Capitolo 35

La prima cosa che notò una volta sveglia fu un suono tintinnante di qualcosa che le rompeva la testa dal fastidio, strinse le labbra nervosamente e fece per aprire gli occhi ma erano troppo pesanti.
Era sedata?
Mosse le dita delle mani e sulle braccia c'erano attaccati dei fili, passò qualche secondo prima che mettesse a fuoco tutto, che prendesse una forma l'orologio appeso alla parete e le luci fredde, che capisse di essere ricoverata in ospedale.
L'arnese rumoroso non era altro che una macchina che le segnava i battiti del cuore, quindi non era morta. Ebbe un breve flash della serata precedente e si sentí nuovamente male, il petto prese a dolerle e provò a calmarsi ma il ricordo della voce di Michael le fece desiderare di essere morta.

Gli occhi le si riempirono di lacrime e pensò che la cosa migliore da fare fosse tornare a dormire, tanto nessuno sarebbe arrivato a darle delle spiegazioni, a vedere semplicemente come stesse.
Provò ad assopirsi di nuovo ma il risultato non fu dei migliori, allora si rigirò nel letto ma era impossibile con tutti quei tubi attaccati sulla pelle, le facevano schifo. Se abbassava lo sguardo per scrutarli si sentiva male, odiava gli aghi ed era quella l'unica cosa che probabilmente l'aveva per molto tempo salvata dall'assumere droghe in un altro modo, quello peggiore.

Sospirò e capí che non potesse far altro se non aspettare, attendere che qualcosa accadesse. Detestava rimanere da sola con i propri pensieri, la uccidevano peggio dell'alcol, peggio delle droghe e degli uomini sbagliati.

Sentí la porta aprirsi all'improvviso e finse di dormire, non aveva voglia di parlare con nessuno, meno che mai con Giulia o sua madre.
« Ho visto che eri sveglia, apri gli occhi. »
Contro ogni aspettativa, la voce che giunse a solleticare le sue orecchie non fu quella delle donne di casa ma del padre. Non lo sentiva da almeno un anno, che cosa voleva? Severo anche quando le circostanze non lo richiedevano, stava per accarezzare la mano della figlia quando la ritrasse. La dolcezza non era roba di famiglia.
« Cosa sei venuto a fare? » Parlare le sembrò la cosa più difficile e faticosa del mondo.
Strinse i denti e poi si schiarí la voce. Vacillava? « Hanno detto che sei viva per miracolo. »
« Beh, quello non serviva me lo specificassero i medici. » Per tutta la sua vita Vivian aveva sempre abusato di qualsiasi cosa, alcol, amici, amore, divertimento. Niente era mai sano, nessun approccio nasceva come doveva.

E poi era proprio il suo intento, quello di sorpassare il limite, vedere cosa sarebbe successo se si fosse spinta troppo oltre. Le mani rugose dell'uomo si andarono a nascondere nelle tasche dei pantaloni eleganti, ma che diavolo era venuto a fare?
Davvero nel suo cuore nero c'era ancora un barlume di sensibilità per una figlia che aveva richiato di morire?
Non sapeva che fare, Vivian lo percepiva e lo capiva perchè erano cosí dannatamente simili.
Quell'uomo pur non considerandola quasi mai le aveva infuso il suo stesso carattere e l'aveva forgiata di ogni suo problema e rimorso.

« Perchè l'hai fatto? »
Vivian aprí la bocca per cercare di dargli una risposta sensata, ma non se la meritava, non si meritava niente da lei se non un sorrisetto beffardo e sprezzante. « Mi annoiavo. » Una risatina nervosa accompagnò quelle bugie.

« Perchè fai cosí? Cerchi di attirare l'attenzione? Cosa vuoi che facciamo? » Facciamo chi?
Che ne sapeva Vivian, del perchè le piacesse sempre fare la cosa sbagliata. Aveva provato a risolvere quel suo modo d'essere cosí tante volte che ormai si era arresa, non era solo noia, ogni tanto distingueva della rabbia, della tristezza, che le faceva rovinare tutto anche quando in realtà una soluzione c'era. Ma che poteva capirne l'uomo che aveva davanti?
Lo sguardo era troppo duro e distante per afferrare i tormenti d'animo della figlia, e anche lei non sapeva come comunicare nulla.

Erano distanti come due estranei, privi di empatia, cosí simili eppure cosí lontani.
« Vorrei dormire, sinceramente. » Vattene via.
Voleva davvero rimanere sola?
« Tua madre vuole chiuderti in un centro per disintossicarti, io non ero d'accordo ma se la situazione è questa... » I lineamenti duri si contrassero sul viso dell'uomo che l'aveva messa al mondo, Vivian non seppe dire se fosse preoccupato o solo scocciato da tutto quel da farsi, tutti quei problemi. « Forse è davvero la soluzione migliore. »

Fanculo papà.
« Certo, non aspettava altro che un motivo per liberarsi di me. » Le scappò una risatina malinconica, mentre cercava la forza per sembrare meno debole, perfino contrarre il viso era faticoso.
« Sei tu che hai deciso di andartene. »
Schiuse la bocca ma poi si limitò ad alzare lo sguardo e sospirare, non aveva senso portare avanti quella discussione, nessuno dei due avrebbe mai fatto un passo verso l'altro o avrebbe solo provato a capirlo. Adesso voleva solo che sparisse, quindi fece in modo di tornare nel silenzio più assoluto e a quel punto anche Gerard Archibald capí fosse giunto il momento di liberarla dalla sua presenza.

Sperò che le visite fossero finite, non aveva voglia di discutere con sua madre o con chiunque altro della sua stupida famiglia. Avrebbe voluto la sedassero per altri dieci giorni.
Quella conversazione la stancò al punto che dovette tornare a dormire, per la prima volta da quando era arrivata a New York trovare il sonno non fu impresa difficile. Sperò con tutta se stessa che la sua mente non la portasse presso le cose che la facevano soffrire, ne aveva avuto abbastanza di Michael, Martina e Leonardo.

Inaspettatamente, alla mente le tornò Lorenzo, Parigi e i caffè insieme, i pic nic nei giardini nascosti dell'università e le notti passate a fare qualcosa di simile all'amore. Era stato il periodo più felice e facile della sua vita e non se n'era mai resa conto.
Che stupida.

Sognò di essere alle macchinette dell'università, il solito caffè lungo e due chiacchiere inutili insieme ai suoi compagni di corso. Indossava la divisa invernale, una gonna grigia e delle calze scure a coprirle le gambe snelle. Ai piedi i soliti mocassini di pelle mentre sulle spalle da sopra il maglioncino blu la solita giacca grigia con il logo dell'università cucito sul petto.
Lei e Lore ridevano come se sapessero già tutto della vita e decidevano a quale festa andare la settimana dopo.
Forse aveva sbagliato ad andarsene, si sarebbe potuta accontentare di quella semplicità.
Invece doveva per forza sempre vedere cosa succedeva ad esagerare, e adesso non poteva più tornare indietro.
Poteva solo restare ferma.

Si spostarono in biblioteca, nel solito angolino sperduto in cui non c'era mai nessuno, tranne qualche spione del primo anno. Si stavano baciando come fossero due fidanzatini, lei con la schiena contro il muro pieno di libri e lui con le mani infilate sotto la sua gonna.
Erano cosí dolci a vederli da lontano, mentre Lorenzo pensava che prima o poi sarebbe riuscito a conquistarla, e intanto era lui che s'innamorava sempre di più.

« Andiamo nella tua stanza. » Gli mormorò lei contro il collo, ansimante.
« Abbiamo lezione tra poco... » Il suo corpo tradiva le sue intenzioni, infatti sebbene il tono sembrasse serio le sue mani rimanevano ancorate al corpo della bionda, le sue labbra calde e schiuse pronte a baciarla ancora.
« Non me ne frega niente delle lezioni. » Lo attirò a sè e gli infilò le mani sotto il maglioncino di lana, le piaceva cosí tanto quando lo provocava fino a farlo cedere.
Quando i trasformava i suoi occhietti dolci in due smeraldi pieni di lussuria.

Rimasero lí per qualche minuto ancora, incapaci di allontanarsi l'uno dall'altra.
Mentre si baciavano Vivian scorse con la coda dell'occhio qualcuno a guardarli, nascosto tra i libri antichi di quella parte di università. Sebbene all'inizio ritenesse eccitante l'idea di essere scoperti, ora si sentiva a disagio.

D'improvviso si levò da dietro l'angolo un volto, era Michael. Vivian si pietrificò sul posto, diventando dura tra le mani calde di Lorenzo, che scivolarono via dal suo corpo.
« Vivian, ma che stai facendo? » Si spostò il ciuffo da un lato, come faceva sempre quando era nervoso.
Lei s'indispettí, anche se avrebbe voluto implorargli perdono. « Perchè, tu non fai quello che ti pare? »

Lorenzo si mise vicino a lui. « Ci fai soffrire entrambi. »
« Te l'avevo detto di non starmi dietro, te l'avevo detto che non volevo niente di serio. »
« Ci hai illuso, Vivian. » Aggiunse Michael.

« Saresti dovuta morire, te lo saresti meritata. »
È vero.
Michael aveva lo sguardo duro, non sembrava arrabbiato, solo privo di emozioni, come se lei non gli facesse più alcun effetto. « Io— non volevo, io non volevo. »

Gli occhi blu di Lorenzo divennero cupi come non li aveva mai visti, non pareva lui. « Ho sbagliato ad aiutarti, sei una persona orribile.
Se fossi morta avremmo avuto tutti un problema in meno. »
A quella frase Michael annuí convinto, ma non se ne andò. Rimanevano a guardarla mentre si faceva piccola, mentre si scioglieva nel dolore e finalmente smetteva di esistere. Avrebbe voluto gridare aiuto ma non sapeva come, non riusciva a muovere la bocca neppure per urlare quanto le dispiacesse.
È tardi, é troppo tardi Vivian.

Si svegliò agitata, gli occhi sgranati fissavano il soffitto spoglio, si trovava ancora nella stessa stanza d'ospedale.
Una lacrima le attraversò la guancia e andò a posarsi sul cuscino chiaro, forse avrebbe fatto bene a rinchiudersi da qualche parte, forse avrebbe fatto un favore ad un sacco di gente a anche a se stessa.

Sentí ancora una volta il suono ormai familiare della porta che si apriva, fece nuovamente finta di dormire, cercò di capire chi fosse entrato dai passi lenti che accompagnarono il suo ingresso.
È impossibile.

Si fermò di fianco al letto. « ... Vivian, ma che mi combini mentre non ci sono. »
La voce era rotta dal pianto, lei si sentí ancora di più uno schifo per aver inflitto tanta sofferenza all'unica persona che non l'avesse mai trattata male, neppure una singola volta, neppure per sbaglio, neanche quando aveva ragione. Le si formò un nodo alla gola e allora non riuscí più a trattenere le lacrime o a fingere di essere assopita.
Scusa.

Due mani morbide le accarezzarono le dita, avrebbe riconosciuto quel tocco rassicurante tra mille.
Vattene via, non me le merito tutte queste attenzioni.

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