Capitolo 4
Quando Aleksander salì sulla carrozza e venne fatto sedere, lui quasi si accasciò sui sedili. Il bianco e il dorato della carrozza attorno a lui era accecante e una parte di lui desiderò poter portare del buio lì dentro. Il semplice pensiero gli diede il voltastomaco.
C’erano troppi pensieri, troppi ricordi che si affollavano nella sua mente. La Grisha morta, Mal, l’oscurità che usciva da lui, il dolore, era troppo.
Quando lo Spaccacuore che l’aveva portato lì salì sulla carrozza, accompagnato da un altro uomo, tutta quella luce parve smorzarsi. Erano accompagnati da una donna, la quale gli prese direttamente le mani bendate.
Le condizioni delle sue mani era spaventosa. Erano piene di vesciche, anche se non aveva sentito dolore né ne sentì in quell'istante. La donna appoggiò una mano sulla sua sinistra e Aleksander rimase a fissare le vesciche svanire rapidamente.
Prima una mano, poi l'altra, e fu tutto finito. Non ebbe tempo di ringraziarla che la donna saltò giù dalla carrozza e chiuse il portello alle sue spalle, permettendo ai due uomini di accomodarsi.
«Bene. Ora partiamo.» disse secco il secondo uomo.
Aleksander li fissò un momento, poi la carrozza con uno scossone partì. Guardando fuori dai finestrini, vide uomini armati e diversi Grisha attorno a loro in groppa a diversi cavalli.
«Loro sono la nostra scorta.» disse l’altro Spaccacuore, osservandolo. «Vigileranno sulla tua sicurezza.»
«A proposito della sicurezza, hai portato una kefka? Sennò potevamo chiederlo a lei.»
La porta della carrozza si aprì in quell’istante e qualcuno tese quella che Aleksander suppose essere una kefka, stavolta viola.
«Ti pare che potevo dimenticarmi della Kefka?» chiese divertito lo Spaccacuore, prendendo l’abito. La porta si chiuse e lui tese l’abito ad Aleksander.
«Dovresti indossarlo.»
«Perché? Non sono un...» fece per dire Aleksander, ma si morse la lingua prima di proseguire. Lo era, purtroppo.
«Tu mettitelo.» ringhiò l’altro.
«Ivan, calmati.» disse l’altro mettendogli una mano sulla spalla. Guardò poi Aleksander e disse: «Le kefka sono state create da dei Tempratori e sono a prova di proiettile. Visto che c’è il rischio di imboscate, sarebbe saggio tu la indossassi.»
«Non mi’importa di-»
«A noi importa, ora mettitela.» lo interruppe brusco Ivan. Aleksander lo fissò decentemente spaventato, poi si infilò l’abito, contorcendosi per via della dimensione della carrozza. Quando fu coperto, si sedette sul sedile e sprofondò nella kefka viola, chiedendosi quando quell’uomo fosse riuscito a procurarsene una.
«Comunque non ci siamo presentati. Io sono Fedyor, lui è Ivan. Siamo entrambi Spaccacuori, ma credo tu questo già lo abbia capito.» disse l’altro Spaccacuore con un sorriso. Aleksander decise che lui gli piaceva più dell’altro.
Lui non si presentò. Sapevano già chi era.
Guardò fuori dal vetro finché Ivan non parlò: «Come hai nascosto il tuo potere?»
Aleksander spostò lo sguardo su di lui e sbatté le palpebre un istante. Non aveva sentito la domanda. «Cosa?»
«Tutti i Grisha vengono trovati in giovane età e portati nel Piccolo Palazzo per essere addestrati. Perché tu, con il tuo potere, non sei stato trovato da subito?»
Aleksander abbassò lo sguardo a quella domanda. Degli spaccacuori avrebbero sentito di sicuro se stava mentendo, così decise solo di non rispondere.
Ivan parve sul punto di perdere le staffe, ma Fedyor lo fermò. «Respira, Ivan. Lo dirà alla nostra signora.»
«Se si fosse presentato prima forse avremmo già potuto togliere dai piedi la Faglia!» urlò Ivan. «Avremmo potuto evitare tante perdite inutili!»
Aleksander guardò fuori dal finestrino, sperando si notassero meno le sue lacrime.
«Ivan, credo sia già sovraccarico di pensieri, lascialo stare.» disse Fedyor. Forse aveva visto le sue lacrime, forse no, comunque fosse gli fu grato. Ivan tacque e non disse altro.
Quando finalmente lo Spaccacuore si fu addormentato, Fedyor disse a bassa voce: «Forse dovresti riposare anche tu.»
Era strano qualcuno lo considerasse. Lo guardò un momento distaccato, poi disse: «Avevate detto che c’è il rischio di attacchi.»
«Vero, ma prima di arrivare a destinazione sono previste delle pause per cambiare i cavalli. Si può dormire fino ad allora: se ci fosse qualche interruzione, o io o Ivan saremo svegli per evitarlo.»
Aleksander annuì lentamente e appoggiò la testa contro la parete.
Quasi non si accorse di essersi addormentato. Lo capì quando rivide il volto della Grisha e si svegliò di soprassalto. Dovevano essere trascorse ore, perché fuori era buio e stavolta ad essere sveglio era Ivan, che lo stava scrutando.
La carrozza era ancora troppo bianca, ma fuori era buio. La cosa lo tranquillizzò e cercò di tornare a dormire.
La maggior parte del viaggio trascorse in quel modo. A volte fermavano il convoglio per cambiare i cavalli e allora Aleksander poteva scendere almeno dalla carrozza a sgranchirsi le gambe, sempre con o Ivan o Fedyor a controllarlo. Spesso si ritrovò a volersela dare a gambe, a desiderare ardentemente di fuggire di lì, di perdersi e di lasciarsi morire come spesso gli era capitato, ma sapeva che non ci sarebbe riuscito.
Prima aveva Mal a tenerlo d’occhio, ora due Spaccacuori che se avesse avuto un arresto cardiaco probabilmente lo avrebbero riportato indietro a forza.
Odiava tutto quello. Odiava stare lì. Odiava Ivan, più di tutto, e cercò di regolarsi così da essere sveglio quando anche Fedyor lo era.
Poi un giorno dopo molti la carrozza si fermò all’improvviso. Fedyor diede un colpo alla gamba di Ivan e disse: «Siamo fermi.»
L’uomo si mise subito in allerta. Guardò Aleksander e disse: «Stai lontano dal vetro.»
Aleksander si mise al centro della carrozza mentre un uomo apriva lo sportello.
«Che sta succedendo?» chiese Ivan.
«Un tronco in mezzo alla strada. Può essere qualunque cosa, meglio stare attenti.»
Finì di parlare e qualcosa gli trapassò il cranio, facendolo crollare a terra e tingendo di rosso la carrozza.
Aleksander rimase un momento a bocca aperta, poi sentì fuori delle urla.
«Fjerdiani.» ringhiò Ivan. Fissò Aleksander e disse: «Mettiti per terra e resta lì. Non uscire per nessun motivo. Fedyor, andiamo a combattere.»
L’altro sorrise e saltò giù dalla carrozza, mentre Aleksander si rannicchiava per terra.
Per un po’ non sentì altro che urla, spari e corpi che cadevano ovunque. Quasi credette quando essi diminuirono di essere al sicuro, poi la porta alle sue spalle venne aperta di scatto e qualcuno lo prese per la caviglia, tirandolo fuori.
Aleksander strillò e calciò il suo aggressore con violenza, finché non lo colpì in qualche buon punto. Venne mollato a terra e lui iniziò a correre più rapido che poteva, cercando di lasciarselo alle spalle.
Venne buttato a terra non molto più in là. Il ragazzo cercò di tirarselo via di dosso, divincolandosi e urlando.
L’uomo disse qualcosa che non comprese. Gli mollò un pugno sullo zigomo da lasciarlo intontito, poi prese un pugnale e lo alzò, pronto a colpire.
Aleksander intravede qualcosa di luminoso al limite del suo campo visivo. Qualcosa di brillante, della luce.
Vide l’Evocaluce e la sua luce attorno a sé, poi gli parve di vedere una specie di scheggia di luce tra le mani. La lanciò.
Aleksander sentì qualcosa di caldo colpirgli il volto. La sorpresa venne trasformata dall’orrore quando vide metà del petto dell’uomo scivolare sull’altra.
L’Evocaluce calciò via entrambe le metà e gli tese la mano. Aleksander la fissò inorridito, poi si alzò da solo, ignorandola. Lei non commentò nulla, semplicemente disse: «Seguimi.»
Tornarono con gli altri. Vide con sollievo che Fedyor stava bene, così come Ivan.
«L’Evocatenebre cavalcherà con me.» disse la Grisha. «La carrozza farà da esca. Noi andremo per conto nostro, saremo più sicuri.»
Guardò poi Aleksander e disse: «Andiamo.»
Il ragazzo era più alto di lei, così quando salì in sella si sistemò dietro. L’Evocaluce si sedette davanti a lui, la schiena praticamente contro il suo petto, e disse: «Attaccati a me se stai per cadere. Petto, spalle, dove ti pare. Vedi solo di non cadere giù.»
Aleksander non era mai stato così vicino a qualcuno, neanche a Mal, e gli sembrava invasione di spazio personale comunque si muovesse. Alla fine fu l’istinto a fargli stringere le braccia attorno al suo corpo quando partirono al galoppo.
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