Inverno 1944
Sapevo che nonostante tutto mi sarei aggrappato alla vita come un nomade in cerca dell'acqua dopo giorni nel deserto, nonostante tutto avrei continuato a lottare a rischiare la vita per un paese che mi odiava e che mi avrebbe probabilmente rinchiuso se solo avesse saputo, ma non era tutto, non si può ridurre un intero paese questo. Avevo amato e riso, il paese dove i miei genitori erano nati, dove i miei amici un giorno, forse, sarebbero potuti tornare, dove ci saremmo potuti ancora vedere intorno a un tavolo a prendere un bicchiere di vino e parlare delle nostre esistenze.
«Vuoi?» Al mio fianco apparve uno specchio di quello che ero diventato, Furore, capelli rossi come il fuoco che ardeva, più piccolo di me di un paio di anni, accanito ladro di sigarette. Sorrisi e accettai la sigaretta che mi stava passando, la fumai lasciando che il fumo nero denso salisse verso il cielo piombo.
Quel giorno era importante per me anche se avevo provato in tutti i modi a dimenticare ad andare avanti, ma ci sono cose per cui non si riesce ad andare avanti, ci si prova, ma inutilmente, era il nostro anniversario.
Ammetto era stupido da ricordare, inutile e forse pure irrispettoso, ma era nostro. Quella notte non abbiamo accesso il fuoco nonostante il freddo per non essere scorti dalle truppe della Repubblica di Salò che avevano deciso di arrampicarsi su per i monti al nostro inseguimento. Ma anche senza fuoco eravamo tutti lì intorno a un vuoto che speravamo di vedere anche domani, il fumo delle sigarette saliva in piccoli cerchi verso le stelle, nessuno di noi aveva mangiato, il cibo scarseggiava, i morti erano seduti con noi eppure io mi trovai a pensarlo, a chiedermi come era diventato, cosa la guerra gli aveva fatto. Alzai lo sguardo verso il cielo, mi sentivo così colpevole tutte le volte che il suo volto mi appariva davanti, tutte le volte che un nostro ricordo faceva capolino da quella zona del cuore dove lo avevo nascosto insieme ai sensi di colpa per quello che avevo fatto e per quello che facevo. La luna brillava. Mi chiesi come sempre se anche lui stesse guardando la stessa luna, se fosse ancora vivo, se ci saremo mai rivisti. In realtà non sapevo se l'avrei perdonato, una parte di me non voleva, non poteva, lui rappresentava tutto quello per cui per anni mi ero battuto e tutto quello contro cui mi battevo, ma sapevo che appena lo avrei rivisto lo avrei perdonato senza una parola, senza dire nulla, senza chiedere spiegazioni, era stato tutto per me. E continuava a esserlo. E mi sentivo un ipocrita.
«Enjolras stai pensando alla tua donna?» l'uomo al mio fianco mi diede una gomitata nelle costole, lo guardai, Elia dal sorriso schietto.
«Diciamo di sì.» risi «Sono anni che non la vedo, mi è solo venuto in mente uno dei nostri primi incontri.» sorrisi tristemente.
«Woo. Racconta. Come era? » riportai lo sguardo al cielo, mi bagnai le labbra, non volevo guardarli in faccia mentre sprofondavo in una bugia condita con tutta la mia rabbia e dolore, mentre desideravo e odiavo qualcosa che sapevo loro non avrebbero mai approvato e nemmeno io. Il suo volto mi apparve davanti agli occhi.
«Non che ci sia molto da raccontare in realtà. Mi ricordo che era una bella giornata, era arrivata la notizia della firma dell'asse e ne stavamo parlando con degli amici quando...» mi schiarii la voce «Lei è entrata nel discorso da studentessa di legge, non ricordo cosa disse, ma da quel giorno abbiamo iniziato a incontrarci per caso lungo i corridoi dell'università, a vederci nei locali con gli amici in comune e alla fine da cosa nasce cosa.» alzai le spalle «Poi la guerra ci ha diviso, io sono stato chiamato al fronte e lei è dovuta tornare a casa dalla famiglia.» il vento accompagnò la fine delle mie parole, in mezzo c'era stato tanto altro i nostri discorsi di politica, sui libri, quel viaggio in Francia che avevamo organizzato nei minimi particolari che non avevamo mai potuto fare, le lezioni saltate per poter stare insieme anche solo pochi minuti, le mani che si sfioravano di nascosto, gli abbracci fatti passare per pacche sulle spalle, le notti passate a casa sua lontano da orecchie indiscrete, le letture dei Miserabili nascosti sotto le coperte, il raccontarci reciprocamente le nostre vite, le nostre lezioni preferite, commentarle, dibattere, il suo italiano strano, divertente, con quell'accento duro che avevo imparato ad amare prima di odiare. C'era tutto in quelle parole e niente, sperai che non mi odiasse, gli avevo cambiato sesso sperai che ovunque fosse capisse e mi perdonasse, e forse che si perdonasse nonostante tutto. Una storia come un'altra, una guerra nel mezzo.
«Come era?» il Pittore mi guardò teneva nella mano callosa una matita e un foglio di un vecchio taccuino preso chissà da dove, di solito la gente lo cercava per farsi disegnare un'immagine di qualcuno che amavano, i figli, l'amante, l'amore della vita o anche solo quella cantante che non avrebbero più rivisto. Quando vivi in un mondo di uomini arrivi al punto che il ricordo del passato non ti basta più, quando vivi lontano così tanto da casa anche i volti di quello che avevi di più prezioso diventano fumo che vola via insieme alle bombe, al fumo dei proiettili e delle sigarette, lui permetteva i ricordi di restare in vita. Non l'avevo mai fatto disegnare, avevo paura, non sarebbe mai stato lui a restituire lo sguardo da un foglio e in realtà desideravo che il suo ricordo volasse via insieme al fumo.
«Aveva i capelli biondi chiari tenuti appena sotto le orecchie, un ciuffo le ricadeva sempre davanti agli occhi, tutte le volte sbuffava quando succedeva, aveva il volto sottile, gli occhi chiari luminosi, sempre rivolti in una direzione oltre di me, verso l'orizzonte, verso un posto dove avremmo potuto vivere insieme. Aveva un neo appena sopra il labbro sulla destra, mi pare.» intorno a me si sentivano le parole sussurrate dei miei compagni, il vento tra i pini e gli ululati dei lupi, mi resi conto che non riuscivo a ricordare come era il suo naso, ero stato troppo tempo senza vederlo, i volti dei miei compagni sotto la luna erano bui e ringraziai qualunque cosa ci fosse lassù per questo, non avrei avuto la forza di raccontare se li avessi guardati negli occhi.
Il Pittore mi allungò il pezzo di carta, una donna immaginata nella mia testa mi restituiva lo sguardo, lo ringraziai, lo piegai e lo misi in tasca, volevo piangere, lui apparteneva a un mondo che non esisteva più, a una vita che non era più la mia.
La mattina dopo ci alzammo prima del sorgere del sole, imbracciammo i fucili diretti verso l'incontro con qualcuno da condurre oltre il confine, eravamo in quattro, io, Tito, Elia e Furore, i documenti erano già stati consegnati, dopo ore di camminata nel più profondo silenzio circondati dai rumori delle montagne che ormai conoscevamo a memoria, lì incontrammo nel punto concordato, all'interno di una radura tagliata a metà da un fiume al momento non ancora in secca. Avevamo scelto quella zona per paura di una soffiata fascista, da dove arrivammo noi il sentiero restava coperto dagli alti sempreverdi fino alla radura che vedevamo dall'alto, fino all'ultimo secondo potevamo scegliere di non seguire la missione, scappare, sparare se ci trovavamo male, se ci rendevamo conto che le cose non andavano come volevamo. Sotto di noi vedevamo coloro da far fuggire, una famiglia con due bambini, intorno tutto tranquillo, nessuna parola, un cenno e la ragazza che li aveva accompagnati ci riconobbe e torno da dove era venuta, nessuna domanda. Non si fanno domande a chi fugge, non si chiede il motivo. Era brutto da dire e anche da pensare, ma la cosa positiva delle montagne erano i burroni dove nessuno avrebbe mai più ritrovato i corpi, prima regola proteggere se stessi. Percorremmo una strada diversa come facevamo sempre, in questo caso scelsi una strada leggermente più lunga ma più sicura per dei bambini piccoli.
Quando qualcosa diventa un'abitudine, diventa facile come respirare, camminare lungo i bordi dei burroni, saltare sui sassi, le strade sicure non sono mai facili, osservare indietro che nessuno cadesse, aiutare ad andare avanti, tutto senza parlare, senza emettere alcun suono che si sarebbe potuto propagare tra quelle montagne. Alla fine arrivammo al confine che ormai era sera. Sorrisi, e lo vidi riflesso nei loro volti. Questo mi faceva sentire vivo.
«Da qui dovrete proseguire da soli, sempre dritto troverete un fiume, da lì potete seguirne il corso e vi troverete dalle parti di una città Svizzera, avete i documenti?» annuirono, sorrisi, «Allora buona fortuna.» appoggiai una mano sulla testa dei due bambini scompigliandogli i capelli. Loro ci ringraziarono e svanirono nella foresta, noi tornammo verso l'accampamento.
Quel posto che da un paio di mesi avevo iniziato a chiamare casa, assomigliava a tutto tranne che a una casa: era un insieme di grotte, gole, tende di fortuna rubate all'esercito, un agglomerato di armi in cattivo stato che spuntavano dal terreno come strani alberi, fucili presi in prestito, rubati o portati da casa, un gruppo di gente vestita di quello che trovava, che mangiava quello che trovava e che difficilmente si capiva, tutto sotto una coltre di silenzio intervallato da brevi risate, ricordare e andare avanti. Tutti noi ci aggrappavamo a qualcosa che non era altro che una speranza o forse solo un labile ricordo, i nostri fantasmi ci facevano compagnia, le famiglie che avevamo lasciato ci rimproveravano ancora nei nostri sogni, eppure sentivamo di star facendo la cosa giusta nonostante tutto, nonostante quello che eravamo, relitti in balia di un vento che non controllavamo che cercavano solo di restare a galla aggrappati al sogno di una terra lontana che forse non avremmo mai visto. Non mi ero mai sentito così vicino a quelle barricate che avevo amato durante le lezioni sulla Rivoluzione Francese e le nostre letture, mentre le avevo lette ancora ogni cosa era lontana, ancora non avrei mai immaginato che mi sarei potuto trovare in un posto come quello, come questo. Mi reggevo in bilico tra i ricordi e il futuro. Tra quello che avevo fatto per salvarmi e quello che avevo fatto per proteggermi, ero stanco.
Scendemmo verso una delle strade che portava alla città eravamo a corto di armi, munizioni e qualunque cosa, tutto sarebbe andato bene, aspettammo il trasporto da assaltare dietro gli alberi in silenzio, la prima cosa fu il rumore del motore poi la sua sagoma nera apparve da dietro la curva, aspettammo un paio di secondi e poi ci lanciammo all'attacco urlando, mani ai fucili si cercava di sparare verso le ruote. I soldati del trasporto scesero, le loro uniformi verde bottiglia non ci lasciarono il tempo di pensare, colpirono e noi con loro.
«Stanno fuggendo.» eravamo in dieci contro quattro. Ci lanciammo all'inseguimento due caddero al suolo senza un urlo, uno urlò prima di cadere, corsi verso l'ultimo rimasto, provai a colpirlo.
«Ormai è andato non sprecare munizioni.» la voce di Furore mi raggiunse al fianco ci fermammo davanti ai tre morti, erano giovani forse anche più di me, Furore iniziò a cercare nelle tasche qualche sigaretta, ne trovò due, ma non ci prestai troppa attenzione quello che mi aveva colpito era la croce di ferro nera appuntata sul petto, Tedeschi. le uniformi che avevamo scambiato per quelle italiane in realtà non lo erano.
«Oi questo è un crucco!» la voce di Elia arrivò da un altro corpo. Risposi con un anche questo, mi si stava delineando un'idea, una speranza seppur flebile come una fiamma di una candela, la nascosi in quella parte recondita della mia anima dove nascondevo tutto quello a cui non volevo pensare.
«Questo no.» due Tedeschi e un Italiano. Mi voltai a guardare il carro ormai svuotato.
«Bruciamolo.» Suggerì. Mi assecondarono, portammo velocemente i corpi dei morti dove prima c'erano le provviste. Appoggiai il tedesco delle sigarette sul carro, era molto più piccolo di me, capelli biondi cortissimi, occhi chiari, gli assomigliava, mi morsi la guancia vedevo il suo volto come era anni prima che si sovrapponeva a quello del ragazzo nella stessa uniforme, con gli stessi colori, lo vedevo urlare tra le file, alzare il braccio in segno di saluto, vedevo come si allontanava da tutto quello che ci eravamo giurati di essere, ma anche io mi ero allontanato, anni prima avevo giurato che non avrei mai ucciso e ora non ricordavo neanche più chi era stato il primo, avevo giurato che non mi sarei piegato, avevo giurato che sarei stato un uomo diverso, uno di quelli consapevoli e coscienti, uno storico che avrebbe parlato di guerre per non farle mai, e ora ero lì tra le mani un corpo che avevo probabilmente ucciso io, un fucile a tracolla rubato a un altro morto, le munizioni trovate nelle tasche del morto che avevo davanti e intorno a me una guerra.
Davanti a me scivolò un altro corpo, ci misi un po' a riconoscerlo, l'incredulità prese il posto del rimorso e si trasformò in rabbia. Il Pittore mi fissava con gli occhi vuoti di chi non vedrà mai più altro, un colpo in pieno petto, un sospiro di sorpresa ancora tra i denti, tremavo. Le mie mani si mossero da sole gli chiusi gli occhi, Sam al mio fianco si lasciò sfuggire un singhiozzo, gli appoggiai la mano sulla spalla, poco più di un bambino e non ancora adulto. Cercai nelle tasche del Pittore la sua matita e la appoggiai su di lui.
«Forza diamogli fuoco. Prima che tornino con i rinforzi.» la voce di Elia mi scosse, non c'è mai tempo in guerra di piangere i morti. Spingendolo dalla spalla riuscì ad allontanare Sam da lì, non la tolsi, non pianse e nemmeno io. Ne avevamo persi due dei nostri, ma l'assenza del Pittore ci avrebbe perseguitato era intorno a lui che io e i miei amici ci stringevamo.
Sam camminava al mio fianco con in mano una cassa, le fiamme ci scaldavano la schiena, mi voltai un'ultima volta, le fiamme avevano lambito tutto il carro tra pochi minuti non ci sarebbe rimasto molto, feci un veloce segno della croce, diretto a non sapevo neanche io a chi, erano passati i tempi in cui credevo in un dio. Ma il Pittore ci credeva.
Quella notte l'accampamento era più silenzioso del solito, ci trovammo nello stesso posto, ma dopo esserci guardati ognuno scelse la via che preferiva, la morte del Pittore aveva percosso il gruppo come una scossa. Furore accese una delle sigarette rubate ai tedeschi e l'appoggiò per terra, era il suo modo per dirgli addio lo sapevo. Tito e Elia parlavano in un angolo, Sam rimase seduto per terra la testa tra le gambe, dalle spalle mi accorsi che piangeva, il Pittore era diventata la sua figura paterna da quando aveva perso tutto, era la sua ancora, non mi avvicinai, nessuno vuole farsi vedere piangere, non un adolescente che cerca di essere adulto. Avrei voluto avvicinarmi, abbracciarlo, stringerlo, dirgli che non aveva colpe, ma sapevo che non era lui che aveva bisogno di quelle parole, ero io.
Piansi rannicchiato, quella notte il freddo era più intenso di ogni cosa, la sua mancanza era una lacerazione nel profondo, il Pittore che mi aveva sorriso, accolto, dato pacche sulle spalle, che mi aveva regalato qualcosa dove cercarlo, e poi c'era lui. La solitudine ha il potere di aprire quella zona nel cervello che fai di tutto per tenere chiusa. Ritornò lui. Le sue mani che accarezzavano il mio corpo, il suo sorriso, la mia risata intrecciata alla sua, i due bicchieri di vino vicini, i nostri tentativi di pulire le lenzuola senza essere visti, le mie mani tra i suoi capelli, e i baci rubati nei bagni, le corse per fuggire dai gruppi universitari fascisti, la paura di essere visti, la sensazione di essere seguiti. Al seguito del ricordo dell'amore arrivò il ricordo del dolore, la paura, intrecciati come se non potessero vivere uno senza l'altro. Tirai su col naso, ormai le lacrime scivolavano senza poter essere fermate, cosa stavo facendo della mia vita? Stavo dando la vita per un mondo che non mi accettava, eppure intorno a me tanti altri lo stavano facendo, le persone svanivano da un giorno all'altro, pensare a un futuro era difficile. Eppure dopo tutta questa morte ci sarà un po' di amore anche per me? Anche se intorno a me la gente mi odia? Ero stanco, e sono stanco. Ha davvero senso pensare a un futuro anche se lui non sarà al mio fianco? Ha davvero senso? Avrei voluto avere un briciolo del loro coraggio, una guerra, quando non hai la libertà vale davvero la pena lottare per la propria esistenza, per la consapevolezza? Non è libertà anche quella? A Napoli loro erano scesi per le strade, avevano combattuto per loro stesse prima che per gli altri, si erano mostrate come erano sempre state vive, ribelli, fiere. Perché loro sì e io no? Perché loro sì e noi no? Non si può vivere nella paura, non è possibile. Non si può lottare per la libertà se non è una vera libertà. Ho giurato quando ho preso in mano un fucile per la prima volta che non sarebbe finita come nei Miserabili, non per me. Il mio futuro non può essere nella paura, non può essere nel buio. Arrivai alla fine che non sapevo più per cosa stessi piangendo: la rabbia, il dolore, la sua mancanza, la morte di Pittore, Sam troppo piccolo per tutto questo, il coraggio dei Femminielli che io non avrò mai, lui nell'esercito tedesco, lui che mi sussurra che andrà bene, lui che mi dice che mi ama, il suo volto disegnato dalle mani del Pittore, Enjolras morto e io che ho preso il suo nome dicendo che non sarebbe finita così, e forse piangevo per quelli come me o piangevo per me o forse per lui o forse per nessuno. Erano anni che non mi addormentavo tra le lacrime. E lui venne a farmi visita.
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