20
"Come sta?" Ero al telefono con Stephan e nel frattempo stavo preparando la cena.
"Sta un po' meglio, ma è ancora debole e non ha mangiato molto."
"I medici che cosa hanno detto?"
"Che è una vecchietta forte" rise e in sottofondo sentii un borbottio.
"È lei?" domandai senza nascondere un sorriso.
"Sì, ti saluta e dice che ti preparerà lo stufato appena torna a casa."
Scossi la testa anche se Stephan non mi poteva vedere. "Lo preparerò io, mentre lei starà sul divano a guardare la televisione."
"Sono d'accordo con te. Meno si stanca, meglio è. Haylee, volevo ringraziarti ancora una volta. Se..."
"Stephan, smettila. Lo dici ogni volta che ci vediamo o parliamo al telefono."
Lui sbuffò piano.
"Scusami, è che ti sono davvero grato. Ti siamo davvero grati" si corresse quando la signora Brimbley si lamentò. "Non so come sdebitarmi."
"Non devi farlo" asserii con dolcezza. "Salutami tua nonna."
"Ti saluta anche lei."
Appoggiai il telefono sull'isola della cucina e rivolsi un'occhiata a Trevor, che era seduto su uno sgabello davanti al mio computer intento a leggere una recensione che avevo scritto il giorno prima. Era talmente concentrato che aveva le sopracciglia aggrottate e un'espressione piuttosto seria. Era davvero bello.
"Sta meglio?" mi chiese senza distogliere lo sguardo dallo schermo.
"Un po' sì, ma ci vuole tempo per riprendersi da un infarto."
"Già."
Rimanemmo in silenzio per un po': lui leggeva, io tagliavo le verdure assorta nei miei pensieri. Negli ultimi giorni questo rituale stava diventando la nostra routine: lui veniva a casa mia dopo il lavoro, preparavo la cena mentre leggeva, mangiavamo insieme, poi lui sparecchiava e lavava i piatti. Ero felice. Eravamo felici.
"Hai sentito il dottor Barnes?" domandai mentre tagliavo a cubetti una patata.
"Perché continui a chiamarlo così?" Sorrise spegnendo il computer. "Comunque no, non l'ho sentito."
"Non lo so, mi sembrerebbe strano chiamarlo Garry."
"Però ti sei abituata in fretta a chiamarmi Trevor." Alzò un sopracciglio prima di alzarsi e venirmi vicino.
"È diverso. Hai insistito tu affinché ti chiamassi Trevor e non signor Anderson, e poi sei più giovane e siamo in confidenza."
Trevor ammiccò, palpandomi il sedere. "Molta confidenza, direi."
"Smettila." Risi, cercando di concentrarmi mentre lui si metteva alle mia spalle.
"Perché dovrei?" Appoggiò le mani sul ripiano, creando una gabbia col suo corpo.
"Perché altrimenti non mangeremo, e io ho molta fame." Mi voltai per andare verso i fornelli, ma Trevor me lo impedì.
"Anche io ho molta fame" ribatté con voce sensuale.
Avvicinò le labbra alle mie, poi, quando pensai che stesse per baciarmi, si spostò e mi morse piano il collo.
"Oh, non ho dubbi, ma dovrai aspettare." Mi chinai per passare sotto il suo braccio e raggiunsi i fornelli.
Presi una padella che feci scaldare, poi vi versai le verdure che cominciarono a sfrigolare appena toccarono il metallo caldo. Mentre stavo mettendo del sale sulla nostra cena, Trevor mi afferrò per i fianchi e premette il suo bacino contro il mio sedere.
"Lui ha molta fame, Haylee" mi sussurrò all'orecchio.
La sua eccitazione premeva contro il mio corpo e la cena diventò l'ultimo dei miei pensieri.
"Vedo che non accetti un no come risposta" scherzai, voltandomi.
Trevor scosse la testa e subito dopo iniziò a depositare baci leggeri sulla mia pelle. Prima dietro l'orecchio, poi sul collo, sulle spalle e vicino alla scollatura della maglia. Con la mani accarezzava il mio corpo, disegnando con dita leggere piccoli sentieri lungo la spina dorsale. Solo quel gesto mi fece venire la pelle d'oca.
"Ti voglio" disse sospirando.
Mi strinse contro il suo corpo e mi baciò lentamente. Mi sfiorò le labbra con la lingua, prima di toccare la mia appassionatamente. Le sue mani raggiunsero l'orlo della maglietta e me la sfilò in un attimo, lasciandola cadere a terra di fianco a noi, poi fece lo stesso con la sua. Mi fece girare, spingendomi contro il bordo del bancone, poi mi alzò facendomi sedere sul bordo. Mi toccava ovunque, aumentando il mio desiderio e risvegliando ogni mia terminazione nervosa. Con Trevor era così: bello, coinvolgente, stimolante e sicuro. Con lui tutto era sicuro; mi sentivo protetta e forte allo stesso tempo.
Gli passai le mani intorno al collo proprio mentre lui mi attirò di più contro il suo corpo. La durezza della sua eccitazione premette contro il centro delle mie gambe e persi la testa. I miei baci si fecero più famelici e meno dolci, esattamente come i suoi. Armeggiai con i suoi pantaloni, slacciando prima la cintura poi i bottoni. Ad ogni mio gesto, Trevor tratteneva il respiro, e lo liberò solo quando i suoi boxer scivolarono lungo le sue gambe. Cercai di afferrarlo, ma lui me lo impedì; mi fece scendere dal ripiano con un gesto veloce, girandomi in modo che gli dessi le spalle.
"Trevor..." mormorai quando mi abbassò i jeans, spingendomi piano in modo da farmi chinare sul bancone.
Fui scossa da un brivido di freddo, che presto sparì quando sentii Trevor piegarsi su di me. La sua pelle calda toccò la mia e io sospirai per il piacere. Mi accarezzò la schiena, il collo e infine il sedere, prima di perdersi in me per la prima volta in quel modo.
Le sue spinte vigorose mi annebbiavano la vista e mi facevano gemere senza controllo. Il mio corpo si stava lasciando andare sotto il tocco esperto di Trevor, quando all'improvviso mi irrigidii scossa dal piacere. Era stato tanto inaspettato quanto piacevole e sorprendente. Lui venne subito dopo di me, accasciandosi sul mio corpo e dandomi dolci baci sulla spalla e sul collo.
"Merda." Trevor si scostò all'improvviso, lasciando un vuoto dentro di me.
"Che succede?" Mi allarmai quando notai il suo sguardo preoccupato.
Si passò le mani sui capelli scuri rivolgendomi un'occhiata dispiaciuta.
"Non ho usato il preservativo, cazzo." Sembrava quasi in preda al panico, e non era da lui.
Mi rivestii in fretta, mentre Trevor faceva lo stesso. "Prendo la pillola."
Sul suo viso si manifestarono una serie di espressioni, poi lui si rilassò. Si avvicinò, mi prese il volto fra le mani e mi baciò.
"Ti chiedo scusa, Haylee."
"Per cosa?" Senza volerlo mi accigliai, mettendomi subito in guardia.
Trevor appoggiò la fronte alla mia respirando lentamente. "Per non aver usato una protezione. Non l'ho mai fatto prima. È stato da irresponsabile."
Mi avvicinai al fornello mentre finiva di parlare e controllai che le verdure non si fossero bruciate. Per fortuna non era successo, così mi limitai a condirle e mescolarle.
"Non ti devi scusare, è anche colpa mia. Entrambi non siamo stati attenti" replicai rivolgendogli uno sguardo serio.
Non volevo che si ritenesse il responsabile di un errore che avevo commesso anche io.
"Posso chiederti una cosa?" domandai distogliendo lo sguardo.
"Certo." Trevor si mise alle mie spalle, cingendomi la vita e baciandomi il mio collo. Ogni volta che lo faceva mi venivano i brividi e lui lo sapeva bene.
"L'altro giorno il dottor Barnes mi sembrava piuttosto strano quando ci ha visti insieme. Lo hai notato anche tu?"
Trevor appoggiò il mento sulla mia spalla e mi diede un bacio sulla guancia.
"Sì, l'ho notato anche io. Sembrava..."
"Quasi arrabbiato" lo interruppi.
Spensi il fornello e misi da mangiare nei piatti. Io e Trevor ci sedemmo al bancone, uno di fronte all'altra, pronti per cenare.
"Pensi che abbia capito che tra noi due c'è qualcosa?" domandai prima di iniziare a mangiare.
Trevor prese un bagel farcito che avevo comprato al supermercato la mattina stessa e lo addentò. Il suo sguardo pensieroso era incollato al mio, esprimendo più domande che risposte.
Non volevo nascondere quello che c'era tra noi due, ma improvvisamente quello che avrebbe potuto pensare il dottor Barnes mi preoccupò. E non sapevo bene nemmeno il motivo.
Trevor alzò le spalle in segno di risposta, assorto nei suoi pensieri. Mi sarebbe piaciuto sapere cosa gli faceva aggrottare le sopracciglia e corrugare la fronte in quel modo.
Mangiammo in silenzio per tutto il tempo, osservandoci di tanto in tanto e scambiandoci qualche occhiata complice. Questo era quello che accadeva tra noi, a volte, ed era bellissimo.
Nell'arco di pochi giorni, Janine mi aveva inviato più email del solito. Quattro in totale, quando in realtà me ne spediva al massimo due a settimana. Con il primo messaggio voleva ricordarmi la scadenza di una recensione su un romanzo storico; con il secondo mi informava del successo del mio primo articolo. La terza e la quarta email, invece, mi avevano dato da pensare per tutta la giornata: riguardavano il matrimonio di Janine, più precisamente il mio invito. Le rilessi entrambe per ben tre volte, assicurandomi di aver letto con attenzione ogni parola.
Janine Banver e Bernard Mason erano lieti di invitarmi alle loro nozze il 16 ottobre a New York.
Sarei andata a New York per la prima volta in vita mia.
"Haylee." Qualcuno mi chiamò al di là della porta d'ingresso, e nello stesso istante cominciò a bussare con insistenza. Quando ripeté il mio nome, riconobbi la voce gutturale di Stephan.
"Perché tutta questa fretta?" chiesi appena aprii la porta.
Sul suo viso regnavano frustrazione ed esasperazione.
"Mia nonna mi sta facendo impazzire." Entrò in casa mia senza aspettare il mio permesso e si fiondò in cucina dove si servì da solo una tazza di caffè.
"Perché non sei con lei in ospedale?" Mi richiusi la porta alle spalle e tornai a sedermi davanti al computer.
"L'hanno dimessa qualche ora fa. Adesso sta riposando nel suo letto." Con la testa fece un cenno verso destra, al di là della parete della cucina dove si trovava l'appartamento della signora Brimbley.
"E perché non sei con lei?" ripeto leggermente infastidita.
"Avevo bisogno di una pausa." Stephan si accasciò su uno sgabello guardandomi con stanchezza.
"Da tua nonna?" Mi venne quasi da ridere. Come poteva Stephan avere problemi nel gestire un'anziana?
"Oh, non hai idea di quanto possa essere stressante. Non mi ascolta mai. Le dico di riposarsi, ma lei comincia a vagare per la casa, o prepara il caffè, o cerca una ricetta di qualche torta da cucinare. I medici le hanno detto di stare un paio di giorni a riposo prima di ritornare alla sua normale routine, però non vuole ascoltare nessuno."
"Ma adesso sta dormendo, no?" gli feci notare.
Lui annuì con decisione. "Solo perché le medicine le fanno venire sonno."
"Almeno sarà fuori uso per qualche oretta." Gli strizzai l'occhio poi riportai la mia attenzione alle email di Janine.
"Sei una persona fantastica, Haylee." Stephan fece un passo verso di me, fermandosi a pochi metri dalla portafinestra.
Alzai gli occhi di scatto, colta di sorpresa da quel complimento, ma soprattutto dalla nota dolce che aveva assunto la sua voce. E fu proprio quello, insieme alla consapevolezza che non conoscevo bene Stephan, a mettermi in allarme. Tutte le emozioni negative che non provavo più da tempo erano tornate a tormentarmi. Muscoli rigidi, gambe paralizzate, incapacità di parlare, paura. Paura perché Stephan era uno sconosciuto ai miei occhi. Paura che potesse farmi del male come aveva fatto Dominic.
"Haylee?"
Mi sforzai di fare un respiro profondo e di non permettere alla paura di dominarmi.
"Sì?"
"Mi hai sentito?"
Mi passai i pugni chiusi sulle cosce per allentare un po' la tensione.
"Scusa, mi sono distratta. Dicevi?"
Stephan si avvicinò, facendo vacillare ancora di più il mio autocontrollo.
"Ti andrebbe di andare a mangiare qualcosa domani sera?" La sua voce era seria e un po' più bassa del solito, ma gli occhi erano pieni di speranza.
Mi stava chiedendo un appuntamento?
Lo scrutai a lungo, ripensando alla nostra breve conversazione, al complimento che mi aveva fatto. Sì, era un appuntamento.
"Ehm... io..." Non sapevo cosa dire. Era ovvio che volevo rifiutare, ma, nonostante la paura che provavo, mi dispiaceva un po' per lui.
Stephan divenne un po' cupo e la speranza abbandonò lentamente il suo sguardo. Abbassò gli occhi sui suoi jeans scoloriti e infilò le mani in tasca.
"Non volevo metterti a disagio, scusa." Riportò la sua attenzione su di me, guardandomi con aria leggermente triste.
"Tranquillo, non devi scusarti. È che..."
"Sei già impegnata, vero?"
Annuii appena. "Diciamo di sì."
La bocca di Stephan si incurvo in un sorriso spento. "Dovevo immaginarlo. Scusami se ti ho messo in imbarazzo."
I miei muscoli si rilassarono leggermente. "Non ti preoccupare. È tutto a posto."
Stephan aprì la bocca per dire qualcosa, ma il suo telefono squillò interrompendolo. Quando i suoi occhi si posarono sullo schermo, sbuffò piano e mi guardò con aria di scuse.
"Si è svegliata e vuole preparare la cena per me e per te." Alzò gli occhi al cielo imprecando sottovoce.
"Dovresti fermarla" dissi, accennando un debole sorriso. Non mi ero ancora rilassata del tutto.
"Lo so, credimi, ma non mi ascolterà. Potresti aiutarmi?"
Per un attimo riflettei sulla sua domanda, tentata di dire di no; ma poi ricordai la signora Brimbley che cadeva e sbatteva la testa sul pavimento. Il petto immobile, il cuore fermo, la pelle quasi bianca.
"Certo" risposi spegnendo il computer.
Quando entrammo nella casa della signora Brimbley, l'aria era pregna dell'odore di cipolla. La nonna di Stephan si era già messa al lavoro, occupando il tavolo con diversi ingredienti: carote, sedano, carne, olio. Appena ci vide, alzò il cucchiaio di legno che stringeva tra le ossute dita e ci salutò agitandolo.
"Nonna, i dottori hanno detto che ti devi riposare." Stephan era l'esasperazione fatta persona.
"Cucinare mi rilassa" ribatté accigliata la signora Brimbley.
Lanciai un'occhiata a Stephan e mi sembrò pronto ad esplodere, così decisi di prendere in mano la situazione per evitare che degenerasse.
"Posso aiutarla?" chiesi, avvicinandomi ai fornelli.
Lo sguardo della signora Brimbley si accese, mostrandomi un lato infantile che non avevo mai visto.
Due ore dopo eravamo tutti e tre seduti a tavola, con un piatto colmo di stufato e patate davanti ad ognuno di noi. Stephan cominciò a mangiare per primo, tuffandosi sul cibo come se non mangiasse da giorni; io e sua nonna iniziammo subito dopo.
"Come stai, Haylee?" mi domandò l'anziana signora mentre si versava un po' d'acqua.
"Bene" risposi meccanicamente. "Lei, piuttosto, mi sembra in gran forma."
Alzò le spalle con noncuranza. "Mi hanno ricaricato le batterie in ospedale."
Almeno non aveva perso il senso dell'umorismo.
"Vorrei ringraziarti per quello che hai fatto. Sei stata davvero coraggiosa. Se non ci fossi stata tu, a quest'ora non saremmo qui tutti insieme."
Deglutii piano, concentrando la mia attenzione sulle rose gialle stampate sulla maglia della signora Brimbley.
"Mi trovavo nel posto giusto al momento giusto." Sorrisi timidamente, poi bevvi un sorso d'acqua per idratare la bocca diventata secca.
"Allora, Haylee" intervenne Stephan con prontezza, "da dove vieni?"
Lo ringraziai mentalmente per aver cambiato argomento, ma poi mi pentii di averlo fatto. Non volevo parlare di me.
"Da qui" replicai subito.
"Da Waterbury?"
Annuii masticando un pezzo di carne.
"Prima dove vivevi?" La curiosità di Stephan si leggeva nei suoi occhi.
"Dall'altra parte della città."
"Oh, quindi sei cresciuta qui!" L'entusiasmo della signora Brimbley era quasi contagioso.
"Già" mi limitai a dire, iniziando ad agitarmi sulla sedia.
"Vivevi in periferia o più vicino al centro?"
Smisi definitivamente di mangiare. Avevo perso l'appetito.
"In periferia."
"Sono stato spesso dall'altra parte della città ed è una zona molto bella. Piena di case moderne e lussuose." Stephan alzò lo sguardo su di me con fare interrogatorio. "Cosa ti ha portato a lasciare quartieri così belli?"
Nel tono della sua voce notai un certo sospetto che prima non avevo mai visto. Come aveva fatto a cambiare atteggiamento nell'arco di così pochi secondi? Forse era arrabbiato a causa del mio rifiuto e si comportava in quel modo per ripicca?
"È una lunga storia." Sorrisi educatamente ad entrambi, pregando allo stesso tempo che uno squillo di un telefono interrompesse la nostra conversazione. Ma non accadde.
"Abbiamo tutta la serata per ascoltarla." Mostrò un sorriso furbo, poi incrociò le braccia al petto.
I suoi occhi azzurri mi fecero sentire piccola come una formica, ricordandomi la stessa sensazione che avevo provato varie volte con Dominic.
"Ho deciso di trasferirmi per problemi personali" risposi in fretta con voce dura.
Ormai avevamo finito tutti di mangiare, così mi alzai e cominciai a sparecchiare per impedire alla signora Brimbley di farlo. Stephan, intanto, iniziò a fissarmi con aria interrogativa, in attesa che continuassi a parlare; ma non lo feci.
Posai tutti i piatti nel lavandino della signora Brimbley, che per tutto il tempo non aveva parlato, poi mi girai verso di lei e suo nipote.
"Grazie per la cena. Era tutto squisito." Infilai la mano nella tasca dei jeans per prendere le chiavi del mio appartamento.
"Vai via?" chiese la signora Brimbley confusa.
Assentii. "Ho del lavoro da sbrigare e sono un po' indietro. Mi raccomando, cerchi di riposarsi."
Mi avviai verso la porta lentamente; ad ogni passo che mi allontanava da Stephan, l'agitazione abbandonava il mio corpo in modo graduale.
"Ti accompagno." Alle mie spalle, lui parlò a voce alta e mi sentii di nuovo in ansia.
Quando raggiungemmo la porta, feci per aprirla, ma Stephan la bloccò con una mano.
"Ti sono grato per aver salvato mia nonna, Haylee," esordì vicino al mio orecchio, "ma so che nascondi qualcosa, e se è qualcosa che possa metterla in pericolo, allora non farti più vedere."
Le parole di Stephan mi spaventarono al punto da sembrarmi una minaccia, così iniziai a tremare. Girai la maniglia della porta con malcelata sicurezza e mi premetti quasi contro lo stipite per allontanarmi da quell'uomo.
"Ciao, Stephan."
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