Capitolo 13

Michael rimase con la sigaretta sospesa a mezz'aria, la propria stretta tra le labbra sottili mentre quella di Vivian in equilibrio tra l'indice e il medio. Lei fu sorpresa da quell'offerta, non le sembrava il tipo che amasse compagnia a letto, a meno che non si trattasse di uno specifico tipo di compagnia. Alzò le sopracciglia da sotto il ciuffo scuro per invitarla a darsi una mossa, mentre una nube di fumo grigio scivolava via dalla sua bocca.

Vivian afferrò la sigaretta dall'estremità puntata verso di lei e se la rigirò tra le dita magroline. « ...Rothmans. » Gli occhi verdi scrutavano quell'oggetto come se mai ne avessero visto uno.
Non aveva ancora risposto alla domanda di Michael, in vita sua non aveva mai dormito con nessuno: la solitudine e l'egoismo avevano sempre regnato sovrani in casa Archibald, ogni figlio non aveva mai conosciuto la bellezza di appisolarsi vicino al proprio genitore, fratello. Cosí Vivian anche con gli uomini era sempere stata molto chiara: dormire vicini le dava quasi fastidio, lo trovava irritante e troppo intimo.

« Ti piacciono? »
Alzò lo sguardo verso di lui e catturò il suo, annuí e si guardò intorno per cercare l'accendino. « Posso accenderla con la tua? » Ormai quello pareva divenuto un rituale.

Lui senza dire nulla le porse la propria sigaretta e Vivian la posò sull'estremità della propria facendola scontrare con la parte rovente di quella di Michael. Inspirò profondamente, sentí il fumo impadronirsi dei suoi polmoni e quando lo buttò fuori, lentamente, seppe che sapore avessero le labbra di lui. Le guardò senza accorgersene, intanto che l'aroma amarognolo della sigaretta le si posava sulla lingua e in gola.

Adesso Michael era tornato in possesso della propria e fumavano insieme, parevano quasi due vecchi amici visti da lontano. Vivian teneva un braccio sulla pancia mentre l'altro era piegato in modo che il gomito le toccasse il polso, decisamente un modo di fumare troppo chic per una poveretta americana. Il suo coinquilino lo notò subito, sembrava di un altro mondo mentre delicatamente teneva la sigaretta stretta tra due dita e poi la portava lentamente sulle labbra. L'accarezzava piano e aspirava abbastanza da riempirsi il petto, poi tornava nella posizione di prima.

Pensò che un quadro che ritraesse quel momento sarebbe stato bellissimo: come sfondo la finestra chiusa mostrava dal vetro la luna e il cielo scuro metteva in risalto perfettamente i riflessi dorati dei capelli di Vivian. La sua pelle nivea brillava freddamente donando luce a tutta la scena, imponendosi prepotentemente su tutto il resto. Gli occhi verdi e grandi sembravano inghiottire lo sguardo dell'osservatore.

Questa volta fu lui a rimanere in silenzio ad ammirarla, mentre la sigaretta si faceva sempre più corta e il tempo passava lento e piacevole, Vivian prese un altro tiro e per liberarsi del fumo piegò la testa all'indietro, poggiandosi sullo schienale morbido della poltrona con la nuca.

Michael soffermò le iridi nere sul suo collo candido e apprentemente cosí angelico che ebbe paura di sciuparlo a dargli cosí tante attenzioni.

Vivian si accorse del silenzio quando divenne assordante e strano, sentiva il suo sguardo sulla pelle e rabbrividí. Fu una sensazione piacevole, ma odiava non capire cosa gli passasse per la testa. « Hai sonno? »
Lui inclinò il capo da un lato, ormai la sigaretta era spenta, quindi abbandonò il mozzicone nel posacenere in vetro sistemato sul tavolino. « Perchè? »

Anche lei si liberò dell'oggetto al sapore di nicotina, poi piegò le gambe e le strinse contro il petto. « Non lo so, sei più silenzioso, pensavo fosse perchè hai sonno. »

Lui capí in quel momento a cosa si riferisse, ma non parve assolutamente turbato, era abituato a sembrare strano agli occhi della gente. « Devo chiederti una cosa. »
Rimase immobile avvolto nella poltrona, lo sguardo fisso in quello di Vivian ogni tanto si spostava ad analizzare una sfumatura nuova della sua coinquilina.
Sembrava fatta apposta per essere disegnata da lui.

Lei trasalí, temendo avesse scoperto qualcosa sul suo passato. Era abituata a pensare sempre al peggio, quindi si mise sull'attenti e lui lo capí subito. « Non è niente di grave, miss America. Non agitarti. »

Ancora una volta le aveva letto nel pensiero, si odiò per essere cosí facile da capire. « Allora dimmi. »
Posò il viso sulle ginocchia, chiuse gli occhi per un attimo e poi li riaprí, la stanchezza inziava ad appesantirle la testa e i riflessi.

« Posso farti un ritratto? »
« In che senso? » Fu la prima cosa che le venne in mente da dire, sebbene la domanda di Michael non lasciasse spazio a troppe interpretazioni.

« Vorrei che tu mi facessi da modella, solo per una volta. » Solo per una notte.

E perchè mai?
Lui le sorrideva beffardo, era certo di ricevere una risposta affermativa, a quale ragazza non sarebbe piaciuto un ritratto fatto da un artista italiano? Gli sembrava addirittura una cosa divertente, per passare il tempo, per rendere più affascinante e vicino il loro rapporto. Non era un fan delle etichette, sia nelle relazioni sentimentali che tra amici, ogni tanto gli era capitato di confondere le cose ma per lui non era mai stato un problema. Prendeva ogni cosa come veniva, senza fare mai troppi progetti con nessuno.

L'unica volta che Vivian era riuscita a vederlo infastidito fu la prima sera in cui uscirono tutti insieme e lui si era portato dietro una ragazza bellissima, un'altra modella, probabilmente.

Aggrottò le sopracciglia, allora era per quello che la stava osservando in quel modo. Si sentí lusingata in un primo momento, ma poi il sorrisetto soddisfatto che aveva sulle labbra scomparve.

« Non mi va, Michael. » Il ricordo di quella passeggiata e di come trattasse le sue muse le fece storcere il naso, amava essere al centro dell'attenzione, egocentrica come poche. Eppure immaginava che lui avesse tanti quadri e ritratti di mille ragazze diverse, sarebbe diventata solo un viso impilato insieme a un mucchio di tele tutte uguali.
Non era mai entrata nel suo studio, neanche aveva mai osato sbirciare oltre la porta della piccola stanza interna alla sua camera. Eppure se lo immaginava come una raccolta di tutte le cose che nel corso della sua vita avessero affascinato Michael per qualche istante, ma non abbastanza da essere davvero importanti, da avere un senso.

Non le piaceva l'idea di diventare un altro pezzo di realtà su cui il suo sguardo si fosse posato un momento di troppo.
Chissà cosa di lei lo aveva colpito, se lo domandò ma non ebbe il coraggio di porgli quella domanda a voce.

Sembrò indispettirsi. « Perchè? » Perchè la metteva in soggezione, a disagio, ogni volta che la guardava lei doveva sforzarsi di proteggersi dal modo in cui sapeva leggerle dentro. Per tutta la durata del ritratto chissà quante altre cose di lei avrebbe saputo strapparle.

« Non mi va, sono stanca, dai. »
Sospirò, volgendo il capo dall'altra parte. Per una volta era stata lei a sorprendere lui, aveva peccato di presunzione, troppo convinto di conoscere il genere femminile, o forse semplicemente Vivian.

Michael rimase in silenzio, perplesso ma deciso a non insistere più, non voleva infastidirla e nemmeno romperle troppo le scatole.

Lei allungò le gambe sul parquet lucido e si alzò, non aveva idea di dove sarebbe finita a dormire, provò ad aprire la porta della sua stanza ma oltre alla puzza di vomito a farla indietreggiare fu Martina, che dormiva beata al centro del letto. Non se la sentiva di svegliarla.

Si morse una guancia.
« Te l'ho detto, puoi dormire con me. Oppure non ti va neanche di dividerci il letto? » Le lanciò una sottile frecciatina, che si fosse indispettito sul serio? Lei sorrise compiaciuta mentre gli dava le spalle, aveva creato una crepa nel muro di sarcasmo e sfacciataggine che metteva spesso tra lui e lei.

Si voltò e finse un'espressione decisamente troppo dolce per essere sincera. « Non potrei mai rifiutare. » E s'incamminò verso la porta difronte, quando gli fu vicina fece scontrare la propria spalla con la sua, giusto per provocarlo un altro po'.

In effetti non avrebbe potuto assolutamente rifiutare, l'alternativa era il pavimento.
Allora lui aprí la porta con fare elegante e la invitò ad accomodarsi nella sua stanza, Vivian l'aveva già vista, il primo giorno che era arrivata in Italia. Era molto simile alla sua, con la differenza che Michael l'aveva un po' personalizzata, infatti il piumone era bianco e i cuscini non sembravano vecchi quanto quella casa, anzi. avevano l'aria di essere soffici e comodi.

A terra sotto la finestra qualche tela vuota e una tavolozza completamente ricoperta di colori, variava dal giallo al blu, al verde al rosso. Riuscí ad immaginarselo mentre la teneva in mano e mischiava le varie tonalità prima che sulle sue opere, nella sua testa. A terra un tappeto a riscaldare i piedi nudi durante le giornate invernali, ora capiva perchè lo trovava sempre scalzo.
« Il lato sinistro è mio. » Senza aggiungere altro, il moro si abbandonò proprio dove aveva annunciato.

« Perfetto. »
« A te piace il destro? »
« Non mi piace dormire dalla parte della finestra. »

Si mise a sedere e capí di non avere il pigiama, tutte le sue cose erano in camera con Martina. Sbuffò e alzò lo sguardo al cielo. Poteva tranquillamente rimanere con la felpa, quello che le mancava era un sotto che non fosse scomodo. Poi le venne in mente un'idea, neanche troppo geniale.

« Mi serve una tuta, un sotto. »
Si mise vicino a lui piegando una gamba sul letto, spostò i capelli biondi tutti da un lato rivelandogli completamente il profilo disegnato.

Lui rimase a guardarla un po' stordito, stava per addormentarsi e quella visione lo trasportò su un'altra realtà. « Secondo cassetto prima anta. »
Sbadigliò e si rimise con la testa sopra il cuscino.

Vivian seguí le sue indicazioni e afferrò i primi pantaloni che trovò sopra gli altri senza difficoltà. « Non ti girare. »
Lui rimase in silenzio per qualche secondo, indeciso se parlare oppure rimanere zitto, il sarcasmo insieme al carattere naturalmente dispettoso prevalsero. « Tanto ti ho già vista nuda, non farti troppi problemi. »
Scoppiò poi a ridere e dovette soffocare le proprie risa nel cuscino candido per non svegliare la loro coinquilina provvisoria.

Lei avrebbe voluto rispondergli male, ma non ce la fece e assecondò il suo gioco, ridendo alla battuta. In effetti era vero, si erano visti la prima volta che lei era senza pantaloni e maglietta, ignara che quella casa ospitasse anche un'altra persona.

Si sfilò i pantaloni duri e ruvidi, un brivido di freddo le attraversò tutto il corpo quando rimase solamente coperta dalle mutandine di pizzo rosa. Biancheria intima decisamente costosa per una che non arrivava a fine mese.

Si affrettò a tirare su la tuta felpata e a infilarsi subito dopo sotto le coperte. « Le mutandine dell'altra volta mi piacevano di più. »
Sospirò rumorosamente, sapeva che avrebbe posato lo sguardo sul suo corpo, anche solo per un attimo. Non le diede fastidio, era sicura del suo corpo e ormai considerava Michael una sorrta di fratello.
Non sarebbe mai riuscita a posare nuda per lui come le sue modelle, ma riusciva a non vergognarsi davanti ai suoi assurdi esami.

« Per fortuna non è a te che devono piacere. »
La stava prendendo in giro, ancora. Voleva metterla in imbarazzo? « E a chi? »

Aggrottó le sopracciglia, pronta a rifilargli una risposta tagliente come una lama. Quindi si mise vicina a lui, incastrò i suoi smeraldi nelle iridi nere dell'altro e gli mostrò un sorrisetto audace. « A me. » sibiló piano.

Da brava giovane indipendente era assolutamente convinta che prima di tutto le sue azioni e decisioni dovessero essere rivolte al soddisfacimento dei propri interessi, modellare la propria vita e i propri gusti su cosa sarebbe potuto piacere ad un uomo lo trovava avvilente e squallido.
Lui, ancora steso sul letto la guardava da sotto e pensava solo a quanto fosse strana, sembrava venuta fuori da un altro mondo, e a volte pareva ancora viverci in una realtà tutta sua.

« Per fortuna non ho bevuto, alla fine. »
« Perchè? »
« Perchè altrimenti non ce l'avrei fatta. »
« A fare cosa? »
« A non baciarti. »

Vivian rimase ferma, immobile sopra di lui a cercare una spiegazione che desse un senso a quelle parole, all'ultima frase di Michael. Perchè aveva deciso di confessarle quei pensieri? Era davvero cosí sicuro di se stesso oppure semplicemente non gli importava nulla delle conseguenze delle proprie azioni, delle cose che diceva?
Le tremarono le mani, si sentí bruciare all'improvviso mentre guardava il viso del moro cosí rilassato, angelico, lucente come quello del peggiore degli angeli.

« Possiamo far finta di esserlo. » L'aveva proposto davvero?
« In che senso? »
« Facciamo come gli ubriachi, scordiamoci tutto domani. »

I loro sguardi s'intrecciarono finalmente senza respingersi dopo qualche secondo, lasciarono che la loro anima fosse pervasa dalla sensazione che già spesso li aveva uniti ma che avevano sempre rotto fastidiosamente.

Lui le accarezzò delicatamente una guancia e l'avvicinò a se, prima di baciarla le sfiorò le labbra con le proprie, come a volersi impadronire anche del suo respiro, dei dettagli più insignificanti. Come se volesse prolungare ogni singolo minuto di piacere che quel contatto gli provocava.

Lei non era cosí paziente, socchiuse gli occhi e lo baciò per prima, bramava quelle labbra da tutta la sera.
Successe tutto all'improvviso, solo perchè avevano voglia di stare insieme, avevano voglia di non essere soli, di qualcuno da abbracciare, o forse avevano proprio bisogno l'uno dell'altra.
Non se le fecero, tutte queste domande.

Non pensavano più a niente, mentre i loro corpi si avvicinavano, mentre le loro lingue s'incontravano e danzavano insieme. Ormai Vivian si era posata su di lui per azzerare il più possibile la distanza tra loro, come volesse divenire con Michael una cosa sola. Si muoveva presa dalla foga di quel bacio come se non ne avesse mai abbastanza, come se le sue labbra fossero un frutto prelibato e proibito.

L'italiano risalí con la mano sulla gamba di lei, le strinse una coscia e poi i glutei sodi. Si staccò da lei per emettere un sospiro di piacere, Vivian ne approfittò per riprendere fiato ma non si mosse dal suo corpo. Si leccò le labbra per raccogliere il suo sapore, era meglio di quanto avesse immaginato. « Come gli ubriachi. » mormorò piano, respirandogli cosí vicino da accarezzarlo con la propria voce. Gli tracciò il contorno delle labbra con la lingua, impaziente di morderle e lambirle ancora.

« Come gli ubriachi. » Aggiunse lui, la guardò per qualche istante, aveva lo sguardo infiammato e il corpo bollente. Si uní nuovamente a lei, fu il gesto più naturale del mondo, come se le loro labbra fossero state disegnate apposta per incastrarsi.

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