Capitolo 48
Michael rimase immobile qualche altro momento, quando capí di poterlo fare senza rischiare la morte, quando realizzò di non essere più in pericolo scattò verso Vivian. Si chiese perchè quella donna non si fosse premurata come stava facendo lui, come si potesse rimanere distaccati in quel modo davanti ad una ragazza chiaramente sofferente?
Faceva tutto parte del modo in cui quella famiglia formava i suoi guerrieri più abili, quella storia per cui il dolore rendeva più forti.
La compassione era inutile, nutriva le debolezze.
Si sedette vicino a lei e le avvolse il corpo esile con le braccia, stava provando a proteggerla anche se sapeva quanto in realtà fosse lui ad avere bisogno di lei. Vivian si lasciò coccolare, poggiò addirittura la testa sul suo petto, fu la sensazione migliore del mondo, ancora più bella di sapere di non rischiare più la morte. Socchiuse gli occhi e si beò di quelle attenzioni senza proferire parola.
Michael le baciò la testa sotto lo sguardo indagatore di Giulia che non capiva chi diavolo fosse e perchè riservasse tutte quelle premure alla giovane che aveva sempre considerato una sorta di sorella minore, se non proprio una figlia. Da quando aveva deciso di stare con John aveva imparato ad amarla, sebbene gli screzi e le loro difficoltà a dimostrare affetto, aveva sempre provato a proteggerla. Se l'era vista crescere e cambiare in casa, e l'aveva vista anche perdersi nella solitudine, nelle droghe, nell'alcol, nella voglia di trovare cose che non sapeva, intanto che rinunciava a se stessa.
« Vi lascio un po' di privacy. » Se ne andò, sospettosa ma contenta; era la prima volta che la vedeva in quel modo, stranamente felice. Distrutta dalle botte e dalla stanchezza, minacciata dai peggiori criminali di New York, ma felice. Prima di scomparire si bloccò davanti alla porta principale e li guardò l'ultima volta. « Avete dieci minuti di tempo, poi faccio entrare quelli dell'ambulanza e vi rivedete dopo i controlli. »
Era tipico di lei, trattare Vivian come un'adolescente ogni volta che doveva essere minimamente empatica con lei.
Per la prima volta la giovane trovò quel comportamento dolce, piuttosto che opprimente.
Quando furono soli si strinsero ancora di più, avevano cosí bisogno l'uno dell'altra che non sentirono più i dolori, la stanchezza, i lividi.
Si guardarono per un momento interminabile, e la felicità dell'americana si tramutò presto nei peggiori sensi di colpa mai provati. « Scusa, scusami. »
« Mi hai salvato la vita. »
« No, se non fosse stato per me qui non ci saresti finito. »
Guardarlo mentre gli confessava quelle cose era doloroso, difficile, ma se lo meritava, di sentirsele dire in quel modo.
« Ho deciso io di restare, Vivian. Mi hanno trovato perchè non sono andato via. » Si bloccò un momento, ricordando cosa avesse fatto prima di decidere di rimanere. « Avevo anche scritto una lettera di addio, l'ho buttata. Io voglio stare con te. » Lo sguardo era sincero, si avvicinò per baciarla ma la pelle lacerata prese a bruciargli non appena si scontrò con quella di Vivian, le effusioni che si scambiarono sapevano di sangue. Sorrisero divertiti da quella situazione, anche se v'era in realtà ben poco da ridere.
Quei dolori riportarono presto la mente di Vivian alla realtà. « Michael se rimani con me ti useranno sempre per queste cose, le vendette, i giochi di potere. Oggi ci siamo salvati per un pelo. » Con una mano andò ad accerezzargli la giacca scura, sporca della terra che gli si era attaccata addosso quando lo avevano picchiato.
Non era giusto.
Scosse il capo. « Ho deciso, ho fatto la mia scelta. » Le accarezzò un braccio, e sistemò meglio il cappotto che le era scivolato dalle spalle.
« Io tengo troppo a te per vederti soffrire a causa mia. » È la cosa più brutta che tu possa farmi, è peggio di morire, peggio di saperti lontano.
« Sei testarda da morire. » Era una delle tante cose che adorava di lei.
« Meriti qualcuno che ti faccia stare bene. »
Lei lo faceva stare bene. Ogni volta che lo guardava, ogni volta che sentiva la sua voce melodiosa e tutte le volte in cui gli concedeva di guardarla, rubarle un bacio e assaporare il suo corpo caldo.
Tutto il resto gli sembrava una punizione, se non era contemplata Vivian, e pensare di lasciarla ad un altro gli faceva ribollire il sangue nelle vene.
« Datti una possibilità. »
Michael odiava quando Vivian tirava fuori la sua convinzione assurda per cui l'unica cosa che sapesse fare fosse far soffrire gli altri.
Lei invece si chiedeva come facesse a desiderarla mentre quasi non poteva aprire bocca senza mostrare una smorfia sofferente. Erano aggrovigliati in un abbraccio sbagliato, seduti a terra dopo essere stati ostaggi del criminale più terribile di New York. Non bastava questo, per odiarla? Perchè non era facile farsi detestare da lui come con tutti gli altri? Aveva la capacità di manipolare chiunque, farsi amare, odiare, detestare e invidiare come se controllare le reazioni degli altri fosse la cosa più semplice del mondo.
Con lui non poteva, non riusciva a mentirgli e anche quando ci provava Michael le strappava la verità da dentro al petto.
Sospirò. « Michael— » Fece per rispondergli ma a quanto pareva i dieci minuti erano terminati, entrarono a controllarli dei tizi vestiti di arancione, infermieri. Vivian seguí le loro indicazioni in silenzio, ogni tanto rivolgeva uno sguardo dispiaciuto a Michael, che le prese la mano e ancora una volta cercò di rassicurarla.
Le fecero stendere le gambe, sentí un forte dolore al ginocchio e dovette stringere i denti. Si era fatta distruggere per bene ma ne era valsa la pena, lui la guardava mentre un tizio gli tamponava una ferita sulla fronte, coperta dai capelli corvini. Non avevano ancora finito la loro discussione, ma aveva come l'impressione che sarebbe potuta durare all'infinito: ognuno di loro sapeva ciò che volesse e non era disposto ad ascoltare l'altro, era improbabile che lui o lei cambiassero idea ma anche che riuscissero a trovare una vera soluzione.
Risolvere i problemi non era certo il forte di quei due matti, e neppure prendersi le proprie responsabilità.
Vennero accompagnati fuori e fatti riposare più comodamente, preva non avessero niente di rotto ma era meglio essere sicuri, per cui Giulia aveva assolutamente preteso che gli venissero fatti tutti i controlli necessari.
Adesso Vivian aveva voglia di sentire il fratello, sapere che stesse bene insieme a Vittoria. Fece per cercare il telefono ma ricordò l'avesse quello stronzo di Sergio.
Prima che potesse lamentarsene uno degli uomini la raggiunse con l'oggetto in mano. « Spero non si sia rotto mentre lo prendevamo a calci. »
L'espressione era seria, non stava scherzando, avevano distrutto quel ragazzo talmente tanto da non riuscire a salvare neppure l'Iphone nelle sue tasche. Aveva il vetro rotto, la bionda alzò le spalle e congedò l'uomo con un gesto del capo. Controllò se funzionasse comunque, ma era morto. I cristalli liquidi esplosi ne impedivano l'uso, quindi lo bloccò e lo mise in tasca, prima o poi sarebbe andata a prenderne uno nuovo.
Vide Giulia e la richiamò in silenzio, voleva chiederle di poter usare il suo, di telefono, per sentire il fratello.
Quella acconsentí volentieri e Vivian non perse tempo.
« Sorellina, hai combinato un bel casino questa volta. »
« Ho salvato il culo a tutti, a quanto pare. »
« Avrai salvato tutti ma questo non ti autorizza a parlare in modo volgare. » Rise, ma si bloccò subito perchè tirando le labbra rischiava di aprirsi le ferite.
« Come state? »
« Benissimo, Vittoria non ha neppure un graffio. » A differenza di chiunque avesse avuto il compito di sorvegliarla. Probabilmente erano tutti morti nel tentativo di difendersi dalla furia spietata di suo fratello. « Ora sta dormendo, ma non vede l'ora di raccontare a tutti cosa sia successo. Pensa che di essere stata in gita con dei nostri amici. »
« Mi manca tantissimo, quando si sveglia dille che sto arrivando. » Se avesse avuto tempo le avrebbe preso un bel regalo, ma doveva darsi una sistemata e capire se fosse ancora tutta intera.
« Si, piuttosto tu devi raccontarmi chi è quel tizio che ti segue ovunque tu vada. » Il tono di voce non era severo,
non la stava rimproverando, era solo piuttosto curioso.
« Michael? »
Quando pronunciò il suo nome si voltò per controllare se l'avesse sentita, erano troppo lontani.
« Quello che si stava facendo ammazzare solo per starti dietro, si. » Non amava non poter scegliere chi far frequentare a Vivian, ma l'aveva sempre vista in giro con gente stupida e superficiale, come quel biondo, Marcus e la sorella maggiore. L'avevano portata sulla peggiore delle strade e si era sempre sentito impotente davanti alla voglia di auto distruggersi della bionda, alimentata in continuazione da quei due fratelli.
Abbassò lo sguardo. « Gli ho detto di tornare a casa. »
« E lui? »
Si sistemò più comoda, allungò le gambe in avanti per trovare sollievo dai dolori. « Non vuole, non capisce. »
« Forse ha capito e ha deciso di rimanere. »
Una smorfia amara le si dinse sul viso delicato. « Chi sarebbe tanto stupido da voler rimanere? »
Lo sentí sospirare, riusciva ad immaginarlo mentre scuoteva il capo, sconfitto dalla testardaggine della sorella. « Non è cosí assurdo che qualcuno ti voglia bene, Vivian. »
« Potrebbe avere una vita molto più tranquilla, non voglio che finisca in altri casini per colpa mia. »
« Non puoi decidere per lui. »
« Neppure lui può farlo per me. »
Che altro aveva in mente? John se lo chiese ma poi pensò che capire come funzionasse la testolina di Vivian fosse impossibile, raramente era capace di trovate un senso vero alle sue decisioni, figuriamoci capirne i piani.
Era spesso un genio, ma a volte finiva per imbrogliarsi nelle proprie reti.
« Ti accompagna a casa? »
« Davvero? » Alzò le sopracciglia, rivolse un altra occhiata a Michael seduto nel retro di un'ambulanza qualche metro più lontano. Questa volta si accorse di lei e la salutò con un cenno del capo.
« Cosa? »
« Davvero mi hai chiesto di portarlo a casa? »
« L'ultima volta che ci siamo visti non sono stato molto gentile, e visto che era disposto a farsi uccidere per salvarti e salvare Vittoria vorrei ringraziarlo. »
« Si, come no. »
« Si cena alle ventuno. »
Vivian abbassò lo sguardo e rise sommessamente, non se lo immaginava proprio, Michael alle prese con una tipica cena Archibald.
Si salutarono e chiusero la chiamata, lei si voltò nuovamente nella direzione dell'italiano, questa volta solo per bearsi della sua vista: era bellissimo mentre si guardava intorno disorientato, poi decideva di fregarsene e prendere dal solito pacchetto una delle sue amate sigarette. Adesso il taglio che aveva sulla fronte era coperto da un cerotto bianco, i capelli davanti incrostati di sangue lo rendevano quasi più affascinante.
La raggiunse un infermiere e prese a medicarla per quello che poteva vedere, disinfettò le ferite superficiali e le chiese di muovere gambe e braccia. Comunque le diedero una coperta, anche se lei avrebbe preferito una sigaretta.
Giulia si avvicinò e reclamò il proprio cellulare, la guardò con la faccia di chi già sapesse, probabilmente era stata lei ad informare John del nuovo amichetto della sorella.
« Stasera faccio tirare fuori il servizio buono? »
« Domani lo lego sul primo volo disponibile. » Adesso che era chiusa nella coperta datale poteva restituirle la giacca scura, non si sarebbe mai perdonata se l'avesse sporcata di sangue. Si sarebbe maledetta all'infinito perchè avrebbe dovuto udire le sue lamentele e rimproveri per mesi.
« Come vuoi. »
Cantilenò, allontanandosi mentre ondeggiava nei riccioli perfetti. A volte le sembrava una dea per quanto era leggiadra ed elegante, superiore a tutti loro insulsi esseri umani.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top