un anneau
Il consiglio delle nubi doveva essersi riunito e aver deciso di usare cemento armato al posto dell'acqua per assaltare i raggi solari. Era quasi come se la notte si fosse protratta fino a dopo pranzo, l'ora in cui Charlie Nash s'era messo a guardare il paesaggio che si estendeva sotto la coltre oltre il vetro della sua finestra. Come ad esprimere la propria malinconia in accordo con quella dell'osservatore.
Ha scoperto il piccolo tesoro dal drappo con una specie di agitazione e l'ha poggiato al centro del palmo sinistro con le dita spalancate tutto attorno. Quel che la dissoluzione del suo amico aveva lasciato era un sottile anello, liscio e levigato, un gingillo molto simile ai pezzi degli scacchi attorno ai quali la missione C.H.A.I.N.S. era stata costruita, ma ancora più piccolo e apparentemente fragile. Era circondato da un'aura che sembrava voler risucchiare tutto quanto nel vuoto che la sua forma delimitava, attraendo anche lo sguardo di Nash e attraverso di esso la sua persona intera.
L'aveva trovato a terra a cavallo di due ciottoli, in una posizione per cui c'era materiale tutto attorno ad esso ma assolutamente nulla al suo interno, come se la sua forza avesse respinto ghiaia, sabbia e foglie o li avesse al contrario assorbiti.
Era fatto d'un materiale indescrivibile, del medesimo colore degli occhi di Abel e dotato di una lucentezza innaturale. Sembrava organico ma aveva la consistenza di un metallo.
L'aveva raccolto e senza osare violare lo spazio all'interno l'aveva nascosto nel fazzoletto in cui era rimasto fino a quel momento. Ciò che non avrebbe mai osato immaginare era diventato realtà; si trovava succube quel minuscolo oggetto. Sognava il suo azzurro ghiacciato persino nella coscienza e al posto del vuoto inquietante ci vedeva lo sguardo dell'amico che glielo aveva lasciato. C'era qualcosa che andava fatto, qualcosa che Charlie Nash non riusciva a identificare ma che cercava di farsi sentire attraverso un sesto senso inaudito: poteva essere il suo passe-partout per la definitiva libertà, o l'Operazione Finale con la quale avrebbe ricevuto il riconoscimento che tanto aveva sognato. Solo che non riusciva a comprendere cosa esattamente dovesse fare per portare a termine questa missione, né quale fosse l'obiettivo o la tattica dell'azione. Ci ha riflettuto giorni mentre svolgeva il suo lavoro e viveva l'esistenza più normale che gli potesse riuscire; ha speso giorni di pensieri anche per distrarsi del vuoto della sua attuale vita di solitudine e isolamento.
Si sentiva una mera pedina e per di più, un malessere indefinibile l'aveva preso dal momento della dipartita di Abel. Non si trattava di un dolore psicologico o emotivo, ma proprio fisico. Era come se non potesse continuare ad esistere senza di lui...
Avrebbe avuto interesse a discutere della cosa con Helen, per vedere se la sua sensazione avesse un senso: ma sapeva che era inutile anche soltanto provarci, e che sarebbe stato anzi controproducente. Serviva un altro tipo di mossa.
Così è giunto a pensare a Dhalsim.
**
Parlare del viaggio intercontinentale sarebbe noioso e insensato. Dopotutto è stato un normalissimo volo, durante il quale l'unica cosa vagamente emozionante sono stati il check-in, la passeggiata dall'aeroporto della destinazione al tassì e poi da questo alla dimora dello 'stregone'.
Era chiaro che non potesse essere là, però. No?
Sua moglie ha indicato a Charlie un tempio e lui ci è letteralmente corso. Solo un prato, un ponticello di assi e una scalinata lo dividevano dalla meta: tre basilari ostacoli per superare i quali gli ci sono volute soltanto un paio d'ore. Quando è giunto in cima alla rampa il sudore non gli imperlava solo la fronte, ma scendeva rapidamente sotto il collo e lungo il petto, irrefrenabile.
Si è preso qualche attimo per recuperare il fiato; ha tastato, quasi inconsciamente, la tasca per assicurarsi che l'anello fosse al suo posto; infine ha tirato un calcio al portone senza rifletterci troppo su.
«Dhalsim!»
Il tono violento che gli è uscito era il contrario di quello che intendeva usare. L'eco del suo urlo è stato accompagnato dapprima dal tonfo del portone che si richiudeva, poi dai suoi passi pesanti. Si è diretto senza indugiare verso la figura dello scheletrico orante a pochi metri dall'idolo del tempio.
«Nessuno può essere costretto alla fede, Charlie Nash, ma il rispetto dovrebbe appartenere ormai a tutti.»
L'americano ha soltanto stretto i pugni.
«Ho bisogno di parlarti e poco tempo per farlo.»
Interpretando il suo silenzio come un invito ha cercato le parole giuste per riassumere il senso del suo viaggio. «Ho con me un oggetto molto importante, Dhalsim, ma solo tu puoi dirmi quanto importante esso sia.» Senza sprecare tempo gli ha messo tra le mani l'involto. L'uomo l'ha guardato qualche attimo, dubbioso, prima di aprirlo; e una volta scorto l'anello ha sussultato.
«Dove l'hai trovato?» Gli ha chiesto in un fiato, quasi arrabbiato.
Prima di rispondergli, Charlie Nash ha dovuto cercare un modo per dire come stavano le cose: «Si tratta di quello che mi ha lasciato... Un amico, prima di andarsene.»
Il Maestro si è lasciato sfuggire uno sbuffo di stizza. Ha mormorato: «Vudù» e «Psycho power», poi è rimasto silenzioso per un po'. «La magia è espressione di una dimensione diversa dalla nostra, molto più grande. Per questo non è dato all'umanità di controllarla. Ci sono legami insondabili tra realtà e illusione, materia e spirito, vita e morte; quando si decide di superare i confini del conosciuto si finisce inevitabilmente per scatenare una catena di eventi apparentemente inspiegabili.» Nel parlare, Dhalsim si era alzato in piedi; tenendo l'anello nel palmo della mano e il braccio teso davanti a sé come diffidente, aveva iniziato a camminare avanti e indietro col suo passo etereo. «Siamo però stati creati con un desiderio irrefrenabile di superare i nostri limiti. Ogni uomo, anche il più piccolo e vile, sa fare e fa cose incredibili. Non esiste una normalità o un confine netto tra ciò che è giusto fare e ciò che invece è da evitare. Io per primo ho imparato a controllare forze che non appartengono a ciò che il mio corpo mi limita ad essere; io sono diventato in prima persona fuoco, lo faccio quotidianamente, ma ritorno sempre a me stesso e nulla è mai seguito alle mie azioni. Probabilmente perché io agisco in vista del bene, non per un tornaconto personale né per il male assoluto.»
Per richiamarlo al tempo presente e alla questione che gli interessava il soldato non ha potuto che battere un piede a terra. Il Maestro di yoga gli ha rivolto uno sguardo scocciato.
«Tu non sei più un uomo, Nash, questo è chiaro. Il tuo destino è legato a quello di Abel.» L'americano ha sussultato a sentirgli pronunciare quel nome: non se l'aspettava proprio e ancor meno era pronto a ricevere una notizia come quella che Dhalsim aveva appena annunciato. «Lo psycho power ha creato lui per i suoi fini, la fede degli illuminati ha creato te con superficialità. Quello che devi fare ora è trovare un altro tipo di potere, disinteressato e profondo, in grado di svelare la vostra vera essenza. Esisterete per sempre, ma avete bisogno di espressione per liberarvi. E solo tu, solo adesso puoi trovarla.»
Charlie si è limitato ad esprimere la sua posizione con uno sguardo. Non era alla ricerca di un simile potere che si era spinto sino a quel tempio, sino al cospetto del Maestro dello yoga?
«Non posso insegnarti la mia disciplina ora, Nash» gli ha risposto lui, in mezzo alle risa e porgendogli il fagotto nuovamente chiuso. «Lo yoga è spiccatamente individuale. Devi essere tu a richiamare Abel, svegliando il vostro legame e la forza che vi è connessa. L'unica cosa che posso dirti è di viaggiare, perché così si compiono le ricerche.»
La porta del tempio ha sbattuto di nuovo all'uscita del militare.
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