Capitolo 12

Per qualche motivo, concentrarsi i giorni successivi fu più difficile di prima. Quel bacio sulla guancia pareva averlo mandato in cortocircuito e ogni volta che ci ripensava ricordava altre cose.

Lo aveva chiamato Aleks. Solo Mal lo aveva chiamato in quel modo, e il tono con cui lo aveva detto era identico a quello di Mal: affettuoso, amichevole. Sapeva di casa.

Ripensandoci aveva notato una cosa: profumava di gelsomini. Non lo aveva mai notato prima di quel momento, ma forse prima non si era nemmeno concentrato tanto su di lei.

Baghra non fu clemente con le sue continue distrazioni e Aleksander si beccò più bastonate di quando non riusciva ad evocare. La cosa non lo distrusse particolarmente, ma lo infastidì, più perché l’Evocaluce stessa gli aveva detto di ampliare i suoi poteri.

Appena riuscì a concentrarsi più su quello che sulla donna, si impegnò per migliorarsi.

Non era così semplice. Non era neanche semplice soddisfare Baghra, e in effetti lui non ci riusciva: ci arrivò vicino quando un mattino riuscì ad estendere la sua oscurità oltre ai confini del piccolo palazzo (spaventando anche qualche servitore non Grisha), ma quella volta capì che il suo limite era quello. Non poteva andare oltre.

Non era neanche lontanamente sufficiente e Baghra non mancava di farglielo notare.

«Con un potere simile al massimo ci fai un buchetto nella faglia! Devi fare più di così!»

«Non riesco a fare più di così, il mio potere non è infinito!» aveva urlato Aleksander a quel punto.

«Puoi invece. Come ci riesce l’Evocaluce e come ci riuscivo anche io, tu puoi fare più di così.»

Aleksander la guardò sul serio a quella frase. Non aveva mai pensato Baghra potesse essere una Grisha, anche se aveva decisamente senso lo fosse. Era più vecchia dell’Evocaluce? Più giovane? Non avrebbe saputo stabilirlo.

«Quindi anche tu evochi?» chiese.

Lei lo fissò e Aleksander sentì come se avesse puntato due fuochi contro di lui. «Ho evocato e ho imparato quando è ora di smettere. Non è ancora il tuo momento di smettere.»

Ad alcune lezioni partecipavano anche altri evocatori. Un giorno Zoya chiese espressamente di potersi scontrare con lui il un duello solo con i suoi poteri, e lo chiese a Baghra. Lei li lasciò fare.

Zoya non aveva mai dato l’impressione di avercela con lui, ma fu aggressiva nel loro scontro. Combatteva come spiegato da Botkin e usava i suoi poteri come avesse due braccia in più.

Aleksander di certo non eccelleva nel combattimento corpo a corpo come lei, ma scoprì che non era necessario: gli bastò rendere cieca Zoya e farle lo sgambetto per vincere. Senza neanche usare il taglio.

Quando raccontò a Genya della vittoria, lei rise.

Poi un giorno si presentò da Baghra e trovò l’Evocaluce ad aspettarlo. Il suo cuore iniziò a battere come un tamburo.

«Ho saputo che gli altri Grisha vogliono allenarsi con te ora. Beh, oggi ti allenerai con me. Scoprire qualche trucchetto in combattimento torna sempre utile.»

Aveva battuto Zoya perché aveva un potere diverso dal suo, ma sapeva non avrebbe battuto lei altrettanto facilmente: aveva il potere opposto al suo e lei sapeva anche come sfruttarlo.

Sapeva rendersi invisibile. Sapeva accecare gli avversari. Sapeva creare giochi di luce e illusioni ottiche. Sapeva usare il taglio. Queste erano solo alcune delle cose che sapeva fare e Aleksander ne testò parecchie.

Non poteva competere con qualcuno di così esperto, ma l’Evocaluce non era interessata a farlo perdere: voleva trovasse nuovi metodi di attacco e difesa.

Poteva solidificare le ombre nel taglio e usarlo per parare un attacco. Poteva rendere il buio così fitto che neanche la sua luce poteva attraversarlo. Poteva plasmare il buio come stesse sparando dei dardi.

Quando finirono la sessione di allenamento, con uno sfinito Aleksander steso sulla neve fresca, la Grisha si affacciò sopra a lui e disse: «Sei decisamente abile, sai? L’unico problema è la carenza di tempo.»

Gli offrì una mano per alzarsi e lui la prese.

«Ti vorrei parlare in disparte, vieni?»

Aleksander la seguì. Andarono fino nella stanza della guerra e l’Evocaluce lo invitò a sedersi davanti a lei su due sedie foderate e molto comode. Il Grisha si tolse la kefka umida e la appoggiò sullo schienale della sedia.

«Stai facendo parecchi progressi.» disse svanendo alle sue spalle e tornando con due tazze di tè.

«Per Baghra non è abbastanza.»

«Per Baghra non è mai abbastanza, ma ho saputo che hai allargato le ombre oltre al Piccolo Palazzo e per qualcuno che ha iniziato da relativamente poco direi che è un gran bel traguardo.»

Aleksander sorrise. Non riusciva a non sorridere per quei complimenti, proprio come un bambino.

«Ti ho portato qui per tenerti aggiornato sugli ultimi avvenimenti. Ho mandato degli uomini a cercare il branco a nord e sembra abbiano trovato delle loro tracce.»

«Beh, è un’ottima notizia, no?» chiese Aleksander dopo essersi morso la lingua per non urlare un “fantastico”.

«Più che ottima. Nel frattempo ho mandato dei miei uomini a chiedere di Malyen Oretsev e del suo reggimento: arriveranno per la festa d’inverno.»

Aleksander annuì, concentrandosi su rapidi calcoli a mente per non pensare a Mal. «Com’è possibile che dalla nostra chiacchierata i tuoi uomini siano già andati e tornati dal confine fjerdiano?»

«Li avevo già mandati là con anticipo. Ho visto il tuo impegno per distruggere la Faglia e sapevo avresti acconsentito al piano del cervo di Morozova.»

Aleksander si sentì stupido e prevedibile. Probabilmente l’Evocaluce se ne accorse, perché si chinò verso di lui e disse: «Scusami se ho giocato d’anticipo in questo modo, ma mi fanno pressioni e ho dovuto farlo.»

Lui annuì. Era comprensibile, tutti volevano la Faglia venisse distrutta ora che lui era lì.

Una domanda gli affiorò alla mente. Una domanda che voleva porre a qualcuno da molto e che forse con lei avrebbe ricevuto risposta.

«Posso chiederti una cosa?»

«Certo.» disse lei sorridente.

«Ho scritto e chiesto di inviare molte lettere. A Mal… Malyen. Non so se gli sono arrivate.»

Non era una domanda, ma era evidente cosa stesse chiedendo. Cos’era successo alle lettere?

La Grisha non rispose. Si avvicinò a lui, posizionando la sedia a meno di un metro dalla sua in silenzio, e gli prese le mani, invitandolo ad avvicinarsi ulteriormente.

«Non sono mai state inviate lettere da questo posto.»

Aleksander sentì freddo a quella frase. Non erano state inviate? Cosa voleva dire che non erano state inviate?

«Mi devi perdonare per questo, Aleks. Non le ho mai mandate pensando fosse giunto il momento di lasciarti la tua vecchia vita alle spalle, pensando ti avrebbero aiutato a sbloccare il tuo potere. Non le ho mai mandate anche perché non volevo ci restassi male per il fatto che Malyen non ti ha mai scritto nulla.»

Gli occhi grigi di Aleksander puntarono i suoi e la sua voce pronunciò un’unica parola in un sussurro: «Cosa?»

«Lui sa che sei qui. La notizia ha fatto il giro di Ravka, lui non può non averlo saputo. Avrebbe potuto scriverti per primo, ma non l’ha fatto. In effetti, forse non ho mai spedito le tue lettere anche perché lui non meritava una persona buona come te come suo amico, e tu non meritavi uno come lui al tuo fianco.»

Gli occhi di Aleksander si erano riempiti di lacrime e alcune avevano iniziato a scendere lungo le sue guance. Lei lasciò una sua mano e gliele tolse con un dito, poi gli sorrise. «Non pensare a lui. Lasciatelo alle spalle. Sei con me ora.»

«Lo vedrò quando verrà qui, vero?» chiese Aleksander con voce rotta.

«Abbiamo bisogno di lui, ma non sarai costretto a vederlo se non vorrai.»

Lui annuì a piano e tirò su con il naso, per poi cercare un fazzoletto sepolto nella kefka: anche se ora la sua costituzione fisica era migliorata, continuava a soffrire il raffreddore.

«Non so se te l’ho detto, ma la tua presenza è enormemente richiesta per la festa dell’inverno. Se ti va bene, potremmo lavorare a una coreografia insieme.» disse l’Evocaluce appoggiandosi allo schienale della sedia mentre cambiava totalmente argomento.

«Sarebbe bello… Come sarà la festa?»

«Per noi noiosa, dobbiamo intrattenere gli ospiti e dare spettacolo.» disse con una smorfia. «Per quanto riguarda gli ospiti… Hanno noi, ma sembra fuori dal palazzo ci saranno anche artisti di strada per intrattenerli quando si stuferanno di fingersi tutti amici.»

Aleksander la guardò con gli occhi spalancati a quella frase. «Artisti di strada?»

«Sì, come ogni anno.»

«Potrò andare a vederli?»

La donna inclinò il capo. «Potrebbe essere pericoloso lasciarti uscire così.»

«Non ne ho mai visti. Mi so difendere, hai visto tu stessa!» esclamò Aleksander con urgenza nella voce. La sua mano si mosse nell’aria e del buio comparve brevemente tra le sue dita.

«Non ti ho mai visto intestardirti per qualcosa e immagino la mia parola non ti fermerebbe.» commentò l’Evocaluce studiandolo. Alla fine sospirò, accennando ad un sorriso. «Immagino una breve occhiata prima della festa possa non guastare. Esci senza kefka, miraccomando… E possibilmente con qualcun altro.»

Aleksander pensò a Genya e annuì.

«Allora va bene.» annuì lei, facendolo sorridere felice. Si girò poi verso l’orologio e disse: «Sarà meglio tu vada a pranzo ora. Devi essere in forze per la lezione di Botkin.»

Si alzò e rimase un momento ferma, poi si chinò su di lui e gli prese il mento.

Stavolta il bacio glielo diede sulle labbra, un contatto veloce e gentile.

Aleksander rimase spiazzato, poi desiderò più di quello.

«Buon allenamento.» sussurrò sulle sue labbra la donna. Lui non riuscì a rispondere.

Pranzò senza badare a nessuno e risultò completamente distratto anche durante la lezione con Botkin, tanto da prenderle quasi senza che si difendesse, ma i suoi pensieri erano altrove.

Erano su quel bacio. Erano sul fatto che l’Evocaluce non pareva interessata a niente e nessuno, che sembrasse non avere favoriti.

Erano sul fatto che gli sembrava lei lo avesse scelto.

Erano sul fatto che si sentiva immensamente felice.

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