Capitolo 18
Entrarono nella zona della Tsibeya un paio di giorni dopo e presto si ritrovarono ad abbandonare i cavalli per procedere a piedi.
Aleksander era già stato in quella zona prima, così si strinse nella Kefka calda e rimase ad osservare con Mal i Grisha e i soldati lamentarsi del freddo, della maledetta neve e tanto altro ancora.
«Sbaglio o quell’abito da Grisha sembra caldo?» fece Mal osservando l’amico.
«Non sbagli, tiene un bel calduccio.» rispose Aleksander guardandolo con un sorriso divertito.
«Ne vorrei uno anche io.»
«Mi dispiace, ma solo i Grisha possono avere abiti da Grisha. Sono anche antiproiettile, quindi se qualcuno ti spara provvederò a farti da scudo.»
«Non tirartela troppo.» ribatté Mal dandogli una spallata.
Aleksander sospettava Mal non accettasse davvero che ora lui non fosse più il ragazzetto indifeso che gli stava appiccicato quasi tutto il tempo. Lo sospettava e lo ignorava, perché aveva trascorso due giorni sereni con lui e con l’Evocaluce (Alina, anzi) e non voleva che dei pensieri simili gli rovinassero l’umore.
Si erano fermati nell’ultima locanda disponibile il giorno prima e avevano lasciato lì i loro mezzi, metà dei loro uomini e anche David, insieme a Fedyor. Ad essere al centro del gruppo di soldati ora erano solo in quattro: Aleksander, Mal, Ivan e Alina.
Nessuno di loro aveva parlato arrivando lì, né nessuno di loro parlò quando quel giorno ripartirono.
Almeno, nessuno parlò per le prime ore, poi Aleksander si stufò di arrancare nella neve e basta e si mise a confrontarsi con Mal sulle tracce attorno a loro: impronte di conigli, scoiattoli, volpi, cervi.
Nessuna apparteneva al cervo di Morozova. Alla fine Mal sapeva cosa l’avevano mandato a cercare e Aleksander si chiede perché avesse pensato il contrario: non poteva cercare qualcosa senza sapere cosa fosse.
L’istinto di Mal li mandava nella stessa direzione indicata da Alina, sempre più verso i ghiacciai e i pendii montuosi.
Quelle chiacchierate furono di certo utili per procurare cibo al gruppo. Fu l’Evocaluce a dare quell’ordine: se i due avessero visto tracce recenti di animali commestibili, valeva la pena cacciarli.
Aleksander non era granché come tracciatore, ma riuscì comunque a trovare un paio di conigli. Mal trovò un intero branco di cervi che creò il caos tra i soldati che volevano prenderli anche solo come intrattenimento.
Fu un paio di giorni dopo che Mal e Aleksander videro nello stesso momento un’impronta del tutto diversa. Un’impronta umana, ben calcata nel terreno, fatta da qualcuno che indossava suole piatte diverse da quelle dei loro stivali.
«Fjerdiani.» disse Aleksander, facendo girare Alina verso di loro.
«È recente.» aggiunse Mal. «Ne sono certo. Hanno coperto le altre così da vedere che tipo di individui c’era nel nostro gruppo.»
«Volevano vedere se c’erano tracciatori?» chiese Alina fissando Mal.
«Vogliono. Fino a poche ore fa nevicava, non sono lontani da qui.» rispose lui.
«Ci stanno inseguendo. Siamo ancora a Ravka.» fece Aleksander. Guardò i soldati, fermi attorno a loro e zitti mentre li ascoltavano parlare.
«Vogliono essere sicuri su come agire per riuscire a prendere l’Evocatenebre.» commentò Ivan dicendo ciò che pensavano tutti.
Poi Aleksander udì un suono lieve e tutti i soldati all’esterno crollarono sul manto nevoso, tingendolo di rosso.
Gli Fjerdiani erano maledettamente abili nel mimetismo e in quel momento tutti si accorsero del fatto. Mal imbracciò il fucile che aveva portato in spalla da quando erano partiti da Os Alta e mirò ai Fjerdiani che si avvicinavano troppo.
I soldati iniziarono a combattere. I Grisha iniziarono a combattere. Aleksander si buttò a terra ed evitò per un pelo un dardo: lo fjerdiano che aveva cercato di ucciderlo si portò subito le mani al petto e crollò a terra morto, Ivan alle spalle che stava già per occuparsi di altri nemici.
Uno fjerdiano li attaccò corporalmente e Aleksander gli si parò davanti, oscurandogli la visuale, rubandogli un fucile e uccidendolo sul colpo.
Mollò tutto appena il buio di dissipò. Vide più in là molti fjerdiani morti decapitati e Alina che scagliava il Taglio contro chiunque cercasse di ferire lei o i suoi uomini. Se mai aveva dubitato della sua lealtà verso chi non era Grisha, dovette rimangiarselo.
Poi vide uno fjerdiano tra lui e Mal che strappò il fucile all’amico e lo mandò a sbattere contro un tronco. Non badò a lui: Mal era uno scarafaggio ai suoi occhi ed era più facile da uccidere.
Mal parò il primo pugno e lo restituì, colpendo il nemico sul naso. Lui in risposta lo colpì allo stomaco, poi lo obbligò contro il tronco con una mano mentre con l’altra sfoderava un pugnale.
Aleksander non si rese conto di aver evocato finché non vide buio attorno a lui. Non si rese neanche conto di aver evocato il Taglio finché non lo scagliò contro il nemico.
Lo tagliò in due, e tagliò anche l’albero da parte a parte, appena sopra la testa di Mal. Lui si scostò, anche se non poté evitare di bagnarsi di sangue fjerdiano.
Guardò Aleksander e non lo fece con la gratitudine che il Grisha si aspettava.
Lo fece con l’orrore di chi aveva appena visto tagliato in due un uomo con una lama d’ombra.
Girandosi entrambi verso gli altri del gruppo, videro che la battaglia era finita. Non c’erano fjerdiani rimasti vivi e molti soldati erano morti. Nessun Grisha, che Aleksander potesse vedere.
«Dobbiamo sbrigarci a trovare il cervo.» affermò Alina, riemergendo dagli alberi. Aveva la Kefka costellata di gocce di sangue. «Questi li abbiamo trovati e fermati perché ci hanno lasciato una traccia loro, non è il caso di essere colti di nuovo di sorpresa. Meglio se procediamo.»
Si rimisero quindi in cammino, lasciando i corpi in balia del tempo. Aleksander si ritrovò turbato da quel fatto, ma fu ancora più turbato dal silenzio e dalla distanza che Mal mise tra loro.
«Mal, va tutto bene?» chiese dopo un po’ che camminavano con un silenzio gelido tra loro. Si era ripulito dal sangue almeno il volto, lasciando tinti di rosso solo i vestiti.
«Puoi tagliare in due le persone.»
Non girò attorno al punto della questione e prese alla sprovvista Aleksander. «Beh, sì, mi hanno insegnato a farlo.»
«Credevo l’oscurità fosse intangibile.»
«Lo è. Serve impegno per renderla tangibile o renderla una lama.» fece lui senza capire. Guardando Alina, si accorse che aveva girato la testa così da sentirli.
«Hai tagliato un uomo in due. Con il tuo potere.»
«Se avessi usato una spada, sarebbe cambiato qualcosa?»
«Credevo nonostante il tuo potere tu fossi ancora indifeso. Non pensavo fosse un potere d’attacco. Forse ora sei migliore di me.»
Aleksander aggrottò le sopracciglia. «Ma di cosa stai parlando? Stava per ucciderti, che avrei dovuto fare, lasciarti crepare?»
Mal non rispose. Parlò con lui solo quella sera mentre Aleksander osservava la foresta avvolto nel buio.
«Aleksander.» disse Mal portandolo a mostrarsi a lui.
«Vi aiuterò a trovare il cervo perché credo di dovervelo, ma appena torniamo indietro io vi lascerò. Non è il mio posto qui.»
“Non è più il mio posto qui con te”. Aleksander sentì quella frase accoltellarlo.
«Va bene… Se questo è ciò che desideri, non ti impedirò di andartene.» disse lui, chiedendosi se dal suo tono si sentisse la sua supplica di restare con lui.
Si era sentito felice con lui insieme a sé, come avrebbe potuto lasciarlo andare?
Quando entrò nella tenda per dormire, Aleksander trovò Alina seduta ad aspettarlo. Aveva ripulito la Kefka in qualche modo, notò mentre si sedeva davanti a lei.
«Ti devo dire una cosa. Non te l’ho detta prima perché temevo la tua reazione, ma preferisco mettere tutte le carte in tavola prima di trovare il cervo.»
I loro occhi si incontrarono e Aleksander si preparò a una brutta notizia. Era certo dovesse essere brutta, totalmente certo.
«Se dovessi essere io ad uccidere il cervo e tu mettessi le corna come amplificatore, io probabilmente potrò controllare i tuoi poteri. Questo te l’ho già detto, ma non credo di averti detto tutta la verità… Forse potrai evocare la buce e io il buio, ma in realtà è molto probabile tu non possa più evocare a quel punto.»
Aleksander sbatté un momento gli occhi, non sicuro di aver sentito bene. «Cosa?»
«Nessuno ha mai fatto una cosa del genere. Non me la sento di escluderlo: potresti non poter mai più evocare. Non da solo. Non sappiamo cosa accadrà… è meglio prepararsi al peggio. Chissà, magari non evocherò nemmeno più io.»
Si chiese se non gliel’avesse detto perché avrebbe potuto rifiutare di andare. Avrebbe rifiutato, lo avesse saputo prima? Difficile a dirsi. Ormai era lì, non avrebbe potuto dire di no.
Forse Mal non si sarebbe sentito così se lui fosse stato di nuovo normale. Se fosse stato capace di evocare solo con lei.
Avrebbe voluto tenersi sia lei che lui, si rese conto. Possibile questo non fosse fattibile?
Annuì, anche se i suoi pensieri erano altrove, e si sdraiò. Era stanchissimo, ma riuscì ad addormentarsi e a prendere una pausa dai suoi pensieri solo dopo alcune ore.
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