Capitolo 19

Il giorno successivo, l’Evocaluce decise che per fare prima era il caso di proseguire in un gruppo ristretto. Aleksander non rimase sorpreso quando della trentina che erano partirono solo in dieci, tra cui lui, Ivan, Mal e lei stessa.

Da quel momento il tracciatore divenne operativo e iniziò a cercare le tracce del cervo di Morozova, guidando il gruppo intero in mezzo alla neve.

Bastò un’ora perché tutti dubitassero di lui e delle sue abilità. Aleksander si limitò a seguire il gruppo senza pensare a nulla, sia perché non voleva, sia perché non serviva. Mal trovava tracce invisibili a tutti e Aleksander sapeva lui li stava portando dal cervo. Forse per colpa del freddo, si ritrovò a pensare che anche se li avesse condotti verso un burrone, a lui non sarebbe cambiato nulla.

Si accamparono in una radura da soli e senza tende quella sera. Aleksander non mangiò nulla, forse sempre per il freddo, forse perché dopo il giorno prima e dopo le parole di Mal e Alina, lui non sentiva più nulla.

Accesero un fuoco per evitare il congelamento dei presenti, sebbene fosse un rischio. Chiunque li avrebbe potuti vedere.

Ad Aleksander non importava, tanto in quel gruppo non c’era una sola persona che non sapesse combattere e uccidere, lui incluso.

Ripresero il giorno successivo. Mal fece spostare il gruppo tutto a est, poi tutto a ovest, e se alcune tracce non fossero state evidenti (rami spezzati troppo alti perché un normale cervo o un altro animale potesse riuscirci), Aleksander era certo qualcuno avrebbe buttato Mal da un burrone e avrebbe fatto proseguire lui.

Del resto però era ovvio che il cervo non se ne sarebbe rimasto fermo a farsi catturare. Andava a caccia di cibo e probabilmente stava cercando di svincolarsi da loro.

Era comunque frustrante e nessuno lo avrebbe mai negato.

Dopo tre giorni, Ivan si esaurì.

«Ci sta facendo girare solo alla cieca.» borbottò, e nel silenzio rotto solo dai loro passi la voce risultò stranamente squillante.

«Non credo tu possa pretendere il cervo se ne stia lì buono ad attendere il nostro arrivo.» commentò l’Evocaluce, anche se dalla sua espressione si capiva che la pensava come lui.

«Lui dice di sentire il cervo. Non sta neanche più seguendo le tracce. Segue ciò che sente. Non mi sembra un buon modo di tracciare.»

Si girarono verso Aleksander, ex tracciatore, ma lui non commentò nulla. Avrebbe concordato se chiunque altro si fosse affidato all’istinto, ma si fidava ancora di Mal e delle sue abilità.

Quella sera si accamparono in una radura non proprio asciutta ma meno coperta di neve. Aleksander si costrinse a mangiare qualcosa controvoglia, poi si assopì contro un albero. Quando riaprì gli occhi, vide Mal in piedi tra due alberi che guardava qualcosa celato alla sua vista.

«Mal?» chiese con qualche complicazione fisica dovuta al freddo che gli aveva congelato la faccia anche se era coperta fino al naso dalla kefka.

Lui non rispose e allora si alzò e lo raggiunse, guardando davanti a loro.

Un cervo bianco rispose al loro sguardo. Un cervo bianco dall’impalcatura di corna più grande che avessero mai visto entrambi.

Non pareva turbato dalla loro presenza. Pareva, anzi, cercasse proprio loro, il che non aveva senso e insieme pareva averne.

Aleksander rimase a guardarlo senza riuscire quasi a respirare. Il cervo lo stava guardando, guardava proprio lui, dritto negli occhi. Mosse un passo verso di lui, poi un altro e un altro ancora. Sentì Mal chiamarlo alle sue spalle, ma non lo ascoltò.

Gli fu davanti e allungò una mano. Il cervo sbuffò, poi appoggiò il muso contro il suo palmo, e anche solo così sentì il suo potere, l’amplificazione del proprio potere, e sentiva che lo stava chiamando come un eco.

Sapeva che anche gli altri li stavano guardando ora. Non li vedeva, ma sapeva che c’erano. Sapeva che Alina si stava avvicinando a loro e sapeva di saperlo perché il cervo la vedeva.

L’Evocaluce fu accanto a lui e accarezzò il manto del cervo a piano. Sembrava ipnotizzata anche lei e Aleksander fu improvvisamente consapevole che renderlo un amplificatore avrebbe significato ucciderlo e lui non lo avrebbe mai fatto.

Aveva già ucciso dei cervi prima, ma non avrebbe potuto uccidere quel cervo. Non ci sarebbe riuscito, non quando lui lo stava chiamando, non quando il cervo lo aveva scelto per qualcosa.

Alina invece poteva farlo. Lei sarebbe riuscita, senza dubbio, e l’avrebbe fatto.

«Mi dispiace.» la sentì dire, poi una lama di luce colpì il cervo proprio all’altezza del cuore. Una ferita mortale, ma quando il cervo crollò era ancora vivo.

Lui crollò in ginocchio con lui, sentendo le lacrime scorrere lungo le sue guance senza saperne il motivo, e si trovò in mano quella che sembrava una lancia, o un pugnale dal manico lungo, qualcosa di affilato. Lo stava stringendo e altre due mani erano sulle sue; ai lati del suo margine visivo vedeva delle maniche dorate.

«Insieme, Aleksander. Otterremo questo potere insieme.»

Non poté sottrarsi alla stretta e insieme piantarono la lama nell’occhio del cervo. Il richiamo scomparve, così come la magia, il potere, ogni cosa.

Aleksander si sentì svuotato. Sentì il freddo duplicato, come se si fosse spento un fuoco caldo che lo aveva rianimato dopo giorni in cui non aveva sentito nulla.

Solo le sue mani erano calde. Calde per del sangue cremisi sulle sue dita. Sangue di un innocente.

Soffocò un singhiozzo. Aveva già lasciato andare l'arma, ma non ricordava di averlo fatto.

Il volto di Alina fu davanti al suo. Gli prese il volto rigato da lacrime ormai quasi ghiacciate tra le mani e disse: «Sei stato meraviglioso.»

«Non avrebbe dovuto morire.» disse lui, e la frase gli uscì roca. Aveva male alla gola, stava per piangere sul serio, sentiva il vuoto farsi strada in lui.

«Ormai è tardi, Aleks. Abbiamo però fatto il possibile e ora questo potere lo avremo entrambi. È stato un sacrificio necessario, purtroppo… o lui, o Ravka.»

Non seppe cosa accadde dopo. Fu Mal a tirarlo in piedi e a portarlo via dal corpo del cervo, che lui continuava a guardare anche dopo che gli alberi gli coprirono la visuale. Quando si guardò intorno, vide che gli zaini di alcuni soldati si erano ingranditi, e capì forse collegando parole che aveva sentito senza comprenderle subito che avevano preso dei pezzi di corna del cervo.

Non seppe come sentirsi a riguardo. La sensazione di vuoto permaneva e se ancora non lo aveva avvolto totalmente era perché Mal continuava a tenerlo stretto, come avesse paura potesse cadere e non rialzarsi mai più.

Per tornare al campo base recuperando chiunque altro ci sarebbero voluti almeno un paio di giorni. Quella sera si accamparono e Aleksander crollò vicino al fuoco appena esso venne acceso.

Fu Alina ad assisterlo a mangiare, visto che lui pareva incapace di reagire a qualunque cosa, poi gli parlò.

«So che fa male, Aleksander. So che ti senti vuoto e solo. Ricorda però questo: non sei solo. Sei con me e con noi. C’è anche Malyen.»

«Mal ha paura di me. Se ne vuole andare.» disse lui, le parole piatte. In un altro momento avrebbe pianto.

Si chiese se Mal aveva sentito quelle due frasi e si sentì un po’ in colpa, ma non era forse la verità?

«Io non me ne andrò, lui faccia quel che vuole.»

Della luce calda comparve tra loro e Aleksander si sentì leggermente più tranquillo. Alina la tenne accesa finché lui non si fu addormentato: quando si svegliò, si sentì un po’ meglio.

Lei era appoggiata a lui, contro la sua spalla destra, ma non si sorprese tanto per quello.

Anche Mal aveva dormito appoggiato a lui, dall'altra parte. Si chiese il motivo, visto che due giorni prima lo aveva guardato come fosse stato un mostro per aver tagliato in due una persona e aveva detto se ne sarebbe andato, ma si chiese anche come avesse convinto Alina a farlo stare lì.

Non sapeva nulla di entrambe le cose e non chiese nulla a nessuno dei due, neanche quando si svegliarono.

Proseguirono a ritroso, recuperarono gli uomini rimasti e alla fine riuscirono a tornare alla locanda, dimezzati in numero ma ben vivi i superstiti.

Appena furono davanti all’entrata Mal corse dentro in cerca di calore serio. Aleksander fece per imitarlo, ma una mano sulla spalla lo fermò.

«Aspetta. È meglio se ci togliamo subito il pensiero. Aspetta nella carrozza: vado a prendere David.»

Lui lo fece. All’interno c’era freddo come fuori e si sfregò le mani per cercare di scaldarsi. Qualcuno aprì la porta della carrozza, ma ad aprire non fu David o Alina.

«Che ci fai qui? Credevo fossi entrato.» disse Mal, affacciandosi alla porta.

«Sto aspettando l’Evocaluce.»

Lui si adombrò. «Siamo appena arrivati, vi volete già appartare?»

«Mal, è quasi più freddo qua dentro che fuori.» fece Aleksander. «Sarò anche un Grisha, ma sono abbastanza certo che le funzioni vitali siano le stesse che hai te.»

Mal lo fissò un momento, poi si passò una mano tra i capelli, guardando altrove. Aleksander lo fissò un momento e chiese: «Dove andrai ora?»

«Non lo so. Continuerò ad essere un tracciatore, suppongo.»

«Spero lo farai. Sei il migliore tracciatore che esista.»

«Ah, ecco perché non ti vedevo dentro, Malyen.» disse una voce da fuori. «So che sei appena un po’ geloso, ma ti garantisco che non userei una carrozza fredda nemmeno per morire per assideramento.»

«Quelle sono le corna del cervo.» disse Mal ignorando ciò che aveva detto.

«Queste corna amplificheranno il potere di Aleksander. Lo amplificheranno tanto da distruggere la Faglia, che tu ci creda o no. Prima però dobbiamo mettergliele. La tua presenza non è obbligatoria, quindi o ti fai da parte o entri e ti siedi.»

Mal rimase fermo qualche secondo, poi si girò e salì sulla carrozza, sedendosi accanto ad Aleksander. Alina lo seguì, sedendosi davanti a lui, poi entrò David.

«Non c’è molto spazio per lavorare.» disse quest’ultimo, formulando la frase più lunga che il Grisha gli avesse mai sentito pronunciare.

«Che spazio ti serve?» chiese la donna.

«Spazio perché si possa girare.»

«Siediti accanto a lui. Malyen, al mio fianco.»

I due si scambiarono di posizione, poi Alina diede a David due pezzi di corna.

«Ti dovresti togliere la Kefka e girarti così da darmi le spalle.»

Aleksander eseguì e si mise l’indumento in grembo. Faceva freddo, ma era abbastanza teso da non sentirlo nitidamente.

David posò le due ossa ricurve sulle sue clavicole, uno per parte, e mormorò: «Tienile in posizione.»

La Kefka gli sarebbe caduta se lo avesse fatto, ma Mal rispondendo a una tacita richiesta gliela tolse dalle gambe e se la mise sulle spalle. A quel punto strinse le due estremità delle corna, che si chiudevano verso l’interno: sentì il potere aumentare di colpo al solo tocco, ma lo tenne a bada.

Poi sentì David inspirare bruscamente ed ebbe la sensazione di sapere cosa stava facendo: i frammenti di osso si spostavano, fondendosi tra loro, unendo le due parti.

Come un collare che non avrebbe mai più potuto togliere. L’idea lo agitò, facendogli sudare le mani.

«Fatto.» disse infine. Alina osservò Aleksander con attenzione, poi disse piano: «Posso?»

Aleksander non sapeva cosa voleva fare ma annuì e lei posò una mano sulla sua spalla.

Udì un comando silenzioso dentro di lui. “Buio.”

Ed esso fuoriuscì dal suo corpo, riempiendo la carrozza, espandendosi oltre ancora. Aleksander rimase senza parole, troppo stupito per fare qualcosa, anche quando i comandi silenziosi furono “di più”.

Il potere del cervo si incrociò con il suo e lei lo fece evocare oltre i suoi limiti, oltre quello che lui fosse mai riuscito a fare prima, troppo per lui e per il suo corpo. 

Si sentiva sopraffatto e si ritrovò a supplicare che tutto quello finisse. Una tacita supplica.

“Basta”.

Alina lo lasciò andare. Il buio si ritrasse e i quattro si ritrovarono avvolti dalla luce esterna. Fuori sembrava fosse calato il silenzio. Aleksander si chiese, per la prima volta spaventato, se avessero distrutto tutto fuori, anche se quella evocata era oscurità totalmente intangibile.

Mal era pallido come un morto. Rifletteva la paura che aveva provato anche lui, pur fidandosi di Alina. David invece lo guardava con un interesse quasi accademico.

«Domani partiremo per la Faglia.» disse Alina lentamente. I suoi occhi brillavano di una brama che lui non aveva mai visto prima nel suo sguardo. «Fino ad allora, siete liberi.»

Uscì dalla carrozza, seguita da David, lasciando Aleksander e Mal da soli.

Aleksander si era messo a tremare, non sapeva neanche lui il motivo. Non chiese la sua Kefka a Mal, ma tirò fuori una mano. Voleva evocare anche la più misera palla di buio, temeva di non riuscirci.

La sua mano rimase vuota. Ci riprovò, richiamò il buio, ma si sentiva come i primi giorni. C’era, ma non usciva.

Guardò Mal e disse, cercando di sdrammatizzare una situazione che sentiva lo stava portando al collasso: «Beh, credo… credo tu ora abbia quello che speravi. Sembra proprio io ora sia un senza poteri.»

Non riusciva ad evocare. Non poteva, forse. Alina aveva avuto ragione: lui non aveva più il controllo sul suo potere.

«Io non ti volevo senza poteri.» disse Mal facendogli alzare lo sguardo, caduto sul pavimento della carrozza. «Io ti volevo solo felice… Con me, intendo. Tu però eri felice con loro, non con me, vero?»

Non c’entrava nulla. Quello che diceva non aveva senso alle sue orecchie, a sé stesso. «Non è vero, io… Io sono felice con tutti e due voi, Mal. In questi giorni ho avuto sia te che lei, e io… mi sono sentito per la prima volta completo.»

E ora non era più completo. Non aveva più quella parte di sé.

Non riuscì a soffocare un singhiozzo. Non sapeva più se ne era valsa la pena.

Poi Mal si sedette accanto a lui, mettendogli metà della Kefka oltre la spalla, e lo abbracciò. Ci provò, almeno, poi lo sentì dire: «Ste corna stanno cercando di prendersi la mia gola.»

Aleksander rise tra le lacrime. Sapeva che comunque se ne sarebbe andato, sentiva lo avrebbe fatto.

Forse ora dell’arrivo alla Faglia avrebbe proprio perso sé stesso.

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