Capitolo 30 - Ora di Pranzo

Ero ancora in infermeria, stavo cominciando a non poterne più di quel posto. La professoressa era lì che dormiva. Quella donna era davvero la più dolce che io avessi mai visto. Non ricordavo più molto del mio passato, ma ero certa che lei fosse una persona molto dolce. Mi accoccolai sotto le coperte, avevo tanto freddo.
"Aurora, ti sei svegliata?"
"Sì" Risposi con voce molto roca, proprio perché mi ero appena svegliata. "Ho un po' di freddo..." Aggiunsi socchiudendo un po' gli occhi. Mentre l'infermiera andava nella stanza accanto a prendere una coperta, qualcuno bussò alla porta.
"Infermiera Ross, siamo io e Randy!" Quella voce non mi era nuova.
"Ragazzi, aspettate un attimo!" Rispose ad alta voce. "Tieni, cara, sistematela." Si rivolse a me in tono più delicato porgendomi la coperta.
"Aurora, ti sei svegliata prima di me!"
"Gloria, sei stata sveglia tutta la notte..." Rispose l'infermiera mentre apriva la porta ai due ragazzi.
"Ma io devo stare sveglia, Mikaela..."
"Non succede niente se dormi un'ora! Anzi, dovresti dormire molto di più!" La rimproverò la saggia infermiera.
"Lo so, ma questo è un periodo particolare... non lascerei mai Aurora da sola..."
"Gloria, ci sono io mentre dormi, stai tranquilla... di cos'hai paura?" La professoressa lanciò all'infermiera uno sguardo carico d'ansia. Una volta entrati nella stanza, i due ragazzi si avvicinarono al mio letto rompendo quella tensione che si era creata.
"Aurora, come va?" Chiese uno dei due.
"Hector, Aurora ha perso la memoria..." Disse l'infermiera.
"Ma come? Aurora, non ricordi più niente, quindi?" Chiese l'altro.
"Be', pian piano sto ricominciando a ricordare qualcosa, ma non tutto..." All'improvviso ricordai la volta in cui il ragazzo che aveva parlato per ultimo mi aveva salvata durante l'ora di Arte sistemandomi il disegno.
"Tu!" Esclamai io, indicandolo.
"Io sono Randy."
"Tu mi hai salvata durante l'ora di Arte!" Sorrise a quel ricordo.
"Be', sì..." Ammise imbarazzato. Sia Hector che Randy erano due ragazzi molto carini. C'era una certa alchimia tra loro, si guardavano con sguardi veramente profondi.
"Aurora, vorremmo davvero passare tutta la mattina qui, ma purtroppo per noi dobbiamo andare a lezione." Disse Hector mentre Randy rideva.
"Filate subito in classe!" Li rimproverò con un sorriso malizioso la professoressa.
"Andiamo, andiamo!" Disse Randy, sfiorando la mano di Hector. I due lasciarono la stanza ed eravamo rimaste ancora una volta solamente io, la professoressa e l'infermiera.
"Hai ancora freddo?" Chiese l'infermiera.
"Non tanto... comunque non posso alzarmi? Non ne posso davvero più di stare qui sdraiata, avrei bisogno solamente di una boccata d'aria fresca!"
"Aurora, se ti succedesse qualcosa non ce lo perdoneremmo mai!" Rispose la professoressa.
"Allora mi accompagna lei, voglio solo respirare un po' d'aria pulita, voglio stare un po' all'aria aperta, e vedo che qui non ne manca per niente, di aria pulita! C'è un bel bosco..." Una volta nominato il bosco, vari flashback si susseguirono nella mia mente. Una volta era buio e piangevo, un'altra volta correvo mentre le mie ginocchia sporche di sangue sprofondavano nella neve, macchiandola...
"Solamente per dieci minuti, non di più!" Disse l'infermiera bloccando il susseguirsi di ricordi che si facevano pian piano strada nella mia mente. Il mio volto si illuminò. Volevo davvero provare la sensazione del gelido vento invernale sul mio volto e della neve che sprofondava sotto i miei piedi.
"Ma ti accompagno io! Non ti lascio sola!" Si affrettò ad aggiungere la professoressa. Mi andava bene così, del resto le volevo bene, avremmo passato un po' di tempo solo io e lei. Indossai un mantello e scesi lentamente dal letto. Le gambe tremarono un po' sotto il peso del mio corpo, la testa fece un po' male all'inizio, ma non cedetti. La professoressa si mise delicatamente a braccetto con me ed aprì la porta. Passo dopo passo le gambe avevano smesso di tremare e la testa di fare male. Attraversammo corridoi infiniti e sale immense fino a che, ad un certo punto, arrivammo di fronte ad una porta immensa. La aprì ed uscimmo. Faceva davvero freddo fuori ma non avevo nessuna intenzione di ritornare dentro. Ogni tanto un ginocchio cedeva, non essendo più abituato a sorreggere un tale peso, ma la professoressa prontamente mi tratteneva. Nessuna delle due parlò fino a che ci trovammo di fronte ad un bellissimo giardino ricoperto di neve.
"Ti va di costruire un pupazzo di neve?" Propose la professoressa.
"Certo!" Sorrisi. Lei arrotolò un mucchietto di neve che sarebbe stato il corpo, mentre io preparai la testa. Prese qualche ramoscello caduto dagli alberi vicini e li sistemammo al posto delle braccia e del naso, io invece raccolsi qualche sassolino per gli occhi, la bocca e i bottoni. Alla fine erano passati molti più di dieci minuti, ma ci eravamo divertite davvero tanto. Osservammo attentamente la nostra "opera d'arte" prima di ritornare all'interno dell'Accademia. Una volta rientrate, la abbracciai forte. Abbracciare quella donna mi faceva provare sempre un'emozione diversa, ma una cosa era certa: mi faceva sempre sentire al sicuro da tutto nel calore delle sue braccia, eravamo solamente io e lei e nessuno più. Sapeva che in quel momento ero delicata come la porcellana, non ricordavo più nulla, non potevo davvero sapere di chi fidarmi, ma lei mi faceva sentire veramente protetta.
"Ma chi erano quei due ragazzi di prima?" Chiesi riferendomi ad Hector e Randy.
"Sono due tuoi amici! Ti vogliono tanto bene!" Spiegò la professoressa. Poco dopo entrò Alexandre.
"La nostra professoressa di Lingue ha preso l'influenza, quindi abbiamo un'ora buca!"
"Hai sprecato la tua ora buca per venire da me?" Chiesi perplessa.
"Stai tranquilla, non la sto mica sprecando!" Arrossii leggermente. Quel suo sorriso così travolgente, quegli occhi che mostravano la sua anima... mi stavo forse innamorando di nuovo di lui? "Come stai?" Mi chiese.
"Bene, sono uscita in giardino con la professoressa poco fa!"
"Gloria, vieni con me un attimo?" Chiese l'infermiera alla professoressa, facendole un occhiolino. Cercai di far finta di nulla, mantenendo il contatto visivo con Alexandre.
"Davvero sei uscita?!" Esclamò Alexandre felice. Io annuii. "Ti stai riprendendo in fretta!" Continuò. Ogni secondo che passava, lo avrei voluto vicino a me sempre di più. Avrei voluto essere così vicina a lui da confondere i nostri respiri, da sentirgli il battito, da baciarlo. Non capivo bene cosa mi stesse prendendo, ma lo volevo più di ogni altra cosa. Purtroppo, però, dovetti frenare quell'impulso. Non volevo sembrare una pazza, del resto non avevo riallacciato dei veri e propri rapporti con nessuno, quindi se lo avessi baciato, sarei sembrata più che fuori luogo. Ma nella mia mente eccome se lo volevo. Mi alzai, non avevo voglia di stare a letto. Lui si avvicinò a me. Eravamo vicinissimi. Mi abbracciò delicatamente e io poggiai la mia testa sul suo petto. Mentre mi accarezzava la schiena, io gli ascoltavo il battito, che accelerava sempre di più. Sentii il suo respiro sulla mia testa, alzai lo sguardo, lui abbassò il suo. Ci guardavamo negli occhi: io ero rossa, un po' imbarazzata, lui invece trasudava ancora quella sua delicata sicurezza. Ci avvicinammo un altro po' e finalmente le nostre labbra si incontrarono. Non sentii più niente. Lo strinsi più forte a me e lui fece lo stesso. Fu un bacio lungo, delicato ma travolgente. Le sue labbra erano così delicate con le mie, sembravano fatte per sfiorarle in quel modo per sempre. Non avrei mai più voluto staccarmi da quel bacio. Era l'unica cosa che m'importava in quel momento. Gli accarezzai leggermente la schiena e lui fece lo stesso con me. Ci slegammo da quell'abbraccio. Il mio cuore batteva ancora velocemente e respiravo un po' affannosamente, anche se cercai a tutti i costi di nasconderlo: non era esattamente ciò che si sarebbe definito romantico. Ci guardavamo ancora negli occhi, anche se ogni tanto distoglievo lo sguardo, un po' vergognata. Mi sedetti sul letto e mi coprii nuovamente con la coperta, dato che stavo ricominciando a sentire freddo dopo l'ardore di quel bacio. Nessuno dei due parlava, eravamo in silenzio a lasciare che fossero i nostri sguardi a parlare. Un po' ero in imbarazzo per quella situazione, non sapevo più come si facesse.
"Sei sempre perfetta" Sembrò leggere nella mia mente tutte le mie paure.
"Anche se mi trovo in un letto di un'infermeria?"
"Ricordati sempre che ciò che conta non è come sei esteriormente. Io ho sempre amato come sei dentro..."
"E come sono dentro?"
"Sei una ragazza perfetta, sei bellissima dentro e fuori..."
"Come puoi dirlo?"
"Posso dirlo e basta" Disse infine con soave decisione. Mi sorrise lievemente, come a volermi dire di stare tranquilla, come a volermi dire che era la verità. Io sorrisi un po' e sentii le guance prendermi fuoco.
"Ciao, Aurora, ci vediamo più tardi... comunque anche io voglio stare un po' fuori con te!" Rise leggermente.
"Anche io! Ti prometto che appena mi riprenderò, passeremo tutto il tempo che vorremo insieme!" Sorrise un'ultima volta ancora prima di uscire. Era stato davvero strano. Non sapevo cosa fare, il tempo scorreva molto lentamente in quella stanza.
"Infermiera, ma ormai sto bene! Vede come mi sono ripresa?" Cercavo di contrattare di tanto in tanto, mentre saltellavo da un angolo della stanza all'altro per farle vedere che mi ero ripresa del tutto.
"Aurora, sai che non posso lasciarti, ma penso che domani mattina potrai già uscire... però dovrai stare molto attenta!" Mentre diceva queste parole, la professoressa la guardava con aria preoccupata. Si spaventavano che mi sarebbe successo di nuovo? Non avrebbero potuto tenermi lì dentro per sempre, prima o poi sarei dovuta uscire.
"Piccola Aurora, ti sei ripresa in fretta..." Disse la professoressa con tono di una che voleva che accadesse il contrario.
"Per caso le avrebbe fatto più piacere se mi fossi ripresa più lentamente?" Sbottai.
"Questo no, però anche quest'Accademia purtroppo è diventata pericolosa... ricorda che io voglio solo il tuo bene..." Mi abbracciò. All'inizio rimasi rigida, poi però mi sciolsi e l'abbracciai anche io. Ancora una volta mi ritrovai tra le braccia in cui mi sentivo al sicuro da tutto.
"Le voglio bene, prof..."
"Anche io te ne voglio tanto!" Rispose con gioia, come se non aspettasse altro che sentirsi dire quello.
"Piccola Aurora, tieni questa... l'avevi attaccata alla divisa quando è successo il fatto..."
"Che cos'è?" Chiesi curiosa. Quando la osservai meglio, però, ricordai tutto. Era la spilla che mi aveva donato.
"Grazie per avermela riportata, ci tengo tantissimo!" Dissi tutt'un fiato prima che iniziasse a spiegarsi.
"Davvero ci tieni tanto?"
"Certo, cosa pensa?"
Comparve un sorriso sul suo volto. Avrei voluto tanto chiederle perché non l'avesse data alla nipotina, però decisi di non metterla in imbarazzo.
"Posso pranzare alla Mensa?"
"Aurora, lo sai che-"
"Se davvero lo vuoi, posso permetterti di farti pranzare lì..." La fermò l'infermiera.
"Io lo voglio davvero!"
"Allora potrai andarci, per massimo un'ora, okay?"
"Okay!" Mi sentivo tanto felice. Ad un certo punto, qualcuno bussò alla porta.
"Chi è?" Chiese l'infermiera.
"Sono la professoressa Raveryn." Rispose la voce secca dall'altra parte. Quel nome non mi era per niente nuovo.
"Entra pure." Si inacidì l'infermiera.
"Aurora, come stai?" Chiese entrando. I suoi occhi penetranti sarebbero anche stati belli se non avessero avuto quello sguardo.
"B-bene..." Balbettai terrorizzata. Che cosa mi stava succedendo? Chi era quella donna?
"Aurora, tutto bene?" Mi chiese la professoressa Dahl, vedendomi sbiancare. Cominciai a sentire freddo, le mani cominciarono a sudarmi e a tremarmi e avevo un nodo alla gola. Feci automaticamente un cenno positivo, ma stavo sempre peggio. Adesso anche il mio udito era peggiorato. Cominciai a sentire le voci sempre più soffuse e lontane.
"Sicura? Sei un po' pallida..." Disse la professoressa. Io non risposi, sentivo sempre più freddo, mi sentivo sempre più distante. Incrociai lo sguardo della Raveryn e un brivido mi percorse la schiena. Chi era quella donna? Me lo chiedevo ripetutamente in testa, senza però trovare risposta. Mi fissava con quei suoi occhietti glaciali da far paura. Cosa voleva da me? Se ne andò. Ad un certo punto non sentii più niente e chiusi gli occhi che si erano fatti pesanti. Mi risvegliai poco dopo.
"Chi era quella donna?"
"La tua professoressa di Lingue."
"Davvero? Non la ricordavo più..." La professoressa mi guardò sorridendomi. "Ma penso che non la dimenticherò mai più..." Mormorai con un brivido. La sua immagine era fissa dentro il mio cervello, sembrava non voler andare più via.
"Su, piccoletta, non avrai intenzione di stare qui a rabbrividire per tutto il tempo! Devi andare in Mensa, è ora di pranzo!" Rise un po', così divenni sempre più rossa dall'imbarazzo. "Ti accompagno?"
"Sì..." In effetti non ricordavo più la strada. Uscii piano dalla stanza e lei mi guidò nuovamente per corridoi e per stanze gigantesche, fino a quando non arrivammo alla Mensa.
"Ci vediamo dopo, piccoletta, buon pranzo!" Mi salutò con un gran sorriso.
"A dopo!" Quella donna era davvero speciale...
Fu proprio in quel momento che vidi Alexandre. Indossava la divisa, ovviamente, ma quel suo sorriso, quello che poche ore prima avevo baciato come se fosse stata l'ultima volta, era la cosa più bella che avessi mai visto, ne ero certa. All'inizio non mi notò: parlava con una ragazza riccia. Provai una nota di gelosia nei suoi confronti, ma non feci nulla. Semplicemente aspettai che posasse il suo sguardo magnetico su di me. Quando finalmente lo fece, sussultai.
"Aurora! Ti presento la mia migliore amica, Leila!" Quel nome rievocò brutti ricordi nella mia mente e lui parve notarlo. "Se vuoi prendiamo posto..." Farfugliò perdendo tutta la sicurezza che aveva avuto la mattina. Io non dissi nulla, semplicemente mi avviai verso il posto vuoto che si trovava accanto a Florie.
"Aurora! Che bella sorpresa!" Le sorrisi lievemente. Mangiai le cose più buone che avessi mai assaggiato in vita mia. La giornata non era molto soleggiata, eppure adoravo quel cielo. Quando l'ora fu terminata, precisa come un orologio svizzero, arrivò la professoressa.
"Aurora, devi ritornare in infermeria..." Annuii, seppur con una certa riluttanza. Avevo appena goduto dell'aria di festa che aleggiava per l'Accademia, che dovevo di nuovo ritornare in quel posto che era tutto tranne che allegro. Passai il pomeriggio a non far nulla, motivo per il quale sembrò non passare mai. Vennero le ragazze giusto dieci minuti, ma a detta loro avevano mille compiti per l'indomani. Alexandre non si fece vivo. La professoressa mi portò qualcosa per cena e poi mi addormentai, sotto lo sguardo vigile e protettore della Dahl.

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