Capitolo 29

« Non vendicherò nessuno, mamma. »
Si lasciò cadere con la testa all'indietro, già troppo esausta di come si stava evolvendo quella visita.
« Sapevo che avresti risposto cosí. »

Vivian a quel punto assottigliò lo sguardo, rialzando il capo dallo schienale del divano. La madre si mise a sedere vicino a lei ed ebbe subito l'istinto di allontanarsi, non erano mai state vicine e qualsiasi contatto la metteva a disagio, provava repulsione nei suoi confronti.
Quella non ci fece neppure caso, e comunque sarebbe stata solo scocciata da una reazione simile, mai ferita. Era impossibile spezzare il cuore a chi non ne aveva uno.

« Ho una proposta da farti. » Il tono divenne più accattivante, voleva catturare l'attenzione della figlia e non solo incuterle timore. « Aiutaci a crescere, vendica tuo fratello e poi ti lasceremo in pace per sempre. »

Quelle parole risuonarono come un pugno nello stomaco di Vivian che per l'ennesima volta si trovava ricattata dalla sua famiglia. Spostò lo sguardo su Giulia, era per quello che l'aveva chiamata? E poi perchè necessitavano del suo aiuto?
Avevano sempre fatto tutto da soli, e adesso volevano lei.

C'era qualcosa sotto e per divincolarsi da quelle costrizioni doveva necessariamente scoprire che piani avessero. Non si fidava, non si fidava della storia della vendetta, non pensava assolutamente che sarebbe stata libera dopo aver fatto quello che volessero.
Era semplicemente un modo come un altro di approfittare di una disperata.
« Perchè per forza io? Avete sempre fatto tutto senza di me, perchè ora sono necessaria? »
Sospirò, come se quella situazione infastidisse anche lei. Non era cosa facile affidarsi alla figlia peggiore. « Non dubiterebbero mai di te. »
« Chi? »

Strinse le labbra, mettendosi composta. « La famiglia Rossi. »
« Sono loro che hanno sparato John? » Inclinò il capo perplessa, avevano sempre avuto dei rapporti buoni con loro, spesso li aveva visti a qualche festa e mai avrebbe pensato che potessero arrivare ad un simile gesto.

« Il figlio minore. »
« Ma ha diciotto anni. »
« Eppure ha sparato a tuo fratello. »
Sgranò gli occhi. « Cosa dovrei fare? »
« Occhio per occhio, dente per dente. » Era il motto degli Archibald, volevano davvero che sparasse ad un ragazzino di appena diciotto anni? Probabilmente aveva reagito in quel modo perchè obbligato dalla famiglia, come tutti loro, dannati a vivere in un modo che non avrebbero mai scelto.

« E perchè avrebbe sparato a John? »
La donna e Giulia iniziarono a vagare con lo sguardo infastidite, che cosa si aspettavano, che dicesse di si senza assicurarsi che fosse la verità quella che le stavano fornendo? Dopo tutte le bugie e gli inganni era ovvio, non si sarebbe mai fidata della loro parola, non valeva niente.

« Perchè per allargarci ci siamo alleati con i loro nemici, vanno tolti di mezzo. »
Avevano rotto l'equilibrio, quello che da sempre teneva in piedi Manhattan ed evitava che la vita di quelle famiglie divenisse un inferno. Vivian abbassò lo sguardo, non si sarebbe mai liberata di loro, dei loro piani subdoli.

Avevano messo tutti in pericolo, i loro nipoti, i loro figli, i loro mariti e chiunque avessero attorno e per cosa? Per avere più soldi? Più potere?
« Siete dei pazzi, ma che avete fatto? »
« È diventata una santarellina tutta ad un tratto. » sibilò velenosa Giulia, lasciandosi andare ad una risata sommessa.

Le scomparve la voce dalla gola, urlava ma non usciva niente. « È colpa vostra se John è in ospedale, avete fatto un casino. » ringhiò ferocemente contro la madre, poi si sistemò i capelli dietro le orecchie e lo sguardo si perse, nel panico più totale. Si portò una mano davanti alla bocca e prese a tremare, non c'era una via d'uscita, erano destinati tutti a morire, erano tutti destinati a soffrire.

La sua famiglia aveva scritto la sentenza di morte per tutti. Lo stomaco le si attorcigliò su se stesso e il capo prese a girarle, all'improvviso il solito senso di nausea iniziò a tormentarla, dovette prendere un respiro profondo per non sentirsi male davanti a tutti.

Il viso le divenne bianco e gli occhi si svuotarono di qualsiasi espressione.
La madre la guardò con disprezzo, come se fosse delusa da quella reazione. La considerava una debole e aveva solo ricevuto conferma dei propri pensieri, non che ne avesse bisogno.

Si voltò verso Giulia e abbandonò il divano, lasciando Vivian da sola. « Dorotha, ti prego, occupati di lei. » Invitò la domestica ad assisterla con un cenno della mano, si liberò del solito peso che si trascinava dietro la figlia minore.

« Io torno da John, tra poco torna Viky, vorrà vederla di sicuro. »

Era impressionante come riuscissero a vivere nella più assoluta normalità nonostante tutto quello, come solo Vivian sembrasse collegata alla realtà e invece come al solito era l'unica che non riusciva a controllarla.
Forse era vero, forse si era adagiata su una vita mediocre perchè non riusciva ad affrontare quella vera.

Scomparvero dalla stanza e la giovane rimase da sola, Dorotha la osservava ma non aveva idea di cosa fare. Forse le faceva paura? Oppure pena?
L'aveva osservata con tanto disprezzo prima e ora la vittima sembrava lei. « Le porto una coperta. Ha mangiato? Posso prepararle qualcosa? »

Iniziò a vagare per la sala adesso libera dagli occhi giudicanti di Grace. Arrivò con plaid di lana e glie lo adagiò piano sulle gambe, Vivian senza dire nulla se lo tirò su, anche se non aveva poi cosí freddo.
« Dorotha? »
« Mi dica. »
« Sai fare la carbonara? »

La domestica probabilmente pensò che Vivian fosse impazzita all'improvviso, non seppe davvero spiegarsi il perchè di quella strana richiesta. « Si, ma sa che ore sono? »
Quella conversazione le ricordò una delle prime con Michael, quando lui le propose di cenare ad un orario assurdo, la sua reazione era stata proprio quella.
« Si, ma mi va una carbonara. » ribadí, mentre si metteva sdraiata sul divano. Non aveva bisogno di riposare, ma di serenità. Era cosí facile trovarla nei sogni che ogni tanto pensava di non svegliarsi più.

« Vado a prepararla. »

Vivian rimase finalmente da sola, la stanza si ergeva imponente attorno a lei e si sentí un puntino insignificante, tutto pareva volerla inghiottire, rimase zitta come se potesse diventare parte di quel silenzio meraviglioso, sparire.

Forse stare in Italia l'aveva resa ancora più debole di quanto non fosse già, forse quella di osare con Michael era stata una cazzata immensa. Adesso le mancava, aveva qualcosa che potesse ferirla o renderla triste, qualcosa che la sua famiglia avrebbe potuto usare contro di lei nei modi peggiori.

Era arrivato il momento di togliersi la maschera, di tirar fuori il peggio di sè, volevano che si comportasse da Archibald, e l'avrebbero ottenuto.

Si alzò e richiamò nuovamente Dorotha. « Senti, lascia perdere la carbonara, vado a mangiare qualcosa fuori. »

Quella mollò le pentole e incominciò a rimettere le cose in ordine, mentre Vivian tornava in camera sua per controllare che nell'armadio ci fossero ancora alcuni dei suoi vecchi vestiti.

Aprí le ante e li trovò tutti lí ad aspettarla, sfavillanti e luccicanti pronti ad essere indossati. Se non poteva essere la versione migliore di se stessa, tanto valeva essere la peggiore.

Non riattivò il profilo su instagram, ancora non era pronta ad eventuali domande di Martina o Leo, si concesse una ripresa lenta.

Si tolse i Jeans e la maglietta sintetica e li sostituí con un maglioncino di cashmere e una gonnellina plissettata nera, ai piedi dei mocassini di Prada e guardandosi allo specchio riconobbe un'altra persona.

« Ciao Vivian, adesso ci divertiamo. »
Terminò l'outfit con degli orecchini a perla e una collana uguale. E adesso?
Per riprendere a frequentare le persone di sempre aveva bisogno dei social, ma non voleva correre il rischio di essere scoperta. Sbuffò scocciata e si sistemò il colletto della camicia da sotto al maglioncino caldo, decise di riflettere su una soluzione mentre si truccava.

Si spostò nel bagno personale, trovò tutti i suoi rossetti, il mascara, le brillarono gli occhi mentre sceglieva il suo rosa pesca di Chanel e se lo passava sulle labbra sottili.
Il beauty giaceva abbandonato sul bancone in marmo, proprio come lei lo aveva lasciato.

Era passato cosí poco tempo eppure sembrava passata una vita.

Sentí il telefono vibrarle sul letto.
Camminò per guardare chi fosse, quando le iridi cristalline si posarono sul display luminoso lei si rimproverò per non aver pensato subito a quel nome.

« Pronto? »
« Ho sentito che sei tornata in città, perchè non hai detto niente? »
La vocina cantilenante di Emily risuonava fastidiosa oltre il telefono, Vivian la sentí mentre le martellava la testa.
« È stata una decisione presa all'ultimo. »
« Mh, comunque stasera c'è una festa a casa mia. I miei sono in India, o in Africa non ho capito. Comunque non c'è nessuno, quindi possiamo divertirci. »
Il tono divenne improvvisamente più subdolo, Vivi sapeva bene quali fossero i modi di divertirsi Em, e anche quelli del fratello minore. Non li biasimava, anche lei prima di scappare via non ne conosceva altri, l'alcol, la droga e le cose sbagliate erano spesso un'ottima distrazione dal mondo.

« Si, dai. A che ora? »
« All'ora di sempre. »
Giusto.

Si fece presto sera, in casa non si fece più vivo nessuno, neppure la nipote. Vivian inziò a prepararsi e si rese conto tardi di non aver mangiato niente tutto il giorno, chiuse gli occhi e si maledí mentalmente. Le succedeva spesso di dimenticarsene quando era da sola, le si chiudeva lo stomaco e la testa andava per conto suo.

Non aveva fame, non sentiva niente.
Tirò fuori dall'armadio un vestito nero di Valentino, il corpetto strettissimo le avvolgeva il busto, mentre la gonna a sbuffo e larga partiva da sopra i fianchi e si fermava appena sotto il sedere. Le andava un po' stretto, era ingrassata mentre si trovava in Italia, non se n'era neppure accorta.
Un senso di colpa inspiegabile la colpí nervosamente, era assurdo odiarsi solo per aver perso il controllo del proprio peso, eppure lei si rimproverò mentalmente.
Erano cosí poche le cose che poteva decidere lei che perderle di vista la faceva stare male.

I capelli le cadevano mossi e scompigliati sulle bretelline dell'abito costoso. Ai piedi, dei tacchi vertiginosi e rossi l'avrebbero fatta spiccare in mezzo alle mille persone presenti, si sarebbe imposta prepotentemente sullo sguardo di tutti.

Era quella una strana ossessione che la perseguitava da quando era piccola e che aveva abbandonato in Italia, quella di dover stare per forza al centro dell'attenzione per dare un senso alla sua vita. Come a di mostrare che non stesse male, che non stesse morendo dentro.

Prese una giacca nera cosí simile a quella che aveva odiato di Lorenzo quando si erano visti, le andava larga e la copriva fin sotto l'orlo del vestito.

Il trucco pesante e scuro mascherava qualsiasi emozione, ma metteva in risalto lo sguardo, era glaciale privo di qualsiasi emozione.
Un'altra notte, un'altra vita, un'altra maschera.
Attorno al collo la solita collana di perle, inestimabile cimelio di famiglia, i polsi adornati d'argento le davano una luce finta.

Chiamò l'autista per premurarsi che fosse pronto all'ora indicata. Adesso che era tornata, perchè prendersi solo le cose spiacevoli? Insieme a tutto lo schifo avrebbe riguadagnato il lusso di vivere al di sopra di tutto e tutti.
Quel posto la distruggeva, si nutriva delle sue paure e alimentava i suoi mostri.

Si osservò l'ultima volta allo specchio prima di uscire.
Si va in scena, Vivian.

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