Capitolo 38
Fanculo quello che dicono gli altri, fanculo quello che dice tua madre, cosa pensa di te tuo padre o cosa pensa di te tuo fretello. Non sarà mai abbastanza non andrai mai bene, fattene una ragione.
Per quanto ti impegni non ti sentirai mai gratificata, non sarai mai quella brava, non avrai mai fatto niente di speciale. Lo sanno tutti che comunque non riuscirai a fare niente nella tua vita, morirai da sola perchè non ti meriti nessuno e non sei capace di stare accanto a nessuno.
Accettalo, fatti forza da sola e tira dritto perchè se non lo fai tu non lo farà nessun altro. Non mostrarti mai debole, fatti credere apatica e insensibile ma mai debole e cerca di trovare qualcosa di decente per cui valga la pena vivere.
Non perdere tempo in cose che non capisci, divertiti e vivi bene e sforzati di farlo anche quando fa tutto schifo.
Per quanto ti impegni non andrai mai bene a tua madre e tuo padre. Per tuo padre sarai sempre la solita stupida che non sa fare due calcoli senza un aiuto, che non sa guidare, che è pesante quando parla e i cui discorsi sono tutti pesanti e inutili. Mentre per tua madre sei il suo fallimento più grande, e basta.
Smettila di fare le cose per loro e cerca di vivere in pace secondo i tuoi piani, tanto le cose non andranno mai meglio, tu andrai sempre peggio.
Quando non farai carriera ti diranno che non sono sorpresi, quando non ti sposerai e non avrai mezzo figlio perchè sei strana e acida.
Quando sarai sola, sola, sola più di adesso.
Sto provando a prendermi il meglio che posso pur sapendo che nessuno si aspetta che ci riesca, ma io ci proverò e forse ci riuscirò.
O forse sarò solo la segretaria stupida di qualche amico di mio padre, quella zia che consideri sempre perchè ti fa pena, che non ha mai un compagno e tutti provano a far accoppiare ai loro amici divorziati e separati depressi e soli, pensando che il tuo problema sia quello.
Non so tenermi le persone, forse le allontano di proposito non accorgendomene perchè penso che tanto prima o poi comunque—
« Vivian? »
Il flusso di pensieri in cui era piombata fu interrotto dalla voce delicata di una donna, le aveva detto il suo nome ma Vivian già se l'era scordato. « Domani ti dimettiamo, non sei contenta? »
Gli occhi spenti della giovane si spostarono sul corpo della dottoressa di fianco a lei, indossava un camice bianco e si muoveva allegra come se ci fosse effettivamente da festeggiare. Forse non lo sapeva dove avessero intenzione di mandarla, e come poteva? Nessuno sano di mente avrebbe mai potuto pensare che una famiglia tanto unita avesse riservato un destino cosí crudele alla propria figlioletta.
« Sinceramente sto meglio qui che a casa. »
Almeno non aveva nessuno a darle fastidio, a romperle le scatole ogni volta che sembrava troppo tranquilla o contenta. La pace che aveva trovato tra le mura di quell'ospedale era paragonabile solo a quella raggiunta prima di svenire sul pavimento del bagno lercio quella sera a Manhattan.
Le venne da ridere, alla fine Simon aveva ottenuto lo scandalo che voleva per fare pubblicità al proprio locale, Vivian Archibald aveva colpito ancora.
Almeno aveva qualcosa per cui sarebbe stata ricordata, tra chi la odiava e chi morisse per vivere come lei, si sentiva una specie di Paris Hilton ai tempi d'oro.
Non che ci fosse troppo da sorridere, ma ormai era difficile intendere cosa davvero avesse senso o meno.
La dottoressa parve sorpresa, increspò le labbra scure e carnose, chiedendosi probabilmente come potesse essere infelice la vita di una che aveva tutto.
« C'è una visita per te, comunque. »
Non sapeva neanche che giorno fosse, se tra l'ultima ricevuta e quella di ora fossero trascorse ore o giorni, quanto aveva dormito? Non aveva osato domandarlo, non lo ritenne rilevante, forse smettere di parlare e comunicare con il mondo era la soluzione migliore.
Non le interessava sapere chi fosse, immaginava si trattasse di qualche parente fintamente dispiaciuto, venuto a darle la colpa di non essere come desiderassero loro.
La dottoressa compilò qualcosa frettolosamente e poi chiuse una cartellina gialla, s'infilò la penna nel taschino e poi se ne andò. Le rivolse un ultimo sorriso compassionevole che disgustò Vivian cosí tanto che non trattenne una smorfia schifata, scortese al punto giusto per non farsi mancare niente.
Poi si voltò dall'altro lato e decise di approfittare di quegli ultimi istanti di pace per continuare a dormire, si sentiva sicuramente meglio e con più energie, ma non era certamente impaziente di tornare alla propria vita.
Che vita?
E poi, propria?
Non c'era niente di suo in quello che faceva.
Quando Michael entrò quasi non si sentí, se non fosse stato per il cigolio fastidioso della porta, Vivian non si sarebbe mai destata. Lentamente, cercò con lo sguardo la sua figura, mentre lui non riusciva a credere ai propri occhi.
Chi aveva davanti? Non la riconosceva più, quella ragazza piena di vita che era capace in ogni contesto di provocarlo, tenergli testa e farlo divertire. Rendeva una stupida cena inutile magica e il suo cuore un tornado di emozioni.
Ora giaceva inerte su un lettino triste, come se stesse aspettando che la morte giungesse a prenderla. Aprí la bocca per parlare ma non riuscí a dire nulla, neppure a pronunciare il suo nome. Si avvicinò e si rese conto di non essersi preparato alcun discorso, nessuna soluzione.
E che soluzione c'era?
« Se non fossi troppo debole ti autorizzerei a tirarmi un pugno in faccia. » Ma che sensibile. L'ironia doveva macherare l'agitazione, ma gli tremava ma voce.
« Non ci credo, che ci fai qui? » Non capí se stesse sognando o se davvero la sua attenzione fosse stata catturata dall'immagine splendente di Michael, era cosí bello e le era mancato da morire.
Aveva preferito lasciar perdere la propria vita che sopportare di aprire gli occhi ogni giorno, sapendo di essere disprezzata dall'unica persona di cui le fosse mai importato qualcosa. La sua ccasione di essere meglio.
Lui si passò una mano sul mento, dovette avvicinarsi e subito la vide cosí debole che si fece schifo per averla trattata male. « Mi ha chiamato Lorenzo, ma che hai fatto? »
E da quando quei due erano amici? Vivian provò a tirarsi su con la schiena, sopra il lettino per assumere un'aria un po' meno esausta ma le dettero fastidio i fili che ancora pendevano dalle sue braccia. Se solo pensava a tutti gli aghi che avevano trafitto la sua pelle le veniva da vomitare.
« Ho esagerato, non me ne sono resa conto... » Alzò le spalle, come se stesse raccontando la verità. Ancora bugie, Vivian? Vederlo le fece riacquisire una fiducia in se stessa che non era riuscita a ritrovare con nessuno. Il viso le si illuminò come se non avesse subito nessun controllo, come se non avesse il cervello spappolato e i muscoli indolenziti.
Michael però serrò le labbra, non ce l'aveva con lei ma ancora odiava che gli avesse mentito. E quando mentiva in generale si sentiva trattato come uno stupido.
« Non te ne sei resa conto? » Si morse una guancia, come se fosse indeciso su cosa dire. In realtà stava solo provando a trattenere la sua lingua velenosa.
« Direi che mi merito la verità dopo aver fatto dieci ore di aereo solo per venire a sentirti. »
Non ce la faceva proprio a contenere le emozioni, esplodeva in continuazione e se questo suo lato aveva fatto impazzire Vivian all'inizio, ora rischiava di allontanarla.
In realtà lui era tornato per chiederle scusa, per implorare perdono e, come aveva detto al fratello, fare l'unica cosa sensata della sua vita. Invece era uno stupido e si stava rovinando ancor prima di inziare a dire qualcosa di vero, perchè gli era impossibile essere sensibile, far capire quanto ci tenesse alle persone?
Perchè sei un maledetto egoista, Michael.
Lei sgranò gli occhi. « Cioè sei venuto fin qui per sentirti chiedere scusa? »
No, era arrivato lí perchè stare senza di lei era diventato impossibile, gli mancava da morire e si sentiva una merda per come l'aveva trattata, ma pensare quelle cose era facile, dirle impossibile.
Sembrava che il suo cervello fosse programmato per far dire alla sua bocca tutto l'opposto di quello che pensasse.
Si sentí un idiota. « No, non sono qui per questo. »
Ecco cosa succedeva quando due persone incapaci di comunicare, in costante lotta con se stessi provavano ad aprirsi. Dentro di loro la voglia di urlare graffiava forte il petto e la gola ma non riusciva a venire fuori, bloccata dallo scudo mentale che la imprigionava ormai da anni.
« E allora, perchè? » Davvero non capiva, le piaceva averlo vicino ma era più confusa di prima.
« Perchè— » Ci stava davvero riuscendo? Per trovare il coraggio dovette abbassare lo sguardo, non ce la faceva a reggere lo sguardo di Vivian. « Perchè ho esagerato, ero incazzato e non ti ho dato la possibilità di spiegarti. »
Mai sia essere troppo dolce, era pur sempre Michael Rinaldi. Vagó qualche attimo con lo sguardo, come se non riuscisse a reggere gli occhi chiari e spenti di Vivian. « Ho detto quelle cose senza pensarci, non è vero che non voglio più vedere la tua faccia. » Mentre ripensava alla loro piccola discussione e alle parole pronunciate si sentí ancora peggio. « ...Come potrei desiderare una cosa simile. »
La guardò finalmente e i loro occhi s'incatenarono, fu come se non si fossero mai allontanati. Se Vivian non si fosse fatta schifo e non avesse avuto l'aspetto di un moribondo, l'avrebbe sicuramente baciato, ma per quello c'era tempo.
Michael si sporse in avanti per lasciarle un bacio sulla fronte, era cosí bella quando socchiudeva gli occhi e si godeva le attenzioni che lui le riservava, mentre sembrava in estasi.
« Possiamo dire che abbiamo esagerato entrambi. »
Allungò la mano e modellò le proprie dita intrecciandole alle sue.
« Tu mi hai decisamente battuto. » Rise anche se da ridere v'era ben poco, sarebbe bastato qualche grammo in più e Vivian sarebbe morta davvero.
« Conosci un modo migliore, per guarire un cuore infranto? » Utilizzò le stesse parole che lui aveva speso qualche tempo prima mentre giocavano a far ubriacare la loro amica, Martina. Vivian gli aveva intimato di smetterla di offrirle da bere e lui le aveva risposto in quel modo, zittendola.
Non erano mai stati fidanzati, non si erano mai lasciati, non si erano neanche mai frequentati eppure la loro relazione senza esistere era già troppo malata per avere un senso, per essere compresa da qualcuno che non fossero loro due.
Michael abbassò lo sguardo e scosse il capo, ricordava bene quella serata. « Torni in Italia con me? »
Si, si, si! Portami via.
Avrebbe voluto urlargli che non aspettava altro, che se avesse saputo prima del suo arrivo si sarebbe fatta portare i documenti al più presto per svignarsela con lui. Ma adesso, dove li recuperava?
Lo sguardo tornò buio.
« I miei hanno le mie cose. »
« Vado a prendertele? »
« No, Michael. È meglio che tu non ti faccia vedere, meglio che non sappiano che esisti. »
« E perchè? »
« Perchè troverebbero il modo di farti stare male. »
« Io non ho paura di loro, Vivian.
Non me ne frega un cazzo. »
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