Capitolo 11

Aleksander non si era fatto molti amici da quando era lì, ma non riuscì ad impedirsi di correre da loro appena finita la lezione con Baghra. La sua ombra sembrava più scura sul terreno e sentiva come se dentro di lui ci fosse un rubinetto che voleva solo essere aperto di nuovo dopo tanto che non era stato utilizzato.

Mostrò agli altri evocatori il suo potere. Creò una cupola attorno a loro, facendo calare il buio, e Aleksander si sentì per la prima volta libero. Non rispose alle domande sul perché non avesse mostrato nulla fino a quel momento: scoprì così da Genya che erano nati i pettegolezzi più assurdi sul motivo.

«C’è chi dice su fossi posseduto, ma il mio preferito riguarda su come i fjerdiani ti avessero iniettato qualche malattia che ti ha reso gracilino e incapace di evocare.» disse la donna bevendo una tazza di tè.

«Mica non si ammalano i Grisha?» chiese Aleksander sorseggiando il suo.

«Appunto. Questo è il motivo per cui solo del sangue dorato dell’Evocaluce ha potuto toglierti da quell’inferno.» declamò Genya con una mano sul petto, l’aria solenne. Il ragazzo sollevò entrambe le sopracciglia e fece: «Che schifo.»

«La mia versione preferita è che ci hanno aggiunto anche quello di Baghra, così appena è entrato in circolo ha bastonato i batteri finché non sono svaniti nel nulla.»

Ad Aleksander andò di traverso il tè e si mise a ridere.

Quella sera il tagliacarte rimase nel cassetto.

La sua routine e la sua vita dal giorno successivo parvero cambiare. Le lezioni con Baghra rimasero pesanti, ma Aleksander le trovò più piacevoli: ora riusciva ad evocare e a fare gli esercizi che lei gli ordinava di fare, anche se mai era quel che voleva lei. Era sempre troppo poco per lei, ma lui stavolta sapeva di star facendo il possibile e non riusciva a prendersela con sé stesso se era lei a pretendere troppo.

La vera sorpresa la ebbe negli allenamenti con Botkin. Ad un solo giorno dal risveglio dei poteri, quando li fece correre lui non rimase indietro e nel giro di una settimana riuscì facilmente a tenere il passo con gli altri.

La scoperta del primo giorno gli fece venir voglia di migliorarsi, fatto che non gli accadeva da quando Mal era diventato suo amico, invitandolo a migliorarsi anche come tracciatore. Non saltò più i pranzi, per la gioia di Marie e Nadia che si divertivano a vederlo riempire i piatti con le mani a coppa che versavano oscurità.

Non gliel’aveva insegnato Baghra, quello: era un semplice gioco che aveva creato in camera dopo che Baghra gli aveva spiegato come solidificare le ombre. Con le sue lezioni aveva iniziato ad imparare come usare la stessa tecnica dell’Evocaluce, il Taglio, e prima ancora ad usare le ombre per impedire ai nemici di vederci.

Del resto le ombre, pur sembrando nebbia o nuvole nere, erano intangibili: neanche un evocatore avrebbe potuto sbarazzarsi di loro senza che fosse Aleksander a volerlo.

Intanto arrivò l’inverno. Molti Grisha andavano in giro a divertirsi, a pattinare e a rilassarsi: quando Marie e Nadia chiesero ad Aleksander di unirsi a loro, lui accettò.

Imparò a pattinare, scoprì che giocare a palle di neve era divertente anche se era l’unico evocatore a non poter controllare le palle che gli arrivavano addosso (poteva in compenso oscurare qualcuno e infilargli la neve fresca dentro la kefka), e scoprì anche che essere in compagnia non era così terribile.

Continuava però a vedere Genya la sera, perché con lei si sentiva davvero a suo agio. Fu l’unica a cui fece vedere le sue braccia e le cicatrici su di esse: lei le fece sparire, e intanto parlava con lui, spettegolando e riferendo notizie dall’esterno.

«A fine inverno ci sarà una festa indetta dal re, te l’avevo detto?» gli chiese una sera, lei seduta su una sedia e lui steso sul letto con la testa che ciondolava oltre il materasso.

«Mi sa di no.»

«Sicuramente sarai uno degli invitati di maggior rilievo, per non parlare del fatto che vorranno una dimostrazione.»

Aleksander sospirò. «Teatralità.»

«Molta.»

«Ci sarà la famiglia reale al completo?»

«Non credo. Credo che il Sobachka non ci sarà.»

«Sobachka? Parli del fratello di Vasily?» chiese Aleksander. Non ricordava come sapesse dell’esistenza del secondo principe, né sapeva come ricordasse il nome del principe più grande.

«Uhu, lo chiami addirittura per nome, siete intimi?» disse ridendo Genya.

«È già tanto se so com’è fatto.»

«Sì, parlavo del fratello più giovane. Lo chiamano così a corte. Sembra si sia arruolato e abbia seguito la sua strada… Non credo al re importi molto, sembra non sia suo figlio.»

Aleksander la guardò incredulo. «Non è suo figlio?»

«Questa è un’informazione privata in possesso solo della regina.» disse Genya con leggerezza.

«Carriera militare, quindi? Sembra allora che qualcuno in famiglia si interessi effettivamente per Ravka.»

«L’unica persona che si interessa davvero a Ravka è l’Evocaluce. Del giovane Nikolai non abbiamo prove, ma potrebbe essere la seconda in lista.»

Aleksander era curioso, ma aveva idea non lo avrebbe incontrato.

Il giorno successivo, con il sole sulla sua testa, Aleksander venne trascinato sulla sponda del lago da Baghra. Evocare con il sole sopra era molto più difficile che farlo nella casa di Baghra, così da quando aveva imparato a richiamare il suo potere tutte le lezioni avvenivano all’esterno.

«Evoca più oscurità, moccioso. Non sembri più uno spaventapasseri ma evochi come lo fossi.» sbottò Baghra, gentile come il suo solito. «Forza!»

Aleksander chiuse gli occhi, cercando di riversare più oscurità di quella già presente sull’intera riva.

«Occhi aperti, devi vedere cosa fai e andare oltre! E mai abbassare la guardia in quel modo. Avanti!»

Aleksander respirò profondamente per mantenere il controllo e allargò il buio fino a coprire il lago intero. Anche se era tanto freddo che ogni suo respiro creava nuvole bianche davanti ai suoi occhi, sentiva il sudore scendergli lungo la fronte.

«Vai ancora oltre.» ordinò Baghra.

«Non riesco ad andare oltre.» balbettò Aleksander.

«Questo è un limite che ti poni tu perché vedi che è tanto. Avanti moccioso, vai oltre!»

Lui ci provò e il suo potere si estese ancora oltre, ma non riuscì a mantenerlo e la luce tornò ad abbagliarli.

«Non è sufficiente a distruggere la faglia.»

La voce di donna che parlò non era quella di Baghra. Aleksander si girò, trovando l’Evocaluce dietro di lui: splendeva quanto la neve nella sua kefka dorata.

Quelle sette parole erano state dette come semplice osservazione; le cinque di Baghra furono più irritate: «Può fare meglio di così.»

«Il mio potere non è infinito.» protestò Aleksander.

«Non è infinito ma di sicuro può andare oltre a questo.» ribatté lei agitando il bastone. Aleksander fece un passo indietro per essere certo di essere fuori portata e persino l’Evocaluce parve arretrare.

«Devo parlare con Aleksander da sola, Baghra. Ci lasci?»

Lei sbuffò e si girò, tornandosene nella sua casa borbottando tra sé. Aleksander si avvicinò quindi alla donna, la quale sorrise e disse: «Stai facendo progressi spaventosi.»

«Eppure non bastano.» disse lui amareggiato.

«Proprio di questo ti volevo parlare. Hai mai sentito parlare del branco di Morozova?»

Aleksander corrugò la fronte, preso alla sprovvista. «Il branco di Morozova?»

«Sì.»

«Ho qualche vago ricordo, sono storie per bambini. Parlavano di cervi bianchi magici, visibili solo al crepuscolo, se non sbaglio.»

«Non sono solo storie: il branco di Morozova esiste ed è effettivamente molto potente.»

Gli prese una mano e il cuore di Aleksander mancò un battito. «Tu, Aleksander, sei un Grisha molto potente, e con più tempo per addestrarti probabilmente non ci sarebbe bisogno di prendere scorciatoie. Purtroppo non abbiamo più così tanto tempo come volevo e distruggere la Faglia sta diventando parecchio importante per evitare problemi con gli altri stati. Sai già cosa sono gli amplificatori?»

Aleksander annuì.

«Le corna del cervo possono diventare un potente amplificatore.» disse l’Evocaluce con gli occhi scuri che brillavano. «Possono diventare il tuo potente amplificatore.»

Il Grisha si prese un momento per assimilare quelle parole. Sarebbe potuto essere dieci, cento volte più potente di quel che già era. La prospettiva gli pareva allettante.

«Sarebbe incredibile.» finì per dire.

L’Evocaluce avvicinò il proprio volto al suo. Aleksander per un momento credette stesse per baciarlo e sentì lo stomaco fare le capriole, ma la vide avvicinarsi al suo orecchio; neanche si accorse che lo aveva fatto piegare leggermente per diminuire la differenza d’altezza.

«Non è tutto. Perché l’amplificatore diventi tuo, tu devi uccidere il cervo, tuttavia il cervo di Morozova non è un comune amplificatore: funzionerebbe anche se tu lo indossassi e io uccidessi il cervo, ma sai cosa accadrebbe allora? Che i miei poteri sarebbero i tuoi, e i tuoi i miei. Ecco come distruggeremo la faglia, Aleksander: il tuo potere combinato con la mia esperienza. Come ti suona?»

Spaventoso. Eccitante. Indescrivibile. Non c’era termine per dire come Aleksander trovasse quell’idea, sapeva solo che qualcosa lo attraeva.

«Folle.» disse alla fine. Lo era, eppure non gli dispiaceva.

La donna tirò indietro il volto, lasciandolo comunque a poca distanza dal suo. Aveva un sorriso accogliente sul volto.

«Lo è, ma così luce e buio sarebbero una cosa sola.»

Aleksander si rese conto di volerlo. Di voler avere luce e buio per sé, insieme. Di voler stare con lei in qualche modo, anche.

«C’è un solo ostacolo a tutto questo: il cervo è sul confine fjerdiano, ed è difficile da trovare. Tu sei stato un tracciatore prima: c’è qualcuno di adatto a rintracciarlo?»

Certo che c’era. Nel momento stesso in cui l’Evocaluce aveva parlato di un ostacolo, lui aveva pensato a una persona. Una persona che avrebbe voluto dimenticare, per certi aspetti, ma che era bravo nel suo campo. Impossibilmente bravo.

«Mal… Malyen Oretsev.» disse. «Non esiste tracciatore migliore di lui.»

«Allora lo contatteremo. Ci aiuterà.»

La donna lo guardò un momento, poi si avvicinò a lui e gli diede un bacio sulla guancia.

«Tu continua ad allenarti e a fare il possibile, Aleks. Se non dovessimo trovarlo, questo dovrai farlo da solo.»

Lasciò andare la sua mano, sorrise e se ne andò, lasciandolo impalato sul posto.

Fu con un sorriso ebete che tornò in camera, senza riuscire del tutto a spiegarsi il perché quello fosse successo.

Ma gli importava solo che fosse successo e non smise di sorridere.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top