Capitolo 4
Dopo il breve incontro con lo sconosciuto misterioso, Vivian riuscí finalmente ad entrare nell'appartamento. La chiave era sotto lo zerbino del primo portone al terzo piano proprio come le aveva spiegato il proprietario. Tirò un sospiro di sollievo e per l'ultima volta in quella giornata interminabile si mise il borsone sulla spalla sinistra per trascinarsi dentro casa.
Non aveva grandi aspettative, a quel punto le sarebbe bastato un materasso a terra e un lenzuolo, ma quando si richiuse la porta alle spalle la realtà superò di gran lunga gli standard che si era prefissata.
Lorenzo sei unico.
Lo insultò mentalmente, gli aveva chiesto aiuto per cambiare stile di vita e adesso si ritrovava a vivere da sola in un appartamento che con il suo lavoro, che ancora non esisteva, mai si sarebbe potuta permettere.
L'ingresso si apriva su un salottino molto elegante, poco arredato ma comunque accogliente: a terra il parquet conferiva alla casa un'aria ancora più solenne e vissuta di quanto già non fosse. La finestra dava su una via abbastanza vissuta, c'erano diversi negozi e qualche supermercato, si chiese perchè fosse aperta. Probabilmente il proprietario l'aveva fatta pulire prima del suo arrivo.
Al centro, disegnato sul muro v'era un camino spento, Vivian lo osservò meglio e le sembrò proprio chiuso definitivamente. Effettivamente in una casa che nessuno usava era solo scomodo, accumulava sporco e polvere.
Non che lei fosse esperta di pulizie, ma aveva sentito ogni tanto la domestica del fratello lamentarsi dell'enorme camino che avevano in uno dei salotti. Togliere il grigiume e ma cenere doveva essere davvero una sfacchinata.
Davanti al caminetto due poltrone in pelle marrone, chiaramente invecchiata dal tempo ma comunque molto bella, non stonava con il resto dell'arredamento.
Svuotò le tasche sul tavolino, in una ciotola messa lí apposta, o almeno cosí pensava. Abbandonò quindi i biglietti dell'autobus e la carta di un pacchetto di sigarette che aveva comprato prima di partire, insieme a Lorenzo.
Sorrise ripensando a lui.
Tutto era illuminato da un lampadario che pendeva maestosamente dal soffitto, sembrava di vetro, pensò che dovesse essere davvero costoso. Di solito quelle erano cose che si ereditavano dai parenti.
Sei pur sempre in casa di un amico di Marchetti.
I ricchi sanno essere solo amici dei ricchi.
C'erano due stanze da letto, per non farsi mancare niente. Vivian decise di appropriarsi di quella che le sembrò più pulita, nell'altra c'erano dei vestiti ammassati sopra il letto e una puzza di fumo che lasciava pensare quella casa non fosse disabitata poi da cosí tanto tempo.
Era troppo stanca per farsi delle domande e sollevare sospetti, per quanto le interessava avrebbe potuto essere in compagnia di altre dieci persone e non le sarebbe importato.
Si spogliò e si lasciò cadere sul letto a cui per fortuna non mancavano lenzuola e coperte, Lorenzo doveva aver specificato che Vivian fosse in una situazione davvero orribile perchè non mancava davvero nulla.
Si addormentò con la porta aperta, il borsone abbandonato nel mezzo della stanza e con indosso solamente gli slip di pizzo neri. Probabilmente la cosa più costosa che fosse riuscita a mantenere con se, perchè il resto si trovava a New York e piuttosto che implorare sua madre o John di mandarle le sue cose preferiva prendessero fuoco.
Prima di abbandonarsi definitivamente al sonno riuscí ad impostare la sveglia per le otto, non aveva idea di a che ora dovesse presentarsi dal suo nuovo datore di lavoro, ma era meglio non fare troppo tardi.
Si meravigliò di se stessa per quanto fosse riuscita ad essere responsabile. Solitamente svegliarsi, alzarsi dal letto era sempre un problema.
Chiuse definitivamente gli occhi dopo qualche minuto, non premurandosi neppure di infilarsi sotto la coperta, tanto con la finestra chiusa si stava divinamente.
Fu svegliata la mattina dopo dal rumore fastidioso della sveglia, schiuse gli occhi e ancora prima di muoversi capí che avesse fatto un'enorme cazzata a dormire senza vestiti, la mattina presto si gelava, maledizione!
Grugní infastidita, ma non osò rimpiangere il lusso di avere una governante che andasse a svegliarla porgendole da sotto al naso l'aroma dolce dei cornetti appena sfornati dalla sua pasticceria preferita.
Okay, forse lo rimpianse un pochino.
Non posso arrendermi per una stronzata simile.
Intanto la sveglia continuava a suonare, assunse poi un ritmo quasi sopportabile tanto che indugiò ancora qualche secondo prima di spegnerla.
Amava prendersela con calma in ogni cosa.
« Spegni quella cazzo di sveglia dannazione— ma che cazzo... perchè dormi nuda? »
Si tirò su immediatamente, trascinando sul petto uno dei cuscini abbandonati sul materasso. Chi era? Perchè quella voce non le sembrò nuova? Si voltò di scatto avendo il seno coperto, non che ci fosse molto da nascondere ma era comunque imbarazzante.
Era il tizio dell'altra sera! Perchè era in casa sua? O meglio, perchè si trovava in casa dell'amico di Lorenzo, con indosso solamente dei pantaloni grigi tenuti a vita cosí bassa che Vivian non riuscí a non percorrere fin giù i lineamenti del suo corpo magro, pieno di tatuaggi. Era troppo stordita per non soffermarsi su tutti quei dettagli.
Cazzo.
« Che cazzo ci fai qui? Pensavo di essere sola. »
« Ci vivo miss America, tu piuttosto non ti sei chiesta perchè l'acqua il gas e la luce non fossero spenti? »
« Mica l'acqua si spegne. » Non era difficile capire che Vivian non sapesse stare al mondo da sola, che non avesse mai vissuto se non servita e riverita ogni minuto della sua vita. Non aveva mai avuto bisogno di nulla, neppure di sforzarsi troppo per studiare, le compravano tutto, perfino i voti, l'ammissione all'università. Anche la laurea.
« Ma da dove arrivi? » Visto alla luce del sole sembrava più dolce, eppure i lineamenti non abbandonarono la loro durezza, gli occhi rimanevano lucidi e scuri, estremamente profondi e languidi.
Mentre le labbra... le rivide mentre afferravano la sigaretta da dentro il pacchetto e immaginò il sapore di tabacco che potessero avere.
Svegliati Vivian.
« Da dove arrivi tu, piuttosto.
Mi fai vestire, dannazione? »
Lui rise beffardo, allungò una mano dietro l'orecchio e sfilò una sigaretta nascosta dai capelli scuri e folti. Se la mise tra le labbra e poi parlò. « Tranquilla, non mi da fastidio se rimani cosí. » Le rivolse un'occhiata maliziosa e poi sparí dietro la porta.
Ancora non sapeva il suo nome.
Si alzò e iniziò a frugare subito nel borsone alla ricerca di qualcosa che non fosse una divisa della sua stupida vecchia università, per fortuna si era portata dietro parecchie felpe e tute per essere comoda il più possibile ogni volta che le fosse stato concesso.
S'infilò un pantalone moribidissimo nero e una felpa grigia sformata, poi a piedi nudi andò in bagno per lavarsi almeno la faccia e raccogliere i capelli lunghi in una coda alta.
Doveva sbrigarsi se voleva andare a lavoro. Quando si trascinò lungo il corridoio fino alla cucina, fu sorpresa da un odore di caffè cosí pungente che le fece arricciare il naso. « Che cosa stai cucinando? »
« Si chiama moca miss America, voi ve la sognate. »
« Voi chi? »
« Voi americani. »
Roteò lo sguardo, si sentí sciocca per non aver compreso subito quanto fosse stupido. « È un dolce? » Senza prestare attenzione a cosa ci fosse sui fornelli si mise a sedere. Anche la cucina sembrava vecchia, ma vecchia nel senso di abbandonata non di antica. I mobili in legno erano un po' scrostati, le ante cigolavano e il tavolo era pieno di segni di tazze e graffi. Era abbastanza piccola ma abitabile, una fila di banconi si poggiava al muro per poi girare in mezzo alla sala, fornendo un piano d'appoggio da usare in caso di cene importanti, o almeno cosí pensó subito Vivian.
I domestici potevano poggiare le cose lí prima di portarle in sala da pranzo, poi ricordò che non ci fosse una sala da pranzo e neppure dei domestici.
Lui rise. « È una cosa che fa il caffè più buono del mondo. »
« Ah. »
« Comunque mi chiamo Michael. »
« Non sei italiano? »
« Si, perchè? »
« Il nome non lo è. »
« Neppure mia madre, eppure eccomi qui. »
« Io mi chiamo Vivian. »
« Un nome elegante per una senza un euro in tasca. »
« Hai frugato tra le mie cose?! »
Come poteva sapere altrimenti che fosse completamente al verde? « No, ma è abbastanza evidente quanto tu sia disperata. »
« In che senso? »
« Hai solo mezzo borsone dietro e oggi è lunedí mattina, sei ancora qui quindi presumo tu non abbia un lavoro. In oltre sei arrivata ieri sera in autobus, hai lasciato i biglietti all'ingresso e non hai neanche dei vestiti che non somiglino a dei pigiami. Anche se questa cosa so che da voi è abbastanza comune. »
Avrebbe potuto rivelargli tutto, chi fosse, da dove venisse, che in realtà nella sua famiglia fossero tutti cosí ricchi da aver perso la cognizione del valore del denaro ma non lo fece. Aggrapparsi alle sue origini sarebbe stato veramente imbarazzante.
« Ti rendi conto che sei americano anche tu? »
« No, mia madre lo è. »
« E tu sei uscito proprio dalla sua vagina, quindi sei americano. »
« Non ti facevo cosí diretta. »
Adesso tornava tutto, o quasi. Capiva sicuramente perchè quella casa fosse cosí grande, essendo per due adesso era diventata quasi stretta, anche se rimaneva a lei ignoto perchè il proprietario avesse deciso di non presentarsi, di non avvisarla che sarebbero stati in due.
Ora che ci pensava, ieri le aveva detto che sarebbe passato quella mattina, ma di lui ancora non aveva nessuna notizia.
« Tu sai per caso se il padrone di casa ha intenzione di passare? Ieri mi ha detto che sarebbe venuto stamattina ma io devo andare a lavoro e comunque non si è ancora fatto sentire. »
A Michael venne da ridere, la guardò sgomento e poi prese a controllare freneticamente la moca sui fornelli.
« Non verrà mai, di lunedí mattina, poi. »
« Ha detto che sarebbe venuto per spiegarmi alcune cose. »
« Probabilmente voleva dirti che non saresti stata sola. Non c'è bisogno di altre spiegazioni, suppongo. » Arricciò le labbra in un modo che Vivian trovò buffo.
« E comunque è uno di quei classici idioti ricchissimi a cui non frega un cazzo di niente, prendere un impegno con lui è tempo perso, non ne rispetta nessuno. La cosa positiva è che spesso si scorda di prendere i soldi dell'affitto. »
Si sentí gelare il sangue nelle vene, le piaceva il fatto che odiasse quella gente esattamente come lei, eppure si sentí colpita. In effetti prima di litigare con John, Vivian corrispondeva esattamente a quella descrizione, non aveva mai lavorato un giorno in vita sua e tutto le era sempre stato dovuto.
Era vero, quell'ambiente la stava soffocando, ma si chiese quanto realmente potesse lamentarsi, se fossero dei privilegi anche i suoi problemi.
« Davvero? Che fortuna. » Gli rivolse un sorriso stranamente colpevole e si strinse nelle spalle, si domandò se fosse il caso di dirgli che lei in realtà non pagasse nulla, almeno per il momento, grazie ad un amicizia in comune con il proprietario.
Forse avrebbe fatto bene a nascondere le sue divise.
O forse no, magari dire la verità era la cosa migliore, aveva passato tutta la vita a nascondersi, perchè farlo ancora?
Per una piccola bugia non è mai morto nessuno.
Temeva che se avesse saputo la verità l'avrebbe giudicata male, quindi decise di farsi conoscere meglio, prima di rivelarsi. Non sono come la mia famiglia, maledizione.
La macchinetta prese a fischiare fastidiosamente, allora Michael si girò e subito spense il fuoco. « Caffè? » Parlò mentre era ancora di schiena, Vivian non lo sentí subito, s'incantò ad osservarlo da dietro, fece scivolare lo sguardo prima sul collo coperto dai capelli troppo lunghi e ribelli, poi sulle spalle magre e definite, infine sulla schiena e sui tatuaggi che l'adornavano, sembravano non avere alcun senso ma neppure Michael pareva averne uno, decoravano il suo corpo perfettamente: erano tutti intrecci di rose, spine, fiori e disegni di teschi, lucertole. Sulla spalla destra tre ragnetti, uno grande e due piccoli, mentre sulla destra un serpente. Le braccia erano anche loro quasi completamente ricoperte di nero.
Sembrava un'opera d'arte, tutto assolutamente perfetto su di lui.
« Vivian? »
« Cosa? » Si destò all'improvviso.
« Vuoi un caffè? »
« Si, si grazie. »
« Prendi una tazzina, allora. Sono nella credenza. »
Si voltò a cercare dove le era stato detto e sorrise nel vedere una fila di tazze piccolissime tutte messe in ordine. « Allora qui fate come in Francia. » Si rese conto dopo di cosa avesse appena detto. Non voleva parlare dell'università, del suo passato.
« Sei stata in Francia? »
Cazzo!
« No, conoscevo un tizio francese. »
Perchè aveva cosí paura di dirgli la verità? E perchè le interessava in quel modo il suo giudizio?
Odiava dover mentire alla prima persona conosciuta e odiava essere terrorizzata all'idea che potesse scoprire che fosse una ricchissima stronza viziata. Perchè era effettivamente come si era comportata fino a quell'istante.
« A me piacerebbe andarci, ma costa molto più che stare qui, Francesi del cazzo. »
« Magari un giorno ci riusciremo. »
Okay questa poteva evitarsela. « Inizi a starmi simpatica. »
E ti ho anche detto un sacco di bugie.
Gli porse gli oggetti in ceramica bianca e lui si apprestò a versare il liquido marroncino e fumante ad entrambi, mentre faceva quel gesto Vivian notò una strana delicatezza che non le dispiacque: teneva la moca dal manico mentre avvicinava prima una tazzina poi l'altra per non sporcare il ripiano in legno. Lo sguardo era concentrato, le labbra schiuse e umide probabilmente già assaporavano la bevanda bollente. I capelli gli caddero leggermente in avanti andando ad accentuare l'aria disordinata di tutta la sua figura.
« Ci vuoi lo zucchero? »
« No, mi piace amaro. »
Michael finí di preparare le due tazzine e le prese delicatamente, stando attento a non bruciarsi. Si posizionó davanti a lei e le sorrise in modo beffardo. « Sei una tipa dai gusti forti, eh? »
Non capí subito cosa volesse dire, poi afferrò la provocazione. Prese la sua tazzina e la finí lentamente, si bagnò prima le labbra con il caffè, poi le pulí con la lingua come se fosse la cosa più naturale del mondo, come se non avesse un po' voglia di provocarlo.
Lui non staccò nemmeno per un attimo lo sguardo dalle labbra sottili di lei, fu divertent, anche se non era decisamente il suo tipo.
Le piaceva solamente stare al centro dell'attenzione.
Finí di bere e posò la tazza sul lavandino, l'avrebbe pulita più tardi.
« Vado a lavoro. » Disse solamente, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
« Quindi ce l'hai un lavoro! »
Alzò le spalle, dileguandosi verso la sua stanza.
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