Capitolo 7

Aleksander notò come prima cosa che l’Evocaluce non era entrata da sola. Dietro di lei c’erano tutti i Grisha che aveva visto al campo davanti alla Faglia, incluse le Chiamatempeste che l’avevano visto evocare. Represse un brivido a stento.

«Avanti, signori. La corte ci attende.» disse la donna con l’aria di chi ne aveva voglia quanto lui di apparire a corte.

Tutti i presenti si mossero. Aleksander notò i Materialki uscire per primi dalle doppie porte d’ingresso, in una fila formata da coppie, seguiti dagli Etherealki e infine dai Corporalki. Lui non aveva idea di dove andare, così guardò l’Evocaluce, che lo osservò di rimando.

«Noi andiamo per ultimi.» disse. Aleksander annuì, senza provare nulla.

Fu ciò che fecero. Uscirono insieme, uno accanto all’altro, seguendo la colonna.

«Hai un’aria quasi salutare.» osservò la donna. Non era tanto un complimento quanto una constatazione.

«Già, è merito di Genya. Ora sembro ad un paio di passi dalla tomba invece che uno solo.» rispose Aleksander, mordendosi poi la lingua. Non era il modo di parlare alla Grisha più potente esistente.

Inaspettatamente, lei rise. «Genya è brava, sì.»

«Non sapevo esistessero dei… Plasmaforme?» disse, dubitando di aver detto il nome correttamente.

«Genya è speciale. Aveva le abilità per essere sia una Fabrikator che una Corporalki, ma ho pensato sarebbe stato uno spreco visto il dono che aveva. Ora serve la regina.»

«Di sua volontà?»

L’Evocaluce lo osservò. «Io l’ho offerta in dono a lei, ma di certo prima le ho chiesto se le andasse bene. Non sono mica così crudele.»

Aleksander aveva sentito molte voci sul conto dell’Evocaluce e sperava fosse vero. Sperava le avesse davvero chiesto se voleva, anche se sembrava Genya fosse stata offerta come garanzia di fiducia.

«Comunque il re pretende una dimostrazione del tuo potere.»

Aleksander si girò di scatto verso di lei. «Cosa?!»

«Vuole vedere con i suoi occhi ciò che ci hai già fatto vedere alla Faglia.»

«Io non...»

Non sapeva come continuare la frase. Non era una questione di non poterlo fare: poteva evocare. Non lo voleva fare però, decisamente non lo voleva fare.

«Non ti stiamo mandando alla cieca. Sei con me, andrà tutto bene.»

Per un momento i loro occhi si incontrarono. «Io credo in te.»

Nessuno aveva mai detto quelle parole e nessuno lo avrebbe mai detto credendoci.

Aleksander fece un respiro profondo: forse lo poteva fare.

Raggiunsero la sala del trono senza che si dicessero altro. Essa era piena di donne in abiti scollati e uomini in tenuta militare, e Aleksander si chiese se loro si sarebbero accorti della sua divisa fasulla. Se anche lo avessero notato, comunque non avrebbero detto nulla.

I Grisha si aprirono per farli passare e la donna lo invitò a procedere con lei. L’ansia che Aleksander provava ora gli faceva battere il cuore tanto forte che era più che certo tutti potessero sentirlo.

Il re, che si era sporto verso di loro appena erano avanzati, doveva avere una quarantina d’anni ed era avvolto in una divisa da cerimonia di un colore chiaro. Aleksander notò accanto a lui un uomo che gli parve un prete, ma un po’ più inquietante.

L’Evocaluce si fermò in mezzo alla stanza e Aleksander fece lo stesso.

«Moi tsar,» disse con un inchino la donna. «vi presento colui che stavate aspettando. Ecco a voi Aleksander Kirigan, l’Evocatenebre.»

Alle spalle dei due si udirono mormorii, ma il ragazzo se ne accorse per poco, perché il re fece un rapido gesto con la mano che Aleksander trovò quasi infantile. «Vieni qui e mostramelo.»

Aleksander fece un paio di passi avanti fino alla base della pedana, così come fece la Grisha. Era certo non ci fosse granché da mostrare di lui e il re parve pensarla allo stesso modo.

«Non sembra un granché. Per caso è malato?»

Aleksander sapeva di non poter rispondere al re, così guardò la Grisha, che gli parve leggermente accigliata.

Fu il re a cedere. «Va bene, fatemi vedere. Mai giudicare dall’apparenza, giusto?»

Il ragazzo si girò verso l’Evocaluce, che gli sorrise.

Spalancò le braccia e la stanza parve molto più luminosa di prima, poi unì di scatto le mani e la luce riempì la stanza, accecante come non mai. Aleksander sapeva sarebbe successo ma non parve bastare a prepararlo a tutta quella luce.

Poi una mano afferrò il suo polso e il potere che aveva dentro esplose.

Sulla stanza calò un buio incredibilmente fitto. Aleksander sentì qualcuno urlare, ma non se ne preoccupò.

Una lieve luce si formò tra loro. Era l’Evocaluce, che teneva in mano una sfera luminosa. Lo guardò e lui ricambiò lo sguardo. Aleksander si chiese se sentisse quanto stava tremando.

Poi lei lasciò il suo polso e tutto scomparve. Per un momento l’intera stanza parve immobile, poi il re si alzò e iniziò ad applaudire. Sul suo volto c’era autentica gioia.

Molti seguirono il suo esempio, facendolo sentire piuttosto a disagio. Si guardò intorno nervoso, riportando l’attenzione sul re quando lo sentì dire: «Presto, presto, vieni, dobbiamo pianificare le prossime mosse!»

L’Evocaluce andò dal re e la sala parve chiudersi attorno a lui. Tutti volevano parlargli, tutti lo volevano conoscere, toccarlo, credere fosse reale. Tutta quell’attenzione gli fece venire una paura indicibile, nonché una gran voglia di sparire.

Non rispose a nessuno finché non si ritrovò davanti la figura della regina, accompagnata da Genya e da numerose signore. Appena le vide il suo cuore saltò un battito, anche se le ringraziò per aver disperso la gente.

«Moy tsar.» disse solennemente facendo un inchino. «L’Evocatenebre.»

Aleksander fece un inchino dopo almeno un paio di secondi di troppo, troppo sbalordito che avesse ricevuto un inchino da lei. «Moya tsaritsa

«Conosci il galateo, dalla tua faccia non lo avrei mai pensato. Dimmi, vieni da una famiglia Grisha?»

Aleksander esitò un momento, poi disse: «No, signora. Vengo da Keramzin.»

Tutte le donne sussultarono. La sorpresa sul suo volto e su quello di Genya fu evidente e lo mise a disagio, anche se almeno non stavano parlando dei suoi poteri.

«Oh, sei un orfano quindi! Allora deve essere tutto nuovo per te qui. Se posso darti una raccomandazione, non farti corrompere dalla vita di corte. Non mi sembri il tipo, ma non si sa mai.»

Aleksander fece un unico cenno di assenso e lei sorrise. «Bene. Ora andate.»

Genya lo prese per un polso e lo portò in un corridoio, lontano da tutta quella gente. Gliene fu grato.

L’Evocaluce apparve davanti a loro e fece loro cenno di seguirla in un altro corridoio vuoto.

«Tutta quella confusione è estremamente fastidiosa, non trovate?» commentò la Grisha con un sospiro appena si fermò. Guardò poi Aleksander e chiese: «Ho visto che sei stato rapito dalla regina. Com’è andata?»

«Credo che se non fossi stato… io… mi avrebbe fatto scortare fuori e buttare direttamente giù dalle mura.» disse lui. Non lo aveva detto con amarezza, per lui era la normalità.

«Non è così improbabile.» commentò Genya, facendo sorridere entrambi.

«Quindi, piaciuta la corte?»

«Domanda di riserva?» chiese Aleksander prima di mordersi di nuovo la lingua. Poteva parlare così a Mal, non a loro.

L’Evocaluce sorrise. «Non ti preoccupare, è comune odiarla. Penso che non piaccia proprio a nessuno, ma fingono tutti il contrario. A parte il re, lui non sa dissimulare, ma è infantile quindi non c’è niente di sorprendente a riguardo.»

Aleksander sbarrò gli occhi a quell’affermazione: era un insulto al re. Un insulto neanche tanto velato.

Si guardò intorno nervoso, ma erano proprio soli.

«Paura che qualcuno ci senta?» chiese con un lieve sorriso l’Evocaluce.

«Hai… beh, insultato il re.»

«Non è insultare se stai dicendo la semplice verità. Ma torniamo a noi, non vi ho trascinato via dalla festa solo per salvarvi dalla folla. Domani tu Aleksander inizierai l’addestramento, quindi dobbiamo confezionarti una kefka. Visto il tuo potere, mi piacerebbe la mettessi nera.»

Aleksander la guardò un momento, a disagio, poi disse: «Non darò troppo nell’occhio così?»

«Hai un potere unico.»

Ciò che Aleksander avrebbe voluto dire non voleva uscire. Non voleva dirle di no, ma insieme non voleva farsi notare così tanto; alla fine riuscì a parlare. «Non posso averne una blu?»

La Grisha lo osservò incuriosita, poi annuì. «Se ti fa sentire a tuo agio, va bene blu. Alla fine sei un Evocatore. I ricami però neri.»

Guardò Genya a quest’ultima frase, che annuì.

«Bene. Io vado a intrattenere il re e preparare le prossime mosse. Aleksander, penso tu sia stanco dopo tutto ciò che è successo, quindi, Genya, accompagnalo in camera e fagli portare la cena lì.»

Lei annuì, poi si girò e fece cenno ad Aleksander di seguirlo. Lui lo fece.

Non dissero nulla per buona parte del tragitto. Alla fine fu Aleksander a parlare, inondato dai dubbi e dalle paranoie: «Mi odia per avergli detto di no, vero?»

«No, non ti odia. Credo anzi che ti abbia preso in simpatia. Fidati, la conosco da abbastanza da sapere che quando hai chiesto la kefka blu ha perfettamente capito il motivo della richiesta.»

«Sarebbe la prima.» disse Aleksander senza crederci.

Raggiunsero di nuovo la camera, rifatta e ripulita da zero durante la sua assenza. Entrandoci, il ragazzo si rese conto di essere parecchio stanco, anche se aveva dormito fino a forse una, due ore prima.

Genya riapparve dopo un momento, facendogli compagnia in attesa della cena. «Da domani mattina sarai con i Grisha a mangiare, allenarti, vivere. Non credo tu sappia dove sono i vari luoghi, quindi ti verrò a prendere per mostrarti la mensa.»

«Non posso restarmene qui da solo a mangiare?»

Genya lo osservò. «Non vuoi conoscere qualcuno?»

«La gente mi evita. Sono inquietante, sembro a un passo dalla tomba, e adesso… questo. Chi mai vorrebbe conoscermi?»

«Qualunque Grisha dotato di buon senso. Un po’ lo dico perché diventerai potente e famoso e un amico così fa sempre comodo, un po’ perché ho visto che sei simpatico e, aspetto inquietante o no, ci si può sempre fare amici quando si è simpatici.»

Non avrebbe funzionato, ma stavolta Aleksander non lo disse ad alta voce.

Una cameriera arrivò portando con sé un vassoio. Lo appoggiò sul tavolo a cui Aleksander si era nel frattempo seduto: era pieno di cibo decisamente invitante.

«Non ho lo stesso intuito della signora, ma sono convinta tu voglia un po’ di privacy. Ci vediamo domattina.» salutò Genya prima di andarsene.

Aleksander voleva stare solo, proprio come aveva detto lei, e quando la porta fu chiusa si mise a mangiare con piacere, senza nessuno che lo guardasse. Era parecchio affamato, doveva aver saltato diversi pasti senza essersene accorto.

Finì tutto, si tolse gli abiti militari e si infilò sotto le coperte nel letto profumato.

Chiuse gli occhi, godendosi un momento la quiete, poi ricordò cosa lo aspettava.

Allenamenti. Relazioni sociali. Distruggere la faglia.

Sviluppare un potere che non aveva mai voluto avere.

L’ansia si impossessò di lui e si sforzò di pensare a qualche episodio felice prima che gli venisse un attacco di panico, come già era successo in passato.

Pensare a Mal lo fece solo sentire peggio. Scese dal letto e andò nel bagno, sciacquandosi la faccia con l’acqua fredda per cercare di riprendersi, anche sapendo che non ci sarebbe riuscito.

Rivoleva Mal. Voleva tornare indietro. Non voleva essere lì.

Aleksander singhiozzò. Se ne sarebbe voluto andare, ma come avrebbe potuto? C’erano aspettative lì, c’era Genya.

C’era l’Evocaluce. Pensare a lei, alla sua calma, alla sua fiducia in due, riuscì sorprendentemente a distrarlo. Rimase per un momento a guardarsi allo specchio, a respirare profondamente, finché non si fu calmato.

Tornò a letto e stavolta si sforzò di non pensare a niente, a concentrarsi su tempi passati, su Keramzin, tempi né belli né brutti, fino ad addormentarsi.

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