Capitolo II

Ezechiele 16:49 "...vivevano nell'orgoglio, nell'abbondanza del pane, e nell'ozio indolente; ma non sostenevano la mano dell'afflitto e del povero.„

Il silenzio era assordante; Steven dubitava quasi del fatto che in quell'istituto vi fossero dei suoi coetanei.

Muoveva nervosamente le chiavi tra le mani mentre percorreva quegli eleganti corridoi ignorando le inutili chiacchiere del Preside Hopps.

Lezioni, orari prestabiliti, pranzo, cena e un gran "che noia".
Già ne aveva abbastanza di quella situazione e non aveva la minima voglia di rispettare delle stupide regole.

«Quanto durerà la mia permanenza?» aveva chiesto continuando imperterrito ad infastidire l'infinita conversazione tra i vecchi che nel frattempo, continuavano a camminare lasciandolo alle spalle.

«Questo dipende da te Steven.
Adesso, sputa immediatamente quel chewing gum; assomigli a un ruminante» e con gli occhi rivoltati verso l'alto, aveva fatto come gli era stato ordinato.               

Mark era rimasto piacevolmente sorpreso da come il figlio, trovandosi in un ambiente alquanto "ostile" per i suoi gusti, fosse diventato così docile.

Però, nonostante la gioia temporanea, il padre del ribelle si sentiva un genitore fallito poiché non era riuscito da solo a tenere a bada quello che era il suo bambino, il suo Steven.

Sapeva benissimo che se avesse speso con lui più tempo o lo avesse semplicemente conosciuto meglio, di sicuro non avrebbe perso né l'amore ne lo stesso primogenito che tanto ambiva da ragazzo.

Il sogno di portare avanti la sua impresa commerciale affiancato da un giovane a sua immagine e somiglianza, era velocemente svanito.

Per un momento lui e Hopps, s'erano fermati davanti a una delle tante massicce porte in cedro, dove dall'altro lato, attendeva la stanza di Steven pronta ad ospitarlo.

«La chiave» aveva detto allungando la mano l'uomo di mezz'età che, in men che non si dica, aveva aperto la camera.

Devis era rimasto a dir poco basito nel vedere l'alloggio così perfettamente curato in ogni minimo dettaglio.

Il soffitto della camera era squarciato da un cielo dipinto che lo rilassava a tal punto da non volerlo smettere di guardare.

Il profumo era dolce e quella situazione, per quanto fosse irritante, sapeva anche meglio di casa.

«Dividerò la mia camera con qualcun'altro?» Steven camminava in lungo e in largo accecato dalla luce che filtrava dalla grande finestra al centro della parete, posta frontalmente alla porta.

«Ebbene no, vogliamo che i nostri studenti abbiano la propria privacy e il giusto comfort cosicché possano studiare al meglio e dare il massimo»
Steven quasi non credeva alle sue orecchie visto che era abituato a ben altro guardando la Tv, o semplicemente, ascoltando qualche suo amico che frequentava il College nei dintorni di Egester City.

Egli continuava a chiedersi quanto ancora dovesse stupirsi.
La stanza dalle modeste dimensioni, possedeva anche un grazioso bagno interno con il minimo indispensabile.

Devis continuava a pensare come fosse possibile che, una scuola paritaria come tante altre, mettesse a disposizione di uno studente qualunque, un arredamento di altissima qualità.

All'interno di quel confortevole spazio vi erano: un letto dalle candide coperte che si trovava sulla parete destra affiancato da un comodino, un'ampia scrivania con sedia al disotto del finestrone, un armadio a muro e una piccola poltrona in un angolo.

Le pareti erano di un beige molto scuro e tutto il mobilio riprendeva il legno della struttura principale.

«Se ti va, puoi decorare al meglio la tua stanza purché non vengano utilizzati chiodi; con questo é tutto. Mi congedo» e così il preside lasciava che la porta si chiudesse dietro di lui lasciando padre e figlio soli.

«Ti piace?» aveva sospirato Mark sedendosi sul letto.

«Molto, è anche meglio di casa nostra.
So che mi troverò bene non preoccuparti, affronterò quello che bisognerà affrontare»

«Steven io...» e non appena stava per proferire parola, il giovane lo aveva interrotto.

«Papà, hai parlato già abbastanza. Non ho bisogno di un discorso strappalacrime come ogni genitore qualunque fa prima di salutare suo figlio.
Tu non sei uno qualunque, sei molto peggio» a quel punto Mark non poteva far altro che alzarsi e guardare per l'ultima volta, riflessa in quegli occhi neri come la pece, quella che era la sua eterna delusione: sé stesso.

«Credo di aver già detto e fatto abbastanza e so anche che per te le mie parole valgono meno di zero.
In questo momento fai tutt'altro che ascoltarmi ma, sebbene tu non possa accettarlo, io sono tuo padre e voglio solo il bene» e così gli aveva dato una pacca sulla spalla, impotente e senza poter abbracciare il suo bambino lasciato solo in balìa delle onde.

La pecora nera si tratteneva, voleva urlargli contro, dirgli quanto lo odiava e quanto facesse schifo pur sapendo di dover andare avanti e che, in futuro, non gliene sarebbe fregato nulla dell'orgoglio che forse avrebbe provato nei suoi confronti.

«È facile in queste situazioni essere premurosi» e dopo averlo visto andar via, aveva iniziato a posizionare al meglio i suoi effetti personali in quella che sarebbe stata la sua nuova casa.

Mentre aveva sistemato per bene dei trofei e qualche foto dei suoi idoli sulla scrivania, dava un'occhiata al di fuori del finestrone dove vi erano numerosi gelsi che creavano con la loro folta chioma, una gradevole ombra sul viale sterrato.

All'improvviso, una fila ordinata di ragazzi in tuta da ginnastica si era fermata al di sotto della sua visuale.
Proprio in quel momento Devis aveva visto per la prima volta quelli che forse sarebbero stati i suoi compagni.

Quest'ultimo scrutava attentamente, per quanto gli fosse possibile, ogni singolo componente di quel piccolo gruppo di studenti.

Ognuno di loro, benché fosse diverso dal punto di vista fisico ed etnico, aveva qualcosa in comune con l'altro;

«Magari l'estrema disciplina» aveva pensato innocentemente.

Poco dopo però tutti, compreso una figura riconducibile ad un professore, s'apprestavano ad entrare nell'istituto in modo ordinato e rapido.

Un fremito aveva portato Steven alla porta che quasi quasi, non vedeva l'ora di fare nuove conoscenze.

Stare da solo non faceva per lui, doveva infondere la sua energia a tutto ciò che lo circondava, persino agli oggetti.

Il mondo però gli era crollato addosso non appena aveva letto, incollato sulla porta, quello che era l'orario delle lezioni.

«Cazzo mi devo sbrigare!» s'era tolto quel completo vergognoso del matrimonio del cugino sconosciuto, per poi indossare degli abiti quotidiani.

Voleva essere sé stesso dimostrando a tutti chi era effettivamente Steven Devis: il cestista più famoso di Egester City e zone limitrofe.

E con un abbigliamento improponibile, era sceso al piano inferiore munito di zaino in spalla e tanto coraggio.

Le scale le percorreva correndo velocemente come mai aveva fatto prima e cercando l'aula trentatré.

«Aula trentatré...aula trentatré...» stava ansimando perdendosi in quel contorto labirinto.

«Hey tu, è il tuo primo giorno vero?» la voce fredda di un ragazzo lo aveva fatto sussultare.

«Caro, scusa la maleducazione!
Lascia che mi presenti; mi chiamo Mike Adams e sono uno dei tuoi compagni di classe. E tu, chi saresti?» quel pischello dal fisico asciutto e poco slanciato gli aveva mostrato la stessa tabella che il ribelle aveva in camera.

«Mi chiamo Steven Devis, piacere mio» dopo aver scambiato una formale stretta di mano, s'erano diretti verso quella che sarebbe stata una noiosissima lezione di storia.
















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