un vase

La macchina sobbalzava sullo sterrato, nonostante la fama delle sospensioni Citroën, scimmiottando i singhiozzi che il viaggiatore si stava sforzando di reprimere. Per fortuna che non era suo compito guidare, stavolta, perché sarebbe finita molto male; Kolin gli aveva mandato la macchina con tanto di conducente, probabilmente perché nella sua inquietante onniscienza non le era sfuggito il piccolo accadimento di qualche ora prima. E ora il silenzioso autista stava trasportando l'ancor più silenzioso passeggero indietro all'albergo dal quale avrebbe potuto compiere il prossimo passo in direzione dello scontro finale.

Charlie Nash non riusciva a staccare lo sguardo dalle montagne che sfilavano piano fuori dal finestrino oscurato. La scomparsa del suo amico lo aveva fatto riflettere sulla sua stessa morte da un punto di vista inedito e così intensamente da fargli perdere la cognizione del tempo e dello spazio. Per la precisione stava sondando in tutte le dimensioni possibili le somiglianze tra sé stesso ed un vaso, un prezioso manufatto possibilmente di porcellana tanto sottile da parere traslucida davanti ad una finestra. Simile, insomma, all'unico vaso che avesse mai trovato dimora nella casa della sua infanzia, tesoro familiare tramandato dai secoli dei secoli, fatto giungere alla fine dei suoi giorni dalla cera data al pavimento e dall'appetito di una domenica che l'aveva tentato a correre fino alla sala da pranzo inseguendo il profumo dell'arrosto.
Era stato il senso dell'udito a portarlo su un tale contorto percorso logico: il tintinnio che era seguito alla sparizione di Abel gli aveva ricordato il rumore che avevano fatto i cocci dopo l'impatto, prima di svanire sotto le urla della madre e degli invitati.
E così, prima di ricercarne la fonte, aveva iniziato questo viaggio mentale. In effetti era stata la forza di gravità a causare anche la sua dipartita; non erano stati tanto i proiettili dei mitra, in gran parte attutiti dal giubbotto, ma proprio la lunga caduta e soprattutto lo scontro con il suolo. La stessa forza che toglie la dignità ai liquidi in una poesia di Ponge, a lui aveva tolto la vita similmente a ciò che accade ogni giorno con le porcellane e i vetri.
Si trovava, ora, ad esistere di nuovo, rincollato come i reperti dietro le teche nei musei ma contro ogni logica vivo e pensante. Per assurdo, neanche in una situazione come questa gli erano state negate le emozioni, probabilmente perché un cuore che batte è spinto in primo luogo proprio da queste; e così per la memoria, fonte principale dei sentimenti e conseguentemente delle azioni. Sì, non esiste persona vivente che sia priva di memoria, ha pensato. E al realizzare questo Abel è naturalmente tornato ad occupare tutta la sua mente.
Con amarezza, Nash ha constatato che il suo ritorno era già costato tante vite; ma che soltanto una era in grado di farlo soffrire.
Era stato riportato al mondo per estirpare il dolore causato da Bison, quella fonte di male assoluto; ma proprio da tale malvagità era fiorito un essere speciale come Abel, buono fino in fondo, problematico e incongruente. Questa catena di cose sembrava celare un messaggio troppo grande per essere formulato in una frase sola e non in sintonia con il bisogno principale di Charlie al momento, che si stava sforzando in primo luogo di combattere i sensi di colpa.
Scuotendo la testa, ha cercato di convincersi che la sparizione del giovane non era stata causata da lui. Master Bison, ancora una volta, era la sorgente del problema; Abel era davvero solo un pupazzo creato per farlo soffrire, lui, che si sentiva la nemesi del suo creatore. Aveva usato la compassione e i sentimenti per combatterlo, capendo che la forza fisica non sarebbe mai potuta bastare. La vera lotta, quindi, iniziava ora.
Sì, questo funzionava; per un attimo si è sentito sollevato dal cattivo pensiero. Ma subito dopo qualcosa ha fatto sì che il suo cuore diventasse mille volte più pesante e che scendesse fino alla bocca dello stomaco.
Ha rivisto il suo modo di parlare, il suo modo di muoversi. Quel 'merci' che avrebbe dovuto essere l'ultima parola tra loro. Ha vissuto di nuovo ogni suo sorriso e ripensato d'istinto a tutte le volte che si erano fatti male a vicenda. Questo ha fatto crescere in lui una tenerezza infinita; e dal profondo della sua mente è riemersa quella frase che l'aveva reso molto più di una bambola, molto più di quanto lui stesso negli ultimi momenti si reputasse.

«Ho ricominciato a ricordare solo ora, a ricordare il nulla della mia esistenza»

Ricordare è una peculiarità degli esseri umani. Non ci sono estensioni capaci di prendere il posto dell'anima, di svolgere questa semplice funzione: ricordare.
Proprio questo era il segnale che qualcosa non era andato secondo i piani dell'aspirante dittatore dell'universo, e non si riferiva alla presenza della Secret Society. Nei suoi stessi laboratori, sotto i suoi occhi, la natura si ribellava alla schiavitù che le era stata imposta. Dava ad Abel un'anima, la rendeva indistruttibile come quella di un qualsiasi uomo; gli faceva provare sentimenti ed emozioni e gli faceva sviluppare una memoria, la cosa più proibita presso la Shadaloo.
In questo modo tutto tornava: ha potuto finalmente pacificarsi con sé stesso e tornare a concepire la realtà attorno a lui, appena in tempo per accorgersi di essere arrivato alle porte della città.

Ha tastato automaticamente tutte le tasche e giunto a quella sul ginocchio sinistro si è lasciato sfuggire un sospiro di sollievo. Quando ha potuto è sceso dalla macchina e mantenendo il silenzio, s'è diretto alla sua camera.
Solo dopo essersi chiuso la porta alle spalle ha estratto ciò che tanto gelosamente custodiva nella tasca: un piccolo fagotto di tessuto che proteggeva l'origine del tintinnio misterioso, ovvero... Tutto ciò che rimaneva al mondo di Abel. 

L'ha tenuto stretto tra le mani, timoroso di vederlo svanire una seconda volta nell'aria, e ha mosso piccoli passi verso la finestra della suite.
Non è che avesse ancora potuto provare una sensazione di normalità dal momento del risveglio fino a quel momento. Ma ora più che mai si è sentito 'strano'.

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