Capitolo 19 - Neve

Il giorno seguente, una volta sveglia, andai a fare colazione. Ormai mi sentivo sola nonostante avessi mille persone attorno. Era l'unica che mi mancasse veramente, eppure senza di lei mi sentivo sola. Ora non era più lo stesso. Ero certa che non sarebbe mai più ritornata. Fu, per qualche inspiegabile ragione, come perdere una parte della mia stessa vita. Mi sentivo vuota, ma ormai avevo preso confidenza con quella sensazione. Non riuscivo a trovare nulla che mi facesse sorridere. Le ragazze avevano notato che c'era qualcosa di strano in me, ero molto taciturna.
"Aurora, cos'hai?" Mi chiese Eléonore.
"Nulla, semplicemente volevo andare a Cauex..." Dissi triste.
"Vedi, il lato positivo: fuori fa freddo!" Tutto ciò non mi tirava su il morale.
"Ti capisco, Aurora." Disse con tono grave e con voce bassissima Yumiko. Continuai a fissare la mia tazza di cioccolata calda senza berne nemmeno un sorso per un po'. Quando capii che si era fatto tardi, decisi di berla in due sorsi e ritornai in camera. Lì, trovai sul mio letto un diario.
"Aurora, volevamo farti un regalo, così quando siamo uscite l'ultima volta ti abbiamo preso un diario... speravamo potesse aiutarti a sfogare le tue emozioni..."
"Grazie." Dissi senza emozioni. Probabilmente ero stata troppo brusca, ma non riuscivo a fingere che tutto andasse bene. Mi sedetti sul mio letto e cominciai a scrivere. Piansi, sì, piansi anche mentre scrivevo.
«Caro diario,
Non riesco a capire perché mi stia accadendo tutto questo. In qualche mese la mia vita è cambiata, penso in peggio. È vero, ho conosciuto la persona che più influenza la mia vita, ma tutto ciò mi rende triste... lasciarla è la cosa più brutta del mondo, non voglio perderla...
Aurora»
Una lacrima bagnò la pagina. Poche parole di un significato immenso. "Non voglio perderla". Quella frase rimbombava nella mia testa. Era tutto ciò che volevo, lo desideravo con tutta me stessa. Ero indecisa se scappare di nuovo oppure restare lì, a riflettere. All'inizio restai lì, sul letto, sdraiata, a guardare il tetto. Era bianco e vuoto, proprio come me. Ero vuota. Pensavo di aver perso la gioia. Dopo averci pensato su per un po', decisi di scappare di nuovo. Dovevo vederla. Avevo il rimorso per averla lasciata lì, in preda alla disperazione.
"Florie, ritornerò stasera... devo andare dalla professoressa..." Florie mi fece un cenno di intesa. Come mio solito, osservai intorno per vedere se ci fosse qualcuno in giardino e, una volta compreso che era vuoto, saltai e cominciai a correre. Pioveva a dirotto. Mi sarebbe venuta di nuovo la febbre, ne ero certa, ma non m'importava: dovevo vederla ad ogni costo. Scivolai graffiandomi il ginocchio, ma non m'importava, continuavo a correre come se non ci fosse stato un domani. Il sangue scorreva, ma la pioggia lo portava via. Finalmente ero arrivata. Ero lì, ad un passo dalla porta, ma non avevo il coraggio di bussare. Mi sistemai come meglio potevo, ma restavo in condizioni pietose. L'uniforme era sporca di fango, il ginocchio era rosso ancora sanguinante, i miei capelli erano spettinati. Ma presi tutto il mio coraggio e bussai.
"Chi è?" Sentii la Dahl.
"Sono Aurora..." Pronunciai con un filo di voce.
"Che ci fai qui?" Chiese brusca.
"Volevo semplicemente vedere come stava... mi dispiace per ieri sera, non volevo..."
"Sto bene, grazie, mentre tu non dovresti scappare dall'Accademia. Né tantomeno dovresti camminare conciata così. E poi ci potrebbero essere tuoi compagni in giro. Sai, ora è il periodo di Natale." Spiegò gelida. A quelle parole semplicemente ritornai indietro. Aveva notato il mio graffio, ma non aveva detto nulla. Non le importava nulla di me, mi ero inventata tutto. Perché quella era la vita perfetta che desideravo. Ma non era la realtà. Mi voltai per ritornare nel bosco con la speranza che mi chiamasse per non farmi andare via così in fretta, soprattutto in quelle condizioni. Ma non accadde. Chiuse la porta bruscamente. Mentre ritornavo in Accademia cominciò anche a nevicare. Non c'era nulla che andasse bene, come al solito. Se fossi rimasta lì con la speranza di abbandonare tutto e tutti, mi avrebbero trovata comunque. Così fui costretta a ritornare, anche senza volerlo. I fiocchi di neve cadevano freddi sui miei capelli e sul mio volto. Avevo freddo. Nessuno che mi abbracciasse davanti ad un fuoco, nessuno a dirmi che sarebbe andato tutto bene. Ero di nuovo sola. Come sempre. Una volta rientrata in Accademia mi misi a letto con la faccia contro il cuscino.
"Florie..." Sentii che si girò verso di me. "A te importa di me?" Chiesi sul punto di piangere.
"Certo, che domande fai!" Scoppiai a piangere. Così, di punto in bianco. "Aurora che ti ha detto la professoressa?"
"Che non le importa nulla di me!" Urlai con tutto il fiato che avevo in gola. Singhiozzavo mentre le lacrime scorrevano. Avevo freddo ma allo stesso tempo ero calda.
"Non ho voglia di cenare, a domani..." Dissi mentre lei era sulla soglia della porta per andare alla Mensa. Quando fui sola, cominciai a piangere più forte. Perché dovevo stare così male per lei? Perché nella mia vita avevo sempre sofferto? Cosa avevo di sbagliato? Con questi interrogativi, mi addormentai con un fortissimo mal di testa.

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