mentisse, la sua resistenza fisica faceva decisamente schifo.
«Non è andata bene con Baghra, eh?» chiese Marie mentre le due lo trascinavano fuori.
«Vorrei non dover più mettere piede in casa sua.»
«Consolati: la prima lezione è così per tutti.»
Aleksander era certo gli altri avessero tutti evocato, non come lui.
Le due evocatrici lo condussero alle scuderie. Guardandosi intorno, essendo in una zona nuova, notò l’individuo che aveva visto davanti al re tra gli alberi che lo osservava. Si sentì in soggezione solo a vederlo e mormorò a Nadia: «Chi è quel tipo?»
La Grisha seguì il suo sguardo e rispose: «Quello è l’Apparat, consulente spirituale del re.»
«È inquietante.»
«Credo tu non possa avere più ragione di così.»
Raggiunsero finalmente le scuderie. Erano gli ultimi arrivati e Aleksander era anche l’unico nuovo Grisha, quindi Botkin, un grosso individuo evidentemente di Shu Han, ignorò le altre due per rivolgersi a lui. «Tu piccoletto sembri gracile e debole. Non lo sarai per molto, non sotto la guida di Botkin. Ti rimetterà in sesto.»
Aleksander apprezzò il suo ottimismo, anche se non ci credeva per nulla.
Probabilmente Marie e Nadia non lo avevano preso sul serio quando aveva detto che avrebbe vomitato per la corsa: dovettero ricredersi quando, alla fine di una corsa per cui lui non riuscì a stare al passo degli altri neanche sforzandosi, cercò di vomitare lo stomaco intero dietro un albero.
Passarono al combattimento corpo a corpo e Botkin volle stare con lui a tutti i costi. Aleksander era finito in qualche zuffa e aveva in mente almeno due mosse base, insegnate e copiate da Mal: gli furono utili per evitare qualche colpo, ma più che altro le prese. Le prese e continuò a prenderne fino alla fine della lezione, e improvvisamente realizzò quanto fosse davvero utile la kefka così lunga che copriva ogni cosa.
«C’è spazio di miglioramento, Botkin ti vede volenteroso. Domattina Botkin vuole che vi alleniate ancora per bene.»
Aleksander, steso a terra dopo aver parato per pura fortuna un colpo che gli avrebbe fatto sputare un organo, represse un gemito.
Le lezioni finalmente si conclusero e il ragazzo scappò in camera prima che qualcuno riuscisse a fermarlo. Una volta in camera crollò contro la porta, delle lacrime che finalmente erano libere di uscire.
Voleva andarsene. Voleva non dover più uscire di lì. Voleva addormentarsi e non svegliarsi più.
Si alzò e frugò nei cassetti. Trovò un tagliacarte, si levò la kefka con furia mollandola sul pavimento, si sollevò la manica alla meno peggio e si tagliò l’avambraccio. Il dolore gli fece cadere altre lacrime, ma furono ben accette. Voleva sfogare quello che sentiva e per un istante si chiese se non avesse fatto meglio a farsi pestare a sangue da Botkin direttamente.
Continuò a far uscire sottili rivoli di sangue dall’avambraccio. Quando vide che le gocce stavano macchiando sia la camicia che il pavimento, si spostò di lì e andò sul lavandino. Rimase un lungo momento lì, fermo, sentendo il dolore acuto fin dentro il cranio. Alla fine alzò lo sguardo sullo specchio e osservò il suo volto, che pareva più malato di quanto non fosse la sera prima e che era pieno di terra.
Si girò verso la vasca e decise che aveva bisogno di un bagno. Osservò il suo braccio martoriato, che ancora perdeva sangue, poi aprì l’acqua.
Fu quest’ultima a dargli le ultime fitte di dolore che gli servivano per calmarsi davvero, anche se tinsero l’acqua di un rosso abbastanza visibile. Distrattamente, realizzò che non si era ritrovato in una situazione simile da quando lui e Mal ancora non si rivolgevano la parola, e ai tempi era già tanto se c’erano docce o fontane con cui lavarsi.
Aleksander si bendò il braccio appena uscì dall’acqua e si rivestì con un cambio pulito, per poi coprire lividi e tagli con la kefka. Guardò i ricami neri odiandoli con tutto sé stesso, poi sospirò e uscì per andare a cena.
Stavolta nessuno badò molto a lui e fu grato soprattutto a Marie e a Nadia per non averlo incluso in qualche discorso.
Mangiò in silenzio finché le porte dorate non si aprirono. A quel punto il silenzio fu totale.
Ivan uscì dalle porte e andò verso di lui. Il suo cuore saltò un battito.
«L’Evocaluce ti vuole vedere.» disse con l’espressione di chi voleva essere da qualunque altra parte.
Aleksander condivideva la sensazione. Si alzò dal suo posto e lo seguì oltre la soglia dorata.
Non avrebbe avuto bisogno di saperlo in anticipo che quella era la stanza della guerra: c’erano abbastanza cartine da farlo capire. Si guardò comunque intorno interessato.
L’Evocaluce era impegnata ad esaminare una pila di fogli. Alzò lo sguardo solo dopo almeno un minuto e rivolse un lieve sorriso ad Aleksander.
«Buonasera, Aleksander. Dammi cinque minuti e sono da te.»
Lui annuì mentre Ivan se ne andava e si mise ad osservare le mappe. Avrebbe potuto fare il cartografo nel Primo Esercito e spesso si era chiesto perché non lo avesse fatto, visto che non aveva nessuna qualità fisica adatta a fare il tracciatore, eppure era andato lì lo stesso e visto lo svolgimento delle cose non era certo di aver sbagliato.
Si sedette su una sedia, sentendo che le gambe non avrebbero retto il peso del suo corpo se fosse stato in piedi a lungo. Attese finché l’Evocaluce non ebbe finito, osservando le decorazioni del soffitto della stanza, dorate e bellissime.
«Okay, ho finito. Dunque, Aleksander, com’è andato il primo giorno da Grisha?»
Aleksander sentì i tagli sul suo avambraccio fargli più male di prima alla semplice domanda. Per un istante pensò di mentirgli, poi abbassò lo sguardo e disse: «Abbastanza male, direi.»
«Se mi avessi detto il contrario mi sarei chiesta tra te e Baghra chi mi stava mentendo. Mi ha detto che non è riuscita a farti evocare neanche una volta, neanche con l’amplificazione del potere.»
Aleksander non incrociò il suo sguardo. Lo fece solo per la frase che disse dopo: «Perché ti stai trattenendo?»
Doveva aver capito anche Baghra che non aveva evocato perché aveva trattenuto il potere, piuttosto che per la sua assenza. Probabilmente anche l’Evocaluce stessa lo aveva capito.
«Aleksander.»
Il Grisha riportò gli occhi su di lei.
«Tu hai un potere incredibile che vuole uscire. Vuole venire alla luce, e lo vuole immensamente. Anche il tuo corpo lo vuole: forse lo hai visto anche tu guardandoti allo specchio, ma trattenendo il potere anche con l’amplificazione il tuo fisico è peggiorato in una sola giornata. Perché non gli dai corda?»
Aleksander non rispose. Sapeva la risposta e non l’avrebbe detto a chi gli avrebbe riso in faccia.
L’Evocaluce lo osservò un momento, poi si alzò dal suo posto e lo raggiunse.
«So che è stato tutto improvviso, Aleksander. Che è successo tutto molto in fretta. Però devi riprenderti… Il tuo potere è lì. Almeno provaci, a farlo uscire. Sarebbe un inizio.»
Sapeva che anche lei aveva fretta. Che voleva si muovesse a sviluppare i suoi poteri. Lo nascondeva molto bene però, non c’erano dubbi a riguardo.
«Mi prometti che ci proverai?»
Quella richiesta gli fece alzare lo sguardo sulla donna. Era un modo bizzarro per chiedere qualcosa, parlando di una Grisha tanto potente.
«Va bene, proverò.» disse infine, anche se non era certo di riuscirci.
Il suo sorriso per un momento gli fece dimenticare ogni cosa. «Ne sono felice. E non preoccuparti per le lezioni con Botkin: migliorerai. Soprattutto se userai il tuo potere.»
Si sentì di nuovo male. Aveva ragione, quello era troppo per lui.
Poi la Grisha cercò di prendergli la mano e lui spostò il braccio ferito con una velocità impressionante.
Rimasero a guardarsi un momento in silenzio, poi Aleksander deglutì. «Forse ho solo bisogno di dormire.»
Voleva andarsene anche da lei.
«In questi giorni io sarò impegnata. Ne parleremo ancora con più calma, va bene?»
Lui annuì, anche se di voglia di rivederla non ne aveva molta.
«Allora ti lascio andare a riposare. Ti faccio passare da una via secondaria, così incontri meno gente.»
Di quello le fu immensamente grato. Se ne andò salutando a stento e si rifugiò in camera, sentendosi in subbuglio.
Stavolta sfogò tutto su carta, in una lettera indirizzata a Mal ma che non era certo gli sarebbe mai arrivata. Voleva scrivere a Mal, con tutto il cuore, ma non gli avrebbe mandato una lettera punteggiata di inchiostro sbavato dalle sue lacrime.
Infine si buttò sotto le coperte, sperando di non risvegliarsi.
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