Capitolo 16
La mattina della partenza, Aleksander fece una valigia. In realtà chiamarla così era forse un po’ esagerato, era una borsa con poche cose dentro, principalmente abiti. Ci aveva ficcato dentro anche il tagliacarte, ma era lì solo perché non aveva armi sue e non si fidava delle sue abilità di autodifesa insegnate da Botkin. Lui le sapeva applicare perfettamente, Aleksander no.
Avrebbe viaggiato sulla carrozza dell’Evocaluce fin dove possibile, poi sarebbero andati avanti o con i cavalli o a piedi, anche se era molto più probabile quest’ultima ipotesi. L’idea di starsene seduto lì dentro per giorni non lo allettava molto, ma almeno non avrebbe dovuto cavalcare.
Il cocchiere, un Chiamatempeste che non aveva mai visto prima, lanciò la sua borsa sopra la carrozza con una finezza inesistente e ringraziò di aver avuto dentro solo vestiti.
Fu salendo sulla carrozza che ebbe la vera sorpresa.
«David?» chiese stupito vedendo il Tempratore in un angolo della carrozza, un libro in una mano e un lungo oggetto metallico nell’altra. Lui sobbalzò alla sua voce: sembrava parecchio a disagio lì dov’era.
Si sedette accanto a lui appena qualcuno spinse per entrare. Era Ivan, che sembrava irritato per qualche motivo.
«Perché non può stare qua anche Fedyor?! A che serve essere due guardie del corpo se poi ci devi dividere così?!» sbottò a qualcuno di fuori.
«Primo, perché non c’è posto sulla carrozza.» disse la voce dell’Evocaluce da fuori. Aleksander la guardò entrare e sedersi accanto a lui, poi aggiunse: «Secondo, perché non voglio vedervi pomiciare di nuovo nella mia carrozza mentre dormo.»
«Quella era stata un’idea di Fedyor.» disse Ivan, e l’Evocatenebre si sorprese di vederlo imbarazzato.
«Dovresti già ringraziarmi che vi porto dietro tutti e due. La tenda però lontana dalla mia, che certe cose non voglio sentirle.»
David sembrava voler sprofondare dall'imbarazzo a quel discorso e anche Aleksander guardò fuori dalla carrozza con insistenza.
«Non so cos’abbia sentito quella volta ma garantisco che di sesso in accampamento non ne abbiamo mai fatto.» disse infine Ivan. L’Evocaluce sbuffò e tornò fuori.
Nessuno dei tre disse nulla su ciò che era appena stato detto, poi la donna rientrò e chiuse la porta della carrozza. Nel giro di cinque minuti partirono e iniziò il lungo viaggio.
Fu massacrante. Erano viaggi noiosi anche quelli con persone che si conosceva bene, ma in quella carrozza Aleksander non riusciva a spiccicare parola con nessuno dei presenti. Non riusciva a parlare con l’Evocaluce, avvolta nella Kefka complementare alla sua, né certamente con Ivan che a volte apriva il finestrino per dire qualcosa a Fedyor, di guardia alla carrozza.
Parlò solo con David, e solo per chiedere se poteva leggere il libro che aveva portato. Era un manuale sui metalli, ma lo trovò comunque più interessante che restare a fissare il vuoto.
Quando finalmente la sera si accamparono, Aleksander ringraziò i Sankti. Scese per primo e si sgranchì le gambe con sollievo mentre le tende venivano montate in una radura in un bosco.
Non ne aveva una propria, scoprì quando chiese alle guardie dove avrebbe dormito. Come anche Fedyor e Ivan condividevano la stessa tenda, lui l’avrebbe condivida con l’Evocaluce per suo ordine.
Non seppe come interpretare la notizia, ma gli andava abbastanza bene. Nessuno sarebbe entrato nella tenda a disturbarlo.
Cenò attorno ad un fuoco con altri uomini, poi andò a fare due passi nel bosco buio, coprendosi di oscurità per non essere disturbato. Fu per questo che non venne visto da chi lo stava cercando.
«Aleks?» disse la voce di Mal dietro di lui.
Aleksander aveva dimenticato che era lì, tra le tende e la cena lo aveva scordato. Non rispose e rimase nel buio, coperto da altro buio.
Per un momento si chiese se si sarebbe messo a cercare le sue impronte. Lo avrebbe trovato senza problemi.
Non lo fece, sentì solo la sua voce.
«Volevo scusarmi per quel che ho detto. Non è vero niente, ero solo arrabbiato. Credevo mi avessi dimenticato e questo mi faceva infuriare.»
«Avresti dovuto calibrare meglio le parole.»
Aleksander si voltò. Ad aver parlato e ad aver espresso il suo stesso pensiero era stata l’Evocaluce, ben visibile grazie alla Kefka dorata.
Mal la guardò senza sapere che rispondere. Aleksander sapeva che probabilmente stava per dirle che la cosa non lo riguardava, ma lo sorprese.
«Lo so.»
Lei lo scrutò in silenzio, poi disse: «Io in te starei attento, tracciatore. Sarà Aleksander ad avere l’ultima parola sulla tua sorte, e per quanto ti scusi lui non dimenticherà il male che gli hai fatto. Do a lui la possibilità di risparmiarti, perché dipendesse da me ti farei seccare nella Faglia.»
Mal si irrigidì a quella frase, finché non riuscì a dire: «No, non lo faresti. Farebbe soffrire Aleks.»
«Anche le tue parole l’hanno fatto soffrire, ma forse non te ne sei mai accorto perché non lo hai mai visto quasi morto sul pavimento di un bagno, coperto di tagli sanguinanti.»
Quelle parole furono come uno schiaffo per Mal, Aleksander lo vide nella sua espressione. «Cosa?!»
«Che tu lo abbia fatto controvoglia o meno, in anni di amicizia avresti dovuto capire com’è fatto un tuo amico, non trovi? Avresti dovuto capire e sapere il peso delle tue parole su di lui, conoscendolo da tanto…»
«Lui non si è mai… Non si è mai tagliato con me.»
L’Evocaluce inclinò il capo. «Forse no, ma non serve tagliarsi per stare male.»
Mal non rispose. Non sapeva cosa dire.
Aleksander uscì dalle tenebre. Il ragazzo sobbalzò dallo spavento. poi cercò di parlare.
«Ho sentito tutto. Non ho alcuna voglia di parlarti stasera, Mal… Il viaggio è lungo, forse un giorno mi troverai più predisposto.»
Se ne andò, dirigendosi verso il campeggio. Si ritirò nella tenda bianca che c’era al centro e si tolse la Kefka. Si sentiva accaldato e stanco per il viaggio.
Si mise un cambio per la notte e mentre lo indossava l’Evocaluce entrò nella tenda. Non disse nulla e lui non aprì bocca a sua volta.
Si stese sul suo materassino, memore di tutti gli anni che aveva dormito in quel modo. Non aveva ancora dormito su uno di quelli con un corpo sano, si rese conto mentre si avvolgeva nella coperta.
La donna si tolse la Kefka, poi si sedette a gambe incrociate davanti a lui. Aleksander si girò a guardarla e rimasero così per un minuto buono, senza parlare, poi lei disse: «Lo perdonerai?»
«Non lo so.»
Lei annuì e si stese sotto le coperte nel materasso accanto al suo. Rimasero in silenzio, anche se Aleksander fremeva dalla voglia di chiedere delucidazioni su ciò che si erano detti lui e Baghra.
Poi sentì il suo respiro pesante e decise di non disturbarla oltre e di dormire anche lui. Ad arrivare a destinazione era ancora un lungo viaggio.
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