Capitolo 17

Dopo diversi giorni in cui Aleksander non poté fare altro che dormire e rigirarsi i pollici nella carrozza, finalmente decise di assecondare una proposta che Mal gli aveva sfacciatamente proposto il giorno successivo alla chiacchierata tra lui e l’Evocaluce e decise di cavalcare accanto a lui, appena dietro alla carrozza così da non essere in pericolo. Non aveva questa immensa voglia di parlargli, ma non ne poteva più di annoiarsi lì dentro.

Decise di non indossare la Kefka: per quanto pericoloso, quella avrebbe solo attirato l’attenzione su di sé. Mal parve più a suo agio quando lui montò su un cavallo senza indossarla e vestito come il tracciatore che era stato un tempo.

Infine il gruppo ripartì e i due fecero partire i loro cavalli. Per un momento Aleksander poté chiudere gli occhi e sentirsi come mesi prima, come se nulla fosse successo, accanto a Mal.

Mal, che aveva detto di non essere suo amico. Mal, che non gli aveva mai scritto.

Aprì gli occhi e si girò a guardarlo.

Anche Mal lo stava osservando, prima senza dire nulla, poi quando distolse lo sguardo riuscì a dire: «Sei cambiato.»

«Anche tu.» rispose Aleksander. Non era vero, lui era esattamente come lo ricordava, solo il suo atteggiamento era cambiato.

Per un po’ rimasero in silenzio. Il grisha ascoltò pezzi di conversazioni dei soldati attorno a lui e osservava insieme la carrozza. Ripensò al litigio tra Ivan e l’Evocaluce e gli venne da ridere: chissà come se la stavano cavando lei e David ad avere lui e Fedyor lì dentro.

«Quindi… Evocatenebre.»

La voce di Mal lo riportò su di lui. «Cosa?»

«Sei un Grisha. Un Evocatenebre.»

«È così, sì.»

«Perché non me l’hai detto?»

Aleksander non rispose immediatamente. Perché non gliel’aveva detto? Perché aveva paura del suo potere. Aveva paura della reazione di Mal, considerato che lui odiava i Grisha. Perché non voleva restare da solo, pure.

«Avevo paura del mio potere e… E ho preferito sopprimerlo. L’ho nascosto a tutti.» disse alla fine con una facilità che sorprese lui per primo.

«Cos’è cambiato?»

Aleksander lo fissò un lungo momento, poi rispose con un’altra domanda: «Ti dà fastidio che io sia un Grisha?»

«Sono solo un insetto a confronto di chiunque in questo gruppo. Era meglio essere insetti in due.»

«Se fossi stato un insetto, saremmo morti entrambi nella Faglia di luce mesi fa.»

«Forse lo avrei preferito.»

Aleksander gli rivolse un’occhiata dura che nascondeva una ferita profonda, ma Mal riprese a parlare: «Del resto però ora ti vedo vivo davvero. In salute. Sei sempre tu.»

«Non è che sono posseduto.» fece Aleksander.

«Ero certo lo fossi, in effetti. Che ti avessero fatto il lavaggio del cervello, che te lo avesse fatto lei… immagino però mi stessi sbagliando.»

Fece un respiro profondo, poi disse: «Ti devo delle scuse, Aleks. Per averti trattato a quel modo, per non averti scritto, per… per averti portato ad infierire su sé stesso. Mi dispiace.»

«Lo dici perché lo pensi davvero, o perché l’Evocaluce ha deciso che dipende da me se tu vivi o muori?»

Aleksander guardò Mal e lo vide distogliere lo sguardo. «Non avrei dovuto dirlo. Sapevo che ti avrebbe fatto stare male, eppure… lo volevo. Volevo farti stare male come ero stato male io. Sono stato uno stupido.»

«Io ci ho messo uno o due mesi a sbloccare il mio potere. Ho sofferto fino ad allora. Credevi davvero di aver sofferto solo tu?»

Mal lo guardò. Sì, lo aveva pensato, pur conoscendolo da così tanto tempo. Aleksander sospirò, senza sapere cosa dire.

«Lo posso vedere?»

Mal lo guardava con curiosità mista ad imbarazzo.

«Puoi vedere cosa?»

«Il buio.»

Aleksander lo osservò un lungo istante, poi alzò una mano e dell'oscurità si alzò dal suo palmo, come una fiamma nera. Sentì lo sguardo degli altri soldati addosso mentre lo faceva e subito la fece svanire, prima che i suoi poteri attirassero lo sguardo più della Kefka.

Mal lo guardò un lungo momento, poi disse: «Cavoli. Mica male.»

E Aleksander si ritrovò a sorridere, quasi a ridere della sua espressione. Avrebbe voluto strangolarlo per averlo fatto soffrire prima di fare quell’espressione lì all’idea che lui avesse delle abilità.

«In questo momento ti vorrei strangolare.» disse senza riuscire a non sorridere.

«Non puoi. Vi servo.»

«Potrei comunque buttarti giù da cavallo.»

Si guardarono e Aleksander si sentì come se non fosse successo nulla. Come se non ci fossero stati tutti quei problemi intermedi, come se Mal non lo avesse insultato a quel modo.

Così gli chiese com’erano andati quei mesi, e Mal raccontò di episodi di caccia nei boschi, di combattimenti corpo a corpo (e come prova di questo mostrò una brutta cicatrice sul braccio, appena sotto alla spalla), di belle donne nei paesini, del viaggio per arrivare a Os Alta quando era stata richiesta la sua presenza.

Aleksander gli raccontò del Piccolo Palazzo, di Baghra («Quando mi ha detto che non era porto per non Grisha quello, mi sono davvero sentito come uno scarafaggio.» fece Mal quando capì di chi stava parlando), di Botkin, dei suoi allenamenti, di Genya, tralasciando la sua relazione con l’Evocaluce e le sue richieste.

Quel giorno le ore volarono e la sera, come era spesso successo nei loro anni di amicizia, Aleksander preferì un po’ di solitudine. Sentiva che un peso si era finalmente tolto dal suo petto e, mentre camminava, realizzò che aveva desiderato il ritorno di Mal anche quando gli aveva spezzato il cuore.

«Ti sentivo ridere dalla carrozza.»

L’Evocaluce lo raggiunse. Non fu sorpreso l’avesse visto nonostante si fosse coperto di buio: ricordava che qualcuno aveva detto la frase “dal simile al simile” riferito all’evocazione di buio e luce e gli pareva sensato che funzionasse come una bussola.

Del resto anche lui l’aveva sentita arrivare.

«Mal mi ha ricordato certi vecchi episodi di quando eravamo tracciatori insieme.» rispose sedendosi su un tronco e lasciando che l’oscurità si dissipasse.

«Momenti felici?»

«Abbiamo fatto molte idiozie, mi è piaciuto ricordarle.»

L’Evocaluce si sedette accanto a lui. Sentì i suoi occhi scuri scrutarlo, poi disse: «Avete fatto pace?»

«Si è scusato. Non so se l’ho perdonato del tutto, ma mi sento il cuore più leggero.»

«Capisco.»

Quella risposta era stata secca, quasi irritata. Aleksander guardò la donna, che aveva distolto lo sguardo, poi un dubbio si insinuò nella sua mente e si ritrovò a chiesere: «Sei gelosa?»

«Gelosa?» fece lei prima di sorridere. Un sorriso autentico che bloccò la sua ragione per una manciata di secondi. «No che non sono gelosa, mi chiedo solo se si merita il tuo perdono.»

«Lo scopriremo, suppongo.»

Rimasero un momento in silenzio e Aleksander ricordò l’ultima conversazione con Baghra. Poteva ora chiedere quelle cose, forse.

Per un momento valutò di chiamarla per nome, ma alla fine decise di mormorare solo la domanda. «Ti posso chiedere una cosa?»

Lei si girò verso di lui. «Sì?»

«Prima di partire, Baghra ha evocato davanti a me. Ha evocato luce. Lei… Lei è tua madre, vero?»

Dall’espressione spaventosa che le attraversò il volto, Aleksander si chiese se non avesse osato troppo a chiederglielo, se non l’avrebbe semplicemente ucciso per quella domanda. Poi chiuse gli occhi e respirò profondamente.

«Sì, è mia madre.» disse alla fine. Per un momento non disse altro, poi lo guardò. «Dì il mio nome.»

«Cosa?»

«Dì il mio nome e garantiscimi che posso fidarmi a dirti tutto. Dì il mio nome e garantiscimi che se ti dirò i miei segreti, tu li custodirai.»

Aleksander rimase spiazzato da quella furia, poi si addolcì.

«Ti puoi fidare di me. Sai che puoi, Alina.»

Non sapeva se avesse pronunciato quel nome ad alta voce prima. Non ricordava se lo aveva ripetuto la notte che erano stati insieme. Sapeva che quel nome suonava bene pronunciato da lui.

Alina posò la testa sulla sua spalla e disse: «Sono io l’Eretico Bianco. Sono stata io a creare la Faglia.»

Esitò un momento, poi aggiunse: «Ho creato la Faglia per errore. Ho fatto uno sbaglio madornale. Ecco perché per me è importante rimediare a quello sbaglio… Ho condannato i Grisha e ho condannato Ravka. Non volevo questo accadesse. Ora grazie a te posso rimediare.»

Per un momento il silenzio regnò su di loro. Aleksander registrò quelle informazioni con lentezza, prima pensando che fosse un’idiozia, poi con l’impressione che non lo fosse affatto.

«Credevo l’Eretico Bianco fosse un uomo.» gli uscì alla fine dalla bocca.

Lei sbuffò dal naso, come fosse una risata. «Si passa più inosservati a cambiare il sesso, no?»

Aleksander la guardò. Non scherzava, non lo stava prendendo in giro.

«Se sei l’Eretico Bianco,» disse con lentezza, «Allora dovresti avere circa cinquecento anni.»

«Sì.»

«Non li dimostri. Non li dimostra neanche Baghra.»

«Baghra ha il doppio dei miei anni, sai?. Il vantaggio di avere delle capacità così sviluppate e potenti, è l’essere longevi.»

Aleksander rimase a fissarla per un lungo momento, poi disse: «Credo tu sia un po’ vecchia per me.»

Alina scoppiò a ridere, presa alla sprovvista da una battuta che era insieme anche la verità.

«Se ti dà fastidio, posso lasciarti in pace.» disse alla fine, il sorriso ancora sul volto.

«Probabilmente dovrebbe, ma no, non mi dà fastidio.»

Lei staccò la testa dalla sua spalla e lo guardò, poi mise una mano sulla sua nuca e avvicinò i loro volti.

Lo baciò, prima a piano, esitante, come se temesse lui si sarebbe potuto fare indietro (anche se Aleksander non lo avrebbe mai fatto, e lo sapevano entrambi), poi lo approfondì e lui si sentì apposto con sé stesso e potente come solo un amplificatore e come solo lei poteva farlo sentire.

«Se vuoi possiamo proseguire nella tenda.» sussurrò Alina quando si staccarono per riprendere fiato.

«Non hai fatto la paternale ad Ivan perché lui e Fedyor hanno fatto quel che vuoi fare tu ora?» chiese lui, mezzo stordito.

«Non ho mai detto che avremmo fatto sesso, ma se l’idea di intriga possiamo comunque farlo e fregarcene dei commenti esterni.»

L’imbarazzo lo avvolse come una coperta, facendogli sentire caldo. «Non credo di volere pettegolezzi.»

«Allora faremo in modo che non ne nascano.»

Lo prese per mano e lo fece alzare, poi gli sorrise e lo condusse al campo. Lui la seguì, sorridendo e sentendosi per la prima volta completamente felice.

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