Estate 1972
Chiusi la porta blu del locale alle mie spalle, era un pomeriggio afoso, avevo appena finito di mettere a posto le coppie del "Fuori!" arrivate in mattinata, sopra al mobiletto appena vicino alla libreria di circa un centinaio di titoli dove i libri di Hugo facevano compagnia a quelli della Wolf, le poesie di Saffo e a tanti altri compresi contemporanei, alle pareti le foto e dipinti di coppie, dal bancone mi guardavano i due Mieli, Mario e Aldo, al loro fianco Magnus Hirschfeld, Karl Ulrichs e Fedrich Radszuweit. Al centro però c'era la foto del nostro gruppo di Partigiani, quella in bianco e nero fatta appena alla fine della guerra con le lacrime ancora negli occhi e quella recente a colori, di quando c'eravamo rivisti, tutti più vecchi con un bicchiere in mano a brindare ancora a un mondo migliore. E poi le foto delle nostre serate, dei nostri ospiti, le feste, i circoli di lettura che facevamo.
«Ancora qui Luca.» mi voltai «Dai andiamo o faremo tardi.» mi prese per mano, i capelli erano caduti, le rughe gli circondavano gli occhi, sorrideva come faceva sempre, lo baciai.
«Andiamo, andiamo.» percorreremo i vicoli e ci ritrovammo lungo la via principale, nessuno ci disse nulla, quel giorno era nostro, solo nostro. La città era nostra.
«Ezra, Luca!» ci girammo, una dei nostri clienti abituali venne a salutarci mano nella mano con la sua ragazza per poi scappare via nei loro vent'anni. La folla che ci circondava, i colori, le persone che si baciavano, la musica, mi strinsi a lui. Nulla importava, quel giorno era nostro, nostro come le lacrime che per anni avevamo versato per sperare in un giorno come quello, le lacrime che avevamo versato per tutti i nostri fratelli e amici uccisi o imprigionati per non essere altro che loro stessi e per quelli che ancora lo erano. La rabbia che ci permetteva di andare avanti di continuare a lottare per quelli come noi, per tutti quelli che ancora non sapevano di essere come noi, lottare, come sempre avevamo fatto, per un mondo più giusto, più equo, con la guerra ancora negli incubi e la speranza che ancora ci teneva a galla.
«Ezra mi viene voglia di piangere.» lui mi strinse e mi appoggiò la bandiera dei moti di Stonewall sulle spalle.
«Anche a me.» Ci baciammo, senza nasconderci sotto di essa, questa volta come tanti anni prima, due ragazzi, anche se ormai non lo eravamo più, sotto la stessa bandiera che lottavamo dalla stessa parte e con gli stessi fantasmi, come sempre avevamo fatto e come sempre avremmo fatto. Con l'orgoglio che da sempre avevamo cercato di trasmettere a tutti coloro che approdavano nella nostra isola in cerca a volte solo di comprensione, altre solo di una pausa da tutto quello che chiudevamo fuori da quella porta blu.
Mi teneva la vita e io avevo appoggiato un braccio sulla sua spalla, così ci allontanammo inghiottiti dalla folla, con la musica nelle orecchie e il cuore leggero, verso un mondo che sembrava migliore di quello che ci lasciavamo alle spalle, ma che ancora non era perfetto e piansi, la mia stupida emotività, piansi perché non avrei mai creduto possibile vedere una cosa del genere nella mia vita, ogni cosa della mia esistenza sembrava un miracolo e lui era al mio fianco, mi baciò i capelli e sapevo che aveva gli occhi lucidi. Verso un sogno che ancora avevamo davanti e che forse avremmo sempre avuto davanti a noi.
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