8

Erano passati tre giorni dall'ultima volta che avevo visto Trevor, da quando era venuto a casa mia insieme al dottor Barnes. Se n'era andato via quasi subito dopo di lui, lasciandomi sola con i miei pensieri. Forse aveva capito che mi sentivo a disagio a stare con lui. Che avevo paura. Mancavano meno di ventiquattro ore al prossimo appuntamento e il solo pensiero mi metteva in agitazione. Controllai l'orario sul cellulare che mi aveva dato il dottor Barnes. Il sole era tramontato da molto tempo e l'ora di cena era già passata. Stranamente ero riuscita a mangiare qualcosa, anche se soltanto mezzo sandwich con tacchino e maionese.
Presi il cellulare, le chiavi della macchina, la borsa e uscii di casa. Avevo pensato a lungo al mio piano: partire, fare un giro di ricognizione e parcheggiare solo se fosse stato tutto tranquillo. E così feci: arrivai a casa di mia madre nell'arco di venti minuti – l'appartamento dove vivevo si trovava in periferia, dalla parte opposta della città – e spensi i fari qualche metro prima di imboccare il vialetto e dopo aver controllato che non ci fosse l'auto di Dominic. Se ci fosse stata avrei semplicemente fatto inversione e sarei tornata a casa.
Parcheggiai di fianco al Suv bianco di mia madre e scesi dall'auto. Il cuore mi batteva forte, sudavo e non ero più sicura di aver fatto la scelta giusta. Forse potevo aspettare ancora qualche giorno prima di andare a trovarla. Rimasi ferma davanti all'ingresso pensando a cosa fare – bussare o scappare –, ma la porta si aprì prima che prendessi una decisione.
Mia madre comparve sulla soglia e appena mi vide si immobilizzò. Forse pensava che la mia presenza lì fosse frutto della sua immaginazione. Mi fissò a lungo con gli stessi occhi grigi che condividevamo, poi il suo labbro inferiore prese a tremare.
"Ciao, mamma."
Lei afferrò con forza un lembo della maglia che indossava, poi mi buttò le braccia al collo. Mi strinse così forte che temetti di non riuscire a respirare. Ricambiai l'abbraccio, ma non con la stessa forza.
"Oh, tesoro." La sua voce si spezzò e alla fine fece un passo indietro.
Colsi l'occasione per osservarla meglio, notando quanto il suo aspetto sembrasse sciupato. I capelli rossi raccolti in una coda spettinata, gli occhi stanchi, il viso più pallido del solito. Era ridotta in quello stato a causa mia, però non riuscii a sentirmi del tutto responsabile: era anche colpa sua perché lei non mi aveva creduto, non mi aveva aiutato quando ne avevo più bisogno.
Sentii le lacrime pungermi gli occhi, ma non cedetti. Dovevo essere forte.
"Possiamo entrare?"
Mia madre annuì energicamente e si spostò, permettendomi di varcare la soglia.
In casa non c'era il solito profumo invitante di biscotti, bensì regnava un odore di chiuso e di bruciato. Un miscuglio nauseante. Raggiunsi il soggiorno, notando che era ordinato come l'ultima volta che lo avevo visto. Tappeto pulito, tavolino lucido, divano con i soliti cuscini a frange rossi sistemati vicino ai braccioli.
Mi sedetti, ma prima che potessi dire qualcosa mia madre si sfogò.
"Non posso credere che tu sia scappata di casa. Cosa ti è saltato in mente? Sei impazzita?"
"Mamma..."
"Hai idea di quanto mi sia preoccupata? Pensavo che ti avessero rapita. Dominic credeva..."
"Non voglio parlare di lui!" esclamai, alzando un po' troppo la voce. Sentivo la rabbia crescere dentro di me come un fiume in piena.
"Perché? È il tuo ragazzo, Haylee. Il tuo compagno di vita."
Sentendo quello parole il mio corpo si pietrificò. "No, non è nessuno per me." La mia voce era più fredda del ghiaccio.
"Ma che stai dicendo?" Confusa, mia madre corrugò la fronte mettendo in risalto le rughe del viso e incrociò le braccia sul petto.
"Hai capito benissimo. Sono andata via a causa sua e non ho intenzione di tornare."
"Perché? Perché devi farci questo?"
Dalla mia bocca uscì una risata ironica che non avevo mai emesso prima. Stentai a riconoscermi.
"Da quando parli in prima persona plurale riferendoti a te e Dominic?"
"Haylee" mi ammonì con voce tesa.
"Cosa?"
"Smettila di comportarti come una ragazzina immatura e torna a casa."
Mi portai le mani alle tempie e poi passai le dita tra i capelli. Ne avevo abbastanza.
"No!" tuonai con gli occhi lucidi. "Voglio restare viva e non tornerò da lui, e nemmeno qui."
Mia madre mi guardò con aria severa: lo faceva sempre quando superavo il limite, e l'ultima volta che era successo andavo ancora al liceo.
"Ho provato a parlarti, a chiederti aiuto. Ti ho detto quello che mi ha fatto Dominic, ma non mi hai creduto. Non hai creduto a tua figlia" la accusai.
I suoi occhi si riempirono di un dolore che non avevo mai visto prima. Nemmeno quando mio padre se n'era andato.
Ormai avevo cominciato a fare uscire la rabbia e non avevo intenzione di fermarmi. Alzai la manica del cardigan e, con disprezzo, le mostrai il livido giallastro che avevo sul polso. Stava guarendo: non era più scuro come quando lo aveva visto Trevor, ma era ancora ben visibile.
"Questo non me lo sono fatta da sola, mamma. È stato lui, quasi una settimana fa, dopo che ti ho detto che mi aveva picchiata."
Mia madre scosse la testa con decisione.
"Dopo che sono andata via lo hai chiamato e gli hai detto della mia visita e di quello che ti avevo raccontato. Quando sono rientrata a casa, lui era lì che mi aspettava. Mi ha spinto contro il muro, mi ha tirato i capelli, mi ha dato uno schiaffo, poi un altro. Mi ha buttato a terra..."
"Basta!" gridò mia madre, mentre una lacrima le rigò il viso paffuto.
"Non mi credi ancora? Pensi che Dominic sia l'uomo perfetto? Forse dovresti parlare con il dottor Barnes per avere una conferma in più, siccome è stato lui a medicarmi dopo che Dominic mi aveva ridotto a uno schifo."
"Il dottor Barnes?" Mia madre impallidì e per un momento temetti che stesse per svenire. "Sì, lui mi ha curato quando non ero in grado di farlo da sola."
Lei si avvicinò al divano e si sedette, aggrappandosi ad un bracciolo come se ne andasse della sua vita. Perché si stava comportando in quel modo? Quella era la reazione che avrebbe dovuto avere il giorno in cui le avevo detto cosa mi aveva fatto Dominic.
Scossi la testa e mi arresi. Non aveva senso continuare a discutere con lei. Era come parlare con un muro. Afferrai la borsa che avevo appoggiato sul tavolino e la strinsi al petto.
"Addio, mamma."
Non aspettai una risposta. Mi precipitai verso la porta e uscii per sempre da quella casa. Prima di salire in macchina volsi uno sguardo alla stalla, dove si trovavano Flash e Lucy, e mi ripromisi di trovare al più presto una sistemazione per loro. Erano la mia vita e dovevo portarli con me verso il mio futuro.

Avevo affrontato la fase della tristezza subito dopo essere tornata a casa. Avevo pianto, chiedendomi più volte cosa avessi fatto di sbagliato per meritare tutto quello che mi era successo. Dominic, mia madre, e anche mio padre. Avevo pensato alla mia vita, a ciò che era andato storto, e mi ero chiesta un'infinità di volte il perché mentre piangevo con la faccia premuta contro il cuscino. Dodici ore più tardi ero uscita definitivamente da quella fase per entrare in quella della rabbia. Ero arrabbiata con tutto e con tutti. E lo ero rimasta anche quando Trevor aveva aperto la porta del suo studio per farmi entrare. La rabbia aveva sostituito la paura.
"Prego, siediti." Trevor indicò il divanetto dove mi ero accomodata la prima volta, e lui prese posto di fronte a me.
Nel mio corpo non c'era traccia di paura e per un momento ne fui felice, ma poi la rabbia tornò a prevalere su tutto.
"Allora... come stai?" Trevor aprì il suo taccuino e impugnò una penna nera.
"Bene" replicai quasi scocciata.
Lui mi guardò alzando leggermente un sopracciglio, ma io non aggiunsi altro. Accavallai le gambe, incrociai le braccia e mi appoggiai allo schienale del divanetto. Quando ero un'adolescente in preda agli ormoni impazziti, assumevo spesso quella posizione nei miei momenti di rabbia. A distanza di diversi anni, quell'abitudine tornava a manifestarsi.
"È successo qualcosa in questi giorni?" si informò Trevor.
Detestavo quando mi facevano troppe domande, lo avevo sempre odiato; ma da quando stavo con Dominic avevo dovuto rivalutare i miei comportamenti, le abitudini e ciò che odiavo o amavo. Non ero più io. Ero costretta a farmi piacere ciò che detestavo, ad esempio parlare con persone ricche e facoltose amiche della famiglia Wilson. Oppure cambiare abitudine per compiacere Dominic. La vera Haylee era stata costretta a nascondersi.
"Ho visto mia madre" borbottai riluttante.
"È per questo che sei arrabbiata?"
"Arrabbiata?"
"Scontrosa?"
Strinsi di più le braccia contro il petto. Forse ero sia arrabbiata che scontrosa. Sì, decisamente.
"Ti va di parlarne?"
"C'è poco da dire. Abbiamo litigato e io me ne sono andata."
Trevor scrisse sul suo taccuino prima di concentrarsi di nuovo su di me. "Sei andata da lei?"
Assentii stringendo le labbra e contraendo la mascella.
"Perché?" Trevor mi scrutò a lungo con i suoi occhi scuri.
Distolsi lo sguardo dal suo, concentrandomi sulla scrivania alle sue spalle dove si trovava un portatile.
"Perché mi sono illusa che potesse aiutarmi. Sono una stupida."
"Non sei stupida" mi contraddisse Trevor.
"E come fai a dirlo? Neanche mi conosci" sbottai, dandogli del tu per la prima volta. Mi faceva uno strano effetto.
"Lo so e basta." Strinse i pugni abbassando lo sguardo.
"Sono stata una stupida a pensare che mia madre potesse aiutarmi, stare dalla mia parte. Mi ha lasciata sola per la seconda volta."
Trevor chiuse con uno scatto il taccuino e lo mise di fianco alla sua gamba, tra il bracciolo della poltrona e la sua coscia.
"Non sei sola. Io sono qui per aiutarti" mi disse con voce sommessa.
"Certo, come no. Pensi soltanto ai soldi che riceverai alla fine di tutto questo." Mi coprii la bocca con le mani appena finii di parlare. Che cosa avevo fatto? Non potevo averlo detto veramente.
"S-scusa." Guardai Trevor con aria realmente dispiaciuta, mentre lui mi guardava con gli occhi infiammati di rabbia. Avevo superato il limite e il suo sguardo ne era la prova.
Feci un respiro profondo per calmarmi. "Scusami, davvero. Non volevo aggredirti in questo modo e mancarti di rispetto. Mi dispiace tanto."
Mi alzai, ma appena fui in piedi tutto divenne bianco e barcollai. Le gambe non riuscivano a sorreggermi, sentivo che stavo per cadere. Anche se non vedevo nulla cercai un appiglio a cui aggrapparmi, ma poi mi sentii afferrare per le spalle e riuscii a mantenere l'equilibrio. Lentamente la mia vista tornò alla normalità, mi guardai intorno e vidi Trevor vicino. Troppo vicino. Era di fronte a me, le sue mani sulle mie spalle mi avevano aiutato a non cadere.
"Ti senti bene?" mi chiese, avvicinandosi ulteriormente. Era alto quasi quanto Dominic, eppure non mi intimoriva più come qualche giorno prima.
Mi portai una mano alla tempia. "Mi gira solo un po' la testa."
Trevor fece per dire qualcosa, ma venne interrotto dal mio stomaco che brontolò rumorosamente.
"Hai pranzato oggi?" domandò abbassando lo sguardo per poi riportarlo su di me.
Feci un cenno di diniego, mentre lui spostava le mani facendole scorrere sulle mie braccia fino ai gomiti.
"Quando hai mangiato l'ultima volta?"
Distolsi lo sguardo dal suo, sentendomi improvvisamente imbarazzata. "Ieri a pranzo. Ho mangiato un po' di insalata."
Trevor contrasse la mascella, poi si allontanò e andò vicino alla scrivania, sulla quale si trovava un telefono oltre al computer. Alzò la cornetta, se la portò all'orecchio e digitò un numero.
"Rebekkah, puoi ordinare una pizza, per favore? Qualcosa di semplice, scegli tu." Trevor riagganciò, poi tornò da me.
Controllai l'orologio e vidi che il nostro tempo era scaduto da un po', così presi la borsa e mi incamminai verso la porta.
"Cosa stai facendo?" mi domandò Trevor.
"Vado a casa."
Lui scosse la testa. "Ho ordinato una pizza, mangiamo insieme."
"Non ce n'è bisogno. Cenerò a casa." Stavo per aprire la porta quando lui mi bloccò afferrandomi per il polso.
"Mangerai davvero a casa?" Alzò un sopracciglio con aria di sfida.
Abbassai lo sguardo e scossi piano la testa. Aveva ragione: non avrei toccato cibo, nemmeno un paio di cracker con del formaggio.
Trevor mi tirò leggermente, invitandomi a tornare indietro e a non uscire dal suo studio. Ero indecisa su cosa fare, ma alla fine lo assecondai e mi sedetti nuovamente sul divanetto.

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