Capitolo 13
Il giorno della festa d’inverno, Aleksander tentò di non alzarsi dal letto. Aveva realizzato la sera prima che avrebbe dovuto evocare seriamente davanti a un sacco di nobili e alla famiglia reale, persone che probabilmente non lo avrebbero neanche identificato con il ragazzino smunto di pochi mesi prima.
Non voleva andarci, così si tirò le coperte sopra la testa e rimase dentro il bozzolo di lenzuola finché Genya non fece irruzione nella sua stanza e lo buttò giù fisicamente dal letto.
«Avanti, dormiglione! È ora di alzarsi!» esclamò, e anche da dentro le coperte vide così tanta luce da rimanere accecato.
«Non voglio vivere questa giornata.» gemette senza dar segno di voler uscire di lì, nemmeno ora che era a terra. «Devo diventare famoso, devo rivedere Mal, non voglio!»
«E gli artisti di strada per cui hai richiesto la mia presenza? Non li vuoi vedere quelli?»
La testa di Aleksander sbucò oltre le coperte e oltre il bordo del letto e vide Genya sorridere. Aveva posato la kefka bianca sulla sua sedia, mostrando dei vestiti che doveva aver recuperato (e rubato) dal fondo dell’armadio della regina: molto eleganti ma non abbastanza eleganti per una regnante.
«Non ti darà problemi il non avere la kefka?» chiese Aleksander, decidendosi infine a districarsi dalle lenzuola.
«Poterla non mettere per qualche ora sarà una ventata d’aria fresca. Ora muoviti.»
«Cosa vedremo esattamente?» chiese Aleksander poco dopo mentre si infilava degli abiti comuni.
«L’allestimento e magari qualche prova. Non certo le belle cose che probabilmente ti aspetti, ma visto che usciamo un momento non mi lamenterei.»
Il sorriso fu complice. Pochi minuti dopo stavano gironzolando in mezzo a perfetti sconosciuti, senza che nessuno badasse a loro. Forse era meglio dire che non badavano ad Aleksander, perché molti fissavano Genya come stesse andando in giro la regina in persona, e lui stesso concordava con loro: era splendida.
«Forse non te l’ho detto, ma tra i due palazzi inizia a girare la voce che noi due stiamo insieme.»
Aleksander fissò Genya, le sopracciglie totalmente sollevate. «Noi cosa?»
«Non credo siano coscienti che a me piaccia qualcuno che non sei tu, ma spesso ci vedono insieme, quindi...»
«Se ti dà fastidio...» disse Aleksander esitante. Non voleva che non si vedessero più, ma lo avrebbe fatto se la cosa la infastidiva.
«Sono abituata ad avere pettegolezzi addosso, non ti preoccupare.»
Aleksander annuì mentre il suo sguardo si posava su un giocoliere che in una tenda faceva volare cinque o sei palline. Rimase un momento a fissarlo, ammirato, poi Genya lo tirò via.
«Comunque per stasera avrai un abito confezionato. Non è eccitante?»
«Credevo ci sarei andato in kefka.»
«Di certo non ti lasciamo andare in giro con quella che usi per gli allenamenti.» disse Genya senza rispondere alla domanda non detta del “cosa indosserò stasera?”.
Ci misero un’oretta a fare il giro perlustrativo, soprattutto per Aleksander che si fermava ad ogni persona che provava i propri esercizi. Di certo nessuno lo avrebbe preso per il famoso Evocatenebre, a vederlo come un bambino eccitato.
Quando rientrarono, Aleksander si mise la Kefka sopra i vestiti che aveva messo e andò a riprovare la sua parte di quello che era, alla fin fine, un numero da circo. Un numero che aveva imparato a menadito e che aveva paura di dimenticare, anche se immaginava questo fosse più probabile accadesse se provava senza l’Evocaluce con lui.
Rientrò la sera, cenò velocemente con gli altri Grisha, poi si ritirò in camera e si fece un bagno rapido: quando uscì, dovette attendere non molto più di cinque minuti prima che qualcuno bussasse.
Genya entrò nella sua camera portando con sé un pacchetto. Si era già truccata e fatta bella e Aleksander era certo sarebbe stata la seconda protagonista della serata, subito dopo lo spettacolo che doveva fare lui.
«Ecco cosa dovrai indossare. Non so ancora cosa sia ma ho qualche sospetto.» disse con un sorriso.
«Deve essere una kefka.» disse lui vedendo quanto era voluminoso.
«Non ci resta che aprire per scoprirlo.»
Aleksander mise il pacco sul letto e lo aprì a piano. Quando prese l’abito e lo spiegò, quasi lo lasciò cadere per la sorpresa e lo shock.
Era una kefka, aveva ragione su quello, ma era nera. Non fu ciò che lo sorprese maggiormente.
«Ricambi dorati.» disse Genya toccandoli. Guardò Aleksander e sorrise. «I tuoi colori e i suoi colori.»
«Immagino sia perché facciamo lo spettacolo insieme.» riuscì a dire un momento dopo, anche se non ci credeva davvero.
«Insieme?! Per la miseria, Aleksander, lei non si è mai esposta così!»
Aleksander era certo non avesse nemmeno baciato nessuno nella stanza della guerra, ma evitò di dirlo. Semplicemente si infilò la nuova kefka e Genya annuì in approvazione.
«Ti dona, anche ora o forse soprattutto ora che sei meno cadaverico. Vieni, ti sistemo i capelli e poi possiamo andare.»
Di certo non poteva essere truccato come fosse stato una ragazza, ma Genya non resistette alla tentazione di far brillare le sue palpebre di oro. La cosa, vista allo specchio, non gli dispiacque affatto.
Dopodiché scesero. La vista di Aleksander suscitò una serie di gridolini increduli e forse emozionati, anche se la maggior parte dei presenti semplicemente trattenne il fiato. Vedendo come tutti lo stavano guardando, il ragazzo fu certo nessuno avrebbe dubitato lui stesse davvero con Genya: apparteneva ad un’altra persona. Che quella fosse o meno la verità poco contava: il vestito diceva quello e lui non voleva davvero contraddirlo.
Venne accompagnato a palazzo da un gruppo di Spaccacuori. Alle sue spalle gli altri Grisha si incamminarono con lui verso il palazzo del re.
Era pieno di vita ora, anche quel passaggio. Aleksander era obbligato a procedere, ma rallentò il passo per guardarsi intorno: alcuni artisti e ospiti erano lì e c’era qualcosa da guardare.
Genya sparì appena entrarono nel palazzo sbuffando qualcosa di simile a “La vecchia strega della regina vorrà i miei servigi ora”, lasciandolo solo con gli altri Grisha. Aleksander fece un respiro profondo ed entrò con gli altri nella sala da ballo del palazzo.
Era immensa, fu la prima cosa che notò Aleksander. Notò che era di colori indicibilmente chiari, che era a due piani, vide anche a distanza il palco su cui si trovavano i regnanti, ma non badò a loro più di tanto. Notò prima ancora che c’erano già dei Grisha che ballavano secondo la musica che faceva da sottofondo in tutta la sala, riconoscibili grazie alle loro Kefka rosse, blu e viola.
Non vide l’Evocaluce da nessuna parte, ma non ebbe nemmeno tempo di pensarci: appena i primi nobili lo videro vollero subito conoscerlo e si ritrovò a conoscere ogni singola persona della stanza. Non che ci fosse possibilità che ricordasse tutti quei nomi, ma forse in fondo lo sapevano anche loro: non vide le stesse persone due volte se non di sfuggita.
Gli andava benissimo così, se doveva essere onesto con sé stesso, e ringraziò tutti i sankti quando Genya apparve al suo fianco e lo trascinò via.
«Tra poco c’è lo spettacolo dei Grisha.» disse mentre il rumore della folla scemava. Stavano andando dietro dei pilastri: poco più in là c’era una piattaforma rialzata che non aveva notato all’inizio perché vuota.
«Ti senti pronto?» chiese lei mentre Aleksander vedeva degli Evocatori prepararsi a salire. Si rese conto un po’ stupidamente che era perfettamente sensato solo loro facessero mostra dei loro poteri: erano scenici, gli altri erano semplicemente pratici.
«Sono in ansia.» disse lui, non rispondendo per davvero.
«Non serve essere in ansia, non sarai lì da solo.» disse una voce alle loro spalle
Aleksander si girò insieme a Genya e rimase paralizzato.
L’Evocaluce avanzò verso di loro, la Kefka dorata indosso. Una Kefka dorata con i ricami neri, uguali e opposti ai suoi. Anche i suoi capelli splendevano di riflessi dorati, e in quello doveva esserci lo zampino di Genya, così come sicuramente c’era nell’ombretto nero sulle sue palpebre.
Con due Kefka e un po’ di trucco, l’Evocaluce con l’aiuto di Genya li aveva resi la personificazione di luce e tenebre, completamente opposti. Il resto lo avrebbe fatto lo spettacolo, ma in quel momento lui non ci pensò davvero, troppo abbagliato dalla figura che aveva davanti.
«Il risultato è anche migliore di quello che immaginavo, Genya. Hai fatto un miracolo.» disse la Grisha dopo un momento. Aleksander sbatté le palpebre per riprendersi dall’incantamento e si chiese se anche lei si fosse incantata come lui a vedere il risultato.
«Siete bellissimi tutti e due. Credo però che nessuno si accorgerà di come vi ho sistemato… Sono certa che stupirete tutti con i vostri poteri.»
Degli applausi li distrassero. Gli Evocatori avevano finito il loro numero.
Ora toccava a loro.
L’Evocaluce salì per prima. Aleksander ricordò i vari incontri che aveva avuto con lei e seguì i suggerimenti che erano lì nati, salendo sul palchetto accanto a lei.
Tutti trattennero il fiato. Qualunque cosa pensasse Genya, tutti avevano notato i loro abiti e trucchi complementari.
L’Evocaluce non li annunciò, semplicemente alzò una mano e una palla di luce si formò al suo interno. Aleksander fece lo stesso e, con un sussulto della folla, creò una palla di buio a sua volta. Le mossero da una mano all’altra insieme per un momento, poi, quando il pubblico diede l’impressione di essersi stufato, entrambe sparirono.
L’Evocaluce evocò al di sopra della folla, illuminando il soffitto in maniera accecante. Aleksander fece lo stesso, oscurando tutto il resto, e iniziarono ad alternare luce e buio per la stanza, destabilizzando ogni persona presente. Sbirciando verso il palco reale, vide che persino il re, palesemente ubriaco, stava osservando con ammirazione.
Luce e buio si ritirarono. Aleksander e l’Evocaluce si girarono fino a fronteggiarsi, la luce che splendeva sotto la Kefka della donna come il buio che oscurava i piedi dell’uomo.
Le loro fronti si toccarono (Aleksander vide in flash quante testate aveva tirato nelle prove e quante volte aveva voluto sotterrarsi), poi agiratono le mani insieme e un turbine di luce e buio li avvolse.
Nessuno li riusciva a vedere davvero lì. L’Evocaluce sorrise, anche se lui vide quell’espressione a scatti per l’alternarsi della luce, e sussurrò: «Sei stato bravissimo. Sei bravissimo.»
Lo baciò, qualcosa di non previsto e che quasi gli fece perdere la concentrazione, poi si staccò sorridente e, con un movimento verso l’alto che lui si affrettò a imitare, spedirono luce e buio verso l’altro e lì si fusero, scomparendo.
Attesero giusto i primi applausi, poi decisero di andarsene di lì, lui completamente distratto da ciò che era successo.
Lei lo aveva baciato. Di nuovo. E lui si sentiva a metà tra il voler svenire e il voler esultare.
Appena furono dietro le quinte lei lo prese per mano, un sorriso sul volto autentico. «Sei stato meraviglioso, Aleks. Davvero stupendo.»
«S-Sì,» balbettò mentre si sentiva arrossire. «Anche tu.»
«Io evoco da una vita, tu da pochi mesi. Bravo.»
Il sorriso che gli uscì fu timido. Nessuno gli aveva mai fatto dei complimenti.
«Temo ora dovremo districarci tra i soliti discorsi noiosi tra nobili… Se vuoi però possiamo vederci più tardi.»
Quello suonava molto come un appuntamento e Aleksander non si sentiva pronto ad averne uno con la Grisha più potente conosciuta, anche se l’aveva già baciato due volte.
Nonostante ciò, rispose: «Ci starebbe.»
«Allora a più tardi.»
Uscì dal colonnato e si mischiò tra la folla. Aleksander attese un istante che il cuore smettesse di battergli come un tamburo, poi si unì anche lui alla mischia.
Tutti volevano parlargli. Tutti volevano anche solo toccarlo. Alcuni volevano una benedizione, addirittura, e lui improvvisò malamente lì, posando una mano sulla fronte, senza aver idea di che fare o di cosa volessero da lui.
Alla fine non ne poté più. Girò finché non riuscì a trovare qualche Grisha della sua scorta: non trovò nessuno, ma vide Fedyor e Ivan in un angolo a mangiare e parlottare tra di loro. Li raggiunse e disse: «Vi posso chiedere un favore?»
Ivan sollevò le sopracciglia mentre Fedyor esclamava: «Certo, dì pure!»
«Io me ne torno al Piccolo Palazzo. Potete avvisare che me ne sono andato?»
«Non ci dovresti andare con una scorta?» chiese Ivan fissandolo.
«Appunto, ma non trovo nessuno con tutto questo casino.»
«Forse ti dovremmo accompagnare noi.» fece Fedyor guardando Ivan. Lui gli rivolse uno guardo indecifrabile.
«Non serve, so difendermi se serve.» disse Aleksander. Aveva sempre più la sensazione di aver interrotto un momento intimo.
«Va bene, allora. Ma sbrigati, prima arrivi meglio è. Magari trovi le guardie fuori.» disse Ivan.
Le guardie fuori non c’erano e lui si incamminò verso il Piccolo Palazzo, guardandosi intorno. Vedeva gente appartata a fare cose dappertutto, vedeva meno artisti di strada di quanti ce ne fossero prima, vedeva gente ubriaca.
Poi vide un gruppo di soldati che si muovevano verso il Piccolo Palazzo. Riconobbe alcuni volti, riconobbe alcuni uomini.
E in fondo al gruppo riconobbe Mal.
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