Capitolo 18 - È sempre colpa mia

Senza di lei i giorni passavano lentamente ed erano piatti, non succedeva mai nulla di importante. Passarono così settimane, settimane in cui Alexandre provò a riguadagnarsi la mia fiducia. A sostituire la Dahl era venuta una professoressa molto giovane di poco meno di trent'anni. Con gli altri era molto simpatica, ma ad ogni lezione sembrava mettermi alla prova. Probabilmente perché aveva saputo il rapporto che avevo instaurato con la Dahl. Ad ogni weekend andavo a trovarla mentre le ragazze facevano il giro di Caeux. Ogni volta in quella casa, quando eravamo insieme, succedeva qualcosa di magico. Quando cominciò a fare più freddo, decise di accendere il camino ad ogni mia visita. Noi due ci mettevamo sul divano a riscaldarci sotto le coperte e davanti il camino. Stavamo accoccolate per ore a raccontarci la nostra vita privata. Ogni momento che passavo con lei era magico, ogni volta sempre di più. Sembrava che il nostro rapporto si mantenesse saldo, anzi migliorasse, nonostante passavamo tanto tempo lontane. Era come se un qualcosa più forte di noi ci legasse nonostante tutto. Di tanto in tanto veniva anche Anne e allora ci divertivamo a giocare tutte e tre insieme e mi sembrava di ritornare bambina per un paio d'ore. Lei era semplicemente la persona più dolce che avessi mai conosciuto. Quando dovevo tornare in Accademia era sempre "traumatico". Non volevo mai ritornare, io ero felice lì da lei, tra le sue braccia. Anche se controvoglia, ritornavo ogni volta. I professori sembravano essere più dolci con me. Tutti tranne la Raveryn. Ogni volta mi portava dalla preside con una scusa sempre diversa e la preside mi dava punizioni. Non sapevo ben dire se la preside fosse diventata d'un tratto più severa o se fosse solo una mia impressione. Comunque mi ritrovavo sempre in punizione. Un weekend agli inizi di dicembre non potei andare a Caeux perché come punizione non dovevo uscire dall'Accademia. Quel sabato scrissi una lettera alla Dahl per avvisarla che non sarei potuta venire. A quella lettera lei non rispose. Florie e le altre restarono con me per farmi compagnia. Florie cercava di convincermi che fosse solo impegnata, ma non mi convinceva. Quella volta decisi di scappare. Una volta andata a letto, mi buttai giù dal balcone e corsi più veloce che potevo attraverso il bosco. Avevo bisogno immensamente di stare tra le sue braccia. Avevo bisogno della sicurezza che solo lei sapeva darmi. Non sapevo bene che ora fosse, ma bussai così talmente forte fino a che non scese.
"Aurora..." Disse aprendo la porta. "Che ci fai qui?" Aggiunse, ancora assonnata.
"Professoressa... Perché non ha risposto? Mi sono preoccupata..."
"A cosa avrei dovuto rispondere?" Fu in quel momento che capii che la lettera non le era arrivata. "Aurora!" Continuò lei preoccupata. "Cosa c'era scritto, Aurora?"
"Nulla di importante..." Abbassai lo sguardo a terra.
"Aurora, lo so che stai mentendo! Dimmi cosa c'era scritto!" Gli occhi mi si erano riempiti di lacrime al vederla così arrabbiata e preoccupata.
"Che mi mancava tanto e che purtroppo non sarei potuta venire perché ero in punizione... che se avessi potuto sarei corsa da lei per abbracciarla forte..." Cominciai a rabbrividire. Ormai sapevo cosa significava.
"Aurora... no..." Era disperata.
"Cosa ho fatto di male?" Chiesi con le lacrime che mi scendevano sulle guance.
"Aurora, io non ho nessun parente che sta male! Aurora, ci avevano avvisate, ricordi? Non dovevamo più stare insieme, invece nonostante tutto abbiamo continuato ad essere affettuose l'una con l'altra! Allora mi hanno mandata via, io sono stata licenziata, Aurora!" Dicendo ciò i suoi occhi divennero lucidi. Non potevo credere a ciò che avevo appena sentito.
"Non può essere vero... n-non può essere vero..." Dissi con gli occhi gonfi di lacrime. "Per colpa mia... scusi..." Lei cercò di abbracciarmi ma io non volli. "Scusi, non posso..." Non la salutai nemmeno. Semplicemente asciugai le lacrime e cominciai a correre.
"Aurora, ti prego, non lasciarmi! Quando ci rivedremo?! Aurora, ti prego..." Urlò con tutto il fiato che aveva in gola. Ma io non riuscivo a rispondere, le lacrime scorrevano di nuovo gelide tra le mie guance calde e poi cadevano. Io mi sentivo persa. Non poteva essere stata licenziata! Non per colpa mia!
"È sempre colpa mia!" Urlai disperata mentre correvo per il bosco. In quel momento rividi tutti i momenti della mia vita in cui avevo pensato quella frase... ah, quanti ce ne erano stati! Mi sentivo sola. Ritornai in camera e feci finta di nulla. Mi misi a letto e cercai di dormire. Ovviamente non ci riuscii.

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