Capitolo 14

Aleksander ci provò a tirar dritto, a non guardarlo, a fingere che lui non ci fosse. Ci provò davvero, ma quando gli passò accanto non riuscì a fermare la sua lingua: «Mal.»

Aveva già fatto un paio di passi avanti quando si girò e si accorse che Mal si era fermato. Lo fissò, fermandosi a sua volta.

«Questo è tutto ciò che hai da dire? Il mio nome?»

Il tono con cui lo disse era arrabbiato. Ad Aleksander non era mai piaciuto sentire Mal arrabbiarsi neanche con gli altri e vederlo arrabbiato con lui lo fece irrigidire.

«Se c’è altro che vuoi che ti dica di preciso...» disse Aleksander cercando di calmare il suo cuore, «Me la puoi chiedere. Come hai sempre fatto.»

«Non osare dire una frase del genere. Non osare sottintendere che siamo amici.»

«Prego?» fece Aleksander, stavolta confuso.

«Mi hai mentito, sei sparito, non mi hai mai scritto una sola volta, tu non sei mio amico.»

Il vecchio Aleksander si sarebbe ritirato sotto una simile sfilza di accuse. Quello nuovo, pur con il cuore che minacciava di creparsi, gli rispose indietro. «Io non ho mentito a nessuno se non a me stesso, e se ti senti ferito che non ti ho detto che potevo evocare, forse è perché non hai pensato che magari la cosa terrorizzava me per primo. Secondo, le notizie girano e so per certo che tu sapevi dov’ero e le mie condizioni. Terzo, non mi hanno mandato le lettere per te, ma non voglio sentir accuse del genere da uno che non mi ha degnato di una riga.»

Mal guardò altrove, colpevole, e Aleksander si infuriò. «Come hai potuto non scrivermi?! Eravamo amici! Probabile che le lettere non mi sarebbero arrivare lo stesso, ma almeno provarci?!»

«Eravamo amici? Ne sei sicuro, Aleks? Perché io ho sempre visto un bambino frignone che cercava qualcuno a cui aggrapparsi, e io sono quello che è capitato a tiro.»

Quelle parole fecero più male di quanto avrebbe potuto fare una spada che lo trapassava da parte a parte. Mal proseguì: «Forse ero felice di essermi liberato di te. Hai pensato a questa possibilità, Aleks?! O eri troppo occupato ad aggrapparti all’Evocaluce? Bello spettacolino avete messo su insieme, sei magari anche già andato a letto con lei?»

«Chiudi il becco.»

«Oppure?! Io sono stato convocato qui, non mi puoi uccidere comunque.»

«E chi ha fatto il tuo nome, secondo te?!» ribatté Aleksander cercando di trattenere le lacrime. «Chi è che nonostante tutto ha creduto ancora nella nostra amicizia?!»

«Hai fatto tu il mio nome. Mi volevi rivedere così tanto?!»

«Sei il migliore tracciatore mai esistito, quale altro nome avrei dovuto fare?!»

«Sono qui per lavoro, quindi, non per vedere la tua faccia. Allora tolgo il disturbo.»

Se ne andò, lasciando Aleksander lì totalmente immobile, il cuore che non reggeva il carico di quelle parole.

Riprese a camminare verso il Piccolo Palazzo, ma alle porte ci arrivò correndo. Vide a stento altri Grisha, che fossero o meno all’entrata, e li ignorò. Qualcuno parve chiamarlo, ma lui corse verso la sua camera con una rapidità che nella sua vecchia vita non aveva mai avuto.

Nulla di quello che era successo quella sera lo aveva avuto quella sera. Non aveva mai avuto dei poteri. Non aveva mai avuto un fisico decente, un’abilità combattiva di base, degli amici Grisha. Non aveva mai avuto un possibile appuntamento con una donna, nemmeno.

Ma non aveva neanche mai avuti un litigio simile con Mal. Non aveva mai sentirsi definire come aveva fatto lui. Non glielo aveva mai detto, non gli aveva mai detto proprio nulla.

Era troppo doloroso per lui da reggere.

La porta della sua camera se la sbatté alle spalle. Si levò la Kefka e i vestiti rischiando di strapparli tutti e frugò nei cassetti. Trovò il tagliacarte che non aveva più toccato in quei mesi e si diresse in bagno.

Il primo taglio gli strappò un gemito.Le vecchie cicatrici gli erano state rimosse una sera da Genya e sembrava che con quell’atto gli avesse anche tolto la memoria del dolore che i tagli gli davano sulla pelle.

Questo non lo fermò. Ricordava le parole di Mal e per ognuna di esse si lacerò la pelle, cercando di tramutare quel dolore in qualcosa di gestibile.

Non si rese conto di essere scivolato a terra (forse di essere addirittura svenuto) finché non distinse qualcuno di fronte a lui. Qualcuno che gli strappò di mano il tagliacarte imbrattato di sangue e lo buttò lontano da lui.

Sentiva una voce, ma non capiva cosa diceva. Ci vedeva anche piuttosto sfocato e furono solo i colori che aveva davanti a fargli capire chi era.

Con una certa dose di ironia, Aleksander realizzò che quello non era proprio come l’Evocaluce avrebbe voluto passare un appuntamento. Vedendo lui che stava praticamente cercando di togliersi la vita.

«Aleks. Mi senti?»

Lui stavolta la sentì, ma la sua risposta fu un’altra. «Non chiamarmi Aleks.»

Quello era il nome che usava Mal. Quello era il nome con cui aveva detto di non volerlo come amico, probabilmente che non avrebbe mai voluto conoscerlo, pure.

Non voleva sentirlo usare più.

L’Evocaluce lo tirò in piedi a viva forza. Per un momento lui vide nero, poi tornò a vedere il bagno e spostò il peso sulle sue gambe. Guardò un momento la scena, poi sottrasse il braccio dalla presa della donna, tornò al lavandino e ficcò il braccio sotto il getto dell’acqua. Il dolore lo fece tornare in sé del tutto e realizzò cos’aveva fatto, chi era lì con lui, cos’era successo.

L’Evocaluce uscì dal bagno un momento e quando tornò vide che si era tolta la Kefka, restando con una camicetta, dei semplici pantaloni e degli stivali. Vestita come un comune Grisha.

«Credevo avresti avuto sotto qualche vestito reale.» finì a dire, e sperò lei interpretasse quella frase come un delirio dal sangue perso.

«Anche se vengo elevata per il mio potere, io sono come voi e mi vesto come voi. Non sono così speciale.»

Rimasero in silenzio, poi Aleksander disse: «Mi dispiace.»

«Di serate ce ne possiamo procurare altre. Anche di un altro tracciatore, se serve… Ho sentito la chiacchierata. Mi dispiace di non averti fermato prima che questo accadesse.»

Aleksander fissò il suo braccio e non disse nulla. Dopo un po’ lo tolse e lo tamponò con un asciugamano, poi aprì l’armadio accanto allo specchio e prese delle bende.

«Non è meglio se chiamo un guaritore?» chiese l’Evocaluce, per la prima volta incerta.

«Non lo so. Sono abituato così.»

«Domani ti farei vedere un guaritore, per stanotte va bene così. Siediti su quello sgabello, faccio io.»

Lui obbedì e si sedette su uno sgabello, chiazzato di rosso su una gamba per l’incontro con il tagliacarte. L’Evocaluce prese il rotolo di bende e iniziò a fasciargli il braccio a piano e con cura, finché tutti i nuovi tagli non furono scomparsi. La benda divenne subito rossa, ma Aleksander abbassò il braccio, noncurante.

Si alzò e oscillò leggermente per un capogiro, poi guardò la donna e disse: «Mi dispiace per il disturbo.»

«Non devi dispiacerti. Usciamo di qui, comunque, l’aria saprà meno di sangue lì.»

Uscirono così dal bagno. Aleksander si sedette sul letto, notando che la sua kefka era già stata spostata su una sedia. L’Evocaluce gli andò di fronte e gli prese le mani.

«Ascolta quello che ti sto per dire, Aleksander.» disse a piano. «Tu non sei un bambino che cerca la protezione di qualcuno. Se Malyen ti ha trovato un peso, quello è un suo problema: per noi non sei un peso. Non lo sei per me, soprattutto. Va bene?»

Aleksander la guardò, poi abbassò lo sguardo sulle proprie gambe. «No, aveva ragione. È che nessuno mi ha mai voluto, e quando Mal mi ha anche solo rivolto la parola io… Non l’ho voluto lasciar andare. Forse avrei dovuto.»

«Avrebbe dovuto parlartene lui, se non lo ha fatto è un coglione.»

Quella parola lo fece ridere. Era un termine così poco raffinato che era strano da sentir uscire dalla sua bocca.

«Inoltre,» proseguì, «Io non ti ho visto appiccicoso con nessuno. Riesci a videre come persona singola. Lui non ha idea di chi tu sia davvero, ma io lo vedo. Sei una brava persona, Aleksander, e sono felice di averti finalmente incontrato.»

Lo baciò di nuovo e, con sua sorpresa, si sedette a cavalcioni sulle sue gambe. La vide sorridere così da vicino che si chiese se non lo stesse immaginando, perché mai uno come lui avrebbe potuto vedere così da vicino una come lei.

Lo baciò di nuovo, una mano che gli accarezzava la nuca, giocava con i suoi capelli un po’ troppo lunghi, e lui la lasciò fare, una mano dietro di sé sulle coperte a sorreggerli, quella del braccio ferito appoggiata sul suo fianco.

«Vuoi che ci mettiamo più comodi?» chiese ad un certo punto, dopo quelli che potevano essere stati pochi minuti come un’ora intera.

«Non mi dispiacerebbe.» fece Aleksander.

L’Evocaluce si alzò per spegnere le luci e lui si stese sul letto, la testa sul cuscino. In genere dopo essersi martoriato le braccia dormiva come un sasso, sfinito, ma quella sera era incredibilmente sveglio.

La donna salì su di lui, a cavalcioni sul suo bacino. Le sue mani brillarono come qualche mese prima, sulla riva di quel ruscello, ma stavolta le sue mani accarezzarono il suo petto nudo. Lui rimase fermo a guardare, come stesse assistendo allo stesso spettacolo che avevano mostrato loro poco prima (forse ore, forse minuti).

«Confesso di essere felice di essere qui con te in piena forma. Ti senti meglio ora che evochi, rispetto a prima?» chiese lei.

«Molto.» rispose lui, e si accorse di pensarlo seriamente.

«Ne sono felice.»

Lo baciò ancora e da quel momento lui non realizzò più lucidamente cosa stava succedendo. Vedeva le mani luminose della donna muoversi su di lui, toccarlo dove nessuno (neanche lui stesso) aveva toccato, fare cose per cui probabilmente non sarebbe neanche riuscito più a guardarla in faccia senza ripensarci, se avesse ricordato tutto bene da lucido. Ma gli piacque ogni cosa, si sentì bene, felice.

Ciò che sapeva non avrebbe dimenticato fu un sussurro all’orecchio durante neanche lui sapeva che momento, probabilmente mentre era su di lui, attorno a lui, appena prima di decidere di dare piacere ad entrambi.

«Se vuoi, mi puoi chiamare Alina.»

~•~▪︎~•~

Sappiate che sono abbastanza certa in realtà che se hai perso così tanto sangue un'erezione non la potresti proprio avere in primis. Però siamo nel mondo delle fanfiction e credo abbiate visto cose meno... realistiche di questa.
Passiamoci sopra *wink*

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