Primavera 1945
Le notizie correvano veloci. Era stato un anno frenetico, avevamo aumentato gli attentati, Grantaire al mio fianco, gli alleati erano ogni giorno più vicini, ogni minuto si avvicinava la liberazione, la nostra liberazione. Sentimmo le voci, tutto si faceva frenetico, i tedeschi si ritiravano, fu Elia a suggerire di prenderli alle spalle. E lo facemmo, scendemmo in città armi in spalla, Atos, come sempre prima di una campagna ci diede una benedizione, accettammo ridendo.
Anche la città era in subbuglio, gli eserciti stavano arrivando, facemmo saltare con la poca dinamite rimasta i due ponti che conducevano fuori città, rimaneva solo la strada dalla quale potevano entrare e lì attaccammo. Quelli della città ci aiutarono, i trasporti si rovesciarono, gli spari volavano intorno a noi, Atos cadde, la benedizione di Dio non gli era bastata. Corremmo rubando le armi di coloro che erano caduti, Furore urlava al mio fianco mentre con una pala colpiva un tedesco, non so quanto a lungo lottammo, ma al calare del sole i tedeschi uscirono dalla città con tutti i reggimenti, liberandoci.
Urlai osservando le loro schiene che se ne andavano, piansi senza neanche accorgermi, intorno a me la città urlava, nel cielo che si andava a scurire, Furore mi abbracciò e io ricambiai, Elia cadde in ginocchio e lì urlò. Mi voltai verso Grantaier risi e mi fiondai su di lui rotolammo per terra tra le risate generali, ridevamo, urlavamo. Era finita. Era veramente finita. Se ne stavano andando, eravamo liberi. Quella notte nessuno dormì, lungo la strada si vedevano i fuochi accesi, tutti erano in piazza, il vino veniva passato di mano in mano, la musica ci inondava. Gli presi la mano e lo portai a ballare con me al centro della pista, cavolo lui era ancora più bello, aveva un sorriso che lo illuminava, sporco di terra, una bambina gli aveva regalato una corona di margherite che al momento spiccavano tra i suoi capelli.
«Anche lei è rimasta folgorata da te.» gli avevo sussurrato in un orecchio quando era successo e lui aveva riso. Ballammo tutta la notte, cantando, bevendo, fu una festa stupenda, alcuni si addormentarono nei vicoli, famiglie che si riunivano e anche noi per la prima volta ci baciammo da uomini liberi, eravamo accaldati, sudati e pieni di una felicità genuina che poche volte sentivamo intorno, ci sentivamo liberi. Tutti troppo impegnati a festeggiare che nessuno si accorse di noi e tutto fu meraviglioso. La prima notte da liberi. Le bandiere Italiane che sventolavano lungo le strade, ne fregai una e mi attorcigliai con lui ridendo, ci nascondemmo lì sotto un tedesco e un italiano che avevano lottato per la stessa città, che vivevano con gli stessi fantasmi.
I giorni dopo la città rimase nello stesso clima di festa, arrivavano notizie di altre città liberate Milano liberata il 25, i nazifascisti in rotta di collisione, Mussolini prigioniero, Hitler nascosto in un bunker, la guerra stava finendo, si sentivano bambini urlare che finalmente i soldati sarebbero tornati, era una festa, una Liberazione. Ci contammo per vedere chi era morto, il prete del paese fece una messa in nome di tutti i morti che avevano combattuto per noi, per i partigiani morti, per le famiglie che non si sarebbero unite e non importava crederci o meno, Atos venne portato con gli altri morti con una bandiera italiana sventolante, Grantaire si asciugò una lacrima, lo conosceva molto più di me, avevano passato momenti insieme e sapeva che per lui era importante, prima di entrare nell'esercito era stato un prete.
Poi arrivò la notizia gli ultimi giorni d'Aprile: Mussolini era morto. Fu un boato, un urlo che si levava dai nostri cuori, un fulmine. Era una bella giornata e la rese ancora più bella, si tornò in strada a stringersi la mano a ballare, al seguito arrivò anche il suicidio di Hitler, ci stringemmo insieme piangendo, era davvero finita. Era finita.
Quella notte restammo soli, un albergo ci aveva ospitato, un letto dopo tante notti sulla terra, eravamo sotto le coperte nudi, appoggiavo la testa sulla sua spalla e intanto giocavo con i suoi capelli che si erano allungati, lui mi teneva stretto a sé con una mano sul mio collo, ogni tanto mi baciava sui capelli neri, con un dito disegnai il contorno del suo torace, eravamo entrambi accaldati e stanchi.
«Adesso cosa facciamo?» mi sussurrò ad un orecchio, mi fermai e deglutì, sapevo cosa volevo io, ma non sapevo se a lui sarebbe andato bene, mi girai e mi appoggiai sul gomito per poterlo vedere, lo baciai.
«Sono stanco. Ho vissuto per troppo tempo nella paura, ma non voglio nemmeno andarmene. Ho scelto di liberare questo paese non posso abbandonarlo, nonostante tutto. Sono stanco di vivere nell'ombra e di avere paura anche solo a stringerti la mano, voglio creare uno spazio dove non devo avere paura, dove nessuno di noi deve avere paura. Adesso che la guerra è finita voglio provarci.» mi lasciai cadere al suo fianco sul letto e mi coprì gli occhi. «Non so se esisterà mai un mondo dove possiamo vivere alla luce del sole senza che qualcuno per strada ci meni, ma fino a due settimane fa non sembrava potesse esistere un mondo senza ucciderci a vicenda, una Italia libera, ma ora esiste e siamo stati noi a crearla, quindi perché non posso sperare anche in mondo libero per quelli come me, come noi, posso anche solo provarci.»
«Enjolras.» mi tolse il braccio dagli occhi e mi baciò la fronte «Possiamo aprire un locale. So che in America vanno molto. »
«Magari in una grande città, in un vicolo tranquillo.»
«Sul muro appendiamo delle foto e ci scriviamo citazioni dei Miserabili e dei libri che ci piacciono.»
«Appendiamo una foto dei Femminielli di Napoli.»
«Sì e a fianco una di Ulrichs.» risi.
«Possiamo creare una piccola zona libreria con i loro libri, compresi quelli della Wolf.» sorrise, i suoi occhi brillavano, ci guardavamo.
«Un locale con una libreria con i nostri libri preferiti, noi ci teniamo una stanza al piano di sopra.»
«Affittiamo anche stanze?»
«Certo, per quelli che non possono andare da nessuna altra parte.»
«Possiamo tenere anche degli incontri dove parliamo di come migliorare il mondo, dove possiamo parlare di politica.» entrambi ora eravamo seduti, parlavamo senza pause, dandoci corda a vicenda, eravamo felici.
«Tutti si sentiranno a casa.»
«Sì, possiamo fare anche delle torte, non solo da bere.»
«Si magari mettiamo anche un po' di quella musica americana che era proibita.» rise.
«Intendi il Jazz? Ma se non ti piace?» scosse la testa divertito.
«Possiamo fare una sera per uno.» sbuffai ridendo, le nostre voci ormai si erano confuse.
«Voglio la porta Blu.»
«Che sia un ambiente luminoso, con molte finestre.» continuammo a parlare di come volevamo il pavimento, il bancone, di quello che avremmo servito, se ci fosse stata la cucina o meno, se ci fosse stato un palco, che spettacoli ci sarebbero stati, come sarebbero state le stanze, i libri che ci sarebbero stati, quali frasi dei Miserabili sarebbero state sul muro, se mettere tutta la parte della morte di Patroclo e la disperazione di Achille o solo delle frasi, quali libri mettere di Oscar Wilde, se Platone meritava o meno di finire sui nostri scaffali, se il Whisky era migliore quello Americano o Irlandese, se la torta di mele era davvero così buona, non so fino a quando parlammo, so solo che quando la mattina mi svegliai ero felice, come non lo ero stato da anni. E lui era al mio fianco, sorrideva mentre dormiva, come sempre mi aveva dato corda, chiusi gli occhi e rimasi immobile al suo fianco nella speranza di non dovermi mai alzare.
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